Marxismo rivoluzionario n. 3 - filo rosso / il crollo della II internazionale

 

QUELL'ESTATE DI GUERRA DI NOVANT'ANNI FA

 

 

di Tiziano Bagarolo

 

 

Novant’anni fa, il 28 giugno 1914 l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono imperiale d’Austria, venne assassinato a Sarajevo da uno studente bosniaco ispirato dal nazionalista serbo. Fu la scintilla che accese la miccia che avrebbe fatto esplodere la polveriera delle rivalità imperialistiche e dei contrasti dinastici accumulati nell’Europa della Belle Epoque. Un mese dopo l’esercito austriaco invase la Serbia per dare una lezione al paese balcanico. La Russia dello zar rispose mobilitando l’esercito in appoggio alla Serbia. La Germania imperiale replicò alla Russia con un ultimatum, che provocò per reazione la mobilitazione della Francia repubblicana. Perciò il 3 agosto la Germania dichiarò guerra alla Francia e invase il Belgio, provocando il 4 agosto l’entrata in guerra della Gran Bretagna.

In pochi giorni, in quell’estate di novant’anni fa, l’Europa, “culla della civiltà”, si era trasformata in un campo di battaglia in cui masse smisurate di uomini, attrezzati con gli ultimi ritrovati della scienza e della tecnica, venivano gettati gli uni contro gli altri in nome di qualcosa che sfuggiva alla loro comprensione. Le classi dominanti del Vecchio continente avevano scatenato una barbarie inaudita che nei quattro anni seguenti avrebbe provocato almeno una decina di milioni di morti e rovine inestimabili.

Nel movimento operaio e socialista, la bufera che sconvolgeva improvvisamente l’Europa non giungeva inattesa. Il vecchio Engels l’aveva vista addensarsi all’orizzonte già vent’anni prima. Nei congressi della II Internazionale, i dirigenti dei partiti socialisti più volte avevano lanciato l’allarme e assunto impegni solenni. Ma al momento decisivo, gran parte di loro compì un vergognoso voltafaccia: non solo non seppero far nulla per prevenire la guerra (e questo in effetti era difficile); in compenso furono prontissimi a schierarsi a sostegno dei rispettivi governi (borghesi) in nome della “difesa della patria”, “della democrazia” e di altri “elevati” principi del medesimo tenore. Nei fatti, l’appello del Manifesto comunistaProletari di tutti i paesi, unitevi!”, in nome del quale i partiti operai e socialisti erano sorti, venne rovesciato nel suo opposto: “Proletari di tutti i paesi, scan­natevi (per i vostri padroni)!”.

Simbolo di questo tradimento fu il voto prontamente concesso dal più grande e prestigio­so di questi partiti, il Partito socialdemocratico tedesco, ai crediti di guerra richiesti dal cancelliere del Reich. La data del 4 agosto 1914 segna, dunque, simbolicamente, anche il crollo della II Internazionale.

Il fallimento vergognoso dell’Internazionale e dei suoi principali partiti sulla questione della pace e della guerra mi­se i socialisti dell’epoca di fronte a un fatto di cui pochi erano coscienti: la degenerazione opportunistica dei partiti operai, i cui gruppi dirigenti erano da tempo, per la maggior parte, integrati materialmente, se non ideologi­camente, nella società borghese, al punto da essersi ormai trasformati in puntelli delle classi dominanti. La guerra, con il suo brutale aut aut, non aveva fatto che rivelare in piena luce ciò che la retorica dei “discorsi domenicali” aveva fino ad allora, seppure sempre meno, nascosto.

 

“La II Internazionale è morta, viva la III Internazionale”

Ad esserne sconvolti non furono solo i militanti di base. Anche un dirigente della levatura di Lenin rimase incre­du­lo di fronte alla prima pagina del giornale socialdemocratico che plau­diva alla guerra, tanto che pensò in un primo momento a una iniziativa dello Stato maggiore per disorientare le masse socialdemocratiche. Ma lo smarrimento durò poco. Com’era nel suo costume, trasse rapidamente tutte le implicazioni politiche della nuova situazione e le tradusse in indicazioni d’azione. Pur nelle condizioni difficili dell’esilio in un paese belligerante (che gli costarono infatti l’arresto e qualche settimana di carcere), la sua prima preoccupazione fu di riarmare teo­ricamente e politicamente i lavoratori, di chiarire le prospettive, i compiti e gli obiettivi che ne discendevano, di riorganizzare le fila e riprendere la lotta. E tutto ciò, più che mai, in una prospettiva internazionale. Di qui la parola d’ordine subito avanzata della costruzione di una nuova Internazionale, la III.

Il testo che pubblichiamo, I compiti della socialdemocrazia rivoluzionaria nella guerra europea, è la prima dichia­razione che Lenin prepara a nome del Posdr, anche se le condizioni straordinarie in cui viene elaborata lo inducono a firmarla “Un gruppo di socialdemocratici membri del Posdr”. Essa venne pubblicata nel “Sotsial-Demo­krat”, n. 33 del 1 novembre 1914. Nello stesso numero del giornale, fu pubblicato un altro scritto di Lenin dedicato espressamente al tema della crisi dell’Internazionale e della trasformazione della guerra imperialista in guerra civile. In esso si legge un’analisi spietata della crisi della socialdemocrazia e delle parole d’ordine pacifiste: “La cosa più penosa nella crisi attuale è la vittoria del nazionalismo borghese, dello sciovinismo sulla maggioranza dei rappresentanti ufficiali del socialismo europeo… Non vi è compito più importante per chi voglia restare socialista, che quello di chiarire le cause della crisi socialista e di analizzare i compiti dell’Internazionale…

C’è gente che ha paura di riconoscere questa verità, e cioè che la crisi, o più esattamente il fallimento della II Internazionale, è il fallimento dell’opportunismo…

La difesa della collaborazione delle classi il ripudio dell’idea della rivoluzione socialista e dei metodi rivoluzionari di lotta, l’adattamento al nazionalismo borghese, il dimenticare il carattere storicamente transitorio delle frontiere di una nazionalità o della patria, la trasformazione in feticcio della legalità borghese, la rinunzia al punto di vista di classe e alla lotta di classe per paura di allontanare da sé le ‘larghe masse della popolazione’ (leggi: piccola borghesia): queste sono, indubbiamente, le basi ideologiche dell’opportunismo. Proprio su questo terreno è cresciuto l’attuale orientamento sciovinista, patriottico della maggior parte dei dirigenti della II Internazionale…

La borghesia inganna le masse mascherando la rapina imperialista con la vecchia ideologia della ‘guerra nazionale’. Il proletariato smaschera questo inganno proclamando la parola d’ordine della trasformazione della guerra imperialista in guerra civile. Proprio questa parola d’ordine è stata proposta dalle risoluzioni di Stoccarda [1907, ndr] e di Basilea [nel 1912, ndr] che prevedevano appunto non una guerra in generale, ma la guerra attuale, e non parlavano della ‘difesa della patria’, ma del dovere di ‘affrettare il crollo del capitalismo’, di utilizzare a questo scopo la crisi suscitata dalla guerra: parlavano dell’esempio della Comune. La Comune è stata la trasformazione di una guerra tra popoli in guerra civile.

Tale trasformazione, certo, non è facile e non si può attuarla ‘per desiderio’ di qualche partito. Ma essa corrisponde proprio alle condizioni obiettive del capitalismo in generale, e dell’epoca della fine del capitalismo in particolare. E in questa direzione, solo in questa direzione, deve essere orientato il lavoro dei socialisti. Non votare i crediti di militari, non incoraggiare lo sciovinismo del ‘proprio’ paese (e dei paesi alleati), combattere in primo luogo contro lo sciovinismo della ‘propria’ borghesia, senza limitarsi alle forme legali di lotta quando sia sopraggiunta una crisi e la borghesia stessa abbia eliminato la legalità che aveva creato: ecco la linea d’azione che porta alla guerra civile e che condurrà ad essa in questo o quel momento dell’incendio di tutta l’Europa…

Ai nostri giorni la guerra è una guerra di popoli. Da questa verità non consegue che si debba seguire la corrente ‘popolare’ dello sciovinismo, ma consegue che le contraddizioni di classe che lacerano i popoli continuano a esistere e si manifesteranno anche in tempo di guerra, anche in guerra, anche in forma militare. Il rifiuto di prestare servizio militare, lo sciopero contro la guerra, ecc. sono una pura sciocchezza, un sogno misero e vile di una lotta disarmata contro la borghesia armata, l’illusione di distruggere il capitalismo senza un’accanita guerra civile, o una serie di guerre. La propaganda della lotta di classe è un dovere del socialista anche nell’esercito; il lavoro volto a trasformare la guerra tra i popoli in guerra civile è l’unico lavoro socialista nell’epoca del conflitto imperialista armato delle borghesie di tutti i paesi. Abbasso i pii voti sentimentali e sciocchi sulla ‘pace a tutti i costi’! Leviamo la bandiera della guerra civile!

L’imperialismo ha messo in gioco la civiltà europea: se non vi sarà una serie di rivoluzioni vittoriose, a questa guerra ne seguiranno altre; la favola dell’‘ultima guerra’ è una favola vana e dannosa, è un mito piccolo-borghese…

La II Internazionale è morta, vinta dall’opportunismo. Abbasso l’opportunismo e viva la III Internazionale, epurata… dell’opportunismo... Alla III Internazionale spetta il compito di organizzare le forze del proletariato per l’assalto rivoluzionario contro i governi capitalistici, per la guerra civile contro la borghesia di tutti i paesi, per il potere politico, per la vittoria del socialismo!” (Lenin, La situazione e i compiti dell’Internazionale socialista, in Opere scelte, vol. II, pp. 310-14).

Come oggi sappiamo, questa diagnosi fu profetica. La prima guerra mondiale fu solo il primo tempo di una guerra europea e presto mondiale che si sarebbe riaccesa più volte nei due decenni successivi e sarebbe culminata nel secondo conflitto mondiale. Era questo lo sbocco di un mondo dominato dal­l’im­perialismo che, nell’essenziale, non è cambiato.

Questa è, in verità, la nota dominante del “secolo breve” appena trascorso: non, come pretendono gli ideologi liberali del capitale, “la lotta fra la democrazia e il totalitarismo (comunista o fascista)”, ma un intreccio fra i conflitti interimperialisti e lo scontro fra rivoluzione e contro­rivolu­zione (nelle forme distorte assunte da questo scontro in seguito alla vittoria dello stalinismo).

Su questo sfondo si colloca, nel pieno del primo conflitto mondiale, il tentativo della classe operaia, guidata dal partito di Lenin, di offrire, con l’Ottobre, alle masse sfruttate e oppresse del mondo un’alternativa alla barbarie dell’imperialismo. E all’Ottobre rispose in forme molteplici – di cui il fascismo e il nazismo furono due espressioni fra le altre – la reazione capitalista. Al termine del secolo, la “vittoria” riportata dal capitale con la dissoluzione dell’Urss e la restaurazione capitalistica in atto in tutte le aree del mondo dove il dominio del profitto era stato spezzato, lungi dal ristabilire un’era di pace e di benessere, ha rimesso all’ordine del giorno crisi e guerre con il loro corredo di barbarie.

Oggi che la guerra torna tragicamente all’ordine del giorno, gli interessi imperialistici riassumono i colori della democrazia e del patriottismo, il colonialismo torna in forme nuove e il pacifismo rilancia vecchie strategie già fallite, non è inutile meditare sulle vicende di novant’anni fa e sulle lezioni che ne trassero allora i marxisti rivoluzionari.