Camp
Darby: il più grande arsenale della guerra
di Ruggero Rognoni
All’apparenza questa enorme base immersa nella bellissima pineta di Tombolo sembrerebbe un villaggio turistico per soldati in licenza con spiagge riservate e stuoli di famigliari al seguito. Questo è stato l’intento dei comandi Usa e Nato per mascherare il reale ruolo strategico della base dagli anni Cinquanta in poi. In realtà, tra i 2000 acri di terreno di Camp Darby sono racchiusi i più micidiali ordigni delle guerre convenzionali e non convenzionali: è il più grande arsenale militare Usa al di fuori dei suoi confini.
Qualche numero
Ventimila tonnellate di munizioni per artiglieria, missili, razzi e bombe
d'aereo con 8100
tonnellate di alto esplosivo ospitate in 125
bunker. Inoltre, ci sono gli equipaggiamenti completi per armare
una brigata meccanizzata: 2600 tra tank,
blindati, jeep e camion. Nella lista si trovano tutti i migliori sistemi
dell'esercito statunitense, inclusi 35 carri armati M1 Abrams e 70 veicoli da
combattimento Bradley. Ma l'inventario prosegue con un elenco
impressionante, sintetizzato da una cifra: ci sono materiali bellici del valore
di due miliardi di dollari, missili e ordigni esclusi.
Sul Corriere della sera del 13
gennaio 2003 leggiamo: “per
avere un'idea del ruolo di questa cittadella basta esaminare due dati: da Camp
Darby provenivano quasi tutte le munizioni usate durante la Tempesta nel Deserto
nel 1991 e il 60% delle bombe scagliate sulla Serbia nel 1999”. Grazie
al canale navigabile che arriva all’interno della base - la
struttura toscana è l'unica nel mondo che dispone di un simile collegamento -
enormi quantità di armi vanno e vengono in tutta tranquillità. Per la prima
guerra con l'Iraq il traffico è stato pari a 4 mila tonnellate di bombe e
granate; per la campagna del Kosovo ne sono bastate 16 mila. Nei giorni del
Natale 1998, alla vigilia del conflitto balcanico, sui moli tirrenici sono
sbarcate 3278 cluster bombs
- i congegni a frammentazione,
micidiali e delicati anche nei traslochi - e i proiettili all'uranio impoverito.
La capacità totale dei magazzini nel 1999 è stata certificata per contenere 32
mila tonnellate di ordigni.
Sempre sul Corriere: “E' una
posizione ideale - dichiara il responsabile dei magazzini - siamo
vicini al porto, allo scalo di Pisa, all'autostrada e abbiamo una linea
ferroviaria che arriva dentro la base”. Insomma, è il
caposaldo principe che viene potenziato in questi mesi con l'ampliamento del
canale navigabile: senza Camp Darby gli
americani non possono entrare in guerra. A sorvegliarla ci sono
pochi soldati statunitensi: 350 militari professionisti, 700 della Guardia
nazionale. Manutenzione, pulizia e manovalanza invece sono appaltate ad aziende
italiane, con 580 dipendenti, per i quali però esistono zone off limits. Ma le
presenze americane si moltiplicano in estate: 50 mila solo nel 2000. Perché - come
recitano i cataloghi del Pentagono - “la spiaggia privata di Camp Darby offre
sole, mare, giochi e relax riservato al personale autorizzato”.
La strage del Moby Prince (e non
solo)
I bunker vengono costruiti negli anni Settanta ma cominciano presto a mostrare problemi strutturali. Dieci anni dopo i tecnici della base li rinforzano con lastre d'acciaio: un intervento che forse ha peggiorato la situazione. Le crepe si sono allargate, inesorabilmente. Nel maggio 2000 pezzi di cemento cominciano a cadere dal soffitto sulle armi e scatta l'allarme. Le autorità italiane non vengono avvertite del pericolo. Con cautela estrema tra giugno e luglio sono sgomberati dodici bunker, contenenti 100 mila ordigni con 23 tonnellate di esplosivo ad alto potenziale. L'operazione è descritta come delicatissima dagli stessi esecutori, che l'hanno realizzata utilizzando robot telecomandati: nelle riviste specializzate vicine all'Us Army la chiamano “un piccolo miracolo”.
La sera del 10 aprile 1991 il mare era tranquillo e la nebbia non
c’era. Ma allora com’è stata possibile la collisione che ha provocato 140
vittime? Secondo la versione ufficiale, colpa della nebbia
fittissima, di un comandante distratto dalla partita di calcio, di una rotta
sbagliata e poi la “tragica fatalità”.
Questi sono i fatti camuffati all’indomani della tragedia che è rimasta
indelebile nel ricordo collettivo.
Il “Moby Prince”, il traghetto della Navarma, alle 22.25 del 10
aprile 1991 sperona la fiancata della petroliera Agip Abruzzo prendendo fuoco:
140 vittime, un solo sopravvissuto, la più grave sciagura della marina civile
italiana. L’inchiesta produce un’immensa mole di documenti.
Dentro questi atti la verità è un’altra: nella
rada del porto di Livorno è accaduto qualcosa di agghiacciante.
Non è vero che c’è nebbia, né che
il comandante è distratto, né che ha scelto una rotta pericolosa. È accertato invece che nel tratto di mare antistante Livorno quella
sera c’è molto traffico: navi civili e militari, imbarcazioni e bettoline che
vanno e vengono. Per fare cosa? La sera del 10 aprile 1991 è appena finita la prima guerra del Golfo e
ci sono cinque navi militari americane nella rada di Livorno.
Camp Darby: le responsabilità
della strage
Un’imbarcazione sconosciuta sta trasbordando materiale bellico e armamento sulla stiva di altre navi. Un elicottero non identificato, ma certamente non italiano, controlla dall’alto l’operazione. Nel contempo, alcune “bettoline” riforniscono di carburante le navi. Qualcosa va storto, un’esplosione, un incendio. Alcuni testimoni parlano di vampate e bagliori che si sviluppano prima dell’impatto del “Moby Prince” contro la petroliera Agip Abruzzo. Il traghetto transita poco lontano. All’improvviso è colpito da un’imbarcazione “impazzita” che si allontana dal luogo dell’incidente. Il Moby è costretto a virare ma il timone si blocca, il suo destino è segnato: l’impatto è inevitabile.
In questi 14 anni i familiari delle vittime hanno chiesto la verità, che è stata liquidata con un’inchiesta amministrativa conclusasi immediatamente (11 giorni); il relitto è manomesso; non vengono richiesti a tempo debito i tracciati radar e i pochi reperiti sono cancellati; le dichiarazioni di alcuni protagonisti sono contraddittorie; l’unico filmato amatoriale, girato a bordo e reperito fortunosamente, giunge nelle mani del magistrato contraffatto (il nastro risulta tagliato e incollato con una parte di nastro vergine). Questi e molti altri “misteri” fanno della più dimenticata strage italiana quella più inquietante. In seguito alle inchieste dei giudici veneziani Casson e Mastelloni, dopo la caduta a Marghera dell’aereo Argo 16 dei servizi segreti nel 1973, si scopre che nella base di Camp Darby vengono stoccati ordigni nucleari tattici. Inoltre alcune cellule di Gladio sono addestrate all’interno della base, dove vengono svolti anche seminari con la presenza di noti neofascisti.
Camp
Darby con quello che racchiude è un punto di alta pericolosità sia per l’
ambiente che per la popolazione del territorio circostante. Non solo: è un
pericolo per chiunque abbia a cuore le sorti delle popolazioni afflitte dalle
guerre infinite proclamate dal governo Usa nel rilancio del suo imperialismo.
Questa base deve essere bonificata e chiusa. La meravigliosa pineta di Tombolo
deve diventare un parco naturale: una testimonianza perenne contro la guerra. Le
amministrazioni locali anche di sinistra in questi decenni hanno sempre
tollerato la presenza della base: è invece indispensabile rilanciare la
controinformazione e la mobilitazione contro tutti gli strumenti della guerra
imperialista, dei quali Camp Darby è solo la punta di un iceberg.