MOZIONE CONCLUSIVA PRESENTATA DA PROGETTO COMUNISTA AL COMITATO POLITICO NAZIONALE DEL PRC DEL 3-4 LUGLIO 2004

 
Potete leggere qui sotto la mozione presentata da Marco Ferrando, a nome di Progetto Comunista, in conclusione del dibattito del Comitato Politico Nazionale di Rifondazione che si è tenuto nel fine settimana scorso.
 
L'insieme dei documenti sarà pubblicato da Liberazione nei prossimi giorni.
 
Torneremo quanto prima con una nota informativa sul dibattito nel partito.
 
 
Francesco Ricci
 

 

Comitato Politico Nazionale 3-4 luglio 2004

 

MOZIONE CONCLUSIVA DI PROGETTO COMUNISTA

 

 

Nella tornata elettorale europea ed amministrativa del 12-13 giugno e nei successivi ballottaggi il governo Berlusconi ha subito una sconfitta elettorale e politica. Il nostro partito ha conosciuto una positiva affermazione. Tanto più ora è necessario e possibile porre all’ordine del giorno la parola d’ordine della cacciata del governo. Ma non a favore dell’ennesima alternanza liberale sospinta da Luca di Montezemolo e dal  Centro dell’Ulivo. Bensì nella prospettiva di un’alternativa di classe basata sugli interessi indipendenti del mondo del lavoro e sulle ragioni dei movimenti di lotta di questi anni. Una prospettiva che richiede a tutti i movimenti l’unità d’azione su un proprio programma generale, autonomo ed alternativo al programma di Prodi e D’Alema e agli interessi degli industriali e dei banchieri ulivisti.

 

 

LA SCONFITTA DI BERLUSCONI

 

La sconfitta politica ed elettorale di Berlusconi è inequivocabile. Forza Italia ha subito un autentico crollo rispetto alle politiche del 2001, combinando una forte caduta elettorale, una caduta d’immagine ancor più netta, una perdita diffusa di leve di potere amministrativo sia al Nord, sia nel Sud del paese. E’ la misura della crisi profonda del berlusconismo, e al tempo stesso un fattore di suo ulteriore aggravamento.

E’ vero tuttavia che l’Italia è l’unico paese della UE in cui la coalizione di governo, pur arretrando, ha evitato il sorpasso delle opposizioni nel voto europeo più direttamente politico. Forza Italia ha perso prevalentemente in direzione dell’astensione, della Lega al Nord, di AN e UDC nel Sud, meno in direzione delle opposizioni. Ciò significa che la crisi del blocco elettorale di centrodestra non è ancora irreversibile. Un aumento prevedibile di partecipazione al voto in occasione delle elezioni politiche, il possibile ricorso a misure demagogiche populiste le offrono ancora uno spazio pericoloso di manovra. Dentro un equilibrio sociale e politico tuttora instabile.

 

 

IL CENTRO DELL’ULIVO FRENA LA CRISI DEL BERLUSCONISMO

 

Il Centro liberale dell’Ulivo ha la precisa responsabilità di aver frenato e di frenare la crisi del blocco sociale del centrodestra sul versante del lavoro dipendente e dei ceti medi impoveriti. L’operazione del Triciclo, tesa a costruire il partito centrale della grande borghesia italiana, è stata di fatto un regalo elettorale al Centrodestra, disperdendo voti a favore dell’UDC e del PSI di De Michelis, e quindi consentendo al Polo il pareggio. Ma soprattutto, esibendo la bandiera di Prodi, dell’Europa dell’Euro e dei sacrifici, del sostegno a Fazio e Montezemolo, ha finito col sospingere  settori popolari di Forza Italia, delusi da Berlusconi, tra le braccia dei suoi alleati di governo.

Si conferma così una lezione di fondo: la subordinazione del movimento operaio e delle sinistre al Centro liberale dell’Ulivo indebolisce le potenzialità di capitalizzazione delle contraddizioni sociali del blocco reazionario. Tanto più oggi proprio la crisi del berlusconismo e il necessario rilancio della lotta per la cacciata del governo richiedono un’altra egemonia sociale e politica nell’opposizione, un’aperta rottura con i liberali, un programma di lotta anticapitalistico.

 

 

CACCIARE BERLUSCONI CON UN VERO SCIOPERO GENERALE PROLUNGATO

 

Una nuova stagione di lotte attraversa l’Italia. Scanzano, gli autoferrotranvieri, i lavoratori Alitalia, gli operai di Melfi hanno segnato una discontinuità col passato. Per molti anni, anche nel nostro partito, si era teorizzata l’impossibilità o l’inconcludenza di scioperi ad oltranza a favore della linea degli scioperi centellinati, simbolici e dimostrativi, promossi dalla burocrazia sindacale. Le lotte radicali di questi mesi hanno dimostrato l’opposto. Un settore di giovane generazione di lavoratori e di popolo ha rotto di fatto con la tradizione burocratica delle forme di lotta, ha sperimentato sul campo l’azione ad oltranza, ha piegato con la lotta radicale la resistenza delle controparti. E non a caso altri settori operai e popolari hanno ripreso l’esempio (Fincantieri, Polti….). Questa tendenza va incoraggiata e generalizzata. Se tante piccole lotte ad oltranza possono piegare un singolo padrone o costringere il governo ad arretrare, uno sciopero generale prolungato può realmente piegare la resistenza del padronato e mirare alla cacciata di Berlusconi. Il nostro partito ha la precisa responsabilità di avanzare questa proposta d’azione all’insieme del movimento operaio, nei movimenti di lotta, e nelle loro organizzazioni di massa.

 

 

PER UNA LOTTA GENRALE SU UNA PIATTAFORMA DI SVOLTA

 

Questa necessità è tanto più attuale di fronte allo scandaloso immobilismo delle burocrazie sindacali. Mentre il governo Berlusconi annuncia il nuovo attacco frontale alle pensioni e una nuova stangata antioperaia e antipopolare in omaggio ai dettami dei banchieri, le burocrazie sindacali, a partire dalla segreteria CGIL, rinunciano persino alla finzione dello sciopero generale simbolico abbandonando a se stessi i lavoratori. Un atteggiamento tanto più grave a fronte dell’evidente indebolimento del governo che consentirebbe proprio oggi un’azione di lotta generale capace di vincere.

Il nostro partito deve denunciare la responsabilità delle burocrazie sindacali tra i lavoratori e nelle organizzazioni di massa. E deve congiungere la proposta dello sciopero generale prolungato con l’avanzamento di una proposta di piattaforma unificante di mobilitazione.

Un forte aumento salariale unificante per l’insieme del lavoro dipendente; l’abrogazione delle leggi di precarizzazione, dal pacchetto Treu alla legge 30; un vero salario minimo garantito per i disoccupati (che è cosa diversa da un’integrazione del reddito del lavoro precario); l’abrogazione della famigerata legge Dini sulle pensioni, col rilancio di una previdenza pubblica a ripartizione; un forte rilancio della spesa sociale nell’istruzione pubblica e nella sanità, finanziata dall’abolizione dei sovvenzionamenti ai privati, dall’abbattimento delle spese militari, dalla tassazione progressiva di profitti e rendite, dalla fine dei trasferimenti pubblici alle imprese private; la nazionalizzazione, sotto controllo operaio, delle industrie in crisi, a difesa dei posti di lavoro minacciati e come condizione di una loro eventuale riconversione. L’insieme di questi obiettivi disegna una piattaforma di riscossa per l’intero movimento operaio dopo vent’anni di arretramenti. Il compito del nostro partito è di avanzare questa proposta di piattaforma generale, riconducendo ad essa obiettivi e lotte parziali.

 

 

CONTRO L’IMPERIALISMO ITALIANO, PER IL DIRITTO DI RESISTENZA DEL POPOLO IRAKENO

 

La lotta per un’alternativa di classe è inseparabile dalla lotta contro l’Europa capitalistica, i suoi trattati, la sua costituzione e da una lotta contro l’imperialismo italiano. La crisi irakena dimostra tanto più oggi l’esigenza di un intervento antimperialista e non “pacifista” nel movimento contro la guerra. In Irak non c’è oggi una “pace” indeterminata da rivendicare. C’è un diritto di autodeterminazione del popolo irakeno da difendere incondizionatamente. C’è un diritto di resistenza e di sollevazione anche armata di quel popolo contro l’occupazione coloniale e la sua barbarie, che il nostro partito deve apertamente rivendicare. In Irak, come nei Balcani, come in Afghanistan, la presenza militare italiana è a tutti gli effetti un’occupazione coloniale. Non c’è contraddizione tra la rivendicazione centrale del ritiro delle truppe italiane e il sostegno al diritto di resistenza del popolo irakeno contro le truppe imperialiste, anche italiane. Proprio lo sviluppo di una sollevazione anticoloniale in Irak contro le forze di occupazione può rafforzare la battaglia per il ritiro delle truppe. E il ritiro delle truppe deve avvenire da tutti i teatri coloniali. Anche dai Balcani e dall’Afghanistan oggi circondati dall’improvviso silenzio di tanta parte delle leadership del movimento. In generale, solo la coerenza di una battaglia antimperialista può consentire la necessaria lotta per un’altra egemonia nella resistenza irakena, contro le tendenze baathiste e confessionali, a favore di una prospettiva di classe anticapitalista.

 

 

 

UN POLO AUTONOMO DI CLASSE PER UN’ALTERNATIVA ANTICAPITALISTA

 

Questa proposta generale d’azione va rivolta nel modo più aperto a tutte le forze del movimento operaio e dei movimenti protagonisti delle lotte di questi anni: alle forze della cosiddetta sinistra critica, alle organizzazioni sindacali collocatesi in questi anni nella lotta contro Berlusconi e per l’estensione dell’articolo 18; al movimento antiglobalizzazione e alle sue rappresentanze, alle forze mobilitatesi contro la guerra e per il ritiro delle truppe. Tutte queste forze vanno chiamate a rompere col Centro liberale dell’Ulivo, estraneo ed ostile alle ragioni di lotta di questi anni e a realizzare un polo di classe anticapitalistico che si candidi a dirigere una mobilitazione radicale per la cacciata di Berlusconi da un punto di vista di classe. E’ una proposta in primo luogo ai lavoratori e ai movimenti. Ma è anche una sfida alle loro direzioni e rappresentanze, mettendo in causa, agli occhi della loro base, la linea di coalizione con i liberali dell’Ulivo e quindi la subalternità all’alternanza.

 

 

L’ALTERNANZA DI PRODI, D’ALEMA, MONTEZEMOLO, CONTRO LE LOTTE E I MOVIMENTI

 

La lotta per un’alternativa di classe a Berlusconi è esattamente opposta alla prospettiva dell’alternanza liberale oggi diretta dal Centro dell’Ulivo.

Il processo di alternanza liberale è già in moto, al di là dei suoi esiti. Coinvolge il cuore dei poteri forti, della grande borghesia industriale, del capitale finanziario. Queste forze, che pur hanno usato e usano Berlusconi, non si sono mai identificate nel Polo e nel suo leader. Ed oggi accentuano il proprio distacco e cambiando dichiaratamente cavallo. Il loro obiettivo pubblico è il ripristino della pace sociale, la cancellazione delle lotte in corso e del rischio di loro propagazione. Per questo rivendicano il ritorno alla concertazione: che è assunta nuovamente come metodo più efficace per paralizzare le reazioni di lotta alle politiche antipopolari, la cui continuità è sospinta dalla crisi capitalistica e dalla costruzione imperialistica della U.E.. Questa costituente programmatica dell’alternanza contro i lavoratori e i movimenti, vede il sostegno della nuova Confindustria di Montezemolo che nuovamente assicura il controllo del grande capitale sulla piccola-media impresa; vede l’appoggio di Fazio e Bankitalia e delle grandi banche del Nord e del Centro che puntano alla ricomposizione di un nuovo equilibrio con Confindustria; vede l’apertura della burocrazia dirigente della CGIL che si sente rimessa in gioco dopo anni di emarginazione berlusconiana e che per questo ritesse l’unità con CISL e UIL. Ma soprattutto vede nel Centro liberale dell’Ulivo (Margherita, maggioranza DS, SDI) la sua sponda politica di riferimento. Un Centro dell’Ulivo che si candida a costruire, sotto la direzione di Prodi, la rappresentanza politica centrale della borghesia italiana capace di trainare a rimorchio e subordinare a sé le rappresentanze del movimento operaio e dei movimenti.

 

 

NO ALL’INGANNO DEI LAVORATORI E DEI MOVIMENTI

 

Questo processo materiale di alternanza non è “condizionabile” per linee interne dai movimenti e dalle lotte: per il semplice fatto che è esattamente indirizzato contro di essi. Del resto dopo tre anni di movimenti, gli indirizzi di fondo del Centro ulivista restano immutati: sostegno all’Europa imperialista e alla sua Costituzione reazionaria, di cui è stato massimo artefice; sostegno alle risoluzioni ONU sulla legittimità delle occupazioni coloniali in Irak, Afghanistan, Balcani contro i diritti di resistenza di popoli oppressi; sostegno ai programmi sociali del capitalismo italiano (liberalizzazioni, flessibilità, fondi pensione, moderazione salariale) naturalmente “concertati” contro le lotte dei lavoratori e la loro nuova radicalità; sostegno al bipolarismo maggioritario contro ogni vero ritorno alla proporzionale.

Certo, per consentire alle sinistre di appoggiare questo programma, i liberali potranno anche provare a mascherarlo con finte concessioni: la celebrazione retorica dell’art.11 della Costituzione (che non ha mai impedito una guerra), l’impegno a non inviare truppe “senza decisione dell’ONU” (che in realtà sancisce la legittimazione delle imprese coloniali “multilaterali”), la promessa di maggiori attenzioni sociali per i “ceti deboli” sotto forma di “protezione” dei lavoratori precari (che in realtà maschera la stabilizzazione, seppur ammortizzata, del precariato). Presentare queste eventuali “concessioni” come “vittoria” dei movimenti significherebbe semplicemente ingannarli a copertura dell’ipocrisia liberale e utilizzare questo inganno per integrarli nell’alternanza, come chiedono a gran voce i liberali. Se le forze del movimento operaio e sindacale si subordinano a questo inganno si assumono una responsabilità gravissima: quella di preparare la sconfitta sociale e politica dei movimenti di lotta di questi anni, disperdendo le loro grandi e preziose potenzialità, a vantaggio degli industriali e dei banchieri.

 

 

SALVARE IL PRC DALL’ALTERNANZA DEI BANCHIERI

 

Il PRC non può partecipare a questo inganno. Ha anzi la responsabilità di smascherarlo investendo a questo fine il voto ottenuto.

Il nostro partito ha ottenuto un risultato elettorale positivo. L’aumento dell’1,1%, nell’ambito della crescita più generale della cosiddetta sinistra critica riflette il nostro sostegno alle lotte dei lavoratori, alle mobilitazioni contro la guerra e per il ritiro delle truppe, ai movimenti di lotta della giovane generazione. Oltre a capitalizzare, nel voto europeo, l’assenza del simbolo D.S.. La comune soddisfazione per questo risultato ci carica oggi di una nuova responsabilità: sottrarci e sottrarre i movimenti al processo avvolgente dell’alternanza liberale e rilanciare nella lotta un progetto di alternativa vera.

Ciò implica una svolta profonda di linea politica del nostro partito.

La linea intrapresa a partire dal marzo 2003 in direzione di un governo comune con l’Ulivo ha rappresentato un fatto grave. Ha smentito nel modo più clamoroso la rappresentazione dell’ultimo congresso come “svolta a sinistra”. E’ stata sottratta ad ogni reale verifica democratica nel partito. Ma soprattutto avvia il PRC in una prospettiva politica contronatura: quella di un governo con gli avversari dei lavoratori e dei movimenti. Celebrare questa svolta nel nome dei movimenti non cambia la realtà. La rende solo più paradossale.

La necessità di cacciare Berlusconi non giustifica affatto una prospettiva di governo con l’Ulivo: cacciare Berlusconi si deve e si può, anche con accordi tecnico-elettorali tra forze diverse del movimento operaio, nella piena salvaguardia della propria autonomia politica e dell’autonomia dei movimenti. Ciò che non si deve è subordinarsi al governo dell’alternanza aiutandolo a integrare i movimenti e a cancellarne le ragioni. E’ questa una politica opposta e senza principi.

 

 

I PRIMI COSTI DELL’ALTERNANZA NEL RAPPORTO TRA PRC E MOVIMENTI

 

La sola intrapresa di questa prospettiva ha già comportato e comporta costi crescenti per il nostro partito. Ogni critica, reale e visibile, alle burocrazie sindacali e al ritorno concertativo della CGIL è stata semplicemente rimossa. Ogni reale sostegno al diritto di resistenza del popolo irakeno contro il colonialismo imperialista viene apertamente criticato e respinto. Cresce la pletora degli assessorati nelle giunte liberali dell’Ulivo, sotto la direzione dei Soru, degli Illy, fuori da qualsiasi criterio di classe e da qualsiasi bilancio delle esperienze amministrative compiute. E non a caso, mentre la svolta governativa del PRC ottiene il plauso della stampa ulivista e liberale, maturano i primi contrasti con settori significativi dei movimenti.

Il caso d’Erme sta qui. La maggioranza dirigente del partito ha sostenuto politicamente i dirigenti disobbedienti e la cultura egemone di quel movimento, sino a diluire in esso l’organizzazione giovanile comunista. E il gruppo dirigente disobbediente aveva trovato nella maggioranza dirigente del PRC un’utile cassa di risonanza propagandistica e un’utile sponda delle proprie pratiche istituzionali: a partire dal sostegno alle giunte locali dell’Ulivo (v. Roma). Ma ora la svolta di governo del PRC, la ricerca di un profilo istituzionale e rispettabile agli occhi dei liberali dell’Ulivo, ha spinto la segreteria nazionale del partito a scaricare l’ala del movimento meno “presentabile” e che meno controlla. E’ un fatto molto significativo. Che dovrebbe porre un problema di riflessione e bilancio nello stesso movimento disobbediente attorno al rapporto col Centrosinistra. E che soprattutto rappresenta la spia di ben più ampie fratture tra partito e movimenti che il nuovo corso governista porta inevitabilmente con sé.

Certo è che se questa prospettiva governista dovesse davvero realizzarsi, se davvero il PRC dovesse entrare un domani in un governo dell’Ulivo, tutte queste tendenze involutive sarebbero condannate ad una precipitazione. E ciò rappresenterebbe una rottura irrecuperabile del PRC con le proprie ragioni sociali e con il meglio della propria storia.

 

 

O CON I LAVORATORI O CON PRODI E LA CONFINDUSTRIA: LA RESPONSABILITA’ DEL PROSSIMO CONGRESSO

 

Per questo il CPN rivolge un appello all’insieme dei compagni del PRC, al di là di ogni vecchio steccato congressuale, perché tale deriva sia fermata. Il prossimo congresso rappresenta un passaggio importante di questa necessaria battaglia. Nell’ultimo anno le scelte filosofico-identitarie della non violenza, la cancellazione indistinta dell’intero 900 con l’assimilazione di leninismo e stalinismo, il varo di un partito della sinistra europea dichiaratamente non comunista e ovunque segnato da una vocazione di governo d’alternanza, non hanno affatto rappresentato scelte separate o “culturali”: hanno rappresentato il risvolto indiretto, sul terreno ideologico o internazionale, della prospettiva di governo con l’Ulivo. La ricerca di un profilo stemperato, accettabile, apprezzabile dai salotti intellettuali e politici del centrosinistra e della borghesia italiana.

Per questo è necessario che il prossimo congresso veda la presenza di una proposta alternativa altrettanto complessiva che punti a salvare l’autonomia di classe del nostro partito rilanciando un progetto di rifondazione comunista rivoluzionaria, nazionale e internazionale. Senza il quale non solo si disperde il socialismo ma si finisce col cancellare l’opposizione. Ciò che sarebbe davvero inaccettabile.

 

 

MARCO FERRANDO