Né
stalinisti né liberali
Con
la rivoluzione cubana contro l'imperialismo
Alcune
riflessioni sul dibattito in Rifondazione
di Francesco Ricci
Una massiccia dosi di arresti a Cuba e poi la fucilazione
(l'11 aprile) di tre sedicenti "dissidenti" che avevano preso in
ostaggio i passeggeri di un battello per dirottarlo verso gli USA dove li
attendevano i soldi del governo e la cittadinanza statunitense. Questo è stato
il "casus belli" che ha consentito al governo Bush -uscito grondante
di sangue dalla guerra in Irak- di elevare accorati richiami al rispetto della
vita umana; e ha spinto alcune dozzine di anticomunisti di mestiere a
certificare nuovamente, e pare in via definitiva anche stavolta, l'avvenuta
morte del comunismo. Ma la vicenda ha poi anche alimentato un gran dibattito
nella sinistra italiana e nel nostro partito; e, per usare un'espressione di
Trotsky, molti hanno dovuto "secernere morale in dose doppia".
L'ultimo Comitato Politico Nazionale del Prc -riunito a
maggio, a molti mesi dalla riunione precedente, a un mese e mezzo dalle
amministrative e dal referendum- è stato dedicato appunto quasi esclusivamente
a questo tema che ha appassionato i dirigenti delle due ali della maggioranza
(quella bertinottiana e quella grassiana) ben più del tema, posto dalla
sinistra del partito e dai fatti che stavano accadendo, dell'indipendenza del
Prc e della prospettiva di un nuovo abbraccio con i liberali dell'Ulivo. Nel
dibattito si sono espresse essenzialmente tre posizioni (1), che volendo essere
un po' provocatori potremmo provare ad etichettare così: una a difesa della
rivoluzione (la nostra), una a difesa della burocrazia (Grassi), una a difesa di
alcuni principi (liberali) eterni (o ritenuti tali).
Alcuni giornali (tra cui il Manifesto) hanno voluto vedere una convergenza tra gli ordini del
giorno presentati dalle due tendenze opposte del partito (noi e i grassiani). In
realtà la posizione dei compagni Grassi e Sorini è ben lontana dalla nostra.
Seppure giustamente richiama il quadro di aggressione degli USA e
dell'imperialismo in cui va collocata questa discussione, ripropone però anche
il vecchio argomento secondo cui ogni tipo di critica a uno Stato operaio
"oggettivamente" fa il gioco del nemico. Una logica che purtroppo il
movimento operaio ha già conosciuto e in virtù della quale l'Opposizione di
sinistra allo stalinismo, negli anni Trenta, "oggettivamente" faceva
il gioco delle plutocrazie, il che portava ad apprezzare i Processi di Mosca
contro l'intero gruppo dirigente dell'Ottobre, accusato di aver complottato col
nemico. Non solo: ma la pretesa di voler difendere, insieme alla rivoluzione e
allo Stato operaio (deformato, secondo noi, come spiega l'articolo di Airoldi in
queste stesse pagine), anche la burocrazia castrista che lo dirige, comporta nei
fatti declassare questa difesa a un appello sentimentale che potrà al più far
apparire le posizioni del gruppo dirigente grassiano come più a sinistra di
quanto non è realmente nel dibattito quotidiano sulle alleanze, sulla
prospettiva del Prc, ecc. Quel tipo di "difesa" rimuove l'essenziale:
vale a dire che la miglior difesa delle conquiste della rivoluzione cubana
verrebbe proprio dalla riacquisizione da parte del proletariato di quel potere
che oggi è nelle mani della famiglia Castro; che il proletariato cubano per
difendersi dall'imperialismo avrebbe bisogno di costituire propri organismi
reali di potere (i Consigli); e che per fare tutto questo sarebbe necessario a
Cuba raggruppare l'avanguardia in un partito leninista e internazionalista che
si ponesse -a differenza di Castro- non l'obiettivo irrealizzabile di
"costruire il socialismo in un Paese solo" ma quello di una estensione
dei processi rivoluzionari, a partire dall'America Latina, per rompere
l'accerchiamento di Cuba. Cosa, quest'ultima, che richiederebbe a nostro avviso
-come sanno i lettori di questo giornale- la rifondazione di un'Internazionale
rivoluzionaria (la Quarta Internazionale) a partire dal raggruppamento delle
forze marxiste. Cioè muoversi in una direzione esattamente opposta a quella in
cui si muove la politica estera dei castristi, tutta orientata ad avallare le
esperienze piccolo-borghesi di collaborazione di classe di quella regione; o
addirittura a sostenere -è il caso dell'Argentina- come "vittoria
popolare" delle sconfitte o delle battute d'arresto del movimento
rivoluzionario (2).
D'altra parte la posizione espressa dalla maggioranza
della maggioranza (bertinottiani), pur ribadendo in più riprese -ne va dato
atto- che la "condanna" espressa nei confronti di Cuba non aveva nulla
a che spartire con quella pronunciata dagli avversari di Cuba, ha finito con
l'utilizzare argomenti inaccettabili e assai pericolosi.
Nel dibattito sono stati invocati i "diritti
universali" e financo il rispetto dello"stato di diritto"
(Elettra Deiana), e i sacri "tre gradi di giudizio", insieme al
vecchio refrain per cui i comunisti dovrebbero "rifiutarsi di impiegare i
mezzi usati dall'avversario". Argomento, quest'ultimo, che costituisce
anche il traballante piedistallo del mito della "non violenza" che,
con o senza trattino, non ha nulla a che vedere non solo con tutta la storia
delle rivoluzioni finora realmente compiutesi (da quelle borghesi a quelle
proletarie) ma che soprattutto rimuove nei fatti il tema della rivoluzione, non
ponendo in conto che -laddove si ritenga con Marx di voler "espropriare gli
espropriatori"- i padroni in genere non approveranno sorridenti, ma si
difenderanno piuttosto con i carabinieri del Tuscania.
Sorvoliamo su alcuni interventi che prescindono non solo
dal pensiero marxista ma pure da quello liberale, e che (lo scriviamo col
rispetto che si deve a ogni idea, anche a quelle più balzane) derivano
probabilmente da qualche filosofia yoga (esemplare in questo senso l'intervento
della compagna Laura Marchetti, componente della Direzione nazionale, che ha
scritto che la politica deve oggi pretendere di non "rassegnarsi alla
violenza" per poter "lavorare per le 'pulsioni di vita' e trovare
nuove strade: il linguaggio, la rivolta della singola coscienza, la collettiva e
organizzata disobbedienza"). Ma l'assunto che campeggia nella replica di
Bertinotti merita la dovuta attenzione. Dopo aver assicurato che "la non
violenza è il terreno di riflessione più alto" finora raggiunto (e non,
come credevamo noi, una falsa coscienza che i rivoluzionari hanno cercato per
decenni di estirpare dal movimento operaio insieme a tutte le fantasie
gradualiste) il segretario ha aggiunto: "abbiamo criticato l'idea che il
potere lo si prende e lo si difende con qualunque mezzo (...)", attribuendo
questo obiettivo -la conquista e la difesa del potere- allo stalinismo, con
buona pace di Marx e dalla sua convinzione che "Il movimento politico della
classe operaia ha, naturalmente, come fine ultimo la conquista del potere
politico per la classe operaia stessa (…)." (3).
La cosa paradossale è che la sinistra della maggioranza,
i compagni di Erre (ex Bandiera
Rossa) hanno apprezzato la posizione bertinottiana (anche se qualcuno di
loro, è giusto ricordarlo, non ha partecipato al voto in sede di Cpn) come
frutto maturo dei conti che il Prc avrebbe fatto con lo stalinismo a partire dal
noto discorso di Livorno di Bertinotti (4). In realtà, come si vede, i conti
vengono senz'altro fatti, ma non certo con lo stalinismo. Anzi: attribuendo allo
stalinismo l'obiettivo (marxista, leninista o, se volete, semplicemente comunista
-l'unico che dà senso a questa parola) del potere, per poi buttare tra i
rifiuti insieme allo stalinismo anche questo obiettivo, non si rompe con
l'essenza dello stalinismo ma se ne difende il nocciolo politico che poi
coincide con il nocciolo del riformismo di ogni tempo: l'idea che lo scopo dei
comunisti non sia quello di guadagnare la maggioranza della classe al
rovesciamento del sistema capitalistico ma piuttosto quello di collaborare con
la borghesia (o con la sua parte più illuminata), coi suoi governi.
E' casuale che questo ragionamento su Cuba in cui -pur
differenziandosi dalle critiche liberali- si assume il punto di vista di
un'indistinta "umanità" e di sue presunte ed eterne norme morali e
giuridiche, e quindi si accetta nei fatti il punto di vista liberale (che quelle
norme morali e giuridiche ha prodotto); è casuale che queste presunte
"rotture" con lo stalinismo, che configurano più che altro rotture
con lo scopo storico elementare del marxismo; è casuale -ci chiediamo- che
tutto ciò avvenga proprio quando il gruppo dirigente (in questo caso unito, da
Bertinotti a Grassi) si prepara a un accordo politico, elettorale e di governo
con i liberali? Noi crediamo di no: non è casuale. E di questo avrebbe dovuto
discutere il Cpn, di questo dovrà discutere il partito.
Quanto alla riflessione introdotta dal responsabile
esteri, il compagno Gennaro Migliore, secondo cui i comunisti devono saper
"rispondere alla ragione della forza con la forza della ragione", noi
preferiamo a questo pio motto quanto scriveva Rosa Luxemburg: "Se
aprioristicamente e una volta per tutte, come ci suggeriscono gli opportunisti,
dovessimo rinunciare all'uso della forza, e le masse lavoratrici giurassero
sulla legalità borghese, prima o poi tutta la lotta parlamentare e, in genere,
politica, crollerebbe miseramente, per dar via libera allo strapotere della
violenza delle classi dominanti."
Certo, sappiamo che Rosa non si occupava di "forza
vitale" e pratiche ascetiche, o della "ricerca di nuove vie".
Forse proprio per questo combattè fino all'ultimo una battaglia di opposizione
di classe contro un governo che pure era, non c'è dubbio, molto più a sinistra
di quanto non potrà essere il prossimo governo dell'Ulivo (con o senza il Prc).
(1) Per una lettura dei testi presentati al voto si veda
l'opuscolo dedicato da Liberazione al
CPN, uscito col giornale l'8/5/03, con alcune code nei giorni seguenti.
(2) Si legga la trascrizione del discorso pronunciato da
Fidel Castro alla Facoltà di Diritto dell'Università di Buenos Aires il 26
maggio scorso in cui, parlando della vittoria di Kirchner, ha detto: "ho
sentito una grande soddisfazione e gioia quando sono arrivate le notizie del
risultato elettorale"; "il simbolo della globalizzazione neoliberale [Menem]
ha ricevuto un colpo colossale."
(3) K. Marx, Lettera a Bolte (23 novembre 1871).
(4) E' quanto afferma Antonio Moscato in Bandiera
Rossa News del 18 aprile 2003 (circolare di posta elettronica di
quest'area).