di Letizia Mancusi
Da oltre un anno tutte le città
dell’autorità palestinese sono sotto assedio militare, un assedio
asfissiante, che ha nei fatti distrutto la già povera e dipendente struttura
economica palestinese, e con questa qualsiasi forma di rete sociale. La
disoccupazione ha toccato livelli mai conosciuti, la fame si è insinuata in
tutti i territori colpendo trasversalmente quasi tutte le fasce sociali, anche
quelle che fino a pochi mesi fa erano esenti da sofferenze e stenti quotidiani.
Gli allarmi sui rischi di sottoalimentazione e denutrizione di buona parte della
popolazione sono lanciati non solo dalle organizzazioni non governative che
operano nella zona ma si ritrovano, nella loro crudezza, in tutti i rapporti
specifici dell’ONU. Il sistema sanitario palestinese è al collasso, oltre
alla sistematica distruzione delle strutture ospedaliere da parte
dell’esercito sionista, sono stati interrotti tutti quei canali umanitari che
garantivano l’arrivo di medicinale e materiale sanitario in misura minimamente
sufficiente. Un intero popolo, o meglio quella parte di popolazione palestinese
che non è stata cacciata dalla propria terra, è prigioniera dell’esercito
sionista in un carcere a cielo aperto.
L’assedio e il coprifuoco
quasi ininterrotto che riduce ogni possibilità di movimento, unito agli atti
terroristici di assassinio politico mirato ed agli arresti indiscriminati che si
sono susseguiti in questi quattordici mesi da parte di Israele, hanno decapitato
i quadri politici e militari della resistenza riducendo ai minimi termini,
soprattutto in Cisgiordania, la possibilità di coordinamento politico e
militare sul territorio tra le cellule delle diverse organizzazioni palestinesi.
E’in questo quadro generale
agghiacciante che il 30 aprile scorso con grande enfasi è stata presentata la
“Road Map”, ennesimo “piano di pace”, preparato da diversi mesi dal
cosiddetto “quartetto” (USA, Unione Europea, ONU e Russia). La scelta di ritardarne la presentazione è stata dettata da
due circostanze fondamentali: da una parte la fine della guerra guerreggiata in
Iraq e dall’altra il compimento pieno delle richieste di avvicendamento alla
testa del governo palestinese secondo le indicazioni israelo-statunitensi.
Come già avvenne alla fine
della prima guerra del golfo quando Bush padre diede avvio ai negoziati di
Madrid (negoziati gestiti senza la presenza dei cosiddetti palestinesi
“tunisini” ma dai soli palestinesi dei territori occupati, destinati al
fallimento anche per il contemporaneo avvio di accordi sotterranei a Oslo,
accordi gestiti da Abu Mazen e Peres) anche ora la possibilità di apparire al
mondo come “uomo di pace” solletica le ambizioni di Bush figlio, a maggior
ragione oggi, dopo una guerra sanguinosa, dove le ipocrite giustificazioni date
in pasto all’opinione pubblica mondiale si sono sciolte come neve al sole, ed
anche ai meno avveduti ne risultano chiari i veri obiettivi. E’ necessario
inoltre deviare l’attenzione sia dell’occidente che del mondo arabo dalla
iperpresenza militare USA in Iraq e dai possibili sviluppi nell’area.
Altro passaggio fondamentale è
stata la nomina a primo ministro di Abu Mazen e a ministro degli interni di
Mohammed Dahlan. Le denuncie di corruzione, le accuse di mancanza di democrazia
che hanno monopolizzato per mesi la discussione sulla Palestina, rivelano adesso
la loro ipocrita portata. E’ chiaro che sia ad Israele che agli USA, ma anche
a tutto l’occidente, non importa granché del grado di democrazia interno
all’autorità palestinese, obiettivo reale dell’operazione era riuscire ad
avere interlocutori accondiscendenti pronti ad accettare qualsiasi proposta e la
sostanziale marginalizzazione e quindi l’espulsione dai negoziati di Arafat.
L’ultrasettantenne leader palestinese premio Nobel per la pace, passato in
poco più di un decennio da
interlocutore privilegiato nonché rappresentante universalmente
riconosciuto del popolo palestinese a estremista intransigente, che più volte
si è rifiutato di accettare proposte “generose” in grado di portare alla
costituzione dello stato palestinese. Niente è più falso che l’accusa di
intransigenza; Arafat dal 1974 al 1993, dalla rinuncia alla liberazione
dell’intera Palestina Storica agli accordi di Oslo, è stato l’artefice di
compromessi ed accordi al ribasso che hanno lacerato profondamente il tessuto
politico e sociale del popolo palestinese, accordi i cui risultati sono il
drammatico arretramento delle condizioni di vita e delle prospettive politiche
del popolo palestinese. Si deve però riconoscere ad Arafat la capacità
di comprendere quali siano i limiti che non può travalicare, come è successo a
Camp David rispetto alle proposte Clinton-Barak. Oggi per gli USA e per Israele
è necessario superare quei limiti, basta leggere i contenuti della “Road Map”
per comprendere i veri obiettivi dell’operazione e che tipo di personale
politico palestinese serve agli USA e ad Israele per riuscire ad incassare il
massimo risultato. A grandi linee la “Road Map” non è altro che la
riarticolazione del piano Tenet, cioè del piano statunitense teso alla
liquidazione totale della
Seconda Intifada, fino alla piena e definitiva distruzione della resistenza
palestinese. Questo, secondo la “Road Map”, dovrebbe avvenire attraverso una
resa dei conti finale interna al popolo palestinese, nei fatti una guerra
civile, che vedrebbe le forze militari autorizzate palestinesi sotto il
controllo di Dahlan (vero uomo “americano” dell’operazione, già stretto
interlocutore del capo della CIA Tenet), svolgere il lavoro sporco di arresti,
repressione e liquidazione di qualsiasi forma di resistenza, sotto la protezione
e con il fiancheggiamento dell’esercito israeliano. A fronte di questo Israele
non ha nemmeno il “buon gusto” di proporre niente in cambio. Poche righe
sulle colonie, si parla solo di congelamento della situazione attuale con il
riconoscimento comunque della “naturale espansione” delle stesse, si
propongono alcuni smantellamenti relativi ad avamposti di poche decine di
integralisti, avamposti scomodi per Israele, la cui copertura e protezione,
risulta troppo costosa. Non una parola sui temi cruciali: acqua, diritto al
ritorno dei profughi, Gerusalemme.
Insomma un vero imbroglio, o
meglio, una nuova e più micidiale trappola per il popolo palestinese. Una
trappola che vedrà, come al solito, soccombere qualsiasi aspirazione
palestinese, in una grancassa mediatica che agli occhi del mondo farà di
Israele l’attore generoso e sinceramente teso alla ricerca della pace e dei
palestinesi un popolo di terroristi sanguinari.
Nonostante la irrealistica
proposta contenuta nella Road Map, prima della sua presentazione alla Knesset,
Sharon ha provocatoriamente posto ulteriori 14 “condizioni” per
l’accettazione del piano da parte di Israele (se ne riporta il testo così
come riferito da IMRA), condizioni provocatorie tese da un verso a contenere
qualsiasi dissenso interno ad Israele e dall’altro a chiarire ulteriormente le
reali intenzioni di Israele.
Tutto questo dimostra, se ancora
ce ne fosse bisogno, la cruda faccia del sionismo e la impercorribilità della
via negoziale per raggiungere una benché minima soluzione per la Palestina e
per i palestinesi entro e fuori i territori occupati e Gaza.
Contesto che conferma la
giustezza delle nostre posizioni, che tanto scandalo hanno suscitato nel
partito, posizioni che vedono nell’abbattimento dello stato sionista di
Israele, e nella sconfitta definitiva del sionismo, una delle condizioni
necessarie affinché si aprano reali prospettive di soluzione per l’intero
Medio Oriente.
Il nostro compito, in questo
momento cruciale, deve essere quello di uno sforzo generoso verso la
chiarificazione dei termini reali della situazione, una battaglia che attraverso
iniziative mirate sulla Palestina, senza infingimenti o timori, sveli i veri
obiettivi di Israele, chiarisca agli occhi di tutti quelli che riusciamo a
contattare quali sono le reali condizioni di vita dei palestinesi e quale la
evidente portata di questo ennesimo attacco teso alla liquidazione totale della
questione palestinese.
Dobbiamo fare uno sforzo che
riporti anche il linguaggio utilizzato nella sinistra tutta, ed anche nel Prc,
ad una terminologia adeguata alla drammaticità della situazione, è
imperdonabile che ancora oggi il segretario ed il giornale adottino termini come
"conflitto israelo-palestinese" (vedi l’intervento di Bertinotti
all’ultimo CPN) quando si parla di Medio Oriente. Termine che con una ambiguità
sconcertante scambia una aggressione feroce, una occupazione militare fuori da
qualsiasi regola o trattato, che per durata e crudeltà non conosce uguali nella
storia moderna, per un conflitto, per una guerra che per quanto impari
presuppone il confronto tra due stati, tra due eserciti, presuppone che si possa
rispondere alle armi con le armi.
L’obiettivo deve essere quello
di far maturare il sentimento di simpatia verso la Palestina che storicamente
percorre la sinistra italiana verso una presa di coscienza profonda e avanzata.
Dobbiamo denunciare con forza
anche l’operazione di costruzione del muro, costruzione che continua
nonostante tutto, costruzione che non assume, anche sulla stampa di partito, lo
scandalo che meriterebbe, forse perché accettata benevolmente sia da parte
della “sinistra” che da alcuni movimenti pacifisti israeliani, nonché da
diversi opinionisti cosiddetti “illuminati”, soggetti con i quali anche il
Prc intrattiene “cordiali” rapporti.
ULTIMA ORA
Chiudendo il giornale giungono
le notizie di una ulteriore, drammatica, svolta in Palestina. Prima le due
operazioni contro i militari israeliani, che segnano il totale rifiuto da parte
delle organizzazioni della resistenza di quanto deciso ad Aqaba. Azioni di
resistenza che simbolicamente sono state effettuate congiuntamente da membri sia
dei movimenti islamisti che dei Martiri di Al Aqsa. L’attentato di martedì
contro il numero due di Hamas Abdel Aziz Rantisi, scampato miracolosamente ad
una esecuzione mirata, la risposta palestinese, e le due nuove rappresaglie
terroristiche di Israele, che segnano la fine di qualsiasi possibile ipotesi di
trattativa con gli islamisti. Islamisti con i quali Israele, al di là delle
dichiarazioni di facciata, sembrava tenere viva una via di negoziato in quanto
organizzazioni, che per loro natura, sarebbero state più inclini ad accettare
una soluzione di Bantustan per la Palestina.
(12 giugno 2003)
Scheda - Road Map: le
“condizioni” di Israele
Quello che segue e' il testo
delle 14 “condizioni” poste da Israele per accettare la Road Map, così come
riportato da IMRA (Independent Media
Review and Analysis).
1. Sia all'inizio, sia durante
il processo, e come condizione per il suo proseguimento, dovrà essere
preservata la calma. I palestinesi smantelleranno le attuali strutture di
sicurezza e attueranno riforme sulla sicurezza nel corso delle quali verranno
formate nuove organizzazioni che agiranno per combattere il terrorismo, la
violenze e l'istigazione (l'istigazione deve cessare immediatamente e l'Autorità
Palestinese deve impegnarsi nell'educazione alla pace). Queste organizzazioni si
impegneranno in una genuina azione di prevenzione del terrorismo e delle
violenze con arresti, interrogatori, azioni di prevenzione e la realizzazione
delle basi legali per indagini, incriminazioni e condanne. Nella prima fase del
piano e come condizione per il passaggio alla seconda fase, i palestinesi
completeranno lo smantellamento delle organizzazioni terroristiche (Hamas, Jihad
islamica, Fronte Popolare, Fronte Democratico, Brigate Al Aqsa e altri apparati)
e delle loro infrastrutture la confisca di tutte le armi illegali e il loro
trasferimento a una parte terza affinché vengano rimosse dall'area e distrutte,
la cessazione del contrabbando e della produzione di armi all'interno
dell'Autorità Palestinese, l'attivazione piena dell'apparato di prevenzione e
la cessazione dell'istigazione. Non vi sarà passaggio alla seconda fase senza
la piena attuazione delle condizioni di cui sopra relative alla guerra contro il
terrorismo. I piani per la sicurezza che dovranno essere attuati sono i piani
Tenet e Zinni.
2. Risultati completi saranno la
condizione per il passaggio da una fase all'altra all'interno del piano. La
prima condizione per il passaggio sarà la completa cessazione del terrorismo,
delle violenze e dell'istigazione. Il passaggio da una fase all'altra avverrà
soltanto dopo la piena attuazione di ogni fase precedente. Non si porrà
attenzione alle scadenze di calendario, bensì a precisi indicatori dei
risultati ottenuti (le scadenze di calendario serviranno solo come punti di
riferimenti).
3. Avvento di una nuova e
diversa dirigenza nell'Autorità Palestinese nel quadro delle riforme di
governo.
La formazione di una nuova
dirigenza costituisce una condizione per il passaggio alla seconda fase del
piano. In questo contesto, in coordinamento con Israele, si terranno elezioni
per il Consiglio Legislativo Palestinese.
4. Il meccanismo di monitoraggio
sarà sotto gestione americana. La
principale attività di verifica si concentrerà sulla creazione di un'altra
entità palestinese e sui progressi nel processo di riforme civili all'interno
dell'Autorità Palestinese. La verifica verrà fatta esclusivamente su base
professionale e per temi (economia, diritto, finanza) senza creare meccanismi
combinati o unificati. Le decisioni sostanziali resteranno nelle mani delle due
parti.
5. Il carattere dello stato
palestinese provvisorio sarà determinato attraverso negoziati tra l'Autorità
Palestinese e Israele. Lo stato provvisorio avrà confini provvisori e certe
dotazioni di sovranità, sarà pienamente smilitarizzato senza forze militari ma
solo forze di polizia e per la sicurezza interna con un numero limitato di
uomini e armi, non avrà l'autorità di stringere alleanze difensive o di
collaborazione militare, e Israele manterrà il controllo su ingresso e uscita
di personale e merci, così come sullo spazio aereo ed elettromagnetico.
6. Per quanto riguarda sia le
dichiarazioni iniziali sia la composizione finale, devono essere fatti espliciti
riferimenti al diritto ad esistere di Israele come stato ebraico e alla rinuncia
a qualunque "diritto al ritorno" dei profughi palestinesi dentro lo
stato di Israele.
7. La fine del processo condurrà
alla fine di ogni rivendicazione, e non solo alla fine del conflitto.
8. La futura composizione verrà
raggiunta attraverso accordo e negoziati diretti tra le due parti, in conformità
con la prospettiva indicata dal presidente Usa Bush nel suo discorso del 24
giugno.
9. .[Durante il processo] non vi
sarà coinvolgimento su questioni riguardanti la composizione finale. Tra le
questioni che non saranno discusse: insediamenti in Giudea, Samaria e Gaza (a
parte il congelamento e le postazioni non autorizzate), lo status dell'Autorità
Palestinese e delle sue istituzioni a Gerusalemme e tutte le altre materie la
cui sostanza riguarda la composizione finale.
10. Rimozione di ogni
riferimento che non sia quello alle risoluzioni 242 e 338 (risoluzioni 1397,
iniziativa saudita e iniziativa araba adottata a Beirut). Una composizione
basata sulla Road Map sarà una composizione autonoma che deriva da se stessa la
sua propria validità. L'unico possibile riferimento deve essere quello alle
risoluzioni del Consiglio di Sicurezza 242 e 338, e anche queste soltanto in
quanto linee generali per la conduzione dei futuri negoziati su una composizione
definitiva.
11. Promozione del processo di
riforme nell'Autorità Palestinese. Sarà stesa una costituzione transitoria
palestinese, verrà creata una struttura legale palestinese e sarà rinnovata la
cooperazione con Israele in questo campo. In campo economico, proseguiranno gli
sforzi internazionali per riabilitare l'economia palestinese. In campo
finanziario, sarà pienamente applicato l'accordo israelo-americano-palestinese
come condizione per la continuazione del trasferimento delle entrate fiscali.
12. Il dispiegamento delle Forze
di Difesa israeliane lungo le linee del settembre 2000 sarà vincolato al
rispetto dell'articolo 4 (calma totale) e sarà attuato conformemente ai
cambiamenti che saranno richiesti dalla natura delle nuove circostanze e
necessità create in tal modo. Si presterà particolare attenzione alla
separazione delle responsabilità e dell'autorità civile come era nel settembre
2000, più che alla posizione delle forze sul terreno in quella data.
13. Compatibilmente con le
condizioni di sicurezza, Israele si adopererà per ripristinare la normale vita
palestinese: promuovendo la situazione economica, lo sviluppo di legami
commerciali, dando incoraggiamento e assistenza all'opera di agenzie umanitarie
riconosciute. Non si farà alcun riferimento al rapporto Bertini come fonte
vincolante nel contesto della questione umanitaria.
14. Gli stati arabi assisteranno
il processo con la condanna delle attività terroristiche. Non verrà stabilito
alcun legame fra binario palestinese e altri binari (siro-libanese).
(Jerusalem Post, 26.05.03)