VOLANTINO DI PROGETTO COMUNISTA PER L'ANNIVERSARIO DELLA CONTRORIVOLUZIONE CILENA
Riportiamo
di seguito un volantino di Progetto Comunista, scaricabile in formato rtf e già
impaginato, per le iniziative di commemorazione dell'anniversario
dell'11 settembre 1973, data della sanguinosa controrivoluzione cilena per mano
pinochettista, cui il governo borghese di Unidad Popular spianò la strada.
Buon lettura
la
redazione Web
CILE
11 SETTEMBRE 1973
Per
non dimenticare i crimini della borghesia e dell’imperialismo
Per
non ripetere la tragedia del riformismo
L’11
settembre del 1973 un colpo di Stato militare di inusitata violenza, preparato
scientificamente con la collaborazione del governo USA di Nixon e Kissinger,
rovesciava il presidente eletto Salvador Allende e il legittimo governo dell’Unidad
Popular e istaurava una dittatura feroce e totalitaria.
Seguì
una repressione senza precedenti: decine di migliaia di oppositori, di
militanti, di operai furono assassinati, fatti scomparire o espulsi dal paese,
centinaia di migliaia furono imprigionati in decine di lager, perseguitati,
licenziati per motivi politici, costretti all'esilio. Lo stato d’assedio
rimase in vigore per cinque anni. Ancora oggi, dopo la fine della dittatura,
la cosiddetta “democrazia” cilena è posta sotto la tutela dei militari al
punto che non è ancora possibile perseguire e punire i crimini della dittatura.
Il progetto riformista
democratico dell'Unidad Popular
Eppure
il governo di Allende era tutto fuorché un governo rivoluzionario. Si era
insediato attraverso regolari elezioni e il voto del parlamento. Agiva nel pieno
rispetto della costituzione. Cercava costantemente accordi con l’opposizione
borghese e in particolare con la Democrazia Cristiana. Le principali riforme che
stava attuando erano la riforma agraria che era stata deliberata dal precedente
governo democristiano e la nazionalizzazione delle miniere del rame in mano alle
multinazionali nordamericane che era stata votata dal parlamento all’unanimità!
Addirittura, per ulteriore garanzia, Allende aveva fatto entrare nel governo i
massimi rappresentanti delle forze armate alle quali non aveva lesinato
autonomia e privilegi. Il governo della Unidad Popular era insomma un governo di
collaborazione di classe, non si proponeva di costruire il socialismo
espropriando la borghesia e togliendole il potere statale, ma soltanto di
modernizzare le strutture economiche e sociali del paese e di migliorare le
condizioni di vita dei lavoratori e delle masse popolari che erano ancora quelle
tipiche di un paese arretrato e dipendente del terzo mondo.
Il
modello politico che l’Unidad Popular cercava di applicare era il “fronte
popolare”, ossia un’alleanza delle forze operaie con settori pretesi
“avanzati” della classe dominante allo scopo di realizzare un programma di
riforme democratiche, non di realizzare il socialismo.
In
effetti, l’azione riformista del governo Allende fu senz’altro ampia e per
certi aspetti radicale quanto quella di nessun altro governo nel quadro del
sistema. Realizzò la nazionalizzazione delle risorse minerarie del paese, del
sistema finanziario e dei servizi telefonici; creò un ampio settore di imprese
pubbliche (l’area di proprietà sociale); mise fine al latifondo mediante
l’espropriazione di un quarto delle terre e la loro distribuzione ai contadini
poveri; attuò importanti programmi sociali estendendo la scuola pubblica e il
sistema sanitario nazionale, avviando un programma di edilizia pubblica,
promuovendo investimenti che ridussero la disoccupazione; migliorò le
condizioni di vita delle larghe masse consentendo o realizzando significativi
aumenti dei salari e delle pensioni; cercò di migliorare la condizione sociale
delle donne, del popolo Mapuche, dei settori emarginati delle città e delle
campagne; si preoccupò seriamente (diversamente da quasi tutti i governi
borghesi latinoamericani di allora, e non solo) del rispetto degli elementari
diritti umani.
Questa
encomiabile azione riformista si fermò però davanti alla sacralità dello
Stato borghese, della sua legalità e delle sue istituzioni. Allende non accettò
neppure di sottoporre quelle istituzioni al controllo di organismi di tipo
nuovo, creati dalle masse, arrivando anzi a frenare o reprimere i lavoratori che
si incamminavano autonomamente in quella direzione.
Perché quel colpo di stato
Tuttavia,
né le rassicurazioni verbali, né le garanzie politiche offerte ad ogni passo
da Allende e dai massimi dirigenti socialisti, comunisti e radicali della
coalizione di Unidad Popular, erano abbastanza per la borghesia cilena e per
l’imperialismo nordamericano. La vera colpa di Allende e dell’Unidad Popular
era quella di aver provocato in Cile lo sviluppo dell'azione delle masse e una
crisi nei fatti rivoluzionaria, che rischiava di sfuggire al loro controllo e di
aprire le porte a una vera rivoluzione sociale.
Infatti
questo occorre dire: l’11 settembre 1973 i carri armati di Pinochet non si
mossero solo contro il presidente Allende. Il loro obiettivo di fondo era
schiacciare una classe operaia che aveva alzato troppo la testa, che aveva
saputo sconfiggere nell’ottobre precedente lo “sciopero della borghesia”
(camionisti, commercianti, professionisti, padroni); che aveva iniziato a
costruire gli organismi di un proprio potere – in primo luogo i cordones
industriales (coordinamenti dei delegati di fabbrica di area industriale),
ma anche le juntas de abastecimientos e i comandos comunales
(comitati popolari autoorganizzati incaricati dei rifornimenti, del controllo
dei prezzi e di contrastare il sabotaggio economico organizzato dai capitalisti)
–; che dimostrava insomma di vover andare oltre i limiti riformistici
tracciati dal governo di Unidad Popular e di realizzare trasformazioni politiche
e sociali rivoluzionarie.
Questo
era intollerabile per la borghesia cilena e per l’imperialismo nordamericano,
che temeva anche il contagio di una “seconda Cuba” in America latina.
La tragedia del compañero
presidente, prigioniero di una impossibile "doppia" fedeltà
La
moderazione e la volontà di collaborazione di classe non bastarono dunque ad
Allende per salvare le riforme e la democrazia. Al contrario, quella politica e
la fiducia nella “lealtà democratica” delle forze armate, contribuirono al
disastro: consentirono ai militari e all’imperialismo di preparare
indisturbati la controrivoluzione, consegnarono disarmati – in senso
metaforico e in senso letterale – i lavoratori e il popolo cileno ai propri
massacratori. Prepararono la strada insomma a una delle più grandi tragedie del
movimento operaio in America latina e nel mondo.
Fino
alla fine Salvador Allende restò prigioniero di questa strategia suicida. Nelle
sue ultime parole, pronunciate pochi minuti prima di morire, egli pronunciò una
condanna morale dei generali “traditori e felloni”, ma non comprese ancora
l’essenziale: i generali non facevano che interpretare le attese e la volontà
della propria classe, la borghesia cilena, e dell’imperialismo statunitense.
Erano Allende e l’Unidad Popular, invece, che “tradivano” le attese e la
volontà delle masse operaie e contadine che in loro avevano riposto la propria
fiducia.
Allende,
deliberatamente e nobilmente, testimonierà con il sacrifico della propria vita
la sua “doppia fedeltà” – ai lavoratori e alla costituzione (borghese)
– senza comprendere la contraddizione insanabile a cui soccombeva.
Il fallimento della
strategia di moderazione e di collaborazione di classe
Alla
luce di tutto questo, la valutazione da dare dell’esperienza di Allende e
dell’Unidad Popular è chiara: si è trattato non tanto e non solo di una
drammatica sconfitta del movimento operaio, quanto e soprattutto del tragico
fallimento di una strategia politica.
Allende
e l’Unidad Popular avevano promesso di trasformare il paese attraverso una via
pacifica e democratica, anche se più lunga e graduale. In questo senso l’Unidad
Popular cilena fu effettivamente la prova del nove del riformismo. Questa prova
è fallita.
Eppure
le masse cilene (operai, contadini, studenti, pobladores, mapuches, ecc.)
avevano dimostrato di avere la forze, la volontà e la determinazione per un
altro sbocco. Stavano costruendo un altro potere, erano pronti a molti sacrifici
per difendere i cambiamenti che il governo aveva varato e per altri ancora più
radicali. Solo pochi giorni prima del golpe un milione di lavoratori
erano scesi in piazza contro le minacce di colpo di Stato a Santiago e altre
centinaia di migliaia in tutto il paese, e molti di loro chiedevano a quello che
sentivano come il “proprio” governo le armi per difendersi. Ma non furono
ascoltati.
Una
rivoluzione che si ferma a metà strada si scava la fossa con le proprie mani.
Questo è l'insegnamento della tragedia cilena. Ma per condurre una rivoluzione
fino in fondo non basta l’azione spontanea delle masse; occorre che essa sia
coordinata, unificata, resa efficace da una strategia e dunque da una direzione
politica che non la voglia frenare ma guidare, stimolare, portare a compimento.
In altre parole, non ci può essere una rivoluzione vittoriosa senza un partito
rivoluzionario radicato nelle masse, sperimentato, capace di conquistare la
maggioranza dei lavoratori alla prospettiva della conquista del potere.
Questo
è mancato in Cile trent’anni fa. Ma questa non è una lezione che riguarda
solo il Cile. E’ un insegnamento di cui occorre facciano tesoro tutti coloro
che si propongono di cambiare il mondo. Perché un altro mondo sia davvero
possibile.