Bolivia: una rivoluzione in corso
Dalle lotte per nazionalizzare le risorse una nuova rivoluzione ?
Di
Michele Terra
Dopo
quasi due decenni durante i quali l’America Latina sembrava aver perso il
ruolo di culla di lotte rivoluzionarie e antimperialiste, almeno dalla sconfitta
elettorale dei sandinisti nell’89, negli ultimi anni abbiamo assistito ad una
decisa ripresa di lotte radicali nei paesi sudamericani. Qualche anno fa è
esplosa la crisi argentina con dimissioni a catena di presidenti della
repubblica e grandi mobilitazioni popolari di cui ci siamo occupati più volte
sulle pagine del nostro giornale. Ora è la volta della Bolivia, come
l’Argentina, far saltare i presidenti come tappi di spumante. E’ lontano nel
tempo il fallito tentativo guerrigliero guevarista della metà anni ’60 che
terminò nella disfatta dell’Esercito di Liberazione Nazionale che chiuse
definitivamente ogni illusione sulle possibilità di vittoria dell’esperienze
di foco guerrigliero teorizzate dal Che, destinate alla sconfitta non
solo militare ma anche politica dall’assenza di mobilitazioni e di
coinvolgimento della classe operaia. Il contesto oggi e radicalmente mutato e
sono direttamente i lavoratori e le classi subalterne, in particolar modo la
popolazione indigena maggioritaria in Bolivia, a segnare il tempo di queste
nuove lotte.
Saltano
i primi due presidenti
Se si
vuole cercare un inizio nella crisi boliviana se ne possono trovare le premesse
con l’elezione nel 2002 a presidente della repubblica di Gonzalo Sànchez de
Lozada, detto Goni, uno degli uomini più ricchi del paese, appartenente al
Movimento nazionalista rivoluzionario (partito d’ispirazione liberale). Il
governo di Sanchez de Lozada è durato poco più di un anno, fino allo scontro
frontale con le organizzazioni popolari e sindacali in primo luogo la Cob (Central
obrera boliviana) diretta da Jaime Solares, a causa della cosiddetta “guerra
del gas” del 2003. In quell’occasione il tentativo di svendita alle
multinazionali delle risorse di idrocarburi, petrolio ma soprattutto gas
naturale di cui è ricca la Bolivia, ha trovato una risposta di massa come non
se ne vedevano da tempo con mobilitazioni in tutto il Paese. Ma il braccio di
ferro intentato dal Mnr e dal suo presidente ha portato la Bolivia sull’orlo
della guerra civile quando il 13 e 14 ottobre 2003 l’esercito ha sparato sulla
folla nelle città La Paz e El Alto causando un’ottantina di morti e centinaia
di feriti. La risposta delle masse è stata tale che Sànchez de Lozada ha
dovuto dimettersi e fuggire negli Usa, mentre la carica di presidente veniva
assunta dal suo vice Carlos Mesa. Il nuovo presidente Mesa avrà poca più
fortuna del suo predecessore: riuscirà a rimanere in carica per circa venti
mesi prima di dare anche lui alle dimissioni.
La
scintilla che ha fatto scoccare nuove lotte all’inizio dell’anno è stata la
“guerra dell’acqua” lanciata dalla popolazione di El Alto affinché
venissero nazionalizzate le risorse idriche della città privatizzate nel 1997.
Nell’ultimo anno le tariffe dell’acqua a El Alto erano aumentate del 35%
mentre buona parte della popolazione è tuttora priva di adeguati allacciamenti
all’acquedotto. Dopo uno sciopero
di dieci giorni il governo è stato costretto a rivedere le condizioni
contrattuali per la distribuzione dell’acqua, ma ciò non ha certamente
soddisfatto i manifestanti che ne chiedevano la nazionalizzazione sotto
controllo delle juntas vicinales. Le juntas vicinales sono strutture consiliari
territoriali che stanno sempre più ricoprendo in tutto il Paese il ruolo di
veri e propri organismi di contropotere contrapposti alle istituzioni borghesi.
Più
passa il tempo più le lotte si radicalizzano nella direzione rivoluzionaria.
E’ così che a giugno un’altra ondata di scioperi e mobilitazioni per la
nazionalizzazione degli idrocarburi e per l’indizione di un’assemblea
costituente ha portato ad una nuova crisi. Anche il Mas (Movimento al
socialismo, principale partito parlamentare della sinistra boliviana) diretto
dal leader dei coltivatori di coca Evo Morales è stato obbligato a togliere
l’appoggio al governo e a sostenere le lotte. In poco tempo anche Mesa è
stato costretto, il 6 giugno, a rassegnare le dimissioni.
Anche
il terzo non ce la fa
Secondo
il dettato costituzionale boliviano il successore di Mesa sarebbe stato il
presidente del senato Hormando Vaca Diez del Mir (Movimento della sinistra
rivoluzionaria, malgrado il nome è un partito su posizioni assolutamente
liberiste), personaggio legato all’oligarchia e apertamente sostenuto dagli
Usa e dai settori militari più reazionari. Dopo un primo tentativo di Vaca Diez
di accettare la carica, con il rischio concreto di far precipitare la Bolivia
nella guerra civile, anche lui è stato “convinto” dal movimento a
rinunciare. Il parlamento boliviano ha, quindi, nominato nuovo presidente
Eduardo Rodriguez, che ricopriva la carica di presidente della corte suprema di
giustizia.
Il
nuovo presidente ha annunciato che il suo sarà un breve mandato di transizione,
con l’obiettivo dichiarato di arrivare a breve tempo a nuove elezioni. Nel
nuovo contesto venutosi a creare con la nomina di Rodriguez il Mas di Morales
sta giocando nuovamente un ruolo ambiguo: dopo aver sostenuto nel primo periodo
Mesa per poi passare all’opposizione, oggi il Mas ha sostanzialmente concesso
una tregua al nuovo presidente proponendo, tra l’altro, di sospendere le
mobilitazioni.