LA PRIORITA': CACCIARE BERLUSCONI,
SOSTENERE LA RESISTENZA IRAKENA
Riportiamo qui sotto l'intervista di Fausto Bertinotti
di oggi a Repubblica.
Si tratta
di un'intervista che arriva subito dopo la partecipazione del segretario del
Prc al tavolo con Berlusconi, Fini e l'Ulivo sulla cosiddetta "emergenza
terrorismo" (relativamente al rapimento delle due pacifiste italiane).
Per parte
nostra abbiamo ripetuto più volte che non abbiamo nessuna simpatia per il
fondamentalismo islamico e la sua logica terroristica. Tantomeno per azioni
terroristiche indiscriminate: come nel caso di Beslan o delle due
attiviste rapite -di cui va richiesta l'immediata liberazione; cosa però
diversa dalle azioni dirette contro obiettivi militari e gli occupanti.
Ma
affermare tutto ciò non significa per nulla che si possa mettere in secondo
piano, nemmeno temporaneamente, l'obiettivo del ritiro immediato delle
truppe di occupazione: questa era e rimane la priorità. In questo
"temporaneamente" tra l'altro -è bene ricordarlo- le truppe
imperialiste continuano i loro massacri (in soli due giorni di bombardamenti
hanno ucciso almento cento irakeni a Falluja).
E
riteniamo gravissimo accettare un dialogo col governo Berlusconi (dialogo che
peraltro non si capisce come dovrebbe servire alla liberazione delle due
donne), accreditandone un qualche "interesse umanitario" proprio
mentre rafforza il contingente italiano con carri armati sempre più
micidiali. Il governo Berlusconi è un governo di guerra e va cacciato.
Grave è
pure ogni presa di distanza dalla resistenza irakena (in nome della famigerata
teoria della "spirale guerra-terrorismo"): è grazie ad essa se il
governo Usa deve ammettere ancora oggi che una buona parte del territorio
irakeno è impenetrabile e l'altra parte è per loro incontrollabile.
Per questo
noi restiamo con la resistenza irakena, senza se e senza ma e difendiamo il
pieno diritto del popolo irakeno a resistere all'occupazione coloniale e a
sollevarsi contro il governo fantoccio e le truppe imperialiste. Peraltro solo
la rivolta delle masse arabe contro il colonialismo per una coerente
prospettiva antimperialista può emarginare il fondamentalismo reazionario.
Quanto al
senso di questa ennesima intervista del segretario, e della partecipazione di
ieri al tavolo con Berlusconi e l'Ulivo, può essere ricercato nel giudizio
unanimemente positivo della stampa borghese che (Corriere in testa)
oggi rilascia ampi attestati di "responsabilità" e "maturità"
al Prc (come dopo le interviste di questo agosto, sulle primarie; la
candidatura alla leadership del centrosinistra; il "rispetto del
principio di maggioranza"; la proposta di cambiare nome all'Ulivo, ecc.
ecc.).
Un nuovo
passo del gruppo dirigente di maggioranza verso l'ingresso nel futuro governo
Prodi dell'alternanza borghese è compiuto.
Francesco
Ricci
(Riportiamo integralmente l'intervista
di oggi, giovedì 9 settembre, di Repubblica a Fausto Bertinotti. Abbiamo
sottolineato le parti più significative).
"ORA SALVIAMO LE DUE RAGAZZE, DEL RITIRO
RIPARLEREMO DOPO"
di Goffredo De Marchis
"Il terrorismo va affrontato senza alcun 'ma'.
Non ha giustificazione, quello che fa in Irak o in Ossezia non si capisce per
nulla. E' solo un avversario distruttivo per l'umanità." Fausto
Bertinotti dice: "Fare tutto il possibile per la salvezza delle due
Simone." Anche ritirare i nostri soldati dall'Irak? No, risponde il
segretario di Rifondazione, uno dei leader del movimento pacifista.
"Teniamo distinta la questione della guerra dal rapimento delle due
volontarie. Adesso stiamo parlando di come salvare delle vite umane.
Confondere i due piani è solo un pasticcio."
Domanda: Il rapimento di Simona Pari e
Simona Torretta vi fa mettere da parte la richiesta di ritiro delle truppe
italiane?
Bertinotti: In questi casi c'è un'urgenza
temporale e di valori che impone una gerarchia, una scelta. Al primo posto c'è
la salvezza delle volontarie. La priorità è trattare, trattare, trattare.
Domanda: Come: soldi, diplomazia?
Bertinotti: Non entro nel dettaglio. Penso però
che si debba discutere non in nome delle ragioni del governo italiano, che è
coinvolto nella guerra irakena, ma privilegiando l'aspetto umanitario della
presenza delle due rapite a Bagdad. E' necessario anche attivare le condizioni
ambientali per una trattativa. Sottolineando la nostra collocazione al centro
del Mediterraneo che non può non privilegiare il confronto di civiltà,
riconoscendo i valori dell'Islam, alimentando il dialogo interreligioso,
stabilendo, come ha fatto la Francia, un rapporto diretto e visibile con il
mondo arabo. Insomma, si deve fare tutto il possibile.
Domanda: Anche ritirare i soldati?
Bertinotti: La questione della guerra va tenuta
distinta, è un'altra dimensione. Adesso parliamo di come salvare la vita alle
due ragazze. Poi, c'è l'altra dimensione, quella strategica, sulla quale
rimane un dissenso profondo con il governo. Ma è una dimensione che va tenuta
separata, ripeto. La guerra va fermata non perché hanno sequestrato due donne
pacifiste, ma per il fondo della questione. Il conflitto non ha fatto nascere
il terrorismo, ma ne alimenta la violenza. Lo abbiamo visto in Ossezia, dove
si è valicata la soglia dell'orrore, e lo vediamo in Irak, dove emerge la
volontà di distruggere tutto quello che sta fuori dalla coppia di gemelli
siamesi guerra-terrorismo. Detto questo, confondere i due piani, il conflitto
e il rapimento, significa creare un grande pasticcio. Anzi, è proprio su
questa distinzione che si può mantenere una vera autonomia dei soggetti
politici.
Domanda: Anche gli stati uniti cercano lo
scontro di civiltà?
Bertinotti: Perché bombardano le città sacre?
Hanno fallito sia sulla soluzione immediata del caso irakeno sia sul controllo
delle risorse del territorio. E di fronte al fallimento delle ipotesi a breve,
chi fa la guerra adesso lavora allo scontro di civiltà.
Domanda: Dopo il vertice di ieri, si può
parlare di unità nazionale?
Bertinotti: No. E' stato soltanto un incontro e un
sovraccarico di significati politici indebolisce e pregiudica il dialogo,
schiaccia il terreno di cooperazione che può nascere sulla base delle
differenze strategiche. L'unità nazionale ci sarebbe se si parlasse tutti
insieme del ritiro dei soldati italiani. Ma non è così. Oggi si cerca una
collaborazione per liberare due ostaggi. Evitiamo di introdurre elementi
grotteschi in una vicenda tanto drammatica.
Domanda: Le parole nette di Ingrao contro
il terrorismo sono un modo per uscire dall'ambiguità pacifista?
Bertinotti: Non si può attribuire a Ingrao
l'ambiguità di cui parla Amato. Può usare quelle parole forti contro il
terrorismo proprio chi ha saputo parlare con altrettanta forza contro la
guerra. Non esiste alcuna ambiguità nella posizione di Ingrao o nella nostra.
Certo, anche chi come noi ha sempre denunciato la connessione
guerra-terrorismo oggi deve trovare parole nuove, più adeguate. Parole e
gesti, come dimostra lo straordinario successo della fiaccolata di Roma per le
vittime di Beslan. Da lì viene fuori un linguaggio diversamente politico, non
prepolitico. Emerge l'irriducibile umano che c'è nella vita e si oppone
all'orrore. Quel linguaggio deve irrompere nella politica.
Domanda: La sua è una correzione di
rotta?
Bertinotti: Nessuna correzione di rotta ma è
giusto mettersi all'altezza dell'escalation terrorista. Beslan è un baratro
sulla nostra umanità, ma non possiamo non chiederci cosa è accaduto in
Cecenia negli ultimi dieci anni. Per fortuna, abbiamo usato lo stesso metro
per la Cecenia e per l'Irak e oggi possiamo affrontare un nuovo passaggio nel
percorso della nonviolenza. A Beslan è successo qualcosa di nuovo? Sì. E
allora bisogna dire parole nuove. Le abbiamo dette noi e le dice un pacifista
come Ingrao che si richiama all'articolo 11 della nostra Costituzione.
Domanda: Non è la sinistra antagonista a
parlare di resistenti irakeni?
Bertinotti: Mai usato quel termine. C'è una
Resistenza con la 'r' maiuscola come quella italiana. E ci sono le resistenze
con la 'r? minuscola. La prima ha sconfitto il fascismo e dato una
Costituzione repubblicana all'Italia, quella irakena, mi riferisco a chi è
fuori del terrorismo, può essere legittima perché lì si vive un'occupazione
ma non contiene in sé la soluzione del problema. Poi, c'è il terrorismo. Che
va affrontato senza alcun 'ma', che non si giustifica, che non va capito. E'
un avversario dell'umanità non solo per i mezzi odiosamente violenti che usa
ed esibisce, le teste mozzate, i bambini colpiti alle spalle, ma anche per i
fini che si propone. La società che immaginano i terroristi è repellente
quanto le loro azioni.