Marxismo rivoluzionario n. 3 - speciale / lenin ottant'anni dopo
LENIN
SCONOSCIUTO
La rivoluzione sovietica e l'ecologia
Lenin
fu l’ispiratore delle prime iniziative del potere sovietico in campo
ambientale. E non per caso. Le prove della sua attenzione per i problemi della
natura si possono rintracciare in diversi scritti. E’ questo un lato inedito
del suo pensiero e della sua opera e la conferma che un’altra via di sviluppo
era possibile per l’Urss e per il socialismo. Anche in campo ecologico, lo stalinismo fu la
negazione dell’eredità leniniana e delle potenzialità rivoluzionarie
dischiuse dall’Ottobre.
di
Tiziano Bagarolo
C’è
un aspetto, certo non dei maggiori ma neppure trascurabile, del pensiero e
dell’opera di Lenin che resta sostanzialmente sconosciuto ai militanti, e
anche alla maggioranza degli studiosi, e che invece merita di essere recuperato
e conosciuto, non per mero scrupolo storico ma per ragioni sostanziali. Si
tratta del contributo teorico e soprattutto pratico che il rivoluzionario russo
ha dato nel campo della politica dell’ambiente.
Questo “Lenin sconosciuto” è una smentita di una certa rappresentazione convenzionale che è stata data molte volte dell’uomo e del dirigente rivoluzionario come insensibile a tutto ciò che non fosse lotta ideologica e azione immediata per il potere.
Rappresenta
anche la rivelazione di una precoce e insospettata attenzione del potere dei
soviet per i problemi ecologici, che proprio da Lenin ebbe un significativo
incoraggiamento, e la confutazione di diffusi luoghi comuni quali la cecità del
marxismo nei confronti della natura o l’inevitabile “fallimento ecologico”
del socialismo.
La
ricostruzione di questa dimensione inedita del grande rivoluzionario russo ci
consente inoltre di rispondere, con solidi argomenti e precisi riferimenti ai
fatti storici, all’imputazione rivolta in anni recenti ai padri del marxismo,
e segnatamente a Lenin, per il preteso “divorzio” fra il marxismo (e il
socialismo) e l’ecologia, divorzio che avrebbe contribuito agli esiti
disastrosi sul terreno ambientale delle prime società post-capitalistiche e che
più in generale avrebbe provocato il ritardo con cui il movimento operaio è
arrivato a fare i conti teorici e pratici con la questione dell’ambiente.
Come
vedremo, è vero esattamente il contrario. Non solo Lenin, nel suo sforzo di
analisi delle contraddizioni del capitalismo, manifestò fin dai primi anni del
Novecento un’attenzione non comune per temi che oggi diremmo ecologici ma, una
volta alla guida del potere sovietico, pur nelle condizioni estremamente
sfavorevoli della guerra civile, si preoccupò di impostare una strategia di
protezione della natura e di gestione razionale delle risorse naturali che
avrebbe dato per oltre un decennio risultati più che positivi. E che
prefigurava la possibilità di un “socialismo ecologico” che non si è
tradotto nella realtà non per congeniti vizi ideologici del marxismo o del
“leninismo”, come alcuni pretendono, ma per l’involuzione staliniana della
Russia post-rivoluzionaria, nelle condizioni tremende create dalla degenerazione
burocratica, dalla sconfitta della rivoluzione in Occidente e dall’isolamento
internazionale del primo Stato operaio.
Lenin
e la politica sovietica di protezione della natura
Fino
a una ventina d’anni fa, in Occidente si conosceva ben poco della politica di
protezione della natura attuata nei primi anni del potere sovietico e gli
studiosi occidentali giudicavano pura propaganda le affermazioni degli storici
sovietici che attribuivano a Lenin l’ispirazione di tale politica. Va aggiunto
che la disastrosa situazione dell’ambiente in Urss, venuta alla luce con
l’incidente di Chernobyl e con la crisi del regime burocratico, nonché note
vicende di repressione politica contro studiosi di primo piano, come il
famigerato caso Lysenko-Vavilov negli anni quaranta, non incoraggiavano certo a
pensare all’Urss come a un modello nel campo dell’ecologia e delle politiche
ambientali.
Un
quadro affatto diverso e una vicenda storica di estremo interesse, invece, è
stata rivelata dagli studi dello storico americano Douglas Robert Weiner che,
approfittando delle aperture del periodo gorbacioviano, ha potuto condurre una
ricerca approfondita negli archivi sovietici riportando alla luce documenti
originali da decenni interdetti anche agli studiosi sovietici (1). La ricerca di
Weiner non solo ha confermato il ruolo diretto svolto da Lenin nella promozione
delle politiche ambientali del potere sovietico ma ha altresì consentito di
apprezzarne il valore intrinseco e di comprendere un dato storico fondamentale:
l’impulso e l’ispirazione di Lenin hanno consentito all’ecologia e alla
conservazione della natura di sperimentare in Urss un periodo di progressi e di
risultati straordinari, all’avanguardia a livello mondiale, per tutti gli anni
venti. In seguito, il rovesciamento di quella ispirazione, che comincia
bruscamente all’inizio degli anni trenta nel quadro delle complessiva stalinizzazione
del paese, ha comportato un drammatico arretramento dell’autonomia degli
studiosi, l’emarginazione di idee e impostazioni d’avanguardia sul terreno
delle relazioni economia-ambiente e una drastica perdita di efficacia delle
politiche ambientali. Di qui il disastro ecologico che accompagna nei decenni
successivi l’impetuoso ma irrazionale sviluppo industriale dell’Urss
staliniana e che prolunga le sue conseguenze fino alla crisi del regime
burocratico negli anni ottanta.
Il
movimento per la protezione della natura aveva mosso i primi passi in Russia già
prima della guerra, sulla scia dei paesi occidentali più avanzati in questo
campo, Stati Uniti e Germania in particolare. Gli studiosi russi avevano
avanzato idee d’avanguardia sulla protezione della natura (2) e proposto un
piano di parchi naturali, rimasto ovviamente senza seguito. Non c’è dunque da
stupirsi se anche fra i conservazionisti prevaleva l’opinione che la Russia
avesse bisogno di urgenti e radicali mutamenti politici e sociali (3) . La
caduta dello zar fu perciò accolta con favore e nei mesi che seguirono la
rivoluzione del febbraio 1917 sorsero nei maggiori centri del paese nuove società
geografiche e naturalistiche (4) .
Tuttavia,
al momento della presa del potere da parte dei bolscevichi, le simpatie nei loro
confronti erano scarse. Osserva Weiner che l’approccio del partito di Lenin
nei confronti della conservazione era un’“incognita politica”. In effetti,
il partito bolscevico non aveva mai discusso in precedenza e adottato una chiara
posizione in materia.
Anche
per questo la posizione personale di Lenin assumeva un’importanza decisiva.
Benché anch’egli non avesse mai affrontato in modo organico e complessivo i
temi dell’ambiente, fra i dirigenti bolscevichi Lenin era uno dei più
consapevoli in materia (vedremo più avanti alcuni suoi scritti degli inizi del
secolo). In lui la convinzione circa l’urgenza di incrementare le forze
produttive del paese si accompagnava a una chiara consapevolezza della necessità
di rispettare le leggi naturali. L’obiettivo dell’efficienza nella gestione
dell’economia socialista includeva, e non ignorava, l’esigenza di una
gestione accorta delle risorse naturali e della loro preservazione e quella del
rispetto delle leggi ecologiche, come si può vedere in questo passo tratto
dall’indirizzo ai delegati comunisti del Consiglio centrale panrusso dei
sindacati dell’aprile 1919: “Per proteggere le fonti delle nostre risorse
dobbiamo agire in accordo con le leggi scientifico-tecniche. Per esempio,
trattando del rendimento delle nostre foreste, dobbiamo stare attenti che
l’industria forestale agisca correttamente. Trattando del petrolio, dobbiamo
attrezzarci per prevenire gli sprechi. E’ necessario insomma sforzarsi di
applicare le leggi scientifico-tecniche e un criterio di sfruttamento razionale.”
(5)
Questa
consapevolezza – e la percezione realistica dell’arretratezza storica della
Russia in cui, all’indomani della conquista del potere da parte degli operai,
prevalevano le sterminate masse contadine e la gretta burocrazia statale
ereditata dallo zarismo (6) – rafforzavano in Lenin la radicata convinzione
che la nuova Russia doveva far tesoro della migliore eredità culturale e
scientifica della borghesia, per cui era necessario cercare un’intesa con il
mondo accademico e con gli “specialisti” borghesi disponibili a collaborare
e, più in generale, promuovere con ogni mezzo lo sviluppo delle scienze
teoriche e applicate per elevare il livello culturale e quello tecnologico del
paese e creare le condizioni per un rapido incremento della produttività (7).
Guidato
da queste convinzioni, nell’aprile del 1918 Lenin concludeva l’accordo con
l’Accademia delle scienze: il governo sovietico riconosceva l’autonomia
delle istituzioni scientifiche e universitarie in cambio della loro leale
collaborazione con il nuovo potere. Con lo stesso spirito, ma forse con la
percezione di un’urgenza particolare, lavorava per la collaborazione con gli
esponenti delle scienze della natura e dei circoli conservazionisti.
Sono
molte le testimonianze di contemporanei che attestano una particolare sensibilità
di Lenin per i problemi di protezione della natura (8). Sappiamo che nelle
settimane trascorse a nascondersi dopo “le giornate di luglio” del 1917,
egli lesse alcune opere di argomento ecologico (9). Weiner ricorda anche qualche
aneddoto della vita privata di Lenin che testimonia la sua sensibilità
naturalistica: la passione giovanile per la pesca e le escursioni lunga il fiume
Svijaga presso Simbirsk e, più tardi, sulle alture lungo il Volga a Zhiguli; le
escursioni con la moglie Krupskaja sulle Alpi, sui Giura e sui Tatra, durante
l’esilio in Europa occidentale; la sua netta preferenza, in materia di tempo
libero, per il partito dei “progulisty” (i naturalisti) contro i “kinemasty”
(i cinefili). Abitudini conservate, per quanto possibile, anche durante gli anni
frenetici del potere (10).
Ben
più importanti sono, naturalmente, le azioni politiche concrete. E qui è
significativo il fatto che le prime leggi sovietiche di protezione della natura
portano tutte la firma di Lenin, e non certo per un mero fatto burocratico (11).
Dopo
il decreto “sulla terra”, dei primi giorni della rivoluzione, che mise nelle
mani dello Stato tutte le risorse naturali, sottraendole allo sfruttamento dei
privati e creando le premesse per una loro gestione razionale, due sono i
momenti salienti dell’avvio della politica sovietica nel campo
dell’ambiente. Ed entrambi portano l’impronta di Lenin.
Il
primo, già menzionato, fu l’accordo fra il governo sovietico, nella persona
del Commissario del popolo all’istruzione Anatolij Vasilevic Lunaciarskij, e
l’Accademia delle scienze, con il quale il potere sovietico riconosceva
l’autonomia delle istituzioni accademiche e scientifiche in cambio
dell’impegno a una leale collaborazione. Si tenga presente che
l’orientamento ideologico dei leader dell’Accademia era tutt’altro che
favorevole ai bolscevichi (e alle tendenze socialiste in generale). Ciò
nondimeno, l’accordo ridusse la conflittualità e rese possibile una
collaborazione che diede nel tempo frutti importantissimi, soprattutto dopo la
fine della guerra civile. Come vedremo più avanti, l’ecologia e le scienze
naturali in generale beneficeranno in modo particolare di questo quadro
favorevole.
Il
secondo evento è meno noto. Si tratta dell’incontro del gennaio 1919 fra
Lenin e Nikolaj Nikolaevic Podiapolskij, agronomo bolscevico di Astrakan, città
nella regione del Volga, incontro che segna il punto di partenza della politica
sovietica di tutela della natura. Vale la pena di riferire estesamente
l’episodio così come lo racconta Douglas Weiner.
In
quei giorni il governo sovietico era impegnato in una battaglia di vita o di
morte contro l’armata del generale “bianco” Kolciak che aveva superato gli
Urali e minacciava il cuore del territorio “rosso”. Malgrado la difficile
situazione, il 16 gennaio Lenin trova il tempo, su sollecitazione di
Lunaciarskij, di ricevere al Cremlino Nikolaj Podiapolskij, responsabile del
Commissariato del popolo all’istruzione ad Astrakan, giunto a Mosca per
perorare due proposte: aprire una università nella sua città e istituire una
riserva naturale (zapovednik, in russo) nel delta del Volga (essa sarà
in effetti la prima area naturale protetta istituita dal potere sovietico,
l’11 aprile 1919).
Racconterà
più tardi Podiapolskij che, dopo averlo ascoltato e “dopo avermi fatto
qualche domanda sulla situazione militare e politica della regione di Astrakan,
Vladimir Ilic diede la sua approvazione a tutte le nostre iniziative e in
particolare a quella che riguardava il progetto di zapovednik. Dichiarò che la
causa della conservazione era importante non solo per la regione di Astrakan, ma
altrettanto per l’intera repubblica, e che egli la considerava una priorità
urgente.” Lenin propose pertanto a Podiapolskij di elaborare subito un
progetto di legge sulla conservazione da applicare a tutto il paese. Costui, già
il giorno successivo, dopo aver lavorato freneticamente con l’aiuto di alcuni
legali e di alcuni attivisti di Mosca, consegnò il testo per il parere di Lenin
e, con sua grande sorpresa, lo ricevette indietro nella giornata stessa
corredato dalle osservazioni del capo del governo.
Successivamente
il provvedimento venne inviato per l’approvazione definitiva al Commissariato
del popolo all’istruzione. Non si trattò di una scelta casuale. Con acuta
lungimiranza, Lenin voleva che la responsabilità per la protezione della natura
fosse affidata a un organismo senza interessi diretti nello sfruttamento delle
risorse naturali per garantirgli il massimo di autonomia e di efficacia
nell’espletamento dei suoi scopi istituzionali. “Una scelta molto oculata”,
osserva Weiner, carica di conseguenze positive (12). Dopo aver superato vari
ostacoli burocratici, sollevati non a caso dai “ministeri” economici, con un
ritardo di due anni, il 16 settembre 1921 il decreto “Sulla protezione dei
monumenti della natura, i giardini e i parchi”, firmato personalmente da
Lenin, divenne legge dello Stato. Punto qualificante: l’attribuzione al
Commissariato all’istruzione delle competenze in materia di protezione della
natura e della facoltà di istituire parchi nazionali (zapovedniki) in
qualsiasi parte del territorio della nazione giudicato di particolare valore
ambientale, scientifico o storico-culturale. Nei parchi nazionali, inoltre,
veniva proibita ogni attività economica (caccia, pesca, prelievo di uova o di
piante, ecc.) non espressamente autorizzata.
Un
secondo risultato dell’incontro del gennaio 1919 fu la creazione nella
primavera dello stesso anno della Commissione provvisoria per la conservazione,
in seguito ribattezzata Comitato scientifico o Comitato statale per la
protezione dei monumenti della natura, con alcuni tra i più noti accademici e
scienziati russi, come il geografo Anuchin, il mineralogista Fersman, gli
zoologi Kots e Ognev, gli ecologi Severtsov, Kozhevnikov e Zhitkov. A capo della
Commissione venne posto l’astronomo bolscevico Vagran Tigran Ter-Oganesov. Una
delle prime realizzazioni di questo organismo fu l’istituzione del primo parco
nazionale della Russia sovietica, l’Ilmenskij zapovednik, nella regione
di Miass negli Urali meridionali (13). Il decreto istitutivo venne firmato da
Lenin il 4 maggio 1920.
In
conclusione, la presenza e l’intervento di Lenin nell’avvio della politica
sovietica di protezione della natura rivestirono un ruolo molto importante se
non decisivo. Il punto qualificante degli atti legislativi che si susseguirono
fra il ’19 e il ’21 fu l’attribuzione al Commissariato del popolo
all’istruzione (Narkompros) delle competenze non solo della gestione dei
parchi nazionali ma dell’intera politica di conservazione. Questa attribuzione
fu tutt’altro che scontata e tranquilla. Viceversa, fu fonte di ricorrenti
conflitti interburocratici con il Commissariato all’agricoltura (Narkomzem)
che a più riprese reclamerà a sé la gestione delle aree protette per poterle
sfruttare economicamente. Senza riuscirci, almeno fino al 1934. Poi, come per il
resto dell’Unione sovietica, la musica cambierà. “Fortunatamente, il
periodo di Lenin aveva lasciato solide fondamenta su cui costruire”, è il
giudizio finale di Weiner, con cui non si può non consentire (14).
Lenin,
Bogdanov e l’ecologia
Anche
se il ruolo di Lenin nell’avvio di una avanzata politica sovietica
dell’ambiente è ormai, dopo le ricerche di Weiner, un fatto storicamente
accertato, non è mancato chi in anni recenti ha voluto interpretare in modo
affatto diverso non tanto l’opera (che è fuori discussione) quanto la
“filosofia” di Lenin in relazione alla ricezione dell’ambientalismo in
Urss e più in generale nel marxismo. Si segnalano in questo senso i saggi di
due studiosi che hanno la pretesa di definirsi “ecosocialisti”: Juan
Martinez-Alier, che non era al corrente dell’opera di Weiner quando ha
formulato la sua tesi; e Arran Gare, che invece utilizza in modo a dir poco
discutibile, parziale e tendenzioso le ricerche di Weiner (15).
Juan
Martinez-Alier (16) in Ecological Economics, un lavoro del 1987 per
altri aspetti originale e pregevole, mette sotto accusa Lenin per la polemica
filosofica condotta in Materialismo e empiriocriticismo (17) contro Aleksandr
Bogdanov (18) e i “machisti” russi. Egli vede un rapporto di causalità
fra la posizione critica di Lenin nei confronti dell’“energetismo” di
Wilhelm Ostwald e della sua versione russa e “marxista” di Bogdanov e l’asserita
“insensibilità” del marxismo nei riguardi delle problematiche ecologiche e
in particolare della dimensione energetico-entropica dei processi produttivi
(19). Arriva ad affermare che, attaccando Bogdanov, che aveva suggerito una
connessione fra disponibilità di energia e forze produttive, Lenin si sarebbe
spinto “quasi a respingere lo stesso concetto di energia”. La
critica di Lenin a Bogdanov e a Ostwald, inoltre, sarebbe stata una vera “iattura”
perché con essa “la nube del sospetto leniniano... si addensò intorno al
concetto di energia, e ancor più all’energetica sociale” (20).
Di
queste pesanti affermazioni di Martinez-Alier c’è sostanzialmente una sola
cosa da dire: sono l’opposto della realtà. Per un verso egli travisa
malamente la posizione di Lenin sull’energia e sull’energetismo. Per un
altro, il suo giudizio sul valore e il significato di quest’ultima corrente
filosofica è fortemente squilibrato. In ogni caso, è storicamente infondato il
ruolo che egli attribuisce a questo scritto di Lenin e alle posizioni in esso
sostenute. In Materialismo ed empiriocriticismo Lenin non si sogna
affatto di negare il concetto di energia; anzi, in via d’ipotesi egli non
rifiuta neppure la possibilità di fare dell’energia, invece che degli atomi,
il concetto base per l’interpretazione del mondo fisico; per Lenin questo è
un problema empirico che va lasciato interamente agli sviluppi della ricerca
scientifica. Ciò a cui si oppone è l’interpretazione in chiave idealistica
di questa sostituzione, come se la “scomparsa della materia” (ossia la crisi
della nozione meccanicistica di materia invalsa fino ad allora nella fisica)
comportasse la scomparsa del mondo oggettivo; e come se quello di energia non
fosse anch’esso un concetto materialistico. La questione è discussa con
chiarezza nel quinto capitolo intitolato “La rivoluzione moderna nelle scienze
naturali e l’idealismo filosofico”, dove si esamina l’affermazione di
alcuni fisici secondo cui le ultime scoperte della fisica (in particolare la
scoperta dell’elettrone e della divisibilità dell’atomo) avrebbero
comportato la “scomparsa della materia”. Lenin non ha problemi ad ammettere
tale affermazione, se essa riguarda i modelli di interpretazione del mondo
fisico. Cosa diversa è attribuire ad essa un valore ontologico per negare la
realtà del mondo obiettivo, come fanno invece Mach e Avenarius, più
confusamente Ostwald e, più ambiguamente, Bogdanov (21).
Nel
sesto capitolo, “Empiriocriticismo e materialismo storico”, Lenin prende in
esame l’energetica sociale, o per dir meglio la revisione bogdanoviana del
materialismo storico. Anche qui, la sua critica non è rivolta all’energetica
come tale, ma all’applicazione esteriore, pasticciata e confusa della
terminologia “energetica” al materialismo storico, ciò che contribuisce a
confondere le idee piuttosto che a portare un arricchimento analitico reale
(22).
Partendo
dalle tesi di Martinez-Allier, Arran Gare, ha cercato di trovare la chiave di
spiegazione storica della vicenda dell’ambientalismo sovietico (23). Egli
collega lo sviluppo dell’ambientalismo a Bogdanov e alle sue idee in campo
filosofico (l’energetismo) e sociale (il Proletkult) e stabilisce invece un
nesso di continuità fra Lenin e Stalin. Mentre il materialismo e il centralismo
di Lenin sono responsabili, per Gare, del modello di socialismo
ultra-industrialista e antiecologico prevalso sotto Stalin, all’approccio di
Bogdanov viene invece attribuita la paternità di una “via alternativa” la
cui sconfitta avrebbe avuto per l’Urss e per il socialismo le ben note
conseguenze.
L’esposizione
fatta da Gare di alcuni aspetti poco noti del pensiero e dell’opera di
Bogdanov è interessante ma non dimostra affatto la sua tesi. Il procedimento di
Gare consiste nel sovrapporre alla vicenda storica una lettura ideologica
precostituita volta a “dimostrare” una causalità ideale che, per il resto,
non è confortata da nessun elemento di fatto (24). In Gare, l’unica parvenza
di un argomento storico è la concomitanza fra la fioritura dell’ecologia e la
parallela esistenza del Proletkult, il movimento di “cultura proletaria”
ispirato da Bogdanov. Ma è difficile, o meglio impossibile, vedere una
qualsiasi affinità, per non dire un rapporto di causalità, fra i due fenomeni
(25).
In
breve, le interpretazioni di Juan Martinez-Alier e di Arran Gare non stanno in
piedi. Se da un lato travisano completamente il senso della posizione di Lenin,
attribuendo invece a quella di Bogdanov un significato che storicamente non ha
avuto, dall’altro sono smentite in concreto dalla verifica storica a cui, dopo
l’Ottobre 1917, vennero sottoposti tanto gli uomini quanto le idee che furono
al centro di quella polemica filosofica.
Il
“materialismo” non solo non impedì ma semmai motivò l’impegno di Lenin a
favore delle scienze naturali, dell’ecologia e di una politica di
conservazione della natura. Il rifiuto dell’“energetismo” filosofico,
d’altra parte, non gli impedì di giudicare fondamentale e prioritario per lo
sviluppo economico e socialista del paese lo sforzo per l’elettrificazione
(sintetizzato anche in uno slogan famoso: “Il socialismo è uguale ai
soviet più l’elettrificazione”).
Per
altro, il già “bogdanoviano” Lunaciarskij – ma “trotskista” nel 1917
– ebbe dal “materialista” Lenin non solo l’incarico di Commissario del
popolo all’istruzione ma, proprio in virtù di quel ruolo, ebbe anche il
compito di occuparsi della protezione della natura che Lenin volle, con sguardo
lungimirante, sottratta all’influenza dei dicasteri coinvolti direttamente
nello sforzo economico. In questo compito delicato Lunaciarskij ricevette da
Lenin il massimo appoggio per l’adozione di misure d’avanguardia a favore
della conservazione e della ricerca ecologica.
Ancora:
nei conflitti ideologici che presero forma nella seconda metà degli anni venti
furono i “materialisti dialettici” del gruppo di Deborin coloro che seppero
meglio dialogare in modo fecondo con le scienze naturali e con l’ecologia
(26). Viceversa, un motivo tipicamente “bogdanoviano” – la
contrapposizione di una pretesa “scienza proletaria” alla “scienza
borghese”– divenne all’inizio degli anni trenta il tema portante dei
normalizzatori staliniani, protagonisti prima dell’attacco all’ecologia e
alla conservazione e, più tardi, dell’assalto alla genetica mendelliana (27).
In
conclusione: le posizioni filosofiche che si scontrarono nel dibattito del primo
decennio del secolo sull’empiriocriticismo non solo non offrono una chiave di
spiegazione della liquidazione da parte di Stalin, due decenni dopo,
dell’ecologia e dell’ambientalismo in Urss, ma neppure gettano una qualsiasi
luce sul tema sollevato da Martinez-Alier, ossia le ragioni del “divorzio”
intercorso fra il marxismo e l’ecologia. Nello specifico, è del tutto
infondata l’individuazione di una responsabilità “filosofica” di Lenin in
tal senso. Occorre cercare in tutt’altra direzione.
Al
contrario di quanto pretendono Juan Martinez-Alier e Arran Gare, è lecito
affermare invece che, non solo Lenin possedeva una chiara percezione
dell’esistenza di problemi ecologici, ma la sua posizione politico-filosofica
lo predisponeva a comprenderne la rilevanza. Lo si può ricavare da un esame più
ampio dei suoi scritti filosofici, esteso ad esempio ai Quaderni filosofici
(28), e soprattutto da alcuni saggi dei primi anni del Novecento, raccolti in
volume col titolo La questione agraria e i “critici di Marx”, in cui
sono esplicitamente trattati alcuni temi ecologici di rilievo, come il degrado
dei suoli ad opera delle tecniche capitalistiche di coltivazione o
l’antagonismo fra città e campagna, e dove Lenin ci ha lasciato le sue
opinioni sul modo in cui il socialismo avrebbe dovuto affrontare tali questioni
(29).
L’immagine
della natura nel materialismo dialettico leniniano
Negli
appunti sparsi e discontinui dei Quaderni filosofici non possiamo trovare
una elaborazione originale e sistematica; possiamo tuttavia rintracciare, nelle
sottolineature e nelle osservazioni di assenso o di dissenso annotate da Lenin
in margine alle sue letture filosofiche, molti elementi del suo pensiero sulla
natura e sul rapporto uomo-natura. Essi non ci offrono nuove scoperte: ci
confermano semmai il particolare debito del materialismo dialettico leniniano
verso Engels (e verso Feuerbach e Hegel) per ciò che riguarda la concezione
dell’uomo come parte del mondo naturale, o quella dei processi spirituali come
prodotto della materia organica e non di una Ragione o di uno Spirito
disincarnati. Non occorre fare qui un’analisi approfondita di questi
materiali. Ci limitiamo a richiamare alcuni passaggi più significativi.
Negli
appunti (redatti dopo il 1909) sulle Lezioni sull’essenza della religione
di Feuerbach, Lenin riporta numerosi passi del filosofo materialista tedesco in
cui è affermato il carattere originario e onnicomprensivo della natura, il suo
essere corporea, materiale, fondamento della vita dell’uomo, complesso di
forze ed enti sensibili in costante rapporto di interazione30. Si veda, ad
esempio, questa citazione da Feuerbach dal forte sapore “olistico”, sorta di
anticipazione filosofica del punto di vista ecologico: “Ciò che infatti
l’uomo chiama finalità della natura non è altro che l’unità del mondo,
l’armonia delle cause e degli effetti, la connessione generale in cui esiste e
opera ogni cosa della natura.” (31)
Osservazioni
interessanti sulla natura e la conoscenza umana della stessa intessono gli
appunti di lettura (del 1914-15) della Scienza della logica di Hegel.
Riassumendo alcuni passaggi della “filosofia dell’essenza”, secondo la sua
precipua lettura “materialistica” di Hegel, Lenin fa in realtà la sintesi
del proprio punto di vista in termini che meritano di essere qui riferiti perché
consentono di apprezzare le affinità esistenti fra la visione filosofica
dell’essere propria del materialismo dialettico e la visione della natura
propria dell’ecologia scientifica: “Se non sbaglio, c’è molto
misticismo e vuota pedanteria in questi ragionamenti di Hegel, ma è geniale
l’idea fondamentale: dell’universale, onnilaterale e vivente connessione
di tutto con tutto e del rispecchiamento di questa connessione… nei
concetti dell’uomo, che devono essere altresì affinati, elaborati, duttili,
mobili, relativi, reciprocamente connessi, essere uno nelle opposizioni, per
poter abbracciare il mondo. La prosecuzione dell’opera di Hegel e di Marx deve
consistere nell’elaborazione dialettica della storia del pensiero
umano, della scienza e della tecnica.” (32)
Più
avanti un passo che riassume il valore e i limiti della conoscenza umana della
natura: “L’uomo non può afferrare = rispecchiare = riflettere la natura intera,
completamente, nella sua ‘totalità immediata’, ma può solo avvicinarsi
eternamente a questo, creando astrazioni, concetti, leggi, un’immagine
scientifica del mondo…” (33)
Ma
Hegel fornisce a Lenin spunti significativi anche sul rapporto uomo-natura, e in
particolare sul ruolo della tecnica in relazione alle leggi di natura. A tal
proposito Lenin è estremamente chiaro nel porre le leggi di natura come
fondamento e limite dell’attività umana: “Le leggi del mondo esterno,
della natura… sono il fondamento dell’attività finalistica umana.
Nella sua attività pratica l’uomo ha dinnanzi a sé il mondo oggettivo,
dipende da esso, determina per suo tramite la propria attività… Due forme del
processo oggettivo: la natura… e l’attività ponentesi un fine.
Correlazione di queste due forme. I fini dell’uomo sembrano dapprima estranei
(‘altri’) rispetto alla natura. La coscienza dell’uomo, la scienza…
rispecchia l’essenza, la sostanza della natura, ma è al tempo stesso un che
di esteriore rispetto alla natura (non coincide con essa immediatamente,
semplicemente). La tecnica… serve ai fini dell’uomo appunto perché
il suo carattere (essenza) consiste nella sua determinazione da parte delle
condizioni esterne (leggi della natura)… In realtà i fini dell’uomo
sono generati dal mondo oggettivo e lo presuppongono: lo trovano come un dato,
come presente. Ma all’uomo sembra che i suoi fini siano fuori del mondo
e da esso indipendenti (‘libertà’).” (34)
Sui
problemi ecologici dell’agricoltura capitalistica
Troviamo
invece le prove dell’attenzione precoce di Lenin per i temi ambientali in
alcuni saggi degli inizi del Novecento, composti e pubblicati fra il 1901 e il
1907 e successivamente raccolti in volume col titolo La questione agraria e i
“critici di Marx”. In questi scritti – occasionati dalle polemiche
seguite alla pubblicazione nel 1898 del voluminoso saggio di Karl Kautsky Die
Agrarfrage (la questione agraria), che riproponeva e aggiornava
autorevolmente le posizioni marxiste in materia (35) – Lenin esamina
criticamente le posizioni dei “revisionisti” tedeschi (David, Hertz, ecc.) e
dei critici russi di Kautsky (Bulgakov e Cernov). Questi, sulla scia degli
economisti borghesi, tendevano a negare lo sviluppo capitalistico
dell’agricoltura e ad attribuire al carattere conservatore delle “forze
della natura” e alla cosiddetta “legge della fertilità decrescente della
terra” l’arretratezza dell’economia agricola e l’impoverimento dei
contadini, cioè ad eludere o a negare le vere cause sociali e storiche di
questi fenomeni.
Lenin,
in effetti, non si limita a una difesa d’ufficio di Kautsky o della teoria
marxista, compito che comunque porta a termine con la ben nota implacabilità,
demolendo i critici nel merito e nel metodo e dimostrando ad abundantiam
la loro inattendibilità scientifica. Riprendendo spunti e idee della sua opera
precedente Lo sviluppo del capitalismo in Russia, egli ripropone proprio
alla luce delle novità introdotte dallo sviluppo storico e dall’avanzamento
delle scienze naturali, l’intatta validità delle posizioni di Marx e di
Engels sulla rendita, sulla penetrazione dei metodi capitalistici nelle
campagne, sulle tendenze alla concentrazione della proprietà agraria e alla
rovina dei piccoli produttori indipendenti e così via. Su due temi in
particolare Lenin difende appassionatamente Kautsky e le posizioni dei
“classici”: 1) l’analisi delle conseguenze antiecologiche dei metodi della
moderna agricoltura capitalistica, che provocano il depauperamento del suolo,
compromettono la salute dei lavoratori e comportano l’inquinamento delle città
e dei fiumi; 2) la soluzione socialista di questi problemi, che passa
necessariamente per l’eliminazione progressiva dell’antagonismo fra città e
campagna da un lato e dall’altro per l’utilizzo di tecniche di coltivazione
attente a preservare la fertilità dei suoli (“sostenibili”, diremmo oggi).
Nel
quarto dei saggi che compongono il volume – significativamente intitolato L’eliminazione
dell’antagonismo fra città e campagna. Questioni particolari sollevate dai
“critici” – dopo aver duramente replicato a Cernov e alle accuse da
questi rivolte a Kautsky di ignorare i risultati delle più recenti ricerche
scientifiche (36), Lenin ribadisce il punto di vista già espresso negli scritti
di Marx e di Engels. Osserva in particolare che l’utilizzo dei fertilizzanti
artificiali “sarebbe un palliativo in confronto allo sperpero degli
escrementi umani dovuto all’attuale sistema di fognatura delle città... E’
chiaro che la possibilità di sostituire i concimi naturali con fertilizzanti
artificiali e il fatto che questa sostituzione venga (parzialmente)
già praticata non intaccano minimamente la verità che è irrazionale
sperperare senza utilizzarli i concimi naturali, infettando tra l’altro coi
rifiuti i fiumi e l’aria nelle zone suburbane e vicine ai centri
industriali... I fertilizzanti artificiali – dice Kautsky ... –
‘permettono di far fronte alla diminuzione della fertilità del terreno; ma la
necessità di impiegarli in quantità sempre maggiori significa soltanto che
nuovi pesi si aggiungono ai molti altri che già gravano sull’agricoltura,
pesi che non sono una necessità naturale, ma derivano dai rapporti sociali
esistenti’.” (37)
Si
noti che Lenin difende “la concezione socialista dell’eliminazione
dell’antagonismo tra città e campagna” contro i critici (Bulgacov
e Hertz) che l’avevano definita “pura fantasia” e “utopistica”, per
motivi fondamentalmente ecologici: “Ma l’aperto riconoscimento della
funzione progressiva delle grandi città nella società capitalistica non ci
impedisce affatto d’includere nel nostro ideale (e nel nostro programma
d’azione…) l’eliminazione dell’antagonismo tra città e campagna. Non è
vero che ciò equivalga a rinunciare ai tesori della scienza e dell’arte. Al
contrario: ciò è indispensabile per rendere questi tesori accessibili a
tutto il popolo, per eliminare quell’isolamento dalla civiltà di milioni
di abitanti della campagna che Marx ha giustamente definito ‘idiotismo della
vita rustica’. E oggi che l’energia elettrica può essere trasmessa a grandi
distanze, che la tecnica dei trasporti è giunta fino a permettere di
trasportare i viaggiatori, e con minori spese (di quelle attuali), a più di 200
verste all’ora [una versta è pari a km 1,07; ndr], non esiste
assolutamente nessun ostacolo tecnico a che tutta la popolazione, disseminata in
modo più o meno uniforme per tutto il paese, approfitti dei tesori della
scienza e dell’arte accumulati in alcuni centri nel corso dei secoli.
“E,
se nulla si oppone all’eliminazione dell’antagonismo tra città e campagna
(e non si deve certo immaginarla nella forma di un unico atto, ma in quella di
tutta una serie di misure), non è certo il solo ‘sentimento estetico’ a
richiederla. Nelle grandi città gli uomini sono soffocati, secondo
l’espressione di Engels, dal fetore dei loro propri rifiuti [Lenin fa qui
riferimento a un passo di Engels ne La questione delle abitazioni, ndr],
e tutti coloro che possono fuggono periodicamente dalla città alla ricerca di
aria fresca e di acqua pura. Anche l’industria si dissemina per tutto il
paese, perché anch’essa ha bisogno di acqua pura. Lo sfruttamento delle
cascate, dei canali e dei fiumi per produrre energia elettrica darà nuovo
impulso a questa ‘dispersione dell’industria’. Infine, last but not
least, l’utilizzazione razionale dei rifiuti della città in generale, e
degli escrementi umani in particolare, tanto importanti per l’agricoltura,
esige anch’essa la soppressione dell’antagonismo tra città e campagna.”
(38)
Infine
– e chiudiamo con questo l’esame di questi scritti, che in verità
presentano molti altri spunti di attualità (39) – meritano di essere riferite
alcune osservazioni di portata generale relative al rapporto uomo-natura che
Lenin inserisce en passant nella trama del suo ragionamento perché, fra
l’altro, smentiscono il luogo comune che accusa il marxismo e i marxisti di disconoscere
il posto della natura nei processi produttivi in virtù di un’errata
valutazione del lavoro umano come unica forza produttiva. Questo, invece, è
proprio l’errore che Lenin, sulla scia di Marx, contesta a Bulgakov che “...scade
al livello dell’economia volgare, chiacchierando di sostituzione del lavoro
umano alle forze della natura, ecc. Sostituire il lavoro umano alle forze della
natura è, generalmente parlando, altrettanto impossibile quanto sostituire i pud
agli arsin [la prima è una misura russa di lunghezza, la seconda di peso,
ndr]. Nell’industria come nell’agricoltura l’uomo può soltanto
utilizzare l’azione, se la conosce, delle forze della natura e rendere più
facile a sé stesso questa utilizzazione per mezzo di macchine, attrezzi, ecc.”
(40)
Questa
osservazione, apparentemente marginale, ci dice in verità due cose importanti:
1) che sul terreno analitico Lenin presta grande attenzione alla dimensione
fisica, concreta, dei processi produttivi (che è quella nella quale si
manifestano in prima istanza i problemi ecologici, perché questi sono per
l’essenziale problemi del ricambio materiale organico fra le società
umane e il loro ambiente naturale); 2) che sul terreno filosofico più generale
Lenin riconosce nella natura un ordine predeterminato e irriducibile alla
volontà umana, un ordine che l’uomo non può pensare di alterare. Si tratta
di una posizione, come per altro quelle di Marx e di Engels, che rientra
indubbiamente nella tradizione dell’antropocentrismo che convenzionalmente
si fa risalire a Francesco Bacone, ma di un antropocentrismo prudente e
saggio, consapevole delle relazioni, e delle responsabilità, che connettono le
società umane al proprio ambiente naturale (41).
Si
potrebbe osservare a questo punto che la posizione di Lenin che scaturisce dal
nostro esame non è particolarmente originale: egli, in fin dei conti, si limita
a ribadire concetti e orientamenti già proposti da Marx e da Engels e
riproposti da Kautsky. Questo è vero, ma il punto che ci premeva sottolineare
qui non era l’originalità di Lenin in relazione all’elaborazione
marxista, ma piuttosto il fatto che, ben prima dell’Ottobre 1917, egli aveva
assimilato e rielaborato personalmente questi temi così da possedere di questa
materia una chiara consapevolezza politico-teorica. Ciò significa, in
altre parole, che l’interesse con cui Lenin accolse Podiapolskij al Cremlino
ed esaminò le sue idee in materia di protezione della natura, in quelle
convulse giornate di guerra civile del gennaio 1919, non fu un fatto casuale e
neppure il frutto di una mera sensibilità di indole personale.
Quell’interesse nasceva da un’acuta consapevolezza dei problemi da
affrontare, che a sua volta aveva una solida base teorica e filosofica. Questa
base era il marxismo o, se si vuole, lo specifico “marxismo di Lenin”,
alieno tanto da interpretazioni economicistiche quanto da letture idealistiche,
rafforzato dalla frequentazione delle medesime “fonti filosofiche” di Marx e
di Engels e forse reso più avvertito nei confronti della natura dalla passione
per le scienze naturali appresa dal giovane Vladimir sui libri del fratello
maggiore Aleksandr.
L’esame
storico e teorico qui condotto, ci hanno consentito di delineare la figura, per
certi aspetti inattesa, di un dirigente marxista rivoluzionario in possesso di
una non comune percezione dei problemi ecologici e delle loro cause, nonché di
idee ben precise sul modo di affrontarli e di un raro senso dell’opportunità
sui passi concreti da intraprendere, stante il difficile contesto generale,
obiettivo e soggettivo, per inserire la conservazione nel disegno della
trasformazione socialista. Questo, anche se misconosciuto, è il contributo
prezioso che Lenin ha lasciato in un campo in cui allora tutti, non solo il
giovane potere sovietico, muovevano i primi passi.
Nella
tragedia complessiva dell’involuzione staliniana della rivoluzione sovietica,
rientra anche il capitolo della tragedia dell’ecologia sovietica. L’impulso
geniale dato da Lenin in questo campo fu non solo soffocato e tradito nella
pratica, ma anche pressoché cancellato dalla memoria. E’ a questo tradimento
e a questo oblio, in verità, che dobbiamo imputare, almeno per quello che
riguarda la sua causazione ideale, il “divorzio” durato a lungo fra il
movimento operaio e l’ambientalismo.
Anche
se questo non è il luogo per ricostruire l’intera vicenda dell’ecologia
sovietica, è utile riferire qui sommariamente il seguito della sua storia e in
particolare il modo in cui lo stalinismo, anche in questo campo, ha rovesciato e
negato l’eredità di Lenin.
L’eredità
di Lenin e la tragedia dell’ecologia sovietica sotto Stalin
Abbiamo
già visto il giudizio di Weiner sull’azione di Lenin: “Per fortuna, il
periodo di Lenin ha lasciato solide fondamenta sulle quali costruire”. I
provvedimenti degli anni 1918-1923, per quanto in parte inapplicati,
costituirono infatti la base per le significative realizzazioni della seconda
metà degli anni venti, quando l’economia sovietica riprese rapidamente
slancio. Fu questo il periodo d’oro dell’ecologia e della conservazione in
Urss. Vennero creati varie decine di zapovedniki, la cui area totale
raggiunse i quattro milioni di ettari nel 1929. Cattedre di ecologia vennero
istituite nelle principali università. Nacque un vero e proprio movimento per
la conservazione della natura, dotato di larga autonomia dal governo, dal quale
riceveva comunque incoraggiamenti ed appoggi attraverso il Commissariato
all’istruzione e al suo titolare, Lunaciarskij.
Nel
1924 venne creato dal Commissariato all’istruzione la Società panrussa di
conservazione con lo scopo di “promuovere con tutti i mezzi l’attuazione
pratica della conservazione... e di risvegliare l’interesse della società”.
La protezione della natura divenne parte dei programmi scolastici e vide la luce
la rivista “Okrana Prirodi” (Conservazione della natura) dedicata a questi
temi con un’apertura internazionale. Nel 1925 presso il medesimo Commissariato
venne istituito il Goskomitet, comitato statale incaricato di sovrintendere e
coordinare la politica di protezione e la gestione dei parchi nazionali.
Negli
stessi anni si sviluppa il ruolo in questo campo di un’associazione creata nel
1922 sotto l’egida dell’Accademia delle scienze, l’Ufficio centrale per lo
studio delle tradizioni locali, vera e propria organizzazione di massa diretta
da scienziati, giunta alla fine degli anni venti a contare sessantamila iscritti
e più di duemila circoli locali.
Secondo
Weiner, ebbe successo in questo periodo il dialogo fra gli esponenti più
attenti e aperti del nuovo potere sovietico (oltre a Lenin e i già citati
Lunaciarskij e Podiapolskij, vanno ricordati Smidovic e Ter-Oganesov, che
ricoprirono a lungo posizioni di vertice in organismi legati alla
conservazione), e l’ala avanzata degli ecologi e del movimento conservazionista
(Kozhevnikov, Severstov, Shillinger, Alechin, Stanchiskij, Kashkarov, Makarov…).
I primi, sulla scia dell’insegnamento di Lenin, giudicavano importante una
saggia gestione delle attività produttive e delle risorse naturali ai fini di
un’armonica edificazione socialista, e facevano conto per questo sulla
collaborazione con gli ambienti scientifici. I secondi, che rappresentavano la
giovane generazione di studiosi, molti dei quali prima della guerra avevano
avuto modo di viaggiare e studiare all’estero e di partecipare ai dibattiti
internazionali, condividevano l’ispirazione modernizzatrice del regime e in
materia di protezione della natura non partivano da pregiudizi anti-industriali,
presenti forse nella precedente generazione, ma da un approccio scientifico.
Questa
collaborazione diede risultati straordinari sia in campo scientifico (42), sia,
come abbiano detto sopra, in campo realizzativo.
Ma
questo quadro favorevole cambiò radicalmente tra la fine degli anni venti e la
metà degli anni trenta, in coincidenza con l’avvio dei piani quinquennali e
la definitiva affermazione del potere di Stalin ai vertici della burocrazia.
Erano gli anni terribili dell’industrializzazione “a tappe forzate”, della
crisi dei rapporti con le campagne e della collettivizzazione coatta. Sul
piano politico furono gli anni dell’espulsione di Trotsky dal paese, della
liquidazione di tutte le opposizioni, dell’avvio delle grandi purghe.
Il
rapporto dialettico fra il regime e gli studiosi, instaurato da Lenin e
garantito da Lunaciarskij, venne meno. Al dibattito relativamente libero
fra diverse posizioni scientifiche e filosofiche, che aveva caratterizzato gli
anni venti, subentrò la “bolscevizzazione” delle scienze e della cultura,
ossia l’obbligo per artisti e studiosi di uniformarsi ai criteri ideologici
imposti dall’alto, senza molto rispetto per le regole dell’arte, della
ricerca e della verità (43). Agli ecologi, in particolare, venne chiesto di
smetterla di discutere gli obiettivi dei piani quinquennali e di assoggettarsi
agli imperativi di crescita fissati dai burocrati dei ministeri economici. Di
fronte agli effetti negativi sull’ambiente dello sviluppo industriale
accelerato (inquinamento e degrado del territorio, sfruttamento eccessivo delle
risorse naturali, ecc.), gli ecologi avevano infatti reagito denunciando gli
obiettivi irrealistici, reclamando attenzione per i limiti naturali e avanzando
idee innovative come quella di valutare anticipatamente l’impatto ambientale
delle scelte economiche (44). Ancora nel 1931, nel primo manuale sovietico di
ecologia scritto da Danijl Kashkarov, uno stretto collaboratore di Stanchinskij,
si poteva leggere un’intelligente difesa dell’ecologia come guida essenziale
per una pianificazione razionale dello sviluppo economico socialista (45).
Ma
l’affermarsi della dittatura totalitaria di Stalin al vertice dello Stato e il
potere dei suoi scherani nel mondo accademico (nel 1929 Lunaciarckij lasciò la
guida del Commissariato all’istruzione) lasciarono pochi spiragli agli
ecologi. Fra il 1932 e il 1934, Isai Izrailovic Prezent e Trofim Denisovic
Lysenko (che più tardi diventeranno famosi per la persecuzione contro Nicolaj
Vavilov a la genetica mendelliana in nome di una improbabile scienza
“proletaria” (46)) fecero le prove generali della “normalizzazione”
proprio con l’ecologia. I recalcitranti furono rimossi dai loro incarichi,
molti arrestati. Sorte che nel 1934 toccò anche a Vladimir Vladimirovic
Stanchinskij, in quel momento il più originale teorico russo dell’ecologia e
il più tenace difensore della politica di conservazione. Finì così lo
straordinario esperimento che aveva visto per tre lustri la feconda
collaborazione fra il regime sovietico e un settore di nuova intelligentsija
e che aveva prodotto risultati di grande portata il cui significato storico
andava oltre la Russia e gli anni venti per investire una delle questioni vitali
della nostra epoca.
Col
prevalere dello schema staliniano del “socialismo in un paese solo”, finì
per prevalere anche un’idea dello sviluppo e del rapporto con la natura di
marca grettamente economicistica. I passi in avanti del “socialismo”
vennero misurati in base ai milioni di tonnellate di carbone e di acciaio
prodotti o alle dimensioni ciclopiche delle realizzazioni industriali. Simbolo
del periodo divenne l’Hidroproject, l’ente di Stato incaricato di
realizzare in tutto il paese canali, dighe e impianti idroelettrici, che forse
favorirono a breve termine la rapidissima trasformazione industriale del paese,
ma al prezzo di un’ingente devastazione ambientale.
Alla
preoccupazione di una prudente gestione dell’ambiente naturale ispirata a
criteri scientifici, subentrò la pretesa di “trasformare la natura”
e di “correggerne gli errori millenari”, come suonavano le
affermazioni di Stalin. Più grave ancora, l’annullamento di ogni dialettica
democratica all’interno della società sovietica lasciò alla burocrazia
dominante le mani libere per ogni arbitrio. La stessa normativa ambientale molto
avanzata, varata nei primi anni del potere sovietico, finì per restare lettera
morta e le istanze della protezione dell’ambiente vennero emarginate e
soffocate per almeno un ventennio (47).
In
queste condizioni, la soppressione della proprietà privata della terra e delle
risorse naturali, che aveva reso possibili le realizzazioni degli anni venti,
non fu sufficiente per impedire lo sfruttamento irrazionale delle risorse e del
territorio, la devastazione delle aree vergini, gli effetti nefasti di uno
sviluppo economico la cui logica rifletteva le miopi priorità dei gruppi
burocratici dominanti a livello centrale e locale. E’ questo il quadro che
produrrà in seguito misfatti come l’inquinamento del Lago Bajkal, la morte
del Mare d’Aral, il progetto di invertire il corso dei fiumi siberiani, la
catastrofe nucleare di Chernobyl ...
E’ in questi sviluppi politici, non certo nella polemica filosofica fra Lenin e Bogdanov dei primi del Novecento, che vanno cercate le radici reali del disastro ecologico del “socialismo reale”, ossia della perversione dell’idea di socialismo che storicamente porta il nome di “stalinismo”. Anche in questo campo, dunque, Stalin ha rappresentato la negazione, non certo la continuità, dell’eredità di Lenin.
Note
(1)
Oltre a numerosi saggi pubblicati su varie riviste, sulla storia dell’ecologia
in Urss dalla rivoluzione a Gorbaciov D. R. Weiner ha scritto due fondamentali
volumi: Models of Nature. Ecology, Conservation, and Cultural Revolution in
Soviet Russia, Indiana University Press, 1988; e: A Little
Corner of Freedom. Russian Nature Protection from Stalin to Gorbachev,
University of California Press, 1999. I lavori di Weiner hanno stimolato l’interesse degli
studiosi in Ucraina e in Russia e nuove ricerche su aspetti particolari hanno
visto la luce nell’ultimo decennio. Purtroppo nulla di tutto questo è
disponibile in italiano.
(2)
Nel 1909 lo zoologo russo Grigorij Aleksandrovic Kozhevnikov aveva proposto
l’idea, del tutto nuova nell’ambito del movimento conservazionista
internazionale, di istituire riserve naturali completamente isolate da ogni
attività umana (zapovedniki), non solo per motivi protezionistici ma
anche per scopi scientifici, per poter disporre di modelli (etaloni) del
funzionamento della natura vergine. La sua sensibilità d’avanguardia si
rivela anche nel seguente episodio: nel 1913, alla Conferenza internazionale per
la protezione della natura di Berna, Kozhevnikov si battè quasi isolato per la
protezione non solo della natura ma anche dei popoli primitivi.
(3)
“Questo appoggio [ai cambiamenti, ndr] si sarebbe più tardi
trasformato in collaborazione col nuovo regime sovietico” scrive Weiner
con riferimento in particolare a Kozhevnikov, esponente di punta del movimento
(op. cit., p. 21).
(4)
La Commissione permanente per la conservazione della Società geografica
organizzò un’importante Conferenza della conservazione a Pietrogrado dal 30
ottobre al 2 novembre, dove si incontrarono alcuni dei più importanti
naturalisti russi del periodo prerivoluzionario, come Borodin, Kozhevnikov,
Taliev, Andrei e Veniamin Petrovic Semenov-tian-shanskij. Nel corso della
conferenza fu presentato da Zavadskij un disegno di legge per la creazione di
un’autorità governativa centrale preposta alla conservazione con ampi poteri
di esproprio. Nella stessa occasione V. P. Semenov-tian-shanskij presentò il
primo piano per una rete nazionale di zapovedniki concepiti sul modello dei
parchi nazionali americani. Nel tardo autunno avrebbe dovuto riunirsi a Mosca
anche la prima assemblea della Società moscovita di conservazione (il 12
novembre, secondo il nuovo calendario), ma l’appuntamento venne annullato
perché le strade erano insicure per i combattimenti. D’altra parte la guerra
e i rivolgimenti sociali nelle campagne avevano avuto un impatto devastante
sull’ambiente naturale e ciò non preoccupava solo i conservazionisti. Weiner
riferisce un episodio significativo. Nell’estate del 1917, il soviet di
Kronstadt, preoccupato per la possibilità che venisse devastata la famosa
riserva naturale di Askania-Nova in Ucraina meridionale, votò una risoluzione
per chiedere al governo provvisorio di intervenire e quest’ultimo inviò ad
Askania-Nova il botanico Pachoskij (che vi sarebbe rimasto fino al 1923) e il
generale Kozlov.
(5)
Weiner, op. cit., p. 23, nota 24.
(6)
Su queste questioni si veda il rapporto al VII congresso del partito (marzo
1918) I compiti immediati del potere sovietico: “L’aumento della
produttività del lavoro esige anzi tutto che siano garantite le basi materiali
della grande industria… Un’altra condizione per elevare la produttività del
lavoro è in primo luogo lo sviluppo educativo e culturale della massa della
popolazione.” in Opere scelte, vol. IV, p. 671; si veda pure il Rapporto
sul programma del partito all’VIII congresso (vedi nota successiva). Si
confronti con lo scritto di quattro anni dopo Meglio meno, ma meglio
(marzo 1923), in Opere scelte, vol. VI, pp. 745-757.
(7)
“Pensare di poter edificare il comunismo
soltanto con le mani dei comunisti puri, senza l’aiuto degli
specialisti borghesi, è un’idea puerile… Questi ultimi hanno fatto
progredire la cultura nel quadro del regime borghese; arricchivano cioè la
borghesia d’immense conquiste materiali, delle quali al proletariato non
riservavano che un’infima parte. Ma essi hanno fatto progredire la cultura.
Era questa la loro professione. Nella misura in cui vedono che nella classe
operaia emergono strati organizzati e progrediti che non soltanto apprezzano la
cultura, ma aiutano a diffonderla tra le masse, essi cambiano il loro
atteggiamento verso di noi.” (Lenin, Rapporto all’VIII congresso del Pc(b)r
(marzo 1919), in Opere scelte, vol. V. p. 240 e 259). Sulla stessa linea
Trotsky: “[Occorre] trarre dalle vecchie istituzioni tutto quello che hanno
di buono e utile per adattarlo alle nuove esigenze… In fondo [non farlo]
sarebbe come rinunziare alle macchine che sono servite fino ad oggi a sfruttare
gli operai. Sarebbe una vera follia. Reclutare specialisti competenti è tanto
indispensabile quanto avere al nostro attivo tutti i mezzi di produzione e di
trasporto e, in generale, tutte le ricchezze del paese.” (Rapporto alla
Conferenza di Mosca del marzo 1918).
(8)
In parte, probabilmente, eredità dell’ambiente famigliare e dell’influenza
ricevuta in gioventù dal fratello, Aleksandr Uljanov, studente di scienze
naturali.
(9)
Fra questi M. N. Bogdanov, Dalla vita della natura russa, che faceva
parte della vasta collezione di testi di biologia, agronomia e agricoltura
appartenente alla sua ospite e futura segretaria, Maria Fofanova, e Vasilij
Sukachev, Paludi, formazione, sviluppo e caratteristiche. Si sa che egli
commentò il libro con la Fofanova, rimarcando in particolare la possibilità di
utilizzare la torba delle paludi russe come combustibile per
l’elettrificazione del paese, “ma possiamo supporre”, osserva
Weiner, “che Lenin rimanesse pure colpito dallo spirito olistico ed
ecologico del testo di Sukachev, un’opera pionieristica nel campo delle
comunità ecologiche”.
(10)
Tutte queste infor–mazioni in Weiner, op. cit. p. 23. Del suo amore per la
natura ha scritto anche la sorella Anna: “Durante l’estate, specialmente
dopo i congressi, le conferenze o le grosse polemiche in seno al comitato
direttivo, cercava di andare a riposarsi a contatto con la natura, sulle rive
del mare o in montagna. Sceglieva sempre un luogo solitario e selvaggio, la
pensione più semplice e più economica. Questo amore per la natura, a contatto
della quale ritrovava la serenità, lo accompagnerà per tutta la vita.”
(da Autobiografie di bolscevichi, a cura di G. Haupt e J.J. Marie, Samonà
e Savelli, Roma 1970, p. 49).
(11)
I provvedimenti principali, oltre a quelli di cui si parla nel testo, sono la
legge “Sulle foreste” e quella “Sulla caccia”. In proposito si veda la
scheda in queste stesse pagine.
(12)
Weiner, op. cit., pp. 26-27.
(13)
Si tratta di un parco mineralogico interamente dedicato all’attività
scientifica, il primo del suo genere in tutto il mondo, creato sulla base di un
progetto avanzato già prima della guerra e caldeggiato dai maggiori geologi
russi dell’epoca, fra i quali Fersman, Vernadskij e Fedorovskij.
(14)
Weiner, op. cit., p. 39.
(15)
Negli ultimi quindici anni, si è avuta un’attenzione crescente di studiosi di
orientamento in senso lato “marxista” per le questioni ecologiche. Si sono
avuti anche numerosi tentativi di “nuova” lettura e “nuova” valutazione
delle posizioni dei “classici”, se non di vera e propria riformulazione
teorica di alcune categorie fondanti del marxismo. Non c’è qui lo spazio
per fare un quadro esauriente di questi sviluppi. Elenchiamo soltanto alcune
opere di riferimento: James O’Connor, L’ecomarxismo. Introduzione a una
teoria, Datanews, Roma, 1989 (ed. orig. Capitalism, Nature, Socialism: A
Theoretical Introduction, 1988); Juan Martinez-Alier, Economia ecologica.
Energia, ambiente, società, Garzanti, Milano, 1991 (ed. orig. Ecological Economics. Energy,
Environment and Society, Basil Blackwell, Oxford, 1987);
Reiner Grundman, Marxism and Ecology, Oxford University Press 1991; Elmar
Alvater, The Future of the Market, Verso, New York 1993; Ted Benton (a
cura di), The Greening of Marxism, The Guilford Press, New York London,
1996; Paul Burkett, Marx and Nature: A Red and Green Perspective, St.
Martin Press, New York, 1999; John Bellamy Foster, Marx’s Ecology:
Materialism and Nature, Montly Review Press, New York, 2000; e Ecology
Against Capitalism, Montly Review Press, New York, 2002. Merita
una segnalazione lo scritto dello studioso italiano Michele Nobile, Merce-natura
ed ecosocialismo. Per una critica del “capitalismo reale”, Erre emme
edizioni, Roma, 1993. Ci permettiamo di segnalare anche alcuni nostri
contributi: Tiziano Bagarolo, Marxismo ed ecologia, Nei 1989; Marx-Engels-Podolinskij:
una traccia teorica perduta?, in “Giano. Ricerche per la pace”, n. 10,
Roma, 1992; Marxismo e questione ecologica, Edizioni Punto rosso, Milano,
1993. Molti di questi tentativi, però, presentano, a parere di chi scrive, due
seri limiti: il prevalere di tentazioni reinterpretative in chiave ideologica, a
scapito di uno sforzo di ricostruzione analitica e di verifica scientifica del
pensiero dei “classici”; lo scarso interesse per la storia del movimento
reale dell’ultimo secolo e mezzo, spesso liquidata secondo schemi ideologici
aprioristici. Due difetti presenti anche nei lavori di Martinez-Alier e di Gare.
(16)
Juan Martimez Alier è un’economista catalano; dirige la rivista “Ecologìa
politica” sorella in lingua spagnola della rivista “ecosocialista” di O’Connor
“Capitalism Nature Socialism”; ha il merito nello scritto citato di aver
richiamato l’attenzione su una galleria di precursori pressoché dimenticati
della moderna critica ecologica, studiosi che hanno scritto con approcci diversi
sulle relazioni fra società e ambiente tra la fine dell’Ottocento a la metà
del Novecento; il personale punto di vista di Martinez-Alier, però – egli
condivide fondamentalmente l’approccio “energetista” –, falsa
completamente molti suoi giudizi; ne fanno le spese, ingiustamente, anche Engels
e Lenin.
(17)
L’opera fu scritta da Lenin nel 1908, durante l’esilio, e fu pubblicata
l’anno seguente in Russia.
(18)
Su Bogdanov vedi la scheda biografica in queste stesse pagine.
(19)
Secondo Martinez-Alier, Lenin sarebbe stato la causa di un “secondo” passo
falso nella “falsa partenza” tra marxismo ed ecologia, essendo stato il
primo la reazione negativa di Engels a un saggio del socialista ucraino
Podolinskij che nel 1880 aveva proposto di riformulare la teoria del plusvalore
in termini fisici (Juan Martinez-Alier, Economia ecologica, Garzanti,
Milano, 1991, pp. 304-305). La nostra ricostruzione del “caso Podolinskij”
in Tiziano Bagarolo, Marxismo ed ecologia: un’occasione perduta?, nel
“Calendario del popolo”, nn. 547 e 548, 1991; e in Marx-Engels-Podolinskij:
una “traccia teorica” perduta?, in “Giano”, n. 10, aprile 1992.
(20)
Ivi, p. 305.
(21)
“Quando i fisici dicono che ‘la materia scompare’, vogliono dire che
finora le scienze naturali riducevano tutte le ricerche sul mondo fisico a tre
nozioni ultime: la materia, l’etere, l’elettricità; oggi invece restano
soltanto le due ultime nozioni perché si può ridurre la materia
all’elettricità e si può rappresentare l’atomo come un qualcosa di simile
a un sistema solare infinitamente piccolo, nel quale gli elettroni negativi e
positivi gravitano a una velocità determinata… Le scienze naturali conducono
dunque all’‘unità della materia’…: tale è il significato effettivo
dell’affermazione che la materia scompare o che l’elettricità si
sostituisce alla materia, ecc. affermazione che disorienta così tanta gente.
‘La materia scompare’: ciò significa che scompare il limite al quale finora
si arrestava la nostra conoscenza della materia, significa che la nostra
conoscenza della materia si approfondisce; scompaiono certe proprietà della
materia che prima ci sembravano assolute, immutabili, primordiali
(impenetrabilità, inerzia, massa, ecc,) e che ora si dimostrano relative,
inerenti soltanto a certi stati della materia. Poiché l’unica ‘proprietà’
della materia, il cui riconoscimento è alla base del materialismo filosofico,
è la proprietà di essere una realtà obiettiva, di esistere fuori della nostra
coscienza.” (Lenin, Opere scelte, v. III, pp. 213-214); “Ostwald
ha tentato di schivare quest’inevitabile alternativa filosofica (materialismo
o idealismo), adoperando in modo indeterminato la parola ‘energia’… Se
l’energia è movimento, voi… non avete fatto altro che trasferire la
questione: si muove la materia? nella questione: l’energia è materiale?
Avviene una trasformazione dell’energia fuori dalla mia coscienza,
indipendentemente dall’uomo e dal genere umano, o si tratta soltanto di idee,
di simboli, di segni convenzionali, ecc.? La filosofia ‘energetica’ si è
rotta la testa appunto su questo problema, su questo tentativo di rimediare
vecchi errori gnoseologici ricorrendo a una ‘nuova’ terminologia.”
(ivi, p. 222); “La trasformazione dell’energia è considerata, nelle
scienze naturali, come un processo obiettivo, indipendente dalla coscienza
dell’uomo e dall’esperienza umana; in altre parole, essa è considerata
materialisticamente. In molti casi, e probabilmente nella grandissima
maggioranza dei casi, lo stesso Ostwald intende per energia il movimento materiale.”
(ivi, p. 223); “L’energetica di Ostwald ci offre un bell’esempio della
rapidità con la quale una ‘nuova’ terminologia diviene di moda e della
rapidità con la quale ci si rende conto che qualche modificazione del modo di
esprimersi non elimina affatto le questioni filosofiche fondamentali e le
tendenze fondamentali della filosofia. Il materialismo filosofico e
l’idealismo possono essere espressi (più o meno coerentemente, beninteso) nei
termini dell’‘energetica’… La fisica energetica è la sorgente dei nuovi
tentativi idealistici di concepire il movimento senza la materia, in seguito
alla scomposizione di particelle di materia finora ritenute non scomponibili e
alla scoperta di nuove forme finora sconosciute di movimento materiale.”
(ivi, p. 225).
(22)
A Bogdanov Lenin rimprovera innanzitutto di ridurre l’essere sociale a mera
coscienza sociale: questo è “idealismo”, non materialismo, osserva Lenin;
in secondo luogo lo accusa di usare come “vuote frasi” i riferimenti alla
biologia e alla selezione naturale applicati alla società; in conclusione gli
rimprovera di aver operato un travisamento idealistico del marxismo assorbendo
l’influenza di una corrente antimaterialistica borghese, il machismo. “Bogdanov
non si impegna affatto in un’analisi marxista, ma travisa, con una
terminologia biologica ed energetica, i risultati precedentemente già ottenuti
per mezzo di quest’analisi. Questo tentativo, dal principio alla fine, è
completamente inutile, poiché l’applicazione dei concetti di ‘selezione’,
di ‘assimilazione’ e di ‘disassimilazione’ dell’energia, di bilancia
energetica e così di seguito, al campo delle scienze sociali, è vuota
fraseologia… il trasferimento di concetti biologici, in generale, nel campo
delle scienze sociali, è solo una frase. Che questo trasferimento venga
effettuato con ‘buone’ intenzioni, o nell’intento di convalidare
conclusioni sociologiche false, la frase rimane tuttavia sempre vuota. E
l’‘energetica sociale’ di Bogdanov, la dottrina della selezione sociale da
lui associata al marxismo, è per l’appunto una frase di questo genere.”
(ivi, pp. 271-272). Per chi fosse interessato: un buon testo sul ruolo
dell’energia nelle società umane e sulla connessione fra sistemi energetici e
forze produttive è il seguente: Jean-Claude Debeir, Jean-Paul Deléage, Daniel
Hemery, Storia dell’energia. Dal fuoco al nucleare, Edizioni del
Sole-24 ore, Milano,1987 (ed. orig. Les servitudes de la puissance. Une
histoire de l’énergie, Flamarion, Paris, 1986. Il testo contiene anche
una trattazione della politica energetica dell’Urss.
(23) Arran Gare, Soviet environmentalism. The Path Not Taken, in
“Capitalism Nature Socialism”, vol. 4. n. 4, 1994, ora in Ted Benton (a cura
di), The Greening of Marxism, Guilford Press, New York London 1996, pp.
111-128.
(24)
Per comprendere l’affidabilità dei giudizi storici di Gare, basti questo
passaggio dedicato alla liquidazione della Nep da parte di Stalin: “Stalin
abbracciò la causa degli operai i quali, delusi dal contrasto fra il declino
delle proprie condizioni di vita e la crescente prosperità dei contadini,
guardavano alla Nep come a un tradimento della rivoluzione. Rispondendo alle
richieste di questi operai, egli diede inizio a una rivoluzione culturale per
purgare la società delle forme borghesi di pensiero.” (p. 119)!
(25)
Weiner, che ha studiato lo sviluppo dell’ecologia in Urss negli anni Venti sui
documenti originali, non solo non fa parola di una possibile rapporto fra il
Proletkult e l’ecologia o l’ambientalismo, ma anzi presenta le posizioni del
Proletkult sulla “scienza borghese” come una minaccia per l’ecologia
scientifica (Models of Nature, p. 19).
(26)
Vale la pena riferire quello che si scrive in proposito uno studioso che ha
dedicato molte fatiche e notevole acume a indagare i rapporti fra scienza,
ideologia e potere sovietico, Silvano Tagliagambe. Confrontando
l’atteggiamento dei “dialettici” e dei “meccanicisti” osserva: “Al
sostanziale rispetto dell’autonomia della ricerca scientifica e alla difesa
delle sue acquisizioni da troppo marcate e vincolanti valutazioni di natura
ideologica, a cui si attennero i ‘dialettici’, fa infatti riscontro, da
parte dei ‘meccanicisti’, una decisa condanna delle teorie sopra ricordate
[la teoria della relatività, la meccanica quantistica, le genetica ecc., ndtb],
che vengono bollate come espressioni degenerative della cultura borghese e
quindi presentate come contrarie agli interessi del proletariato. Mentre cioè
in Deborin e nei suoi seguaci riscontriamo un netto rifiuto di ogni accezione
della filosofia, e della dialettica in particolare, nella quale quest’ultima
‘somigli ad una concezione aprioristica che, sulla base esclusiva di
ragionamenti logici, pretenda di rendere possibili scoperte scientifiche ed
escluda così ricerche concrete, o si sostituisca completamente ad esse’ (Deborin,
1930), Timiriazev, e con lui altri meccanicisti, si fa portavoce di una violenta
campagna contro le fondamentali
acquisizioni della fisica dei primi due decenni del XX secolo.” (Silvano
Tagliagambe, Scienza e marxismo in Urss, Loescher, Torino 1979, pp.
46-47). Aggiunge Tagliagambe qualcosa di molto significativo sul rapporto fra
“meccanicisti” e Proletkult: “Le radici di questo atteggiamento
negativo del gruppo capeggiato da Timiriazev nei confronti della teoria dei
quanti e della teoria della relatività ristretta di Einstein stanno in un
aspetto, già da noi segnalato e posto in rilievo a proposito del programma del
Proletkult. I meccanicisti, infatti, si pongono in linea di continuità con tale
programma in ordine all’istanza riduzionistica generale… Degli
strumenti e delle elaborazioni teoriche di Bogdanov e del Proletkult potè
valersi, con il massimo profitto, proprio chi, in opposizione al piano leniniano
di modernizzazione culturale e all’apertura, da esso prospettata, nei
confronti degli apporti più significativi della cultura occidentale, spingeva
invece in direzione di una chiusura sempre piùnetta entro i confini della
tradizione e dell’eredità culturale russa.” (ivi, pp. 47 e 48).
(27)
La polemica contro la genetica classica, il cui principale esponente in Urss era
Nikolaj Vavilov, si sviluppò tra la fine degli anni trenta e l’inizio degli
anni quaranta. Essa contrappose a Vavilov il giovane agronomo Trofim Lysenko
(spalleggiato dallo storico della scienza Isai Prezent e dall’apparato del
partito), balzato alla notorietà per aver scoperto (casualmente) la tecnica di
“vernalizzazione” del grano (tecnica utile a ottenere un’elevata
produttività in climi freddi), sostenitore di una visione “lamarckiana”
dell’evoluzione (ossia l’ereditarietà dei caratteri acquisiti). Lysenko
venne esaltato per oltre un decennio in modo grottesco come rappresentante
luminoso della nuova biologia “proletaria” in contrapposizione alla
“sterile” scienza borghese. Nel 1940 Vavilov fu rimosso dai suoi incarichi e
deportato in Siberia. L’episodio lasciò pesanti conseguenze negative sulla
genetica e sull’agricoltura sovietiche (cfr. Zhores A. Medvedev, L’ascesa
e la caduta di T. D. Lysenko, Mondadori, Milano, 1971; e David
Joravsky, The Lysenko Affair, Harvard University Press, Harvard, 1970).
(28)
Con questa denominazione sono stati pubblicati una serie di scritti inediti che
coprono un arco di vent’anni (1895-1915) e sono costituiti essenzialmente da
appunti di lettura. In Lenin, Opere scelte, vol. III, pp: 301-900.
(29)
Lenin, La questione agraria e i “critici di Marx”, Editori riuniti,
Roma 1976.
(30)
“La natura non ha né principio né fine. Tutto in essa è in rapporto di
interazione, tutto è relativo, tutto è insieme effetto e causa, tutto è
onnilaterale e onnicomprensivo.”; in Lenin, Opere scelte, v. III,
p. 352.
(31)
Ivi, p. 354.
(32)
Ivi, p. 417. Il tema dell’interdipendenza universale della natura torna in
connessione alla causalità: “…causa ed effetto sono solo momenti
dell’interdipendenza universale, della connessione (universale), della
reciproca concatenazione degli eventi, sono solo anelli della catena dello
sviluppo della materia.” (ivi, p. 428). Il tema dell’unità e della
connessione reciproca di tutti i fenomeni della natura torna frequentemente: ad
esempio nelle note di lettura degli Scritti filosofici di Joseh Dietzen,
redatte nel 1908 durante la preparazione di Materialismo ed empiriocriticismo
(ivi, pp. 659 e 671), o negli appunti sulla Filosofia moderna del
francese Abel Rey dell’anno successivo (ivi, pp. 779 e 793), autore apprezzato
da Lenin per la sua capacità di interpretare le implicazioni filosofiche dei
dibattiti scientifici contemporanei.
(33)
Ivi, p. 447.
(34)
Ivi, pp. 451-52. Più avanti Lenin commenta con un “nota bene” e con
l’espressione “germi di materialismo storico in Hegel” la
trattazione che il filosofo tedesco fa del lavoro e dei suoi scopi e che si
chiude con queste parole “Mediante i suoi strumenti l’uomo domina la
natura esterna, mentre per i suoi scopi le rimane invece subordinato.”
(ivi, p. 453).
(35)
Già lo studio di Karl Kautsky considerava en passant alcuni problemi che
oggi definiremmo “ecologici”. Affrontava in particolare i problemi
dell’esaurimento della fertilità del suolo e dell’uso dei fertilizzanti
chimici. A tal proposito Kautsky riprendeva ciò che avevano scritto Marx nel Capitale
e Engels nell’Antiduring e, pur valutando importanti ed utili le
scoperte della chimica agraria che avevano portato all’introduzione dei
fertilizzati azotati, faceva presente che il loro utilizzo si rendeva necessario
perchè l’agricoltura capitalistica tendeva a depauperare la fertilità
naturale del terreno; sarebbe stata preferibile invece una riorganizzazione
socialista dei rapporti fra città e campagna che consentisse un’agricoltura
“sostenibile” (diremmo oggi). Una verifica dell’attualità di questa linea
di analisi in John Bellamy Foster e Fred Magdoff, Liebig, Marx, and the
Depletion of Soil Fertility, in J.B.Foster, Ecology Against Capitalism,
Verso 2002, pp. 155-170.
(36)
A questo proposito Lenin cita per esteso un passo dell’Agrarfrage che
smentisce Cernov. Vale la pena di riportare qui questo passo perché illustra
gli sviluppi dell’agrobiologia alla fine dell’Ottocento e dimostra
l’attenzione dei teorici marxisti per questi temi: “Nella seconda metà
dell’ultimo secolo si è scoperto che le leguminose..., al contrario delle
altre piante coltivate, prendono quasi tutto l’azoto che è loro necessario
non dal terreno, ma dall’aria, e che invece di rendere il terreno più povero
d’azoto, al contrario, lo arricchiscono. Ma queste piante possiedono tale
proprietà soltanto se nel terreno sono presenti certi microrganismi che si
fissano alle loro radici. Là dove mancano, è possibile, mediante
un’appropriata inoculazione operata nel terreno, mettere le leguminose in
condizione di arricchire il terreno dell’azoto, cioè in certo qual modo di
concimarlo sì da renderlo adatto alla coltivazione di altre piante. Di solito
combinate con fertilizzanti minerali adatti (fosfati e concimi potassici), esse
aumentano al massimo, e in modo durevole, il rendimento del terreno senza
bisogno di ricorrere ai concimi animali. Soltanto con questa scoperta
l’agricoltura libera ha avuto una base completamente sicura.” (K. Kausty,
La questione agraria, Feltrinelli, Milano 1959, p. 66).
(37)
Lenin, La questione agraria ecc., p. 65. Lenin aggiunge in nota che
Kautsky non pensa che i fertilizzanti artificiali debbano scomparire del tutto
in un’agricoltura socialista; ritiene però che, invece di servire per
reintegrare la fertilità depauperata del suolo, essi saranno utilizzati per
migliorare i terreni là dove ce ne sia bisogno.
(38)
Lenin, ivi, pp. 63-64.
(39)
Ad esempio l’esame degli effetti sociali della penetrazione capitalistica
nelle campagne.
(40)
Lenin, ivi, pp. 13-14.
(41)
A differenza da quello che pensa una certa vulgata ecologista,
Francesco Bacone nutriva un profondo rispetto per la natura che considerava a ragione
ontologicamente superiore all’essere umano. Bacone, è vero, giudicava
che la scienza conferisse all’uomo un grande potere sulla natura, ma questo
potere poteva esercitarsi solo nei limiti delle leggi della natura stessa e
l’uomo, per lui, poteva “comandare” alla natura solo “ubbidendo” ad
essa. Engels riprende questa idea in un famoso passo della Dialettica della
natura (passo pubblicato da Kautsky nel 1896 nella rivista teorica della
socialdemocrazia tedesca “Die Neue Zeit”, e dunque probabilmente noto a
Lenin): “Ad ogni passo ci vien ricordato che noi non dominiamo la natura
come un conquistatore domina un popolo straniero soggiogato, che non la dominiamo
come chi è estraneo ad essa ma che noi le apparteniamo con carne e sangue e
cervello e viviamo nel suo grembo: tutto il nostro dominio sulla natura
consiste nella capacità, che ci eleva al di sopra delle altre creature, di
conoscere le sue leggi e di impiegarle nel modo più appropriato.” (F.
Engels, Dialettica della natura, Editori riuniti, Roma 1971, pp.
192-193). Si tratta di un approccio ben diverso dalle pretese di “trasformare
la natura”, che divenne un leit motiv corrente dell’ideologia
staliniana, allorché la burocrazia si prefiggeva di usare la natura e gli
uomini come fossero “cera molle” nelle sue mani in vista dei suoi progetti
megalomani.
(42)
Tra la metà degli anni venti e i primi anni trenta, gli ecologi sovietici
partecipano al rinnovamento delle scienze ecologiche con contributi di primo
piano: Vladimir Vernadskij pubblica nel 1926 i saggi in cui propone il moderno
concetto di biosfera; Georgij Gauze, all’inizio degli anni trenta, propone il
principio di esclusione competitiva che sviluppa le intuizioni proposte pochi
anni prima dall’italiano Vito Volterra e dall’americano Alfred Lotka;
Vladimir Stanchinskij, tra il 1929 e il 1933, propone un nuovo modo di
rappresentare i sistemi ecologici, fondato sui livelli trofici e sui flussi
energetici che legano gli organismi viventi fra loro e con l’ambiente; un
punto di vista che anticipa di un decennio il modello dell’ecosistema che sarà
formulato nel 1942 dall’americano Raymond Lindeman…
(43)
“Tra il 1930 e il 1932 si registrò, sul terreno filosofico e culturale,
una ‘svolta’ che portò alla liquidazione dei responsabili delle principali
riviste teoriche e scientifiche del paese, in gran parte selezionati e scelti da
Lenin, e alla loro sostituzione con una nuova leva di quadri, fedeli interpreti
ed esecutori della linea del segretario generale [Stalin, ndr]. Ne seguì
un ribaltamento della linea che lo stesso Lenin aveva tracciato e del programma
culturale che egli aveva contribuito a elaborare.” (Silvano Tagliagambe,
“Introduzione” a Georges Labica, Dopo il marxismo-leninismo (tra ieri e
domani), Edizioni Associate, Roma 1992).
(44)
Il primo congresso panrusso per la conservazione della natura, tenutosi a Mosca
nel 1929, così si espresse: “L’attività economica dell’uomo è sempre
in un modo o nell’altro uno sfruttamento delle risorse naturali… La natura e
il ritmo della crescita economica possono essere correttamente determinate
soltanto dopo uno studio dettagliato dell’ambiente e una valutazione delle sue
capacità produttive al fine della sua conservazione, sviluppo e arricchimento.
Questo è ciò di cui si occupa [il movimento per] la conservazione [della
natura].” (citato da Weiner, in Gare, p. 124).
(45)
Daniil Nikolaevic Kashkarov fu dal 1931 direttore con Stanchinskij della prima
rivista sovietica di ecologia teorica, “Zhurnal ekologii i biotsenologii”
(giornale di ecologia e biocenotica). Il suo manuale Sreda i soobshchenstvo
(ambiente e comunità) fu tradotto nel 1935 in inglese sotto gli auspici dello
State Museum di New York diretto dal grande ecologo Charles Adams.
(46)
Nicolaj Ivanovic Vavilov (1887-1943), botanico e genetista russo di fama
mondiale, principale esponente del darwinismo in Urss, fondatore
dell’Accademica Lenin di scienze agrarie, autore di ricerche pionieristiche
nel campo delle varietà vegetali (porta il suo nome l’istituzione dell’Unesco
incaricata dello studio e della protezione della fitodiversità), fu attaccato
da Trofim Lysenko in quanto esponente di una corrente “borghese” in genetica
e deportato in Siberia.
(47) La stessa memoria della straordinaria esperienza dei
primi anni del potere sovietico finì per essere quasi cancellata. Tuttavia la
tradizione di studi ecologici non andò del tutto perduta e singole personalità,
come l’ecologo Vladimir Nicolaevic Sukacev, si batterono controcorrente anche
negli anni successivi, specie dopo la morte di Stalin. Nel 1959, intervenendo al
congresso dell’Associazione per la protezione della natura dell’Urss, Vera
Aleksandrovna Varsonofeva, che vi aveva lavorato fin dai primi anni venti, così
ricordò l’impegno di Lenin a favore della protezione della natura: “Lenin
sapeva bene”
affermò, “che con lo sviluppo del giovane Stato socialista sarebbe stato
necessario un gigantesco sfruttamento delle risorse naturali”
ma egli sapeva altrettanto bene “che per uno sfruttamento appropriato era
essenziale comprendere tutte le complicate interrelazioni che esistono fra le
varie parti della natura… Sulla base di questa comprensione si sviluppò il
grande programma scientifico che venne attuato negli zapovedniki.
L’associazione per la protezione della natura, nella sua forma originaria,
partecipava largamente al lavoro scientifico.” (D.R. Weiner, A Little
Corner of Freedom, p. 197).