La redazione Web
Cari compagni, care compagne
il referendum per l’estensione dell’articolo 18
ha rappresentato e rappresenta uno spartiacque tra le classi e nella politica
italiana.
A favore dell’estensione dei diritti si sono
pronunciate tutte le organizzazioni del movimento operaio e dei movimenti di
questi anni, e quindi tutte le forze politiche che pur nella
diversità di percorsi e prospettive si fondano sulla rappresentanza delle
classi subalterne.
Contro l’estensione dei diritti si sono invece schierate tutte le organizzazioni del padronato. E con esse tutte le forze e tendenze politiche che vogliono rappresentare i suoi interessi e si candidano a governare in suo nome: sia le forze reazionarie del Polo della Libertà, sia le forze del Centro liberale dell’Ulivo (dalla Margherita alla maggioranza DS).
Sui diritti dei lavoratori, insomma, si sta o di
qua o di là.
E quando Sergio Cofferati ha scelto di collocarsi
di là, per gareggiare (con scarse fortune) nella fitta schiera dei candidati
leader dell’Ulivo, ha rotto, non a caso, con le stesse indicazioni della
CGIL, con le scelte di Aprile e soprattutto con i sentimenti di quel popolo
che l’aveva acclamato il 23 marzo. Un falso mito è caduto, ma a vantaggio
della chiarezza.
Allora il fronte referendario del SI deve
assumersi fino in fondo, tanto più oggi, le proprie responsabilità.
Non si può vivere il referendum come una dolorosa parentesi. Tanto meno si può
pensare di usarlo come mezzo negoziale per ricomporre domani quello che il
referendum ha diviso.
Al contrario, è proprio l’ora della coerenza:
l’ora di fondare l’unità dei lavoratori e di tutte le loro organizzazioni
sulla contrapposizione al fronte unico della borghesia italiana e dei suoi
partiti.
Innanzitutto è necessario
superare troppe passività, defilamenti, disimpegni. Si può dichiarare il SI
e non far nulla per farlo vincere?
I giorni che ci separano dal 15 giugno devono
vedere finalmente una battaglia capillare in tutti i luoghi di lavoro, nelle
piazze, con un’aperta contrapposizione all’intero fronte astensionista.
Senza contrapposizione attiva all’avversario, senza elevare tono e livello
della battaglia politica non si mobilitano le forze e si favorisce
l’astensione. Tanto più se il disimpegno si unisce, come nel caso dei
vertici CGIL, a contratti che estendono il lavoro interinale (ferrovie), o
avallano il taglio degli organici (scuola). Come si può unire i lavoratori su
un voto contro i padroni quando si regalano ai padroni contratti contro i
lavoratori?
Ma soprattutto non è sufficiente la pur importante battaglia referendaria. E’ l’ora di rilanciare la mobilitazione e la lotta. Non per partecipare, ma per vincere.
Per due anni la grande primavera dei movimenti è stata privata dal “cofferatismo” di una piattaforma unificante, di un’azione incisiva, di una prospettiva di sbocco. Perché ciò era richiesto dall’alleanza con il Centro liberale. Ora l’impasse dei movimenti e la controffensiva del governo su diritti, pensioni, libertà democratiche richiedono il rilancio di una risposta dirompente che non può più tardare: una risposta che unifichi in una lotta a oltranza tutti i movimenti e tutte le loro forze e miri esplicitamente alla sconfitta del governo e alla sua cacciata.
L’hanno fatto in Francia nel ’95 contro il
governo Juppè. Si può e si deve farlo oggi in Italia contro Berlusconi.
Altrimenti il miglior risultato referendario rischierebbe di restare senza
futuro.
E la marcia reazionaria di questo governo potrebbe
diventare inarrestabile.
Ma si può realizzare questa svolta al fianco di quel Centro liberale che si è schierato contro l’estensione dei diritti assieme a Confindustria e Berlusconi, che ha votato con Berlusconi la spedizione in Irak, che ha concordato con Berlusconi l’operazione “Corriere”, che vuole negoziare con Berlusconi la sua stessa impunità giudiziaria?
Cari compagni e care compagne, tutta l’azione del
Centro liberale, è quella di usare, oggi come ieri, le classi subalterne come
puro sgabello di un futuro governo liberale: promettendo ai poteri forti, oggi
come ieri, concertazione sociale e pacificazione nazionale.
Al fianco dei Prodi, Rutelli, D’Alema, Treu,
Mastella, non c’è futuro dunque né per le ragioni del referendum, né per
un’opposizione vera a Berlusconi, né tanto meno per un nuovo mondo
possibile. C’è solo il ritorno a quel passato di
privatizzazioni, flessibilità, sacrifici, che ha spianato la strada...
all’attuale governo reazionario.
Noi allora crediamo che questo circolo vizioso vada
definitivamente spezzato.
Rompiamo insieme con il Centro liberale,
costruiamo insieme una mobilitazione radicale per cacciare Berlusconi e per
rimpiazzarlo con un governo dei lavoratori e delle lavoratrici, basato sulla
loro forza, sulla loro organizzazione, sui loro interessi.
Perché questa è l’unica vera alternativa, in Italia, in Europa, nel mondo.
In ogni caso non facciamoci più annettere
a un nuovo governo borghese dell’Ulivo.