Irak

Per un’altra direzione della resistenza irachena, per la rivoluzione socialista

 

di Antonino Marceca

 

Gli imperialisti americani e i loro alleati europei si erano illusi che la guerra finisse con la riduzione all’impotenza dell’esercito iracheno e del regime del Baath, ma un anno da quel 9 aprile 2003, quando un marine nella centrale piazza Firdaus di Baghdad metteva la bandiera americana sulla statua di Saddam Hussein, le forze colonialiste si ritrovano sempre più impantanate in Iraq. L’obiettivo del controllo geostrategico dell’area mediorientale e delle annesse risorse energetiche ha trovato una sbarra sulla strada della realizzazione, una sbarra rappresentata dalla coraggiosa e legittima resistenza del popolo iracheno. Mentre l’acutezza delle contraddizioni interimperialistiche rende difficile la loro compensazione nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu e il conseguente intervento pacificatore e spartitorio.

Gli Usa e i loro alleati ritenevano di poter controllare l’Iraq sia mediante le loro forze di occupazione, oltre 150 mila uomini e 30 mila mercenari, che attraverso lo smembrando del Paese facendo leva sulle diverse componenti etniche e religiose. Su queste basi veniva costituito un Consiglio di governo provvisorio, nominato dal proconsole americano Bremer costituito da venticinque membri, a cui affluivano esponenti nazionalisti kurdi (Pdk, Upk), residui semifeudali ed esponenti di una borghesia e di un ceto politico in cerca di affari come il bancarottiere Chalabi, partiti islamisti conservatrici sia sciiti filo-iraniani (lo Sciri e Al Dawa al Islamiya) che sunniti (Partito islamico iracheno), e perfino il segretario del Partito comunista iracheno (1). L’apparato amministrativo e militare dello stato iracheno, espressione della borghesia nazionalista, veniva spezzato ed iniziava l’addestramento di nuove forze militari e di polizia collaborazioniste, forze che sul campo mostrano poco interesse a difendere il potere coloniale. Evidentemente la coalizione imperialista non ha fatto i conti con l’esperienza storica delle masse popolari irachene, della loro lotta contro le potenze coloniali.

 

Una tradizione di resistenza

Nel novembre del 1914 le truppe britanniche diedero inizio all’occupazione della Mesopotamia che, con le province di Bassora a sud, Baghdad al centro e Mosul a nord, faceva parte dell’Impero Ottomano. Contro la penetrazione britannica inizia la resistenza, la jihad, guidata dai marja delle città sante sciite, con l’appoggio dei proprietari terrieri e delle tribù. I britannici ambivano alla regione per il controllo del Golfo Persico e la via delle Indie oltre che per i ricchi giacimenti petroliferi. Momenti centrali di questa resistenza sono: la jihad del 1914-1916 in risposta allo sbarco delle truppe britanniche; l’insurrezione di Najaf nel 1918; la rivoluzione indipendentista del 1920 contro l’attribuzione del mandato sull’Iraq alla Gran Bretagna, conseguente alla spartizione del Medio Oriente, sancita dalla Società delle Nazioni (l’antenata dell’Onu); il boicottaggio delle elezioni farsa del 1922-1923.

Sotto la direzione di Churchill i britannici progettano il nuovo stato monarchico, esteso fino alla regione kurda di Kirkuk per la presenza del petrolio, e lo affidano al nuovo re hascemita, Faisal, uno stato dai confini stabiliti artificialmente. La monarchia hashemita viene spazzata via il 14 luglio ’58 con un colpo militare promosso dagli “Ufficiali Liberi”, seguito da manifestazioni di massa che spezzano ogni resistenza da parte dei sostenitori della monarchia e del sistema di protettorato. Le basi militari inglesi vengono evacuate, viene proclamata la Repubblica e il nuovo governo è affidato al generale Quasim, sostenuto dal Partito comunista iracheno. Il Pci, tra i più forti nel mondo arabo, basa la sua strategia sulla teoria stalinista della rivoluzione a tappe e sulla conseguente alleanza con la borghesia nazionale dentro fronti nazionali, limitando quindi il processo rivoluzionario alla fase democratico-borghese. Tale concezione sottometteva la classe operaia alla direzione borghese, compromettendone ogni indipendenza politica, spesso anche organizzativa, e la esponeva alle feroci repressioni degli stessi nazionalisti. Questi ultimi erano profondamente divisi: i panarabisti (Baath e nasseriani) chiedevano l’unione immediata con Siria ed Egitto, mentre gli irachisti (liberali, settori maggioritari degli “Ufficiali Liberi”, Partito comunista ed organizzazioni nazionaliste kurde) erano sostenitori dello sviluppo e rafforzamento del capitale nazionale. I panarabisti momentaneamente escono sconfitti. Nel febbraio del ’63 un nuovo colpo di stato rovescia il generale Quasim ed assume il potere il generale Aref, la componente panarabista torna al potere. Dal ’63 si succedono una serie di colpi di stato e complotti che indicano l’avvicendamento al governo delle varie fazioni nazionaliste, mentre rimane stabile la base dello stato borghese nato dalla rivoluzione del 1958: le forze armate. Le tappe fondamentali che seguono la rivoluzione del ’58 sono rappresentate dalla nazionalizzazione dell’Iraqi Petroleum Company nel ’72, che contribuisce al 98% delle esportazioni permettendo l’utilizzazione delle nuove risorse finanziarie per lo sviluppo del settore industriale, le riforme agrarie del ’58, ’70, ’75 che spezzano nelle campagne il potere delle vecchie classi terriere, i shaikh, e i connessi rapporti feudali, avviando lo sviluppo capitalistico agrario. La borghesia irachena, pur rafforzandosi a partire dal ’58, come altre borghesie dei Paesi dipendenti è rimasta fondamentalmente fragile e rachitica, ancorata all’apparato statale militarizzato, soggetta alla crisi capitalistica internazionale e fortemente dipendente dall’imperialismo sia sul piano tecnologico che finanziario. Dopo la lunga guerra con l’Iran (1980-1988), sostenuta dall’Onu e dagli Usa, la successiva guerra al Kuwait (1990) e l’intervento alleato (1991), i lavoratori e le masse popolari tentano di sbarazzarsi del regime con l’insurrezione del marzo ’91, questa interessa il sud e il nord del paese, in alcune zone furono create forme avanzate di democrazia operaia, gli shoras. Le forze alleate (statunitensi ed europee) permisero al regime una brutale repressione, le masse popolari non lo dimenticheranno. Seguirà oltre un decennio di embargo economico, quindi la guerra e l’occupazione militare angloamericana e dei loro alleati tra cui l’Italia.

Le diverse forze nazionaliste borghesi irachene, dalla presa del potere nel ’58 fino all’occupazione militare del Paese, non hanno risolto né l’aspirazione delle masse popolari all’unità araba, né tanto meno i vertici del loro apparato militare, efficienti nella repressione interna dei kurdi e del movimento operaio, sono stati altrettanto efficienti nella resistenza all’invasore. Il peso della resistenza è ritornato sulle spalle del movimento operaio, delle masse popolari e dei contadini poveri.

 

Limiti e contraddizioni della resistenza

Le condizioni di vita di milioni di iracheni rese drammatiche dai lunghi anni di guerra e di embargo sono ulteriormente peggiorate come conseguenza dell’ultima guerra e dell’occupazione militare: migliaia sono i senzatetto e gli sfollati, ampie distruzioni hanno subito le infrastrutture con la conseguente mancanza di elettricità, acqua ed assistenza sanitaria, la disoccupazione a seguito della smobilitazione dell’esercito, della amministrazione pubblica e delle privatizzazioni è drammaticamente aumentata, gli stipendi spesso non vengono pagati, tutto questo sommato alle umiliazioni, alle torture, alla violenza sulle donne hanno scatenato la resistenza di un popolo oppresso.  Solo nel Kurdistan iracheno le forze della coalizione imperialista esercitano il pieno controllo politico-militare, grazie al sostegno delle milizie dei partiti nazionalisti kurdi, frutto avvelenato di anni di oppressione nazionale ad opera della borghesia araba irachena. Tra la popolazione araba nella zona centrale, il cosiddetto triangolo sunnita, e nel sud del paese, a maggioranza sciita, il controllo coloniale rimane precario, soggetto ai continui attacchi della resistenza. Una resistenza di massa, che coinvolge larghi settori popolari, come dimostra l’eroica resistenza nei quartieri popolari di Baghdad, in città come Falluja nel centro, a Najaf, Serbala, Kufa e Nassiriya nel sud del paese. Una resistenza che si esprime sia sul piano militare che sociale, attraverso movimenti rivendicativi e sindacali come l’Unione dei disoccupati d’Iraq, forte di oltre 300 mila iscritti, movimenti regolarmente repressi in quanto considerati illegali dal Consiglio di governo provvisorio e dalle forze occupanti. La resistenza irachena, in questo anno di occupazione, è passata da una fase di notevole frammentazione (oltre 40 gruppi e fazioni) ad un processo di relativa omogeneizzazione attorno a due assi politici fondamentali: la componente nazionalista laica e la componente nazionalista islamica, entrambi espressione della borghesia irachena. La componente nazionalista laica ha dato origine alla Alleanza nazionale patriottica, diretta da A. J. Al-Kubaisi, ex dirigente del Baath ed ex ministro, raggruppa baathisti, nasseriani, islamici moderati e una organizzazione “comunista patriottica”. Il Partito comunista iracheno dopo l’ingresso nella coalizione di Governo provvisorio attraverso il suo segretario, Hamid Hajid, ha subito una scissione nell’ottobre del 2003 da parte della componente patriottica, “quadri di base”, che accusarono la direzione di tradimento e passarono alla resistenza. Una crisi profonda dello stalinismo iracheno che vede da un lato la direzione del Pci degenerare nel collaborazionismo con le forze colonialiste, giustificando tale politica con la conquista della democrazia contro il fascismo, ponendosi di fatto sul terreno della controrivoluzione, dall’altro la componente comunista patriottica “quadri di base”, subordinarsi alla borghesia nazionale, attraverso la collaborazione con le forze nazionaliste nel fronte nazionale e delegando ad esse la direzione della resistenza, rinunciando quindi ad ogni indipendenza politica del proletariato iracheno. La componente islamista è maggiormente articolata e divisa al proprio interno, sia in relazione alla divisione tra sunniti e sciiti che entro la stessa comunità religiosa. Ma è tra le masse di religione sciita, il 65% della popolazione irachena, che troviamo la maggiore polarizzazione sociale e politico-religiosa, da un lato le forze espressione della borghesia commerciale, lo Sciri (Consiglio supremo della rivoluzione islamica in Iraq), Al Dawa al Islamiya, il quietismo delle alte gerarchie religiose (Hawza, il gran consiglio dei marja) guidate da Ali al Sistani, dall’altro la crescente influenza tra le masse popolari più povere delle forze guidate da Muqtada al Sadr e dalla sue milizie (l’esercito del Mahdi). Muqtada al Sadr fa riferimento all’esperienza di Hezbollah in Libano, esprime una posizione nazionalista islamica relativamente autonoma dall’Iran, come tutti i partiti islamisti sciiti è vicino al modello khomeynista e sostiene la teoria del velayat-e faqih (lo giureconsulto, la supremazia del religioso, del potere dei mullah), una teoria reazionaria. E’ sulla base del nazionalismo che avviene la collaborazione, per adesso solo su base militare e non politicamente coordinata in un fronte, tra i due settori della resistenza, laica e islamica. Una resistenza destinata a crescere visto che il futuro proconsole americano, J. Necroponte, ha già ricordato che il futuro governo, che dovrebbe essere costituito il 30 giugno, sarà altrettanto fantoccio del precedente. Oltre alle formazioni nazionaliste, in Iraq è presente il Partito comunista operaio d’Iraq, di recente costituzione. Il Pcoi si colloca all’opposizione rispetto al governo provvisorio e alle potenze coloniali, mantiene inoltre una posizione indipendente rispetto alle forze nazionaliste ed islamiche. Il Pcoi è impegnato prevalentemente nella organizzazione sindacale dei disoccupati mentre sembra esprimere una posizione rinunciataria rispetto alla necessaria lotta per il potere, per il socialismo, dentro una prospettiva di rivoluzione permanente, a partire proprio dalla lotta contro le forze imperialiste e coloniali.

 

Per un’altra direzione della resistenza 

I comunisti non mettono sullo stesso piano una nazione dipendente, oppressa e colonizzata, e l’aggressione imperialista, ritengono legittima la resistenza all’oppressione da parte del popolo iracheno e lottano per la sconfitta dell’imperialismo partecipando in prima fila alla resistenza. Non collaborano con l’imperialismo in consigli di governo e non subordinano la classe operaia alla direzione di forze borghesi dentro fronti nazionali. Questo perché la borghesia irachena, come tutte le borghesie nazionali dei Paesi dipendenti, è un anello della catena che lega il proletariato iracheno alle potenze imperialiste, questo anello deve essere spezzato. La borghesia irachena è stata responsabile oltre che della repressione feroce dei lavoratori e delle masse popolari dell’Iraq arabo anche di nazionalità oppresse come i kurdi, fino a spingerli nelle mani dell’imperialismo. La questione irachena deve essere inclusa nella più ampia questione mediorientale dove i lavoratori e le masse popolari arabe si trovano divisi da confini artificiali stabiliti a tavolino dall’imperialismo, oppressi da feroci dittature nazionaliste e/o teocratici, espropriati dal loro territorio come i palestinesi. L’Iraq, colonizzato ed oppresso, racchiude in sé tutte le contraddizioni, la cui esplosione già espande la sua onda in tutto il Medio Oriente. Solo una direzione della resistenza comunista, marxista rivoluzionaria, indipendente dalle varie fazioni della borghesia nazionale, può portare a soluzione questi problemi. Un processo di rivoluzione permanente che intrecci le rivendicazioni democratiche, la lotta per la liberazione dall’imperialismo e per l’autodeterminazione, alle rivendicazioni di classe nella prospettiva della Federazione Socialista del Medio Oriente. Solo la rivoluzione socialista rappresenta una garanzia di liberazione per i lavoratori e le masse oppresse arabe, kurde, turche, ecc. Solo in questo quadro è possibile coinvolgere nella lotta le minoranze nazionali oppresse. Oggi in Iraq questa direzione, questo partito è da costruire, il Coordinamento per la Rifondazione della Quarta Internazionale per questo obbiettivo già lavora con tutte le sue forze.

 

(30 maggio 2004)

 

 

1. Per la storia del movimento comunista in Iraq (1924-2003) vedi il libro: al-Wathbah di Ilario Salucci ed. Giovanetalpa