Preferirei di no

 

a cura di Francesco Ricci

 

Alice nel Paese delle meraviglie.

“La domanda è: il centrosinistra intende essere il rappresentante di un blocco sociale costruito sul pilastro della borghesia (…) oppure pensa che la vittoria elettorale debba cambiare i rapporti di potere tra le classi (…) e che il suo governo debba poggiare soprattutto sui ceti subalterni?”

A porsi questa domanda non è Alice nel Paese delle meraviglie ma Piero Sansonetti, direttore di Liberazione, nel bel mezzo dello scandalo finanziario di quest’estate. Proprio mentre emergevano le manovre attorno a banche e giornali di una banda di speculatori (i “concertisti”), coperti da Bankitalia, in competizione con i settori più tradizionali del capitalismo italiano. Proprio mentre l’Unione si rompeva tra i sostenitori dell’una e dell’altra parte della borghesia: Rutelli e Prodi a difesa delle vecchie roccaforti, i Ds (con l’Unipol) coinvolti in qualche scalata. Proprio mentre padroni e banchieri (da Bazoli a Profumo) presentavano la loro dichiarazione di voto per l’Unione.

Un’occasione d’oro per un partito comunista per spiegare -con un caso da manuale- che cos’è il capitalismo; come sia sinonimo di corruzione e inganno; cose che nemmeno nel sulfureo bozzetto brechtiano dell’Opera da tre soldi. Ma Sansonetti non è Alice e Bertinotti non è il reverendo Charles Dogson (alias Lewis Carroll), così al te delle cinque invece del Cappellaio Matto e della Lepre Marzolina il segretario del Prc ha invitato Mastella. E insieme a lui (a Mastella, non al Cappellaio Matto, anche se la differenza è irrilevante) ha proposto un “patto etico” alla politica e al capitalismo (solo a quello sano e produttivo) mentre Rina Gagliardi si preoccupava di mettere in guardia D’Alema e Fassino dalle “amicizie pericolose” (col capitalismo cattivo, quello speculativo).

In attesa che ci rassicurino dicendoci che la notizia di una battaglia di Bertinotti in difesa dell’etica in compagnia di Mastella (Clemente) è stata solo un’invenzione burlesca di un emulo di Orson Welles, e che neppure stavolta i marziani sono sbarcati nel New Jersey, leggiamo Liberazione che ci informa della “curiosità” e della simpatia con cui una platea di imprenditori ha accolto Bertinotti a Cernobbio. A otto mesi dall’ingresso al governo di ministri di Rifondazione, la borghesia italiana prende il sole su quel ramo del Lago di Como, ignara che le prossime elezioni cambieranno “i rapporti di potere tra le classi”.

 

Licenza di uccidere (il marxismo).

Ammettiamolo. Anche i marxisti leggono i romanzi gialli e di spionaggio. Ernest Mandel vi ha dedicato l’unico tra i suoi libri su cui non abbiamo divergenze (Delitti per diletto). Anche noi proviamo simpatia per un poliziotto -se si chiama Jules Maigret o se lavora all’87 Distretto di McBain; anche noi stiamo dalla parte dei servizi segreti quando in attesa su un Eurostar in ritardo per la prossima riunione trepidiamo per lo 007 di Ian Fleming, confidando che anche questa volta possa mettersi in salvo grazie a qualche trucco nascosto dal fido Q nei polsini. Eppure abbiamo provato un certo stupore (e anche quel brivido che non ci regala più neanche un Ellery Queen d’annata) nel leggere questo brano in un articolo. “Il prefetto De Gennaro sta riorganizzando le strutture di repressione sotto la propria autorità e su quella impostazione filoatlantica che vuole cancellare qualsiasi ruolo autonomo degli stessi servizi d’Intelligence. Ne sono la riprova (…) il contrasto al Sismi, di cui Nicola Calipari è rimasto vittima non casuale. Ma sarebbe ora che le forze democratiche di questo Paese cominciassero a sollevare qualche problema sullo strapotere di questo signore, che si è rafforzato in modo inquietante, assai al di sopra degli schieramenti politici.”

Dove sta lo stupore? L’autore sta difendendo i servizi segreti (e l’eroico Calipari che agiva nell’ombra, in Irak, sicuramente per dare un aiuto democratico agli irakeni). Che c’è di strano?, ci si chiederà. Avrai letto questo brano sul Corriere della Sera, questa difesa dei Servizi segreti l’avrà scritta un liberale, direte voi. O meglio ancora un liberale di destra: ché un liberalsocialista (alla Scalfari, per dire) avrebbe qualche esitazione a parlare bene dei Servizi segreti… italiani. Quelli che (insieme agli apparati repressivi in divisa) hanno lealmente difeso lo Stato borghese contro i lavoratori, anche mettendo -quando il caso lo richiedeva- qualche bomba sui treni o nelle piazze o nelle stazioni. Liberale o liberalsocialista che sia -direte voi- è lecito che uno che crede nello “Stato democratico” scriva cose del genere. Avete ragione. Ma anche voi rimarrete stupiti nello scoprire che a dire queste cose (e a ripeterle ormai da qualche mese) non è un liberale: né liberaldemocratico né liberalsocialista. E’ -sulle colonne di Liberazione- il portavoce di Erre-Sinistra Critica (ex Bandiera Rossa). A dire queste cose -cioè a criticare la polizia… per difendere i Servizi segreti- è Gigi Malabarba, senatore. I dirigenti di Erre ci hanno informato che da tempo non si considerano più “trotskisti”. In questo non si sbagliano: ma non ci aspettavamo addirittura un’apologia di agenti e spie. Dopo Stato e Rivoluzione, Stato e Servizi Segreti: che sia quel “marxismo del nuovo millennio” di cui si sente parlare?