IL DIBATTITO ESTIVO DI LIBERAZIONE SULLE ULTIME INTERVISTE DI FAUSTO BERTINOTTI: LA POSIZIONE DI PROGETTO COMUNISTA

Potete leggere (nel caso vi fossero sfuggiti su Liberazione) alcuni nostri interventi nel dibattito agostano suscitato dalle innumerevoli interviste di Fausto Bertinotti.

In particolare trovate qui sotto, nell'ordine:

- un articolo di Marco Ferrando, pubblicato sul Manifesto del 12 agosto;

- l'intervento di Marco Ferrando, pubblicato su Liberazione del 17 agosto;

- l'intervento di Francesco Ricci, pubblicato su Liberazione del 24 agosto

Buona lettura.

 Francesco Ricci


 

Via Berlusconi, ma non accontentiamoci di Prodi

MARCO FERRANDO*

Le diverse proposte attorno alla sinistra «alternativa» partono singolarmente da un medesimo presupposto: la collocazione di questa sinistra in una coalizione di governo col centro liberale dell'Ulivo. A me pare invece che quella collocazione sarebbe del tutto innaturale, e che solo la rottura col centro (maggioranza Ds, Margherita, Sdi, Udeur) potrebbe liberare una prospettiva nuova per i movimenti di lotta di questi anni, evitando loro di ripercorrere sentieri già battuti e già falliti. La crisi del berlusconismo sospinge oggi i poteri forti verso un nuovo investimento politico: alla ricerca di una soluzione che possa combinare la rappresentanza generale del capitalismo italiano, la stabilità politica, il ritorno alla pace sociale. Il centro dell'Ulivo è il soggetto attivo di questo nuovo incontro con i poteri forti. Tutta la prospettiva del «Triciclo» mira a costruire una rappresentanza centrale della borghesia italiana capace di aggregare attorno a sé un blocco sociale maggioritario e di completare la transizione a una seconda repubblica stabilizzata.
E tuttavia questo progetto richiede una condizione decisiva: la disponibilità dell'insieme della sinistra italiana ad integrarsi nell'alternanza liberale. Perché solo questa disponibilità può offrire al nuovo governo dell'Ulivo una speranza credibile di pace sociale. E' un caso che tutto il centro ulivista, senza eccezioni, proponga all'insieme delle sinistre un pieno e vincolante coinvolgimento ministeriale ben oltre un accordo elettorale antiberlusconiano?
La verità è che il disegno di concertazione ulivista non tollera un'opposizione politica a sinistra. Ecco allora la domanda, forse un po' bruta, ma centrale: può una sinistra che si vuole «alternativa», o addirittura «comunista» subordinarsi, di fatto, a questo disegno della grande industria e delle banche sotto la direzione del loro garante (Prodi), in cambio di un paio di ministri?
L'obiezione secondo cui la funzione della sinistra radicale sarebbe quella di spostare a sinistra l'Ulivo - grazie o al rapporto coi movimenti (Bertinotti), o a un più efficace confronto negoziale (Burgio) o a un proprio cartello (Diliberto) - capovolge la verifica dei fatti. Dopo tre anni di lotte tutte le ragioni di fondo dei movimenti continuano a trovare il centro dell'Ulivo o totalmente estraneo o, più spesso, dall'altra parte della barricata: sui diritti del lavoro, su pensioni e liberalizzazioni, sulla scuola, sul ritiro delle truppe
da Iraq, Balcani e Afganistan. Questo fatto dipende da un'insufficienza di «confronto» con i liberali o da una loro opposta ragione di classe?
Pensiamo all'esperienza del referendum sull'articolo 18: ha unito la grande maggioranza del popolo della sinistra e tutte le forze dei movimenti, ma ha trovato il centro dell'Ulivo dalla parte della Confindustria e di Berlusconi. E' un caso che la sola prospettiva di un governo col centro abbia totalmente rimosso la rivendicazione dell'estensione dell'art. 18 e ch nessuna leadership della sinistra osi anche solo proporlo come punto discriminante di un accordo?
In realtà il perseguimento di un governo con Prodi già oggi costringe la sinistra alla rimozione delle proprie ragioni. E l'effettiva realizzazione di quel governo la trasformerebbe nell'ammortizzatore politico e sociale dell'alternanza liberale: secondo quella classica divisione di ruoli tra liberalismo e socialdemocrazia che in forme diverse ha attraversato il '900.
Un'altra prospettiva - se solo si volesse - sarebbe necessaria e possibile: l'unità d'azione fra tutte le forze della sinistra politica e sociale (dalla sinistra Ds al Prc, dalla Cgil a tutto il sindacalismo di classe, sino all'insieme delle rappresentanze no global) attorno a un autonomo polo di classe che rompa col centro dell'Ulivo e si assuma le proprie responsabilità di massa.
Rompere col centro significherebbe innanzitutto liberare quella potenzialità di lotta contro Berlusconi che proprio la prospettiva di un accordo con Prodi oggi congela. Una caduta di Berlusconi sull'onda di una radicale lotta di massa segnerebbe l'intera situazione sociale e politica, muterebbe i rapporti di forza tra le classi, scompaginerebbe la tela dell'alternanza liberale. L'attuale assenza di indicazioni di lotta gli regala invece tempo e forza. Ma soprattutto rompere col centro significherebbe liberare il campo
per la definizione di un programma anticapitalista che disegni una vera alternativa di società e di potere. Non c'è alternativa alle classi dirigenti senza un programma generale che partendo dalle rivendicazioni di questi anni metta in discussione i rapporti di proprietà e di potere su cui si regge l'economia capitalistica, la grande impresa, le grandi banche, il loro dominio sulla società. Perché non aprire su questo un confronto programmatico pubblico fra tutte le forze della sinistra politica e sociale in aperta contrapposizione al progetto liberale di alternanza? Naturalmente i gruppi dirigenti di questa sinistra possono scegliere di continuare a gravitare attorno a Prodi. Ciò che non possono pretendere è lo scioglimento di un'opposizione di classe e comunista di fronte a un futuro governo liberale dell'Ulivo, e la subordinazione di un'intera stagione di lotte all'alleanza di governo con i suoi avversari. Perché questa pretesa sarebbe inaccettabile per un ampio settore di avanguardia operaia e giovanile.

* Dir. Naz.le Prc, portavoce di Progetto Comunista - Sinistra Prc

 


Una lotta di massa radicale per cacciare Berlusconi

La proposta delle primarie programmatiche e l'accettazione, in questo ambito, del vincolo di maggioranza, scuote il nostro partito. La compagna Gagliardi è libera di pensare che si tratti di strumentalismi precongressuali. Ma sbaglia. Ed anzi temo che interpretare così una critica diffusa ben al di là delle vecchie divisioni, riveli, non solo un pregiudizio, ma il tentativo, forse legittimo, di salvaguardare, lì sì, vecchi recinti congressuali dall'insidia del dubbio. E' questo che serve al partito?

La proposta delle primarie come affermazione della "sovranità" del popolo mi pare priva di un fondamento di classe. Si parla di "un'assemblea costituente del programma, non limitata ai soli partiti". Ma quali sarebbero le regole della sua composizione e gli strumenti di decisione sulle proposte? L'assemblea di fabbrica ha un criterio omogeneo di composizione e per questo una validità democratica. Un'assemblea che metta insieme gli stati maggiori dell'Ulivo, la pletora di sindaci e presidenti di giunte, e quote di rappresentanza del Prc e movimenti, non avrebbe invece, per la sua interna contraddizione di classe, alcuna valenza democratica. Così come non l'avrebbe, in un'azienda, una riunione comune di Rsu, consiglio di amministrazione ed azionisti. O no? Riconoscere a questa ipotetica assemblea un potere di decisione sul programma, e per di più adeguarsi come Prc al suo responso (persino sulle missioni Onu) significherebbe legittimare preventivamente la subordinazione del Prc all'Ulivo attribuendola alla "volontà del popolo". Lo considero grave, ed anche paradossale. Tutti sappiamo che la volontà del popolo della sinistra, nella sua grande maggioranza si è espressa, ad esempio, per l'estensione dell'articolo 18, per il rifiuto delle missioni militari, per la difesa delle pensioni. Non c'è bisogno delle primarie per saperlo, o per sapere che il Centro dell'Ulivo su ognuno di questi punti, è stato ed è dall'altra parte della barricata. Invece, in nome della "democrazia" si chiedono primarie che, di fatto, legittimerebbero il prevalere dei portavoce ulivisti della grande industria sulla volontà delle masse. Perché allora sorprendersi del generale entusiasmo di Prodi, Amato, Parisi, Intini, per le dichiarazioni di Bertinotti? Tutti costoro vi hanno visto "l'accettazione delle regole della coalizione" e una "nuova responsabile cultura di governo". Si sbagliano? Non colgono da poveri ingenui e suicidi la sfida radicale dell'operazione? Oppure colgono sin troppo bene il segnale rassicurante che da questa emerge: la disponibilità ad accettare, in cambio della rappresentanza formale della "sinistra alternativa", la sostanza liberale del programma di Prodi?

La nostra preoccupazione è davvero molto grande. Contrariamente a quanto pensa Rina Gagliardi, in gioco non c'è, per quanto ci riguarda, questa o quell'altra percentuale congressuale. In gioco c'è l'esistenza stessa del nostro partito, come partito di classe. Per questo. già un anno fa, migliaia di compagni hanno chiesto con forza un congresso straordinario, scontrandosi purtroppo col rifiuto generale non solo della segreteria nazionale ma anche dei dirigenti di tutte le altre aree del partito. Per questo migliaia di compagni chiesero da allora lo scioglimento delle commissioni programmatiche Prc-Ulivo (con Treu e Mastella) purtroppo votate da tutti i dirigenti oggi "critici". Per questo a maggior ragione avanziamo oggi apertamente una proposta alternativa per il prossimo congresso del Prc. Non vuole essere una proposta di componente. Vuole essere invece una proposta rivolta unitariamente, al di là di ogni vecchia divisione congressuale, a tutti i compagni e le compagne del Prc che davvero vogliono salvare l'autonomia del nostro partito. Una proposta unitaria e, al tempo stesso, chiara. Non è tempo di ambiguità, mimetismi, pendolarismi. E' tempo di una battaglia alternativa all'altezza della sfida, capace di assumersi le proprie responsabilità.

Avanzo in questo senso tre assi di proposta, tra loro intrecciati, che credo indispensabili per un testo alternativo.

1) La rottura del Prc col centro liberale dell'Ulivo e con la prospettiva comune di governo. Ogni riproposizione, pur critica, di "un più forte confronto negoziale" col centrosinistra (Grassi) o la richiesta di "spostare il terreno del confronto" (Cannavò) mi sembrano rimuovere il nodo di fondo: non può esservi programma comune tra un partito comunista e i portavoce dei banchieri. Il confronto programmatico dura da anni e lo ha dimostrato. Continuare a riproporlo significherebbe ignorare il suo esito e, di fatto, tenere aperta una prospettiva devastante. Un conto è realizzare accordi tecnici, puramente elettorali, con altre forze di sinistra, per concorrere a battere Berlusconi. Cosa del tutto opposta è un governo con l'Ulivo. Questo sbocco va esplicitamente escluso.

2) La proposta di rottura col centro dell'Ulivo va rivolta a tutti i soggetti politici e sociali che hanno partecipato ai movimenti di questi anni (Sinistra Ds, Pdci, Verdi, Cgil, Sindacalismo di classe, Movimento antiglobalizzazione). Il confronto politico pubblico con tutta la sinistra politica e sociale è importantissimo. Ma non per proporre alla "sinistra alternativa" un successivo confronto programmatico di governo con il centro dell'Ulivo, come suggeriscono Grassi e Cannavò. Bensì per proporle la costituzione di un comune polo autonomo di classe anticapitalistico, che si candidi a guidare una lotta di massa radicale per cacciare Berlusconi, e a preparare un'alternativa vera. Una sinistra alternativa o è alternativa a Prodi o non è.

3) L'opposizione comunista e di classe è irrinunciabile. Ogni eventuale accordo tecnico per battere Berlusconi non può confondersi con forme di sostegno al governo dell'Ulivo. La desistenza politico-elettorale del 96, che prevedeva un sostegno esterno al governo Prodi non può essere in alcun modo riproposta (come vorrebbe l'Ernesto e, temo, Cannavò).

Salvare un'opposizione comunista e di classe significa salvare ciò che il centro dell'Ulivo vuole non a caso eliminare: il possibile strumento di resistenza alle politiche dominanti, di rifiuto della concertazione, di lotta per un'alternativa anticapitalistica. Sciogliere l'opposizione comunista sarebbe il più grande regalo alle classi dominanti.

Su questi assi - qui appena abbozzati - siamo aperti al più ampio confronto unitario con tutti i compagni disponibili. Se si rompono vecchi steccati, se si uniscono le forze su basi chiare è possibile dare una traduzione coerente al vasto sussulto contro la svolta di governo che si esprime nel Prc. In ogni caso Progetto Comunista sarà impegnato con la più grande apertura in questa battaglia. Nell'interesse del partito e del suo futuro.

MARCO FERRANDO 

 


No a un governo dei banchieri con i lavoratori

E' possibile conciliare gli interessi della borghesia e dei lavoratori e quindi costituire un governo con rappresentanti di entrambe le classi?

Intorno a questa domanda ruoterà nei fatti il prossimo congresso del partito. E a questa domanda vorrei rispondessero i dirigenti delle diverse tendenze che stanno intervenendo in questo dibattito. Ricordando che si tratta di una domanda a cui si può rispondere solo con un "sì" o con un "no", secondo il principio del terzo escluso.

L'intera storia del movimento operaio (che altri preferiscono ignorare) è ruotata intorno a questa domanda. La risposta dei rivoluzionari da Marx in poi è sempre stata "no". Non per qualche astratto principio etico, ma per una ragione banale: lo sfruttatore non può accordarsi con lo sfruttato - pena la rinuncia al suo ruolo. Compito dei comunisti (costituiti in "partito indipendente contrapposto a tutti gli altri") è allora proprio quello di contrastare ogni illusione dei lavoratori in una impossibile collaborazione con la borghesia e i suoi governi. Per fare questo è necessario non isolarsi, non separarsi dalle lotte. Solo nelle lotte i comunisti possono guadagnare i lavoratori alla necessità di un governo realmente loro, della classe operaia.

Se non questo, cosa intendeva altrimenti dire Rosa Luxemburg (lo chiedo al compagno Bertinotti, che spesso si è dichiarato affine a questa grande rivoluzionaria) quando affermava (anche sulle barricate) che i comunisti devono stare sempre all'opposizione finché non sono in grado di rovesciare il capitalismo?

E non è appunto questo elementare concetto di classe che difendeva già Marx già nel 1848 attaccando ferocemente il riformista Louis Blanc che, viceversa, rispondendo "sì" alla nostra domanda iniziale, pensava di poter rappresentare gli interessi degli operai in un governo della borghesia (nato peraltro dalla rivoluzione che aveva cacciato la monarchia orleanista)? Marx definiva Blanc: «ministro dei pii desideri» (e difatti Blanc stando al governo non riuscì a ottenere nemmeno la riduzione della giornata lavorativa a dieci ore). Ed Engels (in una lettera del ‘94 a Turati) spiegava: «Dopo il febbraio ‘48 i socialisti democratici francesi hanno commesso la colpa di accettare qualche seggio nel governo. Minoranza in un governo dei repubblicani borghesi, essi hanno sostenuto le responsabilità di tutte le infamie votate dalla maggioranza (...)». Per Engels la colpa di Blanc non si fermava lì, perché «mentre tutto ciò succedeva, la classe operaia era paralizzata dalla presenza al governo di questi signori che pretendevano di rappresentarla». Altro che "governare coi movimenti"!

Per questo Marx ed Engels salutavano come un «punto di partenza storico gigantesco» la Comune di Parigi, in cui i lavoratori invece di collaborare con un governo di borghesi "illuminati" avevano costituito per la prima volta «un governo degli operai per gli operai».

Si può anche sbuffare sull'elaborazione marxista: ma si dovrà pur riconoscere che in tutta la storia non vi è - a mia conoscenza, ma sono disposto ad essere smentito - un solo caso in cui un governo con rappresentanti delle due classi fondamentali della società abbia prodotto avanzamenti di qualsiasi genere per i lavoratori. E viceversa in ogni caso governi simili hanno paralizzato le lotte (basti ricordare che durante il primo governo Prodi si è toccato il record negativo delle ore di sciopero).

Al prossimo congresso, al di là del numero dei documenti, tutto il partito sarà chiamato a rispondere alla domanda: è possibile un governo che concili gli interessi dei banchieri di Prodi e degli operai di Melfi? Progetto Comunista risponde "no"; i compagni Bertinotti e Ferrero rispondono "sì". E le altre tendenze? A me pare che i compagni dell'Ernesto alla fin fine rispondano "sì", come riconosce nel suo intervento il compagno Pegolo. Difatti - se capisco bene - è proprio perché pensano possibile uno sbocco di governo che propongono di definire dei punti qualificanti per il confronto (i "paletti"). Si tratta, io credo, di una posizione che è solo apparentemente più realistica -come non sarebbe più realistico se una pecora intavolasse una discussione con un lupo affamato, ponendo come condizione per il dialogo un'alimentazione vegetariana. Non mi pare chiara quale sia invece la risposta dei compagni di Erre. All'epoca del primo Prodi affermavano che bisognava far nascere il governo perché le masse potessero "fare quell'esperienza"; nei mesi scorsi hanno appoggiato la costituzione delle commissioni di confronto con l'Ulivo e dal V congresso fino a qualche settimana fa hanno sostenuto la linea di maggioranza che ci ha portato coerentemente fino qui; ora Cannavò esprime "perplessità" sull'accordo di governo.

A un certo punto comunque tutti dovranno dare una risposta alla domanda iniziale, attenendosi possibilmente al precetto evangelico: sia il tuo sì, sì e il tuo no, no. Il resto appartiene all'opportunismo.

FRANCESCO RICCI