Marxismo
rivoluzionario n. 3 -
documento
NO
ALL’INSERIMENTO DEL PRC NELL’ALTERNANZA BORGHESE
UN
POLO DI CLASSE PER L’ALTERNATIVA ANTICAPITALISTICA
Questa è la mozione presentata da Progetto comunista al
Comitato politico nazionale del Prc del 3-4 luglio che ha aperto di fatto il
sesto congresso del partito.
Nella tornata elettorale europea ed amministrativa del 12-13
giugno e nei successivi ballottaggi il governo Berlusconi ha subito una
sconfitta elettorale e politica. Il nostro partito ha conosciuto una positiva
affermazione. Tanto più ora è necessario e possibile porre all’ordine del
giorno la parola d’ordine della cacciata del governo. Ma non a favore
dell’ennesima alternanza liberale sospinta da Luca di Montezemolo e dal centro
dell’Ulivo. Bensì nella prospettiva di un’alternativa di classe basata
sugli interessi indipendenti del mondo del lavoro e sulle ragioni dei movimenti
di lotta di questi anni. Una prospettiva che richiede a tutti i movimenti
l’unità d’azione su un proprio programma generale, autonomo ed alternativo
al programma di Prodi e D’Alema e agli interessi degli industriali e dei
banchieri ulivisti.
La sconfitta di Berlusconi
La
sconfitta politica ed elettorale di Berlusconi è inequivocabile. Forza Italia
ha subito un autentico crollo rispetto alle politiche del 2001, combinando una
forte caduta elettorale, una caduta d’immagine ancor più netta, una perdita
diffusa di leve di potere amministrativo sia al Nord, sia nel Sud del paese.
E’ la misura della crisi profonda del berlusconismo, e al tempo stesso un
fattore di suo ulteriore aggravamento.
E’
vero tuttavia che l’Italia è l’unico paese dell’UE in cui la coalizione
di governo, pur arretrando, ha evitato il sorpasso delle opposizioni nel voto
europeo più direttamente politico. Forza Italia ha perso prevalentemente in
direzione dell’astensione, della Lega al Nord, di AN e Udc nel Sud, meno in
direzione delle opposizioni. Ciò significa che la crisi del blocco elettorale
di centrodestra non è ancora irreversibile. Un aumento prevedibile di
partecipazione al voto in occasione delle elezioni politiche, il possibile
ricorso a misure demagogiche populiste le offrono ancora uno spazio pericoloso
di manovra. Dentro un equilibrio sociale e politico tuttora instabile.
Il centro dell’Ulivo frena la crisi del
berlusconismo
Il
centro liberale dell’Ulivo ha la precisa responsabilità di aver frenato e di
frenare la crisi del blocco sociale del centrodestra sul versante del lavoro
dipendente e dei ceti medi impoveriti. L’operazione del Triciclo, tesa a
costruire il partito centrale della grande borghesia italiana, è stata di fatto
un regalo elettorale al centrodestra, disperdendo voti a favore dell’Udc e del
Psi di De Michelis, e quindi consentendo al Polo il pareggio. Ma soprattutto,
esibendo la bandiera di Prodi, dell’Europa dell’Euro e dei sacrifici, del
sostegno a Fazio e Montezemolo, ha finito col sospingere
settori popolari di Forza Italia, delusi da Berlusconi, tra le braccia
dei suoi alleati di governo.
Si
conferma così una lezione di fondo: la subordinazione del movimento operaio e
delle sinistre al centro liberale dell’Ulivo indebolisce le potenzialità di
capitalizzazione delle contraddizioni sociali del blocco reazionario. Tanto più
oggi proprio la crisi del berlusconismo e il necessario rilancio della lotta per
la cacciata del governo richiedono un’altra egemonia sociale e politica
nell’opposizione, un’aperta rottura con i liberali, un programma di lotta
anticapitalistico.
Cacciare Berlusconi con un vero sciopero generale
prolungato
Una
nuova stagione di lotte attraversa l’Italia. Scanzano, gli autoferrotranvieri,
i lavoratori Alitalia, gli operai di Melfi hanno segnato una discontinuità col
passato. Per molti anni, anche nel nostro partito, si era teorizzata
l’impossibilità o l’inconcludenza di scioperi ad oltranza a favore della
linea degli scioperi centellinati, simbolici e dimostrativi, promossi dalla
burocrazia sindacale. Le lotte radicali di questi mesi hanno dimostrato
l’opposto. Un settore di giovane generazione di lavoratori e di popolo ha
rotto di fatto con la tradizione burocratica delle forme di lotta, ha
sperimentato sul campo l’azione ad oltranza, ha piegato con la lotta radicale
la resistenza delle controparti. E non a caso altri settori operai e popolari
hanno ripreso l’esempio (Fincantieri, Polti….). Questa tendenza va
incoraggiata e generalizzata. Se tante piccole lotte ad oltranza possono piegare
un singolo padrone o costringere il governo ad arretrare, uno sciopero generale
prolungato può realmente piegare la resistenza del padronato e mirare alla
cacciata di Berlusconi. Il nostro partito ha la precisa responsabilità di
avanzare questa proposta d’azione all’insieme del movimento operaio, nei
movimenti di lotta, e nelle loro organizzazioni di massa.
Per una lotta generale su una piattaforma di svolta
Questa
necessità è tanto più attuale di fronte allo scandaloso immobilismo delle
burocrazie sindacali. Mentre il governo Berlusconi annuncia il nuovo attacco
frontale alle pensioni e una nuova stangata antioperaia e antipopolare in
omaggio ai dettami dei banchieri, le burocrazie sindacali, a partire dalla
segreteria Cgil, rinunciano persino alla finzione dello sciopero generale
simbolico abbandonando a se stessi i lavoratori. Un atteggiamento tanto più
grave a fronte dell’evidente indebolimento del governo che consentirebbe
proprio oggi un’azione di lotta generale capace di vincere.
Il
nostro partito deve denunciare la responsabilità delle burocrazie sindacali tra
i lavoratori e nelle organizzazioni di massa. E deve congiungere la proposta
dello sciopero generale prolungato con l’avanzamento di una proposta di
piattaforma unificante di mobilitazione.
Un forte
aumento salariale unificante per l’insieme del lavoro dipendente;
l’abrogazione delle leggi di precarizzazione, dal pacchetto Treu alla legge
30; un vero salario minimo garantito per i disoccupati (che è cosa diversa da
un’integrazione del reddito del lavoro precario); l’abrogazione della
famigerata legge Dini sulle pensioni, col rilancio di una previdenza pubblica a
ripartizione; un forte rilancio della spesa sociale nell’istruzione pubblica e
nella sanità, finanziata dall’abolizione dei sovvenzionamenti ai privati,
dall’abbattimento delle spese militari, dalla tassazione progressiva di
profitti e rendite, dalla fine dei trasferimenti pubblici alle imprese private;
la nazionalizzazione, sotto controllo operaio, delle industrie in crisi, a
difesa dei posti di lavoro minacciati e come condizione di una loro eventuale
riconversione. L’insieme di questi obiettivi disegna una piattaforma di
riscossa per l’intero movimento operaio dopo vent’anni di arretramenti. Il
compito del nostro partito è di avanzare questa proposta di piattaforma
generale, riconducendo ad essa obiettivi e lotte parziali.
Contro l’imperialismo italiano, per il diritto di
resistenza del popolo iracheno
La lotta
per un’alternativa di classe è inseparabile dalla lotta contro l’Europa
capitalistica, i suoi trattati, la sua costituzione e da una lotta contro
l’imperialismo italiano. La crisi irachena dimostra tanto più oggi
l’esigenza di un intervento antimperialista e non “pacifista” nel
movimento contro la guerra. In Iraq non c’è oggi una “pace” indeterminata
da rivendicare. C’è un diritto di autodeterminazione del popolo iracheno da
difendere incondizionatamente. C’è un diritto di resistenza e di sollevazione
anche armata di quel popolo contro l’occupazione coloniale e la sua barbarie,
che il nostro partito deve apertamente rivendicare. In Iraq, come nei Balcani,
come in Afghanistan, la presenza militare italiana è a tutti gli effetti
un’occupazione coloniale. Non c’è contraddizione tra la rivendicazione
centrale del ritiro delle truppe italiane e il sostegno al diritto di resistenza
del popolo iracheno contro le truppe imperialiste, anche italiane. Proprio lo
sviluppo di una sollevazione anticoloniale in Iraq contro le forze di
occupazione può rafforzare la battaglia per il ritiro delle truppe. E il ritiro
delle truppe deve avvenire da tutti i teatri coloniali. Anche dai Balcani e
dall’Afghanistan oggi circondati dall’improvviso silenzio di tanta parte
delle leadership del movimento. In generale, solo la coerenza di una battaglia
antimperialista può consentire la necessaria lotta per un’altra egemonia
nella resistenza irachena, contro le tendenze baathiste e confessionali, a
favore di una prospettiva di classe anticapitalista.
Un polo autonomo di classe per un’alternativa
anticapitalista
Questa
proposta generale d’azione va rivolta nel modo più aperto a tutte le forze
del movimento operaio e dei movimenti protagonisti delle lotte di questi anni:
alle forze della cosiddetta sinistra critica, alle organizzazioni sindacali
collocatesi in questi anni nella lotta contro Berlusconi e per l’estensione
dell’articolo 18; al movimento antiglobalizzazione e alle sue rappresentanze,
alle forze mobilitatesi contro la guerra e per il ritiro delle truppe. Tutte
queste forze vanno chiamate a rompere col centro liberale dell’Ulivo, estraneo
ed ostile alle ragioni di lotta di questi anni e a realizzare un polo di classe
anticapitalistico che si candidi a dirigere una mobilitazione radicale per la
cacciata di Berlusconi da un punto di vista di classe. E’ una proposta in
primo luogo ai lavoratori e ai movimenti. Ma è anche una sfida alle loro
direzioni e rappresentanze, mettendo in causa, agli occhi della loro base, la
linea di coalizione con i liberali dell’Ulivo e quindi la subalternità
all’alternanza.
L’alternanza di Prodi, D’Alema, Montezemolo,
contro le lotte e i movimenti
La lotta
per un’alternativa di classe a Berlusconi è esattamente opposta alla
prospettiva dell’alternanza liberale oggi diretta dal centro dell’Ulivo.
Il
processo di alternanza liberale è già in moto, al di là dei suoi esiti.
Coinvolge il cuore dei poteri forti, della grande borghesia industriale, del
capitale finanziario. Queste forze, che pur hanno usato e usano Berlusconi, non
si sono mai identificate nel Polo e nel suo leader. Ed oggi accentuano il
proprio distacco e cambiando dichiaratamente cavallo. Il loro obiettivo pubblico
è il ripristino della pace sociale, la cancellazione delle lotte in corso e del
rischio di loro propagazione. Per questo rivendicano il ritorno alla
concertazione: che è assunta nuovamente come metodo più efficace per
paralizzare le reazioni di lotta alle politiche antipopolari, la cui continuità
è sospinta dalla crisi capitalistica e dalla costruzione imperialistica della
UE. Questa costituente programmatica dell’alternanza contro i lavoratori e i
movimenti, vede il sostegno della nuova Confindustria di Montezemolo che
nuovamente assicura il controllo del grande capitale sulla piccola-media
impresa; vede l’appoggio di Fazio e Bankitalia e delle grandi banche del Nord
e del centro che puntano alla ricomposizione di un nuovo equilibrio con
Confindustria; vede l’apertura della burocrazia dirigente della Cgil che si
sente rimessa in gioco dopo anni di emarginazione berlusconiana e che per questo
ritesse l’unità con Cisl e Uil. Ma soprattutto vede nel centro liberale
dell’Ulivo (Margherita, maggioranza DS, Sdi) la sua sponda politica di
riferimento. Un centro dell’Ulivo che si candida a costruire, sotto la
direzione di Prodi, la rappresentanza politica centrale della borghesia italiana
capace di trainare a rimorchio e subordinare a sé le rappresentanze del
movimento operaio e dei movimenti.
No all’inganno dei lavoratori e dei movimenti
Questo
processo materiale di alternanza non è “condizionabile” per linee interne
dai movimenti e dalle lotte: per il semplice fatto che è esattamente
indirizzato contro di essi. Del resto dopo tre anni di movimenti, gli indirizzi
di fondo del centro ulivista restano immutati: sostegno all’Europa
imperialista e alla sua Costituzione reazionaria, di cui è stato massimo
artefice; sostegno alle risoluzioni Onu sulla legittimità delle occupazioni
coloniali in Iraq, Afghanistan, Balcani contro i diritti di resistenza di popoli
oppressi; sostegno ai programmi sociali del capitalismo italiano
(liberalizzazioni, flessibilità, fondi pensione, moderazione salariale)
naturalmente “concertati” contro le lotte dei lavoratori e la loro nuova
radicalità; sostegno al bipolarismo maggioritario contro ogni vero ritorno alla
proporzionale.
Certo,
per consentire alle sinistre di appoggiare questo programma, i liberali potranno
anche provare a mascherarlo con finte concessioni: la celebrazione retorica
dell’art.11 della Costituzione (che non ha mai impedito una guerra),
l’impegno a non inviare truppe “senza decisione dell’Onu” (che in realtà
sancisce la legittimazione delle imprese coloniali “multilaterali”), la
promessa di maggiori attenzioni sociali per i “ceti deboli” sotto forma di
“protezione” dei lavoratori precari (che in realtà maschera la
stabilizzazione, seppur ammortizzata, del precariato). Presentare queste
eventuali “concessioni” come “vittoria” dei movimenti significherebbe
semplicemente ingannarli a copertura dell’ipocrisia liberale e utilizzare
questo inganno per integrarli nell’alternanza, come chiedono a gran voce i
liberali. Se le forze del movimento operaio e sindacale si subordinano a questo
inganno si assumono una responsabilità gravissima: quella di preparare la
sconfitta sociale e politica dei movimenti di lotta di questi anni, disperdendo
le loro grandi e preziose potenzialità, a vantaggio degli industriali e dei
banchieri.
Salvare il Prc dall’alternanza dei banchieri
Il Prc
non può partecipare a questo inganno. Ha anzi la responsabilità di
smascherarlo investendo a questo fine il voto ottenuto.
Il
nostro partito ha ottenuto un risultato elettorale positivo. L’aumento
dell’1,1%, nell’ambito della crescita più generale della cosiddetta
sinistra critica riflette il nostro sostegno alle lotte dei lavoratori, alle
mobilitazioni contro la guerra e per il ritiro delle truppe, ai movimenti di
lotta della giovane generazione. Oltre a capitalizzare, nel voto europeo,
l’assenza del simbolo DS. La comune soddisfazione per questo risultato ci
carica oggi di una nuova responsabilità: sottrarci e sottrarre i movimenti al
processo avvolgente dell’alternanza liberale e rilanciare nella lotta un
progetto di alternativa vera.
Ciò
implica una svolta profonda di linea politica del nostro partito.
La linea
intrapresa a partire dal marzo 2003 in direzione di un governo comune con
l’Ulivo ha rappresentato un fatto grave. Ha smentito nel modo più clamoroso
la rappresentazione dell’ultimo congresso come “svolta a sinistra”. E’
stata sottratta ad ogni reale verifica democratica nel partito. Ma soprattutto
avvia il Prc in una prospettiva politica contronatura: quella di un governo con
gli avversari dei lavoratori e dei movimenti. Celebrare questa svolta nel nome
dei movimenti non cambia la realtà. La rende solo più paradossale.
La
necessità di cacciare Berlusconi non giustifica affatto una prospettiva di
governo con l’Ulivo: cacciare Berlusconi si deve e si può, anche con accordi
tecnico-elettorali tra forze diverse del movimento operaio, nella piena
salvaguardia della propria autonomia politica e dell’autonomia dei movimenti.
Ciò che non si deve è subordinarsi al governo dell’alternanza aiutandolo a
integrare i movimenti e a cancellarne le ragioni. E’ questa una politica
opposta e senza principi.
I primi costi dell’alternanza nel rapporto tra
Prc e movimenti
La sola
intrapresa di questa prospettiva ha già comportato e comporta costi crescenti
per il nostro partito. Ogni critica, reale e visibile, alle burocrazie sindacali
e al ritorno concertativo della Cgil è stata semplicemente rimossa. Ogni reale
sostegno al diritto di resistenza del popolo iracheno contro il colonialismo
imperialista viene apertamente criticato e respinto. Cresce la pletora degli
assessorati nelle giunte liberali dell’Ulivo, sotto la direzione dei Soru,
degli Illy, fuori da qualsiasi criterio di classe e da qualsiasi bilancio delle
esperienze amministrative compiute. E non a caso, mentre la svolta governativa
del Prc ottiene il plauso della stampa ulivista e liberale, maturano i primi
contrasti con settori significativi dei movimenti.
Il caso
d’Erme sta qui. La maggioranza dirigente del partito ha sostenuto
politicamente i dirigenti disobbedienti e la cultura egemone di quel movimento,
sino a diluire in esso l’organizzazione giovanile comunista. E il gruppo
dirigente disobbediente aveva trovato nella maggioranza dirigente del Prc
un’utile cassa di risonanza propagandistica e un’utile sponda delle proprie
pratiche istituzionali: a partire dal sostegno alle giunte locali dell’Ulivo
(v. Roma). Ma ora la svolta di governo del Prc, la ricerca di un profilo
istituzionale e rispettabile agli occhi dei liberali dell’Ulivo, ha spinto la
segreteria nazionale del partito a scaricare l’ala del movimento meno
“presentabile” e che meno controlla. E’ un fatto molto significativo. Che
dovrebbe porre un problema di riflessione e bilancio nello stesso movimento
disobbediente attorno al rapporto col centrosinistra. E che soprattutto
rappresenta la spia di ben più ampie fratture tra partito e movimenti che il
nuovo corso governista porta inevitabilmente con sé.
Certo è
che se questa prospettiva governista dovesse davvero realizzarsi, se davvero il
Prc dovesse entrare un domani in un governo dell’Ulivo, tutte queste tendenze
involutive sarebbero condannate ad una precipitazione. E ciò rappresenterebbe
una rottura irrecuperabile del Prc con le proprie ragioni sociali e con il
meglio della propria storia.
O con i lavoratori o con Prodi e la Confindustria:
la responsabilità del prossimo congresso
Per
questo il Cpn rivolge un appello all’insieme dei compagni del Prc, al di là
di ogni vecchio steccato congressuale, perché tale deriva sia fermata. Il
prossimo congresso rappresenta un passaggio importante di questa necessaria
battaglia. Nell’ultimo anno le scelte filosofico-identitarie della non
violenza, la cancellazione indistinta dell’intero 900 con l’assimilazione di
leninismo e stalinismo, il varo di un partito della sinistra europea
dichiaratamente non comunista e ovunque segnato da una vocazione di governo
d’alternanza, non hanno affatto rappresentato scelte separate o
“culturali”: hanno rappresentato il risvolto indiretto, sul terreno
ideologico o internazionale, della prospettiva di governo con l’Ulivo. La
ricerca di un profilo stemperato, accettabile, apprezzabile dai salotti
intellettuali e politici del centrosinistra e della borghesia italiana.
Per questo è necessario che il prossimo congresso veda la presenza di una proposta alternativa altrettanto complessiva che punti a salvare l’autonomia di classe del nostro partito rilanciando un progetto di rifondazione comunista rivoluzionaria, nazionale e internazionale. Senza il quale non solo si disperde il socialismo ma si finisce col cancellare l’opposizione. Ciò che sarebbe davvero inaccettabile.