Marxismo rivoluzionario n. 1 – recensioni / libri

 

CAMBIARE IL MONDO SENZA PRENDERE IL POTERE

Ovvero come non cambiare nulla facendo finta di fare la rivoluzione

 

 

 

di Hernan Kurfirst

 

 

 

John Holloway, politologo “marxista” scozzese, non è il primo e non sarà l’ultimo di una lunga lista di intellettuali europei che sotto le vesti di un pensiero “autonomo” diventano i maitre à penser per una stagione dei nuovi movimenti. Uscirà fra poco in Italia l’ultima fatica di Holloway, Cambiare il mondo senza prendere il potere. Il significato della rivoluzione oggi, che in Argentina e Mexico è già diventato il nuovo libro sacro per una cerchia d’intellettuali e di studenti universitari. Del libro, peraltro, si è già cominciato a discutere anche in Italia. La rivista "Erre", legata al Segretariato unificato della Quarta Internazionale, ha pubblicato nel suo primo numero le Dodici tesi sull’antipotere dello stesso Holloway. Nella stesso numero della rivista c’è poi una recensione di Daniel Bensaid al libro di Holloway in cui emergono con chiarezza il carattere centrista ed opportunista di questa corrente. Vediamo.

Giustamente si criticano le tesi di Holloway dove questi parla di “dissoluzione del potere” in contrapposizione all’idea di “conquista del potere”, e si aggiunge che “Holloway mostra di ignorare che il potere non può essere semplicemente negato. Il dominio, nella forma materiale degli apparati statuali, è indissolubilmente legato allo sfruttamento…" In conclusione dell'articolo siamo spronati ad “essere in grado di fornire una risposta forte, concreta e attuale all’invito che Marx rivolgeva sulla base dell’esperienza della Comune di Parigi: la classe operaia non può impossessarsi puramente e semplicemente di una macchina statale già pronta e metterla in moto per i suoi propri fini”.

Parole sante! Peccato che chi ce le rammenta stia facendo esattamente proprio ciò che Marx escludeva, partecipando al governo borghese di Lula da Silva in Brasile. O forse "Erre" pensa che la macchina statale brasiliana possa essere messa in moto dal “compagno” Lula in direzione del socialismo? Non è questa un'illusione “utopisticheggiante”, come "Erre" definisce le tesi di Holloway?

 

Un libro inconsistente

Ma vediamo le "novità” del libro di Holloway. Il titolo è di per sè accattivante e si presenta foriero di belle cose per tutti quelli che vogliono un "altro mondo possibile". Il problema è che dopo quasi 400 pagine l’autore non ci spiega nulla di come si dovrebbe materializzare la promessa del titolo. Anzi, se farà scuola nel movimento come altri libri del quale sembra la logica prosecuzione (vedi Impero di Megri e Hart), porterà i suoi seguaci in un labirinto più intricato di quello del Minotauro. Che sia chiaro, non è un lavoro disonesto, ma piuttosto inconsistente.

In sintesi questi sono alcuni dei motivi centrali della riflessione di Holloway:

1)     la sfida del nuovo secolo consiste in cambiare il mondo senza prendere il potere;

2)     il feticismo è l'aspetto centrale delle relazioni sociali che occorre aggredire – è questo uno dei concetti centrali del libro – ma è inteso come “dilemma tragico”, ovvero come negazione d’ogni oggettività che determina in ultima istanza la coscienza soggettiva;

3)     per andare oltre i vecchi limiti c'è da reinventare una prassi e una strategia ma l'autore – lo ripete in continuazione – non ha idea di come cambiare il mondo.

Utilizzando un linguaggio impenetrabile (che farebbe rizzare i capelli Bourdieu) ed esibendo un eclettismo teorico che sconfina nella sofisticazione artificiale, Holloway elenca i problemi che si propone di analizzare ma poi li nasconde sotto la sua retorica e soprattutto non li risolve. Arriva ad affermare che “pensare scientificamente è sciogliere le categorie del pensiero”, approdando cosi ad un idealismo pre-marxista: che per uno che si ritiene marxista è tutto un traguardo!

 

Apologia del "negativo"

Holloway ribadisce la sua “voglia di rivoluzione”, ma tutto il suo ragionare si risolve in un’apologia retorica e irresponsabile della passività nella lotta contro la borghesia ed il suo Stato. Per il politologo scozzese il tema del potere politico e della sua risoluzione rivoluzionaria da parte dei salariati non è una tappa necessaria nel camino verso un’altra società. Nelle sue parole: “La lotta contro lo Stato risulta da un’incomprensione del movimento storico”. “La forza motrice delle crisi è l’impulso verso la libertà, la fuga reciproca del capitale e dell’anti-lavoro, il respingimento mutuo del capitale e dell’umanità. Il primo momento della rivoluzione è puramente negativo”.

Ecco di nuovo! Basta rifiutare il sistema in modo soggettivo, non andare al lavoro (chi ce l’ha) “tirarsi fuori” - costruire reti alternative dentro il sistema - e, magari, un giorno i capitalisti si accorgono che le moltitudini sono stanche di questo dominio e se ne vanno… Che bello, e soprattutto meno pericoloso che fare una passeggiata ai giardini pubblici!

Per Holloway tutto il problema del dominio si riduce alla dimensione economica (anche se così fosse, non cambierebbe molto), escludendo così le categorie politiche non solo del marxismo ma addirittura della sociologia borghese di Weber, per il quale la caratteristica saliente dello Stato moderno è il possesso del monopolio dell’uso della forza (legittima).

Appena volge lo sguardo fuori delle attività produttive scorge solo manifestazioni ideologiche del potere. Puro idealismo. Ma Holloway non si ferma qui; trasforma il concetto di “lavoro produttivo” in quello astratto di “fare”: non è necessario svolgere un lavoro per vivere, ma basta “fare” un’attività. Bella idea! Che, tuttavia, se non si distrugge il sistema del lavoro salariato e dell’accumulazione capitalistica, rimane una favola per ceti medi “riflessivi”.

Abbiamo detto che uno dei punti centrali dell'analisi di Holloway riguarda il feticismo che oppone un’identità ad ogni determinazione. Trasportando questo concetto di feticismo al centro della dimensione politica Holloway presenta come “l’espressione pura del potere”. Il concetto perde ogni vincolo con la produzione materiale (come è in Marx) e diventa parte inclusiva della coscienza del soggetto che lo sorregge in quanto “identità”. Quindi la lotta contro il capitale poggerebbe nell’attività soggettiva di “anti-identificazione”.

 

Negare ogni identità

Volgarizzando alcuni aspetti avanzati da Michel Foucault sul biopotere, Holloway afferma che la “soluzione è negare ogni identità, ogni definizione, ogni oggettività”. Ma tutto questo rischia di avvenire solo nella mente di ciascuno: fuori, nel mondo “oggettivo” la borghesia continua lo sfruttamento del mondo, degli oppressi e la sua polizia a perseguitare tutti quelli che si “identificano” nella lotta di classe. Per il nostro, la lotta emancipatrice dovrebbe cominciare dalla negazione di ogni identità che si presenti nelle coscienze. Perché se “identità” è sinonimo di dominio, allora la non identità è l’anticamera all’anti-potere.

Ovviamente il tema della violenza dello Stato borghese non è nemmeno menzionato nel libro. In tutto il libro non si spende una parola (neppure critica) sul riflessione di Lenin sul tema dello Stato e del potere. Quando Holloway parla dello Stato è solo per ribadire che si tratta di una delle forme della feticizazzione. Lo sono anche la polizia, gli eserciti, le carceri, ecc. Troppo materiali per il nostro intellettuale dell'anti-potere. Ma anche troppo cinico, e soprattutto privo di rispetto per i milioni che lottano contro l’oppressione molto materiale del capitalismo mondiale.

Alla fine l’unica conclusione che possiamo trarre, oltre la confusione di questo mattone, e che Holloway ci conferma ogni due pagine, è che lui non ha nessun’idea di come cambiare il mondo se non quella di seguire l’esempio di Marcos e dei movimenti...

Di fatto si presuppone, oltre il disimpegno da una qualsiasi politica di classe che ponga concretamente il tema del potere, possibilità di un capitalismo dove "le forme feticizzate di dominio scompaiono”: ossia la cara vecchia utopia di un capitalismo umanizzato che rispunta dalle macerie del pensiero non dogmatico!

Ci sarà tempo in futuro per analizzare meglio questo lavoro di Holloway. Aspettando la sua uscita italiana, vogliamo concludere con il “dogmatico Marx” del 18 Brumaio:Il democratico che rappresenta la piccola borghesia, cioè una classe stretta fra le due classi antagoniste della società, crede di essere super partes, al di fuori degli antagonismi di classe in generale. Lui riconosce che ha di fronte una classe privilegiata, ma insieme al resto della nazione lui forma il Popolo. Lui rappresenta i diritti del Popolo, i suoi interessi e quelli della nazione. E se loro lo vogliono, basta un segnale perché il Popolo si abbatta contro gli oppressori".

Oggi questi “democratici” non hanno nemmeno la pretesa che ad un loro segnale il popolo si abbatta contro gli oppressori. Perché ormai ne fanno parte a pieno titolo.