Marxismo rivoluzionario n. 1 – primo piano / movimento

E ADESSO?

 Alcune note critiche sul movimento antiguerra

 

 

di Luca Belà

 

 

L'invasione dell'Iraq prelude a una lunga occupazione del territorio ed è solo il primo passo di una strategia più generale che punta a ridisegnare gli assetti dell'intero Medio Oriente. Saprà il movimento contro la guerra essere all'altezza dei compiti della prossima fase? Saprà superare i limiti di orientamento che hanno già portato al suo riflusso? Le illusioni sull'Onu e sul diritto internazionale, la presenza delle componenti moderate e gli obiettivi pro imperialismo (europeo) del centro liberale. L'urgenza di opporsi adesso al dispiegamento in Iraq delle truppe italiane

 

Mentre la guerra imperialista pare ormai terminata, per lo meno nella sua fase più violenta, rimangono in Iraq le macerie della democrazia portata dai carri armati americani e l’enorme distruzione di uno Stato che, fino a pochi anni fa, poteva considerarsi tra i più sviluppati di tutta la zona mediorientale.

Nonostante la sconfitta militare irachena e la vittoria dell’esercito alleato, non pare tuttavia risolto, sulla base degli interessi imperialistici angloamericani, l’insieme delle contraddizioni e delle instabilità locali che impediscono il completamento della missione colonizzatrice. L’impegno formale di non occupare il territorio iracheno se non per il tempo indispensabile a riportare l’ordine, appare già oggi un imbroglio per creduloni. Le minacce alla Siria e all’Iran fanno comprendere che l’America persegue un piano complessivo di riorganizzazione del Medio Oriente di cui l’Iraq è solo il primo dei tasselli. Appare quindi oggi fondamentale sviluppare con forza e convinzione piattaforme che permettano al movimento contro la guerra di superare l’impasse delle ultime settimane. È infatti evidente che nonostante il fortissimo impatto di massa, espresso soprattutto a cavallo dello scoppio del conflitto, la sua  potenzialità sia rimasta in gran parte inespressa se non massacrata dalle sue parti più moderate. La capacità di mobilitazione e di aggregazione avevano fatto ben sperare sul fronte della costruzione di un blocco e di una piattaforma in grado di trasformare la lotta alla guerra in una vera e propria guerra alla guerra, in grado di mettere in discussione e in difficoltà gli strumenti del capitale.

 

Un grande potenziale…

E’ tuttavia nel progredire di questo movimento, che i limiti di analisi e di prospettiva politica sono apparsi in tutta la loro determinazione. La questione della guerra e degli interessi imperialistici che la provocano, non poteva risolversi in semplici mobilitazioni semispontanee, in fiaccolate fuori dalle chiese e dalle azioni dei Disobbedienti in giro per l’Italia. Fondamentale per lo sviluppo futuro sarebbe stata una riflessione attenta che portasse le radici dell’opposizione al conflitto sul terreno della lotta di classe per la costruzione di un ampio fronte di alternativa socialista alla barbarie capitalista. Si assiste, invece, ad un periodo di grosso riflusso del movimento, con una passivizzazione sempre più esasperante soprattutto delle posizioni più avanzate. Una situazione prevedibile alla luce di una sempre più evidente vacuità delle posizioni e delle piattaforme in campo.

Quale era, infatti, la prospettiva di un movimento contro la guerra che affollava, quasi con noncuranza, le piazze italiane? Quale ragionamento si è inteso sviluppare con la pratica del blocco dei treni? Quale il potenziale di costruzione di un’opposizione di massa al capitalismo?  

È più che mai importante sviluppare oggi una attenta riflessione su questi interrogativi. Milioni di persone si sono, infatti, mobilitate, esprimendo nel loro insieme una forte contrapposizione nei confronti del conflitto e dei suoi agenti. Lo stesso fenomeno delle bandiere ai balconi, apparsa sicuramente soft dal punto di vista della mobilitazione e dell’analisi ma forte nella sua proposizione e nella sua diffusione, dimostra che il movimento ha avuto un potenziale di massa diffuso anche in quei settori che erano rimasti indecisi in occasione delle precedenti scorribande imperialiste in Kossovo e in Afganistan, un potenziale solo parzialmente speso nella battaglia contro la guerra.

 

… con molti limiti

E’ indubbio che una parte del mondo pacifista ha sviluppato una posizione di tipo essenzialmente morale, cioè un rifiuto della guerra in nome della difesa della pace come valore universale recependo molte suggestioni della posizione della chiesa e del suo massimo esponente, senza curarsi degli interessi materiali che il Vaticano difendeva con quei richiami alla pace.

E' altrettanto evidente che nelle componenti più moderate del movimento si è assunto come punto qualificante la rivendicazione dell'opposizione ad una guerra illegittima perché priva dell'avallo delle Nazioni Unite.

La stessa opposizione parlamentare del centrosinistra, riproposta in molteplici occasioni anche in piazza, si è fondata su una fiducia incondizionata, evidentemente mal riposta, in una istituzione che ha sempre svolto un'azione di aperto sostegno agli interessi del capitale. Non si può dimenticare, infatti, che le Nazioni Unite, oltre a essersi prestare innumerevoli volte (dalla guerra di Corea alla prima guerra del Golfo) ad essere uno strumento dei disegni dell’imperialismo mondiale, sono state esse stesse motore e appoggio diretto delle peggiori operazioni in contrasto con la pace degli ultimi decenni, come le sanzioni e l’embargo che da più di dieci anni massacrano il popolo iracheno o le risoluzioni di facciata, e mai applicate, che umiliano le legittime aspettative del popolo palestinese. Riferirsi quindi al ruolo dell’Onu come luogo per la composizione delle cosiddette controversie internazionale evidenzia che una parte del movimento ha inteso il suo slancio pacifista solo nei confini della legalità borghese, non comprendendo che proprio l'attuale assetto sociale e istituzionale è la vera madre di tutte le guerre.

“Il pacifismo fa parte della stessa stirpe storica della democrazia”, scriveva Trotsky in Pacifismo come servo dell'imperialismo, qualificando il pacifismo fine a se stesso come una sorta di autodifesa della borghesia penetrata come elemento morale in seno al movimento operaio. Non è un caso che il decollo del polo imperialistico europeo sia stato proposto come punto qualificante della costruzione di un'Europa autonoma dagli Usa, inevitabilmente più armata, che si ponga come baluardo della "stabilità" internazionale in una logica di difesa esclusiva dei propri interessi economici.

 

Il ruolo del cofferatismo…

Alle analisi e alle posizioni moderate del movimento contro la guerra si è aggiunto anche il “cofferatismo”. Negli ultimi mesi esso ha giocato un ruolo importante, combinandosi all’azione dei DS, per produrre la marginalizzazione dei settori politicamente più avanzati del movimento noglobal (ad esempio in occasione delle mobilitazioni del train stopping) e per dare peso invece alle sue frange più legate alle forze tradizionali e istituzionali. L'aver di fatto favorito il riflusso del movimento, ai fini del proprio tornaconto politico, in favore dei “girotondini”, più facilmente controllabili, ha prodotto nella società anche sul terreno della guerra un cambiamento profondo di riferimento e di prospettiva. Su questa base si è sviluppata un’opposizione di stampo morale alla guerra, imperniata sull’esigenza di rilanciare una nuova legalità internazionale che ha preso come punto di riferimento la posizione della Francia, della Germania e della Russia, corazzate senza bandiera che si sono fatte portavoce dell'opposizione dell'intervento per mascherare i propri interessi imperialistici in Iraq. Non a caso la campagna di svuotamento dei contenuti attuata da Cofferati si è in qualche modo legata all’iniziativa della Cgil, manifestando, tra l’altro, una tra le più grandi incongruenze del movimento. A fronte della grossa mobilitazione contro la guerra, la Cgil non ha, colpevolmente, sentito la necessità di indire lo sciopero generale, se non nella forma dell'adesione all'iniziativa simbolica delle confederazioni europee. A giustificazione di questa scelta si è utilizzata la vecchia bandiera della non politicizzazione della mobilitazione dei lavoratori rispetto alle sorti del conflitto, non comprendendo evidentemente quanto lo sciopero generale, in Italia e in Europa, non costituisse solamente un atto di solidarietà con altri popoli e altri lavoratori aggrediti, ma anche un'autodifesa elementare nei confronti dell’imperialismo italiano. La Cgil si è limitata a una dissociazione dal conflitto quando con tutta evidenza sarebbe stato necessario – e lo è ancora nella fase attuale – preparare lo sciopero contro la guerra e il dispiegamento delle truppe impegnate in Iraq.

Il fronte moderato ha costituito, tuttavia, solo una parte, seppur consistente, del movimento. Tra l’altro, soltanto alcuni mesi fa esso avrebbe criticato "da destra" la mobilitazione contro la guerra invocando, contro la "cecità" di pochi “estremisti”, la legittimità dell'"intervento umanitario" contro il dittatore assassino, giustificando su questa base l’intervento militare in quanto "utile e necessario" per "portare la democrazia in Iraq", disegnando così quella strategia della guerra umanitaria che giustificasse le scelte del centrosinistra. Tutto ciò, in effetti, lo abbiamo visto solo pochi anni fa, quando al governo c'erano i vari Prodi, D’Alema o Amato.

Eppure, malgrado questa base programmatica, si può affermare che anche questa parte del movimento confluisse nell'intenzione e nel tentativo di abbattere il governo Berlusconi a partire dal rifiuto della posizione del governo sulla guerra. Cosa ovviamente in sè più che legittima, ma non condivisibile dai comunisti perché del tutto priva di una piattaforma di classe. Si tratta in effetti di un obiettivo diverso dal nostro: cacciare Berlusconi in nome dell’alternanza borghese e del centro liberale. Prova inconfutabile di questo posizionamento l’assenza di un qualsiasi appello a tornare in piazza contro la decisione del governo Berlusconi, appoggiata dall'"astensione" del centrosinistra, di inviare un contingente militare italiano in Iraq, allo scopo di ricamarsi uno spazio nella ricostruzione. Evidentemente, il pacifismo del centro liberale borghese esaurisce la sua autonomia di fronte agli interessi economici della grande imprenditoria nazionale.

 

… e quello dei Disobbedienti

Nel quadro complessivo del movimento contro la guerra e nel suo attuale riflusso ha giocato un ruolo centrale il movimento dei Disobbedienti che, a fronte di una capacita di mobilitazione importante, ha utilizzato ogni cautela nell’escludere qualsiasi ipotesi di svolta sociale alternativa, contrapponendo all’esigenza di una prospettiva rivoluzionaria un antagonismo interno alla società borghese. Una prospettiva così incompatibile con le reali necessità del movimento operaio non ha fatto che trasportare all’esterno delle sue concrete possibilità tutta la parte più avanzata del movimento, poiché nella sua piattaforma non veniva, e non viene, avanzata nessuna forma di rottura con la legalità borghese, unico elemento capace di favorire lo sviluppo della radicalizzazione del conflitto di classe.

La stessa pratica del blocco dei treni della morte (trainstopping) – che i marxisti rivoluzionari rivendicano anche come proprio patrimonio e forma d'azione poiché storicamente capace di inserire elementi di rottura e quindi di sospingere in avanti lo sviluppo della coscienza di classe – è stata, dai Disobbedienti, completamente fraintesa e stravolta nelle sue radici e umiliata. La disobbedienza si è così mostrata in questa fase soprattutto ciò che essa è stata ridotta nella interpretazione dei suoi attuali massimi rappresentanti: “una rappresentanza mediatica a fini mediatici del partito disobbediente”.

 

Guerra alla guerra

E' quanto mai evidente che nella sua composizione prevalente il movimento non si è posto come elemento di rottura con il fronte borghese e con il quadro della legalità statuale vigente. Ma non si può pensare di sviluppare una utile critica del movimento dall’esterno. Per questo come comunisti e marxisti rivoluzionari continueremo a proporre l’unità sul terreno della mobilitazione per costruire il più ampio fronte contro l’imperialismo e la sua deriva bellicista. Ma lavoreremo anche per promuovere una specifica piattaforma di "guerra alla guerra" che sappia essere punto di riferimento per l'immediata necessità di organizzare il boicottaggio attivo e di massa della spedizione del contingente italiano in Iraq; che denunci apertamente gli interessi economici italiani nella ricostruzione; che si batta per la nazionalizzazione senza indennizzo di tutti i potenti interessi coinvolti nella produzione e nella speculazione bellica; che formuli in modo coerente la prospettiva della lotta per un’organizzazione internazionale marxista rivoluzionaria per sviluppare in Europa e nel mondo la più efficace opposizione all’imperialismo, vecchio e nuovo.

Una piattaforma che combatta apertamente le illusioni del pacifismo, che ponga la necessità di un'Europa socialista, che tragga sino in fondo le lezioni di un decennio di guerre commerciali e di guerre militari, che si ponga insomma l'obiettivo di far trascrescere l'attuale movimento in uno strumento rivoluzionario.