Cose dell’altro mondo

 

a cura di Valerio Torre

 

Una telenovela brasiliana. La “tangentopoli” che da mesi tiene incollati i brasiliani davanti alle televisioni (poiché le udienze delle commissioni parlamentari d’inchiesta sono pubbliche e vengono trasmesse per ore dalle tv via cavo) ha gli ingredienti giusti per appassionare il pubblico delle telenovele: politici, mogli, segretarie, faccendieri, pubblicitari, proiettati in un vorticoso giro di bustarelle con tanto di intrallazzatori arrestati all’aeroporto con le mutande piene zeppe di dollari. E, su tutti, lui: Lula, già icona (rapidamente tramontata) del bertinottismo, che, probabilmente per evitare la procedura di impeachment, recita la parte dell’ignaro “giullare di corte”, inconsapevole di quanto gli si svolgeva intorno, e con le lacrime agli occhi chiede scusa al paese in diretta televisiva. È dallo scorso mese di maggio che va in onda questa vera e propria tortura quotidiana per il presidente brasiliano, il suo governo ed il suo partito, quel Pt che tante speranze aveva suscitato non solo in America Latina.

Quelle speranze si sono definitivamente dissolte sotto i colpi dell’ondata di scandali che sta travolgendo il Brasile. È emerso, infatti, che il Pt ha utilizzato fondi neri per comprare in parlamento i voti necessari a far passare i provvedimenti di volta in volta presentati; e le ultime accuse in ordine di tempo riguardano addirittura la nascita stessa dell’alleanza elettorale con il Partido Liberal, cui i vertici del partito di Lula avrebbero già nel 2002 versato in nero l’equivalente di 3,5 milioni di euro circa. Queste vicende si svolgono in un paese la cui classe politica è notoriamente fra le più corrotte; ma proprio il fatto che il Pt si era accreditato agli occhi degli elettori come il partito dell’etica fa sì che la sua immagine ne esca a pezzi. Benché molti accusatori abbiano riferito che Lula era a conoscenza del sistema tangentizio e lo approvava in pieno, al momento non sono emersi elementi in tal senso: sicché la strategia del presidente è quella - appunto - di apparire come l’ingenuo che non si accorgeva delle valigette piene di soldi che entravano ed uscivano dal Planalto.

È chiaro che le élites brasiliane puntano ad indebolire la figura pubblica di Lula per impedirne la rielezione nel 2006; ma è altrettanto evidente che la minaccia dell’impeachment agitata dalle opposizioni non è considerata realmente praticabile. Innanzitutto, perché Lula gode ancora di una notevole popolarità, soprattutto fra le fasce disagiate della popolazione; poi, perché egli rappresenta pur sempre un elemento di garanzia per le classi dominanti ed il governo Usa, che vede nel Pt un vero e proprio “ammortizzatore sociale” in grado di sterilizzare il conflitto. Non a caso, il ministro del Tesoro americano, John Snow, si è lanciato in una strenua difesa dell’amministrazione brasiliana: “Il terremoto politico provocato dallo scandalo di corruzione che sta investendo il Brasile - ha dichiarato - non influirà sull’economia del Paese perché gli investitori internazionali e i mercati finanziari non hanno dubbi sul cammino delle riforme intrapreso dal governo … Il mercato ha fiducia nella buona politica intrapresa dal governo e dalla leadership”. Occorre, insomma, che Lula continui il lavoro per cui è stato insediato: se nel 2006 non servirà più, il Fmi lo getterà via. È, in fondo, il destino di ogni governo di collaborazione di classe.

Sharon: il grande imbroglio del “ritiro” da gaza: Si è conclusa nel giro di pochi giorni l’evacuazione forzata dei coloni israeliani da Gaza, che presto verrà affidata alla giurisdizione dell’Anp. La resistenza, che i settler avevano preannunciato durissima, è stata vinta con relativa facilità dall’esercito sionista che è intervenuto volutamente senz’armi per non offrire pretesti agli ultraortodossi asserragliati negli ultimi insediamenti. Lo sgombero ha fornito il destro ai mass media per dare in pasto ad un’opinione pubblica distratta dalle ferie d’agosto le immagini di ebrei dolenti con le masserizie caricate sui camion o recalcitranti e portati via di peso dai militari di Sharon: e, su tutto, lacrime e disperazione in quantità industriale.

Si è trattato, naturalmente, di un falso giornalistico, teso a creare un alone di simpatia intorno alle frange estremiste del sionismo e ad eludere la verità inconfessabile dell’occupazione di quelle terre, appartenenti al popolo palestinese ed oggetto delle politiche espansioniste d’Israele. Ma è falso anche il cosiddetto “piano di disimpegno”, frutto di un’iniziativa dell’astuto Sharon, che, mentre evacua circa 8000 coloni, contemporaneamente favorisce - profittando dell’attenzione del mondo sul “doloroso sacrificio” - nuovi insediamenti nella West Bank occupata con l’edificazione di 3981 unità abitative e consolida il dominio su Gerusalemme con la costruzione di appartamenti ed infrastrutture. Inoltre, le frontiere della striscia di Gaza resteranno sotto il controllo dell’esercito israeliano che agirà in collaborazione con l’esercito egiziano e la polizia palestinese: la qual cosa farà di Gaza un vero e proprio ghetto in cui verranno rinchiusi circa un milione e mezzo di palestinesi.

Per giunta, la costruzione del muro della vergogna proseguirà impunemente, col risultato di stabilizzare la politica sionista di vera e propria separazione fisica fra ebrei ed arabi, ai quali ultimi sarebbe lasciato il possesso di quattro o cinque enclave completamente accerchiate dall’esercito d’Israele. Nel prossimo numero di Progetto Comunista affronteremo più approfonditamente la questione. Intanto, non possiamo fare a meno di segnalare che la maggioranza dirigente del Prc, pervasa com’è dall’ansia governista, non si è fatta sfuggire l’occasione per riabilitare Sharon - il macellaio di Sabra e Chatila - lodandolo acriticamente per l’evacuazione portata a termine (Lannutti, Liberazione 17/8/2005: “irresponsabile e pericoloso non cogliere l’occasione che il ritiro da Gaza offre”; Bertinotti, intervista al Corriere della Sera 21/5/2005: “un fatto nuovo e straordinario, che dentro Israele mette in discussione l’idea della conquista”).