NO A UN GOVERNO PRC-ULIVO
Trovate di seguito -per chi non lo avesse già letto- il testo dell'articolo di Marco Ferrando pubblicato su Liberazione di ieri (18 luglio).
In fondo all'articolo si fa riferimento all'appello contro l'accordo di governo Prc-Ulivo e per l'apertura di un congresso straordinario del Prc su cui da qualche settimana stiamo raccogliendo le firme. Ricordiamo che l'appello è scaricabile assieme al modulo prestampato per la raccolta delle firme.
I primi risultati della raccolta firme, come segnala Ferrando nell'articolo, sono oltremodo incoraggianti: ci arrivano in continuazione moduli con firme di militanti del partito di ogni provenienza congressuale, dalle federazioni di tutta Italia. La diffusione dell'appello e la raccolta delle firme proseguiranno fino all'autunno (quando consegneremo le firme) e le feste di Liberazione (dove spesso vengono opportunamente allestiti tavolini per la raccolta delle adesioni) si stanno rivelando un'ottima occasione per proseguire questa importante battaglia politica.
Francesco Ricci
NO
A UN GOVERNO PRC-ULIVO
di
Marco Ferrando
"L'Ulivo
è cambiato, ora possiamo cambiare anche noi". Sotto questo titolo, il
quotidiano della Margherita (Europa, 26 giugno) riporta una lunga
intervista del segretario del nostro partito: che può essere considerata, per
la sua rilevanza, un vero manifesto della nuova svolta del Prc in direzione di
un accordo di governo con l'Ulivo.
Dichiara,
tra l'altro, il compagno Bertinotti: "E' possibile una convergenza in
progress con una fetta di imprenditoria italiana -ci sono, li conosco sia nella
sfera finanziaria che in quella produttiva- che rigetta il modello adesso
prevalente. Hanno bisogno di una politica che offra risorse per competere sulla
capacità di innovazione. Ci vuole un intervento pubblico. Lo so che deve
esserci un compromesso, parlo di quello necessario per governare -perché
agiscono vincoli esterni, come la competitività, la necessità della crescita
economica. Ma i vincoli interni li stabilisce la politica. Qui può nascere un
compromesso dinamico. Esiste o no un problema di rilanciare la domanda interna?".
E'
una proposta chiara, direttamente rivolta al centro liberale dell'Ulivo e agli
interessi che questo rappresenta per individuare il fondamento sociale di un
governo comune. Ma proprio per la sua schiettezza si espone a interrogativi
altrettanto schietti: che rapporto c'è tra questa proposta di compromesso
sociale e l'esperienza concreta della lotta di classe, dentro la crisi del
capitalismo e del riformismo? Che rapporto c'è tra questa proposta e
l'"altro mondo possibile" evocato dalla nuova generazione e dallo
stesso congresso della "svolta a sinistra" del Prc?
UN
NUOVO COMPROMESSO CON LA BORGHESIA?
La
proposta di un compromesso sociale di governo con le forze
"progressive" della borghesia non solo mi pare riproponga nei suoi
termini classici la tradizione riformista del Novecento ma è priva tanto più
oggi di qualsiasi fondamento nella realtà. Dov'è, tanto più oggi una
borghesia "amica" e disponibile verso i lavoratori e i movimenti? Lo
scenario nazionale è, al riguardo, illuminante. E' vero: un settore di
capitalismo italiano, quello più esposto sul mercato mondiale, vuole maggiori
risorse dallo Stato per finanziare le proprie ristrutturazioni antioperaie,
quindi la propria innovazione tecnologica e le proprie proiezioni coloniali a
caccia di lavoratori a basso costo nei Balcani, in Asia, in America Latina:
questo è "l'intervento pubblico" richiesto dal cosiddetto
"vincolo esterno della competitività". Esso non ha alcun contenuto
"riformatore" o "progressivo", non mette in discussione né
le politiche di privatizzazione né quelle di flessibilità (che vuole
razionalizzare per stabilizzarle): ricerca invece un livello minimo e più
esteso di ammortizzatori sociali proprio per consentire una maggiore libertà di
gestione dell'impresa e della sua manodopera. Chiedendo naturalmente che le
ulteriori risorse pubbliche destinate (direttamente o indirettamente) alle
imprese siano "pagate" da una nuova riduzione di spesa sociale
"tradizionale" a partire dalle pensioni. Questa è la politica oggi di
tutto il capitalismo europeo, con la benedizione congiunta di Prodi e Berlusconi.
E questo è il programma di fondo del centro liberale dell'Ulivo, a partire
dalla Margherita di Rutelli per finire con la maggioranza dirigente liberale
dalemiana dei Ds. Che proprio a difesa dei poteri forti su cui si appoggiano
(banche e settori di grande impresa) hanno spalleggiato la Confindustria contro
l'estensione dell'art. 18, hanno fatto da sponda al recente accordo sulla
"competitività" tra Confindustria e Cgil-Cisl-Uil, hanno applaudito
Bankitalia e Fazio sull'appello alle "riforme" strutturali della spesa
pubblica. Al punto da criticare la manovra di Berlusconi contro le pensioni per
il suo carattere "non strutturale", augurandosi che Berlusconi
"abbia il coraggio di fare una riforma vera, così eviterà di farla il
futuro governo dell'Ulivo." Come dichiarano oggi all'unisono il borghese
"illuminato" De Benedetti e tutti i dirigenti liberali dell'Ulivo.
Dove
sono dunque le basi sociali e politiche di un "compromesso dinamico",
per di più di governo, con l'Ulivo e l'"imprenditoria progressista"?
Non è singolare affermare ritualmente in ogni documento la crisi del vecchio
compromesso sociale riformistico e poi rivendicare, in nome della Rifondazione,
un nuovo compromesso sociale col liberalismo? Peraltro la parola d'ordine del
"compromesso sociale dinamico" non è nuova. Fu coniata nella
Conferenza programmatica del Prc del 1995, alla vigilia della svolta di governo
verso Prodi. Quel "compromesso" tra Prc e borghesia costò ai
lavoratori il voto del Prc al lavoro interinale e ai campi di detenzione per gli
immigrati. Vogliamo rilanciarlo oggi, senza bilancio, come nuovo orizzonte del
Prc e dei movimenti?
UNA
MINACCIA MORTALE PER IL PRC
E'
davvero significativa la generosa apertura al Prc da parte di tutto il centro
liberale. Contenuta (grazie al cofferatismo) la prima onda d'urto dei movimenti,
sconfitto (col proprio contributo) il referendum sull'art. 18, il centro
liberale apre oggi al Prc da un rapporto di forza più favorevole col fine di
integrarlo nell'alternanza liberale quale tassello subalterno e ammortizzatore
di conflitti. Per questo, al posto di un compromesso riformatore immaginario ci
offre il compromesso controriformatore reale: la propria rinuncia ad ogni
"emarginazione" istituzionale del Prc, in cambio della nostra rinuncia
all'opposizione comunista ed anzi della nostra diretta corresponsabilizzazione
alle politiche dominanti. L'offerta dei ministri al Prc è la classica sanzione
materiale e simbolica, nel linguaggio della borghesia, di questo
compromesso. Il mancato respingimento di questa offerta da parte della
maggioranza dirigente del Prc, ed anzi la sua aperta convergenza negoziale su
questa prospettiva rappresenta per lo stato maggiore dell'Ulivo una ragione di
comprensibile soddisfazione, ma per il partito e per i movimenti una minaccia
obiettivamente mortale. Perché la dissoluzione dell'opposizione comunista verso
un governo liberale sarebbe la dissoluzione delle ragioni stesse del Prc. E la
privazione, per tutti i movimenti, di un riferimento essenziale.
UN'ALTRA
PROSPETTIVA E' NECESSARIA E POSSIBILE
Un'altra
prospettiva, invece, è necessaria e possibile.
Non
si tratta affatto di ignorare la centralità della lotta a Berlusconi per la sua
cacciata, che anzi proprio la minoranza del partito ha rivendicato e rivendica
come parola d'ordine centrale. Il punto è: quale classe rovescia Berlusconi e
per cosa? E qui sta l'alternativa di fondo: o Berlusconi è rimpiazzato dai
liberali e dai loro amici banchieri che usano i lavoratori come sgabello per
fare un governo contro i lavoratori (come è accaduto negli anni Novanta); o i
lavoratori rovesciano Berlusconi in piena autonomia dai liberali su un proprio
programma alternativo e con i metodi della lotta di classe: aprendo il varco ad
una prospettiva anticapitalistica. Non esistono terze vie. E il nostro partito
può e deve spendersi fino in fondo per sostenere in ogni movimento e
organizzazione di massa la prospettiva dell'alternativa di classe, in
contrapposizione all'alternanza liberale. Ciò non significa escludere sul
terreno elettorale accordi tecnici in collegi a rischio, al solo fine di
"battere Berlusconi". Ma certo significa escludere nel modo più
assoluto ogni compromesso politico, programmatico, di governo con gli avversari
liberali del mondo del lavoro. Guardiamo in faccia la realtà: tutte le
rivendicazioni più elementari del movimento operaio e dei movimenti di massa
trovano il centro liberale dell'Ulivo dall'altra parte della barricata. E non
solo sull'estensione dei diritti, ma sulla riduzione delle spese militari, sul
rifiuto delle spedizioni coloniali, sulla configurazione dell'Europa. Tutte le
domande di un nuovo mondo possibile richiedono una rottura con la borghesia e
con i suoi "vincoli di competitività". Per questo la rottura col
centro liberale non è solo una necessità del Prc: è una necessità per tutti
i movimenti di lotta e per le loro organizzazioni.
Da
qui la responsabilità di una proposta nuova del nostro partito all'insieme
delle classi subalterne. Oggi 11 milioni di lavoratori, di lavoratrici, di
giovani, spesso protagonisti di due anni di lotte si sono contrapposti sul
terreno dei diritti alle indicazioni di Rutelli e D'Alema. Perché non lavorare
a trasformare questa contraddizione di classe in una rottura cosciente e
definitiva che liberi dalla gabbia del centrosinistra le forze operaie e
popolari che essa imprigiona per dislocarle su un polo di classe indipendente?
Perché non incalzare su questo terreno tutte le forze del fronte referendario
rivendicando insieme unità di lotta e autonomia dal centro liberale e così
entrando, da un versante di classe, nelle contraddizioni del centrosinistra?
Perché non partire, qui e ora, con una proposta comune di lotta contro
l'aggressione berlusconiana su lavoro e pensioni nel segno finalmente di un
affondo vero contro il governo, oltre la soglia di puri scioperi dimostrativi,
che segni una svolta nella gestione del conflitto sociale?
Certo,
questa è una politica complessa. Ma è l'unica che può dare prospettiva ai
movimenti e che può radicare e costruire il partito come direzione alternativa.
Viceversa inserirsi nel bipolarismo dell'alternanza (raccontando a sé stessi
che lo si combatte) è infinitamente più semplice: ma è il sentiero già
battuto e già fallito, per i movimenti e per il partito.
Per questo migliaia di militanti del Prc di diversa collocazione congressuale chiedono oggi con un pubblico appello che quel sentiero non venga imboccato. E che un congresso straordinario, libero e sovrano, dia la parola a tutto il corpo del partito.