BARLETTA: IL SOSTEGNO DI PROGETTO COMUNISTA AGLI OPERAI DELLA COFRA
Vertenza
Cofra: non finisce qui!
Primo bilancio della vertenza
Sebbene sia rapidamente calato il sipario la vertenza COFRA non finisce qui.
La lotta degli operai per la salvaguardia del posto di lavoro ha ottenuto come primo risultato la revoca dei 241 licenziamenti e soprattutto è servita a creare la consapevolezza che solo mobilitandosi si possono ottenere dei risultati concreti.
E’ opportuno però fare delle ulteriori considerazioni.
1. Solo quando si blocca la produzione il padrone è disposto a sentire la voce dei lavoratori. La revoca dei licenziamenti sarebbe stata impensabile senza la mobilitazione e lo sciopero. D’altra parte è importante essere consapevoli della parzialità dei risultati raggiunti senza accomodarsi sulla situazione di relativa tranquillità e, in maniera opposta, senza abbandonarsi alla rassegnazione di un destino già segnato.
2. Il risultato raggiunto è proporzionale alla determinazione e alla costanza della lotta. Se un giorno di sciopero è bastato per la revoca dei licenziamenti ben di più ci vorrà perché le macchine restino a Barletta.
3. L’azienda non è riuscita a nascondere la vera ragione di quella che ad alcuni è sembrata solo una messa in scena. Se in un primo momento annuncia come necessari il taglio del personale successivamente, dopo lo sciopero, chiede ai lavoratori di recuperare il tempo perduto anche a costo di dover pagare ore di straordinario. Non è un comportamento schizofrenico: l’azienda ha urgenza di rispettare le scadenze (e quindi è falso che non ha più commesse), tuttavia la messa in mobilità degli operai fa parte di un processo generale già in atto, quello del trasferimento della produzione in paradisi mondiali dello sfruttamento delle persone.
Non dunque una gentile concessione ma la necessità della azienda a spremere gli operai e a intascare i proventi dello sfruttamento della forza lavoro fino a quando ciò risulterà conveniente, per poi arrivare a sbarazzarsi dei lavoratori quando il padrone avrà terminato di delocalizzare i mezzi di produzione (quelli per cui tutti i cittadini italiani hanno contribuito tramite gli aiuti statali alle aziende) e sarà pronto a succhiare il sangue di un altro popolo, in Albania o magari in India.
In pratica non è l’azienda a dare lavoro ma è l’aziende che si prende i frutti del lavoro e può decidere a proprio piacimento quando interrompere il rapporto con un lavoratore perchè non è più conveniente, ovvero quando il profitto che ricava in questo paese è inferiore a quello che ricaverebbe, sfruttando meglio i lavoratori, dall’altra parte dell’Adriatico o del mondo.
4. La vicenda COFRA non è e non deve essere solo la battaglia degli operai per la salvaguardia del posto di lavoro. Diffusa è la preoccupazione da parte dei cittadini per il destino di un polo produttivo di importanza strategica per tutta la città. Bisogna sviluppare la consapevolezza che la chiusura di uno stabilimento così importante è un furto ai danni della collettività che rischia di mettere in crisi tutta la città e la sua economia; essa è un impoverimento materiale, in quanto diminuzione della presenza di mezzi produttivi, da non sottovalutare perché determinerà un ulteriore passo verso la fine di Barletta come città industriale.
La nuova sfida che non può vedere gli operai lottare soli contro l’azienda è quella di cercare il sostegno di tutta la città affinché non una macchina sia spostata da dove si trova. Se il padrone vuole andarsene in Albania lo faccia pure ma non pensi di potersi portare in giro per il mondo il frutto dei lavoratori italiani, per andare a schiavizzare altre persone in posti dove lavorare oltre le 12 ore al giorno e senza uno straccio di tutela è la norma.
Il fenomeno delle delocalizzazioni
Ci sono delle altre considerazioni che vanno fatte allargando lo sguardo anche al resto del territorio nazionale.
I processi di delocalizzazione si stanno susseguendo in gran numero in tutta Italia. Aziende che per anni hanno goduto di finanziamenti pubblici per il miglioramento delle strutture produttive, di incentivi per impiantarsi nelle aree disagiate del paese, di finanziamenti pubblici per pagare i lavoratori tramite l’istituzione di contratti anomali come l’apprendistato, di sgravi fiscali per reggere la” competitività” e, talvolta, della costruzione per mano pubblica di infrastrutture ad hoc oggi, senza dover addurre tante motivazioni, prendono i soldi e i mezzi di produzione e scappano verso est, laddove anni di sanguinose guerre umanitarie hanno aperto e continuano ad aprire la strada ai padroni occidentali per il raggiungimento di nuovi mercati.
Oltre alla COFRA e alle tante industrie di barlettani in Albania, molti sono gli esempi di questi furti organizzati ai danni della collettività: basti pensare alla Thyssenkroup di Terni, una industria storica, un tempo appartenente allo Stato e poi svenduta da Prodi ai tedeschi, specializzata in acciaio ad alta tecnologia (una produzione che non teme concorrenza), la quale di punto in bianco decide di chiudere i battenti; si pensi alla Getrag di Bari, altra multinazionale tedesca che però produce componenti meccaniche, dove ufficialmente è in atto una crisi di vendite mentre risulta poco chiaro come, in una situazione di crisi simile, si trovino le forze per aprire un nuovo stabilimento in Cina, il quale, guarda caso, assorbirà proprio la produzione dello stabilimento barese; ed ancora allo smantellamento in atto del famoso polo del mobile imbottito, tra Puglia e Basilicata, la cui impresa più rappresentativa, la leader mondiale del settore Natuzzi, licenzia operai alla stessa velocità con la quale apre stabilimenti ancora in Cina o in altre parti del mondo. Purtroppo di esempi come questi se ne potrebbero fare a centinaia.
La posizione del centrosinistra
In una situazione così è necessaria essere assolutamente chiari.
Abbiamo assistito a uno spettacolo di squallido cinismo nei confronti di chi rischia di perdere il lavoro in seguito alle delocalizzazioni. Politici che apparentemente si ergono a loro palladini mentre poi nei fatti coprono e avvallano le malefatte dei capitalisti italiani. Invito a rileggere l’interrogazione parlamentare dell’on. Nicola Rossi, alfiere del liberismo italiano, al ministro per le attività produttive, documento che la CGIL di Barletta sta provvedendo a diffondere largamente anche con l’affissione di manifesti.
E’ gravissimo che rispetto al problema delle delocalizzazioni, invece di chiedere se il governo intende bloccare i processi di delocalizzazione, il massimo che l’onorevole riesca a chiedere al governo sia “se intende vigilare sull’uso corretto delle risorse pubbliche nei processi di delocalizzazione”. Cosa significa? Forse che ci sono delle risorse pubbliche che direttamente o indirettamente vengono utilizzate per permettere ai padroni di prendere il largo? Evidentemente per Rossi è più importante che le imprese italiane riescano a globalizzarsi, ovvero ad andarsene di qui, piuttosto che siano salvaguardati i lavoratori e i contribuenti. Rossi, come del resto tutto il centrosinistra, dimostra di avere un’ineccepibile cultura di governo, almeno dal punto di vista del capitalismo italiano: da un lato tranquillizzare i lavoratori e il movimento operaio per prevenire che alzino la testa, dall’altro garantire agli industriali e ai poteri forti una costante salvaguardia dei loro interessi, naturalmente contro gli interessi degli stessi lavoratori.
Questa è la dimostrazione della vera natura di classe del centrosinistra, attualmente vero rappresentante del grande capitale italiano, delle più importanti banche e delle grandi famiglie di industriali. Oggi serve una opposizione coerente alla borghesia italiana e ai suoi governi, una opposizione che rappresenti i lavoratori italiani, a partire da quelli della COFRA, i disoccupati, gli studenti e i giovani, i pensionati. Per questo è importante battersi perché nessun governo della borghesia sia privato di una opposizione comunista e di classe.
Pasquale Gorgoglione
Coordinatore cittadino Associazione M.R.
Progetto comunista
sinistra
del PRC