Marxismo rivoluzionario n. 1 – recensioni / convegni

 

ANCORA SULLA CRISI FIAT

 Un caso particolare di un fenomeno generale: la crisi capitalistica

 

 

di Giacomo Petrini

 


 

La crisi dell'industria automobilistica italiana che oggi si manifesta nella sua totalità, viene da lontano, da scelte passate di lungo periodo che la proprietà Fiat ha compiuto nella direzione di un inserimento organico nei processi di crescita ipertrofica del capitale finanziario speculativo; processi al cui interno la produzione industriale da soggetto muta la sua natura riducendosi ad oggetto della speculazione finanziaria dispiegando sempre più i suoi effetti distruttivi sul livello di sviluppo delle forze produttive man mano che siffatte dinamiche avanzano facendo regredire le condizioni di vita della classe lavoratrice. Molto spesso la politica aziendale della finanziarizzazione della Fiat è presentata dal sindacalismo riformista (e subalterno alla classe capitalista) come una politica errata scelta in alternativa ad un'altra politica possibile e industrialmente corretta, politica errata seguita per mancanza di lungimiranza, per mera miope ricerca di facili e immediati guadagni speculativi. Talvolta un simile approccio si ammanta di nostalgia e assume la forma nauseante della critica puramente etica della trasformazione dell'industriale in uomo d'affari. Sebbene non in questa forma nostalgica, un simile approccio minimalista ha prevalso anche nell'Assemblea pubblica promossa dal Forum sociale fiorentino sulle questioni della Fiat e del lavoro precario, svoltasi venerdì 31 gennaio a Firenze presso la Sms di Rifredi. L'intervento centrale è stato dell'on. Gigi Malabarba, operaio Fiat e senatore del Partito della Rifondazione Comunista, che ha riproposto l'approccio analitico parziale della politica aziendale errata, riducendo così la crisi Fiat ad una crisi nazionale evitabile con l'attuazione di una politica di investimenti nella ricerca per l'innovazione tecnologica.

La verità è che manca il coraggio, la volontà e la capacità necessari per porre la questione della crisi Fiat in modo da mostrare tutta la crudezza della realtà odierna, senza veli e imbellettamenti ideologici, quegli stessi veli che permettono ai vari Malabarba di dipingere le prospettive del movimento operaio italiano con il pennello del linguaggio nebuloso e mai così vago e rinunciatario della democrazia partecipativa e del bilancio partecipativo nelle aziende.

Bisogna parlar chiaro. Non si può alimentare la demoralizzazione di molti strati della classe operaia italiana con le illusioni neoriformiste à la Porto Alegre. Nelle fabbriche, oggi non meno di ieri, il potere può stare solo o nelle mani dei padroni o nelle mani degli operai. La terza via della democrazia partecipativa può essere solo una contraffazione del dominio borghese volta a contenere, in un periodo di crisi, le potenzialità della lotta operaia.

Si tratta allora di inserire la questione della crisi Fiat nella crisi storica e generale del capitalismo mondiale e trarne le inevitabili conclusioni strategiche per la lotta del movimento operaio mondiale. Finché le direzioni riformiste della classe lavoratrice mostreranno solo i singoli alberi senza far vedere l'intero bosco, continuerà a crescere soltanto la contabilità delle sconfitte e la demoralizzazione dei lavoratori, allungando così la crisi capitalistica.

Il modo di produzione capitalistico è stato il "mezzo storico per lo sviluppo della forza produttiva materiale e per la creazione di un corrispondente mercato mondiale". E' stato tale, ma non è più tale. Il capitalismo non è più in grado di assicurare un progresso all'umanità; l'economia mondiale negli ultimi trent'anni, se si esclude l'economia mista cinese e l'estate di San Martino del sud-est asiatico, ha vissuto una fase di profondo regresso, che ha proceduto molecolarmente intervallato da esplosioni regionali. Le espressioni più evidenti della decadenza capitalistica sono state e sono l'aumento del divario tra i paesi imperialistici e i paesi dipendenti (dove grandi masse vivono in stato di affamamento o semiaffamamento e la miseria generata dallo sfruttamento imperialistico genera a sua volta un continuo incremento demografico e non viceversa, come qualche apologeta del capitalismo vorrebbe far credere sostenuto dalla grande editoria) e l'arretramento delle condizioni di vita e di lavoro della classe operaia occidentale accompagnato e sostenuto da una cresente massa di disoccupati che concorre ad abbassare il salario diretto, il salario indiretto (il cosiddetto Welfare) e quello differito (le pensioni), nonché le condizioni di vendita ed erogazione della forza lavoro (le varie forme della flessibilità).

 

La finanziarizzazione

E tutto ciò mentre si manifesta impetuosamente il carattere più eloquente dell'imperialismo, cioè del capitalismo nella sua fase decadente: il parassitismo finanziario, di cui i recenti fallimenti spettacolari dei colossi americani Enron e WorldCom sono un'ottima esemplificazione. Lo sviluppo finanziario rivela un'accumulazione di capitale fittizio che agisce come un tipo particolare di credito speciale, tanto per la produzione che per il consumo; ma si tratta di uno sviluppo parassitario, in quanto non crea valore, ma agisce meramente come un counterveiling factor nei confronti della crisi capitalistica, finché non diventa il principale fattore della sua esplosione. Questa si verifica quando la sovra-accumulazione di capitale, che non si realizza direttamente in una forma produttiva e si sviluppa in antagonismo ai limiti imposti dalla sovra-accumulazione di capitale produttivo, raggiunge una dimensione incompatibile con quella del valore aggiunto totale. Ma ciò che più conta è che tali processi si dispiegano su scala mondiale e manifestano l'ultimo anello della catena sovra-accumulativa a livello locale dando così l'apparenza di una crisi dovuta a condizioni nazionali peculiari e risolvibile nazionalmente. Ma il modo di produzione capitalistico è anche un notevole produttore di apparenze e il fatto che oggi la crisi economica si manifesti più intensamente in Africa, Asia, Europa Orientale e America Latina rispetto alle potenze imperialistiche (Nord America ed Europa occidentale) non significa affatto che queste ultime economie siano solide ed immuni dalla crisi. Tutt'altro. Le crisi esplosive degli ultimi anni e quelle in corso hanno il loro centro nei paesi imperialistici, sono gli effetti di movimenti contraddittori che si dispiegano sullo stesso spazio da essi prodotto: il mercato mondiale.

Di fronte alla crisi storica dell'umanità l'unica risposta realista e progressiva è l'impegno per la costruzione teorica e pratica del partito rivoluzionario mondiale del proletariato e degli oppressi che solo potrà porsi la questione del potere politico come leva della distruzione del capitalismo e della costruzione del socialismo.

Osservare allora la crisi Fiat all'interno di questo quadro generale, cioè all'interno del movimento storico reale universale, significa cogliere il carattere subalterno alla classe borghese di obbiettivi come il bilancio partecipativo aziendale e di metodi come la concertazione sindacale, che è ed è stata nient'altro che concertazione dell'arretramento delle condizioni di vita e di lavoro della classe operaia. Rispondere alla crisi Fiat e congiuntamente al generale sfondamento di classe del padronato italiano significa realizzare lo sciopero generale nazionale prolungato fino al ritiro di tutte le deleghe governative anti-operaie, elaborare una piattaforma sindacale generale unificante su cui basare e organizzare tutte le lotte in corso, significa soprattutto occupare gli stabilimenti Fiat per impedirne lo smantellamento e così difendere non solo l'occupazione degli operai Fiat, ma anche il contratto nazionale di lavoro le cui sorti sono strettamente legate alle sorti della battaglia nell'azienda torinese.

L'alternativa per i lavoratori e le lavoratrici è rimanere passivi e subalterni all'attuale direzione riformista della CGIL e del cofferatismo, che nulla ha fatto, nulla sta facendo e nulla vuole fare per difendere veramente gli interessi immediati e supremi, storici del movimento operaio italiano. Si tratta quindi di operare per sostituire ad una tale direzione riformista, supina spettatrice della Storia, un’altra direzione; una direzione che non abbia paura degli eventi, capace di analizzare freddamente e con spietata razionalità l’intera realtà sociale nel suo movimento, e così rendere incessantemente vivente la sua salda visione strategico-rivoluzionaria internazionale.