Il senso della rifondazione comunista

Spostare a sinistra l'esistente o rovesciarlo?

 

 

di Francesco Ricci

 

In un delizioso racconto il neuropsichiatra e divulgatore Oliver Sacks racconta di un paziente affetto da una malattia della memoria che gli impedisce di ricordare che cosa ha detto o sentito o letto anche solo pochi minuti prima. Se i militanti di Rifondazione fossero affetti da questa stessa malattia forse Bertinotti e la sua linea riscuoterebbero un consenso maggiore.

Se, ad esempio, potessimo affrontare lo sfoglio (in genere serale) di Liberazione avendo dimenticato ciò che abbiamo letto al mattino sui quotidiani, non avremmo quella difficoltà a credere agli editoriali di Rina Gagliardi che ci assicurano che nel mondo tutto procede secondo quanto previsto dalle tesi di maggioranza al VI Congresso. Potremmo -aiutati dall'oblio- convincerci che il centrosinistra è morto e sepolto; che la borghesia -come ha affermato Bertinotti nell'ultima Direzione nazionale (1)- è priva di un programma; che Rifondazione e i movimenti saranno in grado di influenzare il prossimo governo (della borghesia italiana) in "un paziente percorso di pervasione"; che si tratta solo di affidarsi alla geniale strategia del gruppo dirigente di maggioranza che si appresta a entrare nelle mura di Troia dentro a un cavallo per poi, cogliendo di sorpresa il resto dell'Unione, aprire le porte per una "uscita da sinistra dalla crisi italiana" (1). Credendo a tutto ciò, potremmo anche ritenerci soddisfatti dalla rassicurazione di Bertinotti (sempre all'ultima Direzione nazionale) sul fatto che Rifondazione è "sinistra dell'Unione e non del centrosinistra" e non saremmo quindi nemmeno sfiorati dal dubbio che certi discorsi pronunciati negli organismi del partito siano scritti da un bontempone in vena di calembour.

Purtroppo (per Bertinotti e Sansonetti) i militanti del partito non si informano solo con la lettura di Liberazione o nelle riunioni di partito. Leggono anche altri giornali, vedono la televisione; vivono nel mondo reale che ha la sgradevole tendenza a non farsi governare dalle parole ma piuttosto dai rapporti di forza che si determinano nella lotta di classe.

Ed è per questo che mentre la linea del partito incontra un apprezzamento crescente nell'opinione pubblica borghese e nella sua stampa, viceversa alimenta una resistenza (talvolta anche passiva, fatta di delusione; ma spesso anche attiva, se riusciamo a dialogarvi) di tanti militanti.

Anche militanti che hanno votato il primo documento al congresso che si è tenuto solo pochi mesi fa. E che non possono però non vedere che le illusioni di un "Prodi-notti" (Prodi influenzato da Bertinotti) hanno presto ceduto il campo all'arrivo ben più realistico di un Prodi-Monti: quel Monti che Berlusconi voleva come super-ministro nel suo esecutivo e che potrebbe svolgere quello stesso ruolo nel futuro governo Prodi e che -in ogni caso- già oggi detta la linea all'Unione. La stessa linea di Montezemolo che quasi quotidianamente (anche pochi giorni fa all'Assemblea degli imprenditori) spara sul governo attuale e detta le coordinate del governo futuro. Mentre D'Alema e Fassino si affrettano a riconoscere nel programma della Confindustria proprio quello che già è scritto per il loro governo e che si discute tanto nella "fabbrica del programma" di Prodi quanto e soprattutto nei salotti della grande borghesia, nei piani alti della grande finanza.

Nella realtà quotidiana -che trova poco spazio nel quotidiano del partito- non vi è traccia di quelle "conferme" alla linea bertinottiana uscita vincente (ma di misura) al congresso di Venezia. Non ci sono "programmi partecipati" in grado di conciliare gli interessi di un operaio Fiat e quelli di un Montezemolo che -ci informano le statistiche- guadagna quattrocento volte il salario di un metalmeccanico. Nella realtà quotidiana -che il gruppo dirigente capovolge e modifica, come fanno i programmi di fotoritocco con le fotografie digitali, togliendo gli "occhi rossi", aumentando la luce, tagliando quel parente antipatico che fa le corna- si trovano cose che smentiscono uno per uno tutti gli assunti di Venezia. Si trova Fassino che annuncia l'impegno del prossimo governo nelle "guerre umanitarie" per "esportare la democrazia". Si trova la rapida conclusione della "primavera pugliese" nelle dichiarazioni degli assessori di Vendola che cestinano persino promesse assai vaghe fatte in campagna elettorale (mentre Vendola -in una gara senza traguardo alla legittimazione- si produce in grottesche esaltazioni del carattere "progressista" del nuovo papa -che nessuno eccetto lui aveva saputo scorgere).

Nella fotografia della realtà -prima dell'uso del fotoritocco- si vede Cofferati che manda le ruspe contro gli alloggi degli immigrati (mentre bertinottiani e grassiani in coro assicurano che usciranno dalla maggioranza governativa bolognese... solo se saranno cacciati). In quella foto, più a destra, si vedono Rutelli e Fassino che deprecano il risultato del referendum francese sulla costituzione europea e sulle sue ricette di rigore capitalistico: che ha esplicitato un largo rifiuto popolare (con una fortissima componente operaia e giovanile) di quelle medesime politiche liberiste che il governo dell'alternanza si prepara ad applicare anche in Italia. Mentre Alfonso Gianni (indossato anzitempo un doppiopetto grigio da ministro o perlomeno da sottosegretario) già mette le mani avanti ricordando che il prossimo governo a cui Rifondazione vuole partecipare dovrà saper "individuare delle priorità" senza dimenticare "lo stato in cui troveremo l'amministrazione e le casse dello Stato" (1). Come a dire: preparatevi ai "sacrifici". Ovviamente per avvicinarsi a quel "mondo nuovo" che stava scritto sul palco di Venezia, dietro il tavolo della presidenza, a pochi metri dagli invitati sorridenti (Prodi, Rutelli, Mastella, ecc.).

Sfogliando l'album fotografico quotidiano -prima che finisca, ritoccato, su Liberazione- si capisce il disorientamento di tanti militanti del partito, l'incredulità crescente; ma anche il disagio che si respira tra quanti hanno sostenuto le "mozioni critiche" (l'Ernesto e Erre, o Sinistra Critica) che, come accade con certi motivetti estivi che ti perseguitano per mesi, continuano a suonare la stessa canzone, dall'alba al tramonto.

I "grassiani" insistono a elencare le malefatte dei futuri alleati di governo; sottolineano la distanza tra Rifondazione e i Rutelli e Fassino sulla guerra e le politiche economiche. Per poi concludere col refrain del "vero confronto programmatico" con tanto di inserimento dei consueti quattro "paletti": come se si trattasse di un confronto di idee (e non uno scontro di classe), come se si potessero convincere i rappresentanti della grande borghesia italiana -attraverso un negoziato serrato- a sostenere gli interessi dei lavoratori. D'altra parte, è difficile dire qualcosa di diverso quando -come ricorda Grassi- non si mette in discussione "la propensione unitaria" con la borghesia (2) e anzi ci si fa vanto di essere stati accusati di "frontismo". Come giustamente ha sottolineato la Rossanda in fondo Bertinotti marcia verso un orizzonte (quello del governo "riformatore", cioè dell'alleanza con la borghesia "progressista") che è affine alla prospettiva neo-togliattiana dell'Ernesto (3). La differenza non sta infatti nell'approdo in un governo liberale (con ministri o con sostegno esterno) ma nella strada per arrivarci e in alcuni riferimenti culturali.

Eppure tanti militanti hanno votato questo documento investendovi una aspettativa che non trova e non troverà soddisfazione in uno scontro tra apparati; in una suddivisione dei posti di comando (o talvolta, come nella federazione di Milano, nell'accordo di gestione) nel partito e nelle amministrazioni.

Lo stesso si può dire di tanti che hanno sostenuto il documento di Erre: spesso pensando a qualcosa di diverso dall'individuazione di un ruolo di semplice pressione "critica" sul bertinottismo, a qualcosa di più della funzione di consiglieri (movimentisti) del re quale emerge dalle conclusioni di Malabarba al seminario nazionale di Sinistra Critica (4)

E' in primo luogo ai compagni che vedono deluse le loro reali aspettative congressuali (riposte tanto nel primo documento quanto e soprattutto in quelli "critici") che si rivolge il Manifesto-Appello che pubblichiamo nelle pagine interne di questo giornale: in cui riassumiamo il senso della nostra battaglia alla luce anche delle recenti vicende, successive al congresso. Una battaglia -come abbiamo sempre detto- che non mira a "condizionare" criticamente l'orizzonte socialdemocratico e governista (e governista perché socialdemocratico) della maggioranza. Ma che mira al rilancio di una autentica rifondazione comunista: che significa costruire nelle lotte odierne una direzione rivoluzionaria in grado di condurre i lavoratori al governo e al potere - non nel capitalismo. Un'ambizione, come si vede, ben diversa da quella con cui un dirigente bertinottiano, Milziade Caprili riassume lo scopo odierno -a suo dire- dei comunisti: "applicarsi fino in fondo a spostare a sinistra l'esistente." (5). Saremo forse ingenui e settari (in certi casi il settarismo è una virtù) ma "spostare a sinistra" il capitalismo (in compagnia di Prodi e della sua corte di banchieri) ci sembra un po' poco. Preferiamo "applicarci fino in fondo" per rovesciarlo, "l'esistente".

 

(1) Vedi su Liberazione del 20/05/05 la sintesi dei lavori della Direzione nazionale del 17 maggio.

(2) Si legga l'editoriale di Claudio Grassi ("Dal VI Congresso alle regionali: note sul Prc") sul numero di aprile de l'Ernesto.

(3) Rossana Rossanda, "Una rifondazione in quattro atti" (Il manifesto, 20/03/05)

(4) Le conclusioni di Gigi Malabarba al seminario nazionale sono leggibili sul sito www.erre.info.

(5) "Il primo punto del programma? La partecipazione", in Liberazione, 1/06/05