Morto un papa... se ne fa un altro
La
religione era e resta“l’oppio dei popoli”
di Ruggero Mantovani
Dopo Wojtyla, passato alla storia del "secolo
breve" come il più efficiente condottiero della crociata anticomunista, le
gerarchie cattoliche hanno eletto un “pastore tedesco” per continuare a
custodire i secolari interessi ecclesiastici.
L’ex cardinale Ratzinger, oggi papa Benedetto XVI, è
stato omaggiato, come era prevedibile, dal mondo politico internazionale.
Se Walesa, divenuto premio Nobel per la pace per aver con
Wojtyla diretto l’affondo contro la Polonia, giudica l’elezione del nuovo
papa “una buona scelta” e Schroeder plaude con grande onore nazionalista al
"papa tedesco", in Italia, Veltroni, auspica che sia “un amico dei
romani” mentre Rutelli enfaticamente annuncia “un rigoroso protagonista
della nuova era” e Prodi, leader dell’Unione, giudica, addirittura,
Ratzinger “un teologo illuminato e fecondo”.
Un clima di forte attenzione per il nuovo papa che non è
venuto meno neanche dal segretario del Prc, Fausto Bertinotti, il quale essendo,
come ha dichiarato più volte, un “uomo in ricerca”, ha fatto sapere di
confidare nel concetto cristiano dello “stato di grazia”: convinto ormai da
tempo che la religione non rappresenti più l’oppio dei popoli e che occorra
un “riavvicinamento con i grandi temi della spiritualità”.
Un riavvicinamento giudicato necessario, a detta dei nuovi
esegeti del cattolicesimo in salsa bertinottiana, perché questa Chiesa avrebbe
dimostrato attenzione ai problemi del terzo mondo, al tema della pace e alla
critica del capitalismo.
Ma le cose di questo mondo e tanto più il pensiero che
l’ex cardinale Ratzinger ha per oltre vent’anni espresso in funzione di capo
della congregazione per la dottrina della fede (vero pilastro del pontificato
woitjliano) dimostrano che le oniriche visioni spirituali di Bertinotti
s’infrangono clamorosamente contro la realtà.
In una nota intervista su Repubblica del novembre 2004, il porporato Ratzinger confessava che
la “denatalità e l’immigrazione mutano la composizione etnica
dell’Europa”, ritenendo che nella “società multiculturali s’annida
un’inquietante insidia per la fede cristiana”.
Un pericolo, sempre secondo Ratzinger, aggravato da un
“laicismo che s’impone tramite la politica e non concede spazio pubblico
alla visione cattolica”, e cioè a una religione che affonda le sue radici in
una società organicamente cristiana, che, sempre secondo l’ex porporato, ha
acceso straordinarie luci sull’umanità come dimostrerebbe “la grande
cultura medioevale”.
Impugnando come una spada templare l’enciclica Humanae
Vitae e il pontificato di Giovanni Paolo II, l’attuale papa Benedetto XVI
lancia strali contro una modernità, che avrebbe “sganciato la sessualità
dalla fecondità cambiando profondamente il concetto della stessa vita umana
(...) l’atto sessuale [tuonando dall’alto delle sacre scritture] ha perso la
sua intenzionalità e finalità, finendo per equiparare omosessualità ed
eterosessualità”, introducendo "elementi distruttivi per la famiglia e
la società”.
Certo sulle colonne di Liberazione,
nell’immediatezza dell’elezione del nuovo papa, sono emerse critiche
all’ex cardinale tedesco, definito integralista poiché, "al contrario di
papa Wojtyla”, assumendo come nemico da abbattere il marxismo, il libertinismo,
il collettivismo (ecc)”, avrebbe "chiuso l’epoca del concilio Vaticano
II”. Una posizione anti-illuminista, giudicata dal direttore di Liberazione, sospettosa di una ragione che contrasta con la fede,
che rompe con “l’equilibrio tra 'autonomismo' (persino anti-liberismo) che
Wojtyla in qualche modo aveva trovato”. Dopodiché (ammonisce sempre
Sansonetti) “lo sappiamo tutti, un papa è un papa, e talvolta -spesso- le
idee che ha espresso da cardinale e la sua stessa biografia, non coincidono con
il suo pontificato. Speriamo che sia così”.
La speranza (
paradossale!), altro non è che il bertinottiano “stato di grazia” che
dovrebbe ispirare papa Benedetto XVI nel ritrovare un punto di saldatura con il
cosiddetto anti-liberismo di Wojtyla e il progressismo dell’era conciliare...
Ma è bene ricordare che
anche papa Giovanni XXIII, passato alla storia e (ahinoi!) su Liberazione
come il “papa rivoluzionario”, nel 1961, molto più modestamente, con
l’enciclica Mater et Magistra
dichiarava una “opposizione radicale tra il comunismo e cristianesimo”, e in
piena continuità con i papi reazionari riconosceva la proprietà privata come
diritto naturale.
Le fantomatiche aperture
del pastorato di Wojtyla alle istanze sociali o antiglobalizzazione e la critica
all’assolutismo del mercato, non possono essere ricercate
nell’anticapitalismo (come pretenderebbe Bertinotti) ma in un
anti-materialismo ideologico, che se da un lato si è posto in aperta
concorrenza e lotta al marxismo sul terreno della conquista delle masse
oppresse, dall’altro si è espresso nelle posizioni reazionarie del papato sul
terreno dei diritti civili, dell’autodeterminazione della donna,
dell’istruzione e dei diritti degli omosessuali e delle lesbiche, e da ultimo
sul referendum sulla fecondazione assista.
L’esaltazione di un
fantomatico “anticapitalismo” e “pacifismo” del papato di Wojtyla che si
spera sia continuato da papa Benedetto XVI, riflesso con massicce campagne
propinate su Liberazione e concepito
in una logica di "comune ricerca", non tiene conto della funzione
materiale del Vaticano nell’ordine capitalistico. Una funzione che emerge
dall’intreccio tra le gerarchie ecclesiastiche e la proprietà capitalista nel
settore finanziario, immobiliare e terriero e che costituisce la base materiale
del potere temporale del Vaticano.
La ricerca di punti di
saldatura tra la dottrina sociale della Chiesa e il marxismo e l’enfatizzato
dialogo con la Chiesa del Concilio Vaticano II, in definitiva è il risultato di
un’impressionistica ricostruzione della vicenda storica e materiale della
Chiesa cattolica.
Certamente, i fermenti
post-conciliari produssero aperture progressiste della Chiesa, arrivando (come
nel caso della “teologia della liberazione”) a radicalizzare posizione
apparentemente contigue al marxismo.
Ma è bene ricordare che
nei primi anni Sessanta queste inedite aperture del mondo ecclesiastico, se da
un lato servirono a costruire la legittimazione della nuova fase dei governi di
centrosinistra, necessari alla borghesia italiana per governare
l’accumulazione capitalistica post-bellica, dall’altro furono utilizzate, in
diretta concorrenza con le forze marxiste, per anestetizzare una nuova
generazione del mondo cattolico contagiata dalla crisi rivoluzionaria del
1968-'69.
I settori più radicali
che si svilupparono dal tanto osannato fermento post-conciliare, in particolare
nell’America meridionale, nonostante un conflitto reale con la Chiesa
cattolica, scelsero sì di combattere contro le dittature militari in nome dei
poveri, arrivando in qualche caso a unirsi ai processi rivoluzionari: ma
rifiutarono costantemente l’alternativa socialista e la dittatura del
proletariato.
Al di là degli aspetti interpretativi, la richiesta del
gruppo dirigente del Prc che l’ex porporato Ratzinger si ponga "in
continuità con il papato di Wojtyla" travalica il livello teorico ed
irrompe prepotentemente nel mondo profano del manovrismo politico: l’accordo
programmatico con l’Ulivo per le elezioni politiche del 2006.
E così la patina di suggestive dissertazioni sulla
spiritualità mostra il suo autentico profilo: accreditarsi quale forza
responsabile nei salotti della borghesia italiana e agli occhi di quel potere
ecclesiastico che di quegli interessi materiali è l'“aroma spirituale”.
Questa concezione comunque non è legata alla contingenza
di una svolta politica del Prc ma ha caratterizzato un lungo corso storico
impiantando la sua pratica nella collaborazione di classe e affondando le sue
radici nelle visioni apologetiche staliniane e neo-riformiste.
Per i marxisti
l’essenza della religione sta nell’affrontare il rapporto di dipendenza tra
l’uomo e dio, nel lottare contro l’alienazione delle libertà umane, che si
traduce nell’ordine capitalistico nella sottrazione della ricchezza alla forza
lavoro e nel conflitto tra lavoro e capitale.
Direbbe Marx (che pare
sia divenuto per Bertinotti non un punto di partenza ma di arrivo):
“spieghiamo la soggezione religiosa dei liberi cittadini con la loro
soggezione terrena. Affermiamo che essi sopprimeranno la loro limitatezza
religiosa non appena avranno soppresso i loro limiti terreni”[i].
Per il marxismo “ la
critica della religione è il presupposto di ogni critica”, poiché “la
religione è la teoria generale di questo mondo, la sua logica in forma popolare
(...). La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un
mondo senza cuore… Essa è l’oppio del popolo ”.[ii]
.
Se per Fausto Bertinotti
occorre ricongiungersi ai grandi temi della spiritualità, per Marx questi
principi hanno: "giustificato la schiavitù antica, glorificando il
servaggio medioevale, approvato l’oppressione, magari con aria non poco
contrita. I principi sociali del cristianesimo dichiarano che tutte le infamie
commesse dagli oppressori contro gli oppressi sono il giusto castigo imposto da
Dio alle anime salvate”.
Non si tratta certamente
di rivendicare un partito ideologico, poiché lo stesso marxismo deve essere
concepito come programma di trasformazione, guida per l’azione e non come un
culto civile. E allora, tanto più oggi, a quella giovane generazione ben
presente nel movimento antiglobalizzazione e pacifista, e alla stessa classe
operaia, va spiegato che i comunisti non lottano genericamente per "i
poveri" del mondo, ma per tutti i proletari contro ogni sfruttamento, sia
quello che si manifesta in forme brutali nei Paesi dipendenti sia quello, sempre
meno travestito, delle democrazie borghesi.
Di conseguenza
un'autentica opposizione comunista non può attestarsi alla ricerca di un
presunto anticapitalismo della Chiesa in una logica di "ricerca
comune", rinunciando ad una battaglia anticlericale e ritenendo persino
“dannoso un laicismo che pretenderebbe di togliere il crocefisso dalle
scuole”.[iii]
Un’opposizione
comunista ha il compito di recuperare una coerente proposta programmatica sullo
stesso terreno delle lotte democratiche, con l’apertura, ad esempio, di una
campagna di massa per l’abolizione del concordato tra Stato e Chiesa, per
smascherare il potere del papato e delle gerarchie ecclesiastiche.
Un’opposizione comunista deve assumere come finalità la conquista di settori
di massa del mondo cattolico e far emergere le enormi contraddizioni tra le
esigenze progressiste e la natura reazionaria della Chiesa. Un’autentica
rifondazione comunista ha il dovere di costruire un “fronte unico” con i
settori avanzati e radicali del mondo cattolico ma sul terreno delle
rivendicazioni democratiche, per costruire le forme e il potere di un blocco
sociale alternativo che si ponga l’obiettivo transitorio di privare il
fenomeno religioso dei suoi legami con la Chiesa e il suo potere temporale, e
far regredire il culto collettivo ad un’opzione personale.
Il marxismo non è una
fede che abolisce la religione: ma assume il compito di superarla a partire dai
settori più coscienti del mondo religioso, per costruire quel nuovo ordine
sociale che non dovrà più ricorrere all’oppio della superstizione.
Una forma di civiltà
superiore a qualsiasi società mai esistita finora.
Una società che
orgogliosamente chiamiamo comunismo.