Marxismo rivoluzionario n. 3 - editoriale 

IL PRC VERSO IL VI CONGRESSO

 

 

di Marco Ferrando

 

 

Il Comitato politico nazionale del Prc del 3 e 4 luglio scorso può essere considerato a tutti gli effetti l’apertura del sesto congresso nazionale del partito. Le diverse posizioni si sono esplicitate con nettezza sia nei contenuti che nelle intenzioni congressuali. E soprattutto si sono misurate sul nodo politico centrale imposto dalla crisi politica del berlusconismo: la collocazione di classe del Prc rispetto al processo politico dell’alternanza. Questo sarà di fatto il tema centrale del sesto congresso. E questo sarà il terreno centrale della battaglia politica della sinistra coerente del Prc.

Fausto Bertinotti gioca una carta con­gressuale sempre più scoperta: fa leva sul risultato elettorale positivo del partito per rivendicare la “giustezza della linea” e accelerare l’inserimento del Prc nella coalizione di governo con l’Ulivo. La richiesta urgente e pressante di una “costituente programmatica delle opposizioni” per l’alternativa di governo, mira ad incassare al più presto la certezza dell’accordo e dei futuri ministri: prima che possibili e temute variabili della situazione politica (vedi le ipotesi “neocentriste”) possano scomporre gli schieramenti ed emarginare il Prc dal gioco politico di governo. Curiosamente questa accelerazione del Prc verso l’Ulivo non solo non poggia su alcun fondamento di classe ma si realizza proprio nel momento politico in cui la crisi berlusconiana libera verso il centrosinistra il grosso dei “poteri forti”, a partire dalla nuova Confindustria di Montezemolo. Proprio nel momento in cui l’incontro fra Montezemolo ed Epifani avvia il rilancio della concertazione in funzione della pace sociale. La verità sempre più manifesta è che l’ingresso proposto del Prc nel cartello dell’alternanza equivale all’ingresso di fatto nel disegno politico delle classi dominanti contro i lavoratori e le lotte.

Di fronte all’enormità di questa prospettiva emerge la vera natura politica delle tendenze interne “critiche” del bertinottismo. Ed anche le loro contraddizioni.

 

I dirigenti dell’area de “l’Ernesto” sono al riguardo esemplari. Da un lato scavalcano Bertinotti a destra, dall’altro provano a differenziarsi “a sinistra”. Da un lato plaudono alla “svolta” verso il confronto programmatico di governo con l’Ulivo (cioè col centrosinistra degli industriali e dei banchieri), ed anzi attribuiscono a questa svolta il successo elettorale del partito; dall’altro rivendicano punti programmatici “discriminanti” per realizzare il governo… con gli industriali e i banchieri. Non solo: se il centro liberale degli industriali e dei banchieri non dovesse accettare le condizioni minime proposte dall’“Ernesto”, il Prc non potrebbe entrare nel governo; dovrebbe, secondo Grassi, appoggiarlo dall’esterno, così come i partiti comunisti indiani appoggiano dall’esterno il governo borghese liberale dell’India (il quale, per inciso, ha imposto una legge finanziaria che aumenta del 17,9% le spese militari, vende le partecipazioni pubbliche, spalanca l’India al capitale straniero…). Come si vede il “sinistrismo” ideologico apparente della direzione de “l’Ernesto” e la sua “lotta” a Bertinotti non ha alcuna base né socialista né di classe. Ed anzi copre di fatto il processo di liquidazione dell’opposizione comunista in nome della ricollocazione di governo. Nulla di sorprendente: è la componente del partito che più difese il sostegno del Prc al primo governo Prodi e che è massimamente coinvolta col suo personale dirigente nella moltiplicazione degli accordi locali di governo con l’Ulivo (con i Soru e con gli Illy).

Sull’altro lato di “sinistra” della maggioranza si pone la tendenza “Erre”. Le cui contraddizioni, se possibile, sono ancora più clamorose. La tendenza “Erre” critica la prospettiva di governo con l’Ulivo. E’ indubbio. Dopo sei mesi si astensioni o silenzi negli organismi dirigenti “Erre è approdata ad una differenziazione critica. Si potrebbe dire: meglio tardi che mai. Ma non è questo il punto. Il punto è che questa differenziazione è fragilissima nelle sue premesse e nelle sue conclusioni. La critica a Bertinotti non è di ricollocare il partito in una prospettiva di governo delle classi dominanti contro i movimenti. Ma di mettere a rischio l’alternativa e di non puntare a sufficienza sui movimenti. La logica d’insieme resta, come sempre, non quella di un’alternativa politica al gruppo dirigente del Prc a partire da una proposta strategica alternativa, ma la pressione critica sul bertinottismo, per di più nel nome delle tesi bertinottiane del quinto congresso che Bertinotti avrebbe mal interpretato (a differenza di Cannavò). Di fatto, la disposizione favorevole di “Erre” verso le giunte locali con l’Ulivo, la richiesta al Partito della sinistra europea di aprirsi alle forze movimentiste, al posto della denuncia della sua natura governista, si collocano in questo quadro. Così la proposta di un polo “antiliberista”, e non anticapitalista, tradisce un’impostazione programmatica neoriformista e quindi utopica (l’“Europa sociale”): che non solo mina la battaglia per l’autonomia dei movimenti dal liberalismo “progressista” ma può, in alcuni casi, tradursi nella capitolazione al governo liberale; come nel caso della partecipazione al governo antioperaio di Lula da parte della sezione brasiliana del Segretariato unificato, corrente internazionale a cui fa riferimento “Erre”). E certo non è sostenendo il governo Lula che si può seriamente combattere la prospettiva di governo del Prc in Italia.

 

Solo Progetto comunista, in piena coerenza con il proprio percorso politico, si è assunto la responsabilità di dire la verità al partito: la maggioranza dirigente del Prc non sta commettendo un “errore”. Sta realizzando un disegno politico apertamente pattuito con Massimo D’Alema e il centro liberale per la liquidazione di fatto dell’opposizione comunista in Italia. Questo disegno non nasce oggi: risponde ad una naturale propensione governista del gruppo dirigente del partito (e dell’intero Partito della sinistra europea). La rottura col primo governo Prodi e il lungo tunnel dell’opposizione “movimentista” furono concepiti non come scelta strategica ma come recupero di forza negoziale per tornare a bussare alla porta del governo. Quando affermammo ciò al quarto e al quinto congresso del Prc fummo accusati, nel migliore dei casi, di essere visionari, in particolare dai compagni della sinistra bertinottiana (Ferrero e “Bandiera rossa”, oggi “Erre”). I fatti di oggi confermano disgraziatamente tutta la nostra analisi del bertinottismo e tutta la nostra previsione politica, sgomberando il campo da tante saccenterie.

 

Ma proprio per questo è essenziale che, al di là di ogni vecchio steccato congressuale, tutti i compagni che vogliono salvare l’opposizione comunista, che la considerano irrinunciabile, uniscano le proprie forze per una comune battaglia congressuale attorno a un testo chiaro e in equivoco. Che tragga fino in fondo le lezioni dell’esperienza e avanzi una proposta strategica coerentemente alternativa per la rifon­dazione comunista. Non una proposta “antiliberista”, ma una proposta rivoluzionaria per un’alternativa di società e di potere. L’unica proposta che risponde alla crisi del capitalismo e che dà un fondamento solido alla stessa opposizione comunista. L’unica proposta che può orientare, qui e ora, la stessa linea di massa dei comunisti nella classe operaia e in tutti i movimenti di lotta. La mozione che abbiamo presentato al Cpn del 3 e 4 luglio vuole introdurre questa battaglia con­gressuale.