Marxismo rivoluzionario n. 1 – speciale argentina

 

FABBRICHE OCCUPATE, LA RESISTENZA OPERAIA CONTINUA

 

 

di Tiziano Bagarolo

 

 

A una settimana dal primo turno delle elezioni presidenziali argentine, l’ennesimo episodio repressivo ha riportato in primo piano il movimento delle fabbriche occupate. Nelle prime ore del mattino del 18 aprile, un imponente dispositivo poliziesco ha sgomberato i pochi lavoratori che presidiavano durante la notte la fabbrica tessile Brukman di Buenos Aires, occupata dal 18 dicembre 2001 e uno dei simboli, non solo in Argentina, del movimento. Tre giorni dopo, una imponente manifestazione popolare promossa dalle operaie della Bruk­man e da un vasto schieramento di organizzazioni classiste e popolari per rioccupare la fabbrica, è stata selvaggiamente attaccata dalla polizia, con un seguito di sei ore di scontri di strada nel centro della città, alla fine dei quali si contavano centinaia di feriti, anche da arma da fuoco, e decine di arresti. Per certi versi una riedizione della selvaggia represisone del 26 giugno 2002 al Puente Pueyrredon, nella quale futono uccisi Dario Santillan e Maximiliano Kosteki, anche se questa volta, forse per mera fortuna, non c’è scappato il morto.

Il caso della Brukman ha suscitato una vasta eco internazionale. Alle operaie (la fabbrica occupa prevalentemente manodopera femminile) protagoniste da sedici mesi di una lotta esemplare, sono giuntimessaggi di solidarietà da tutto il mondo, a testimonianza dell’attenzione che l’esperienza delle fabbriche occupate – uno dei punti più avanzati della lotta della classe operaia argentina – si è conquistata presso i settori classisti di ogni parte del mondo.

 

Interpretazioni riduttive o fuorvianti

Abbiamo già trattato ampiamente altrove delle fabbriche occupate argentine (“Proposta” n. 32, settembre 2002, e “Progetto comunista”, novembre 2002). Torniamo qui sull’argomento sia per la sua perdurante attualità sia per fornire al lettore materiali di prima mano che consentano di comprendere meglio i problemi che questa esperienza incontra, il dibattito che si sviluppa nel suo seno, gli obiettivi che vengono avanzati dalla parte più avanzata del movimento in cui giocano un ruolo significativo i marxisti rivoluzionari.

E anche per contrastare le interpretazioni riduttive o fuorvianti che capita di leggere sulla stampa di movimento in Italia. Due esempi. “Liberazione” del 26 aprile scorso pubblicava sulla lotta della Brukman un articolo di Naomi Klein, l’autrice di No logo. Il pezzo della Klein ricostruiva vivacemente con onestà e partecipazione la storia di queste operaie, schierandosi risolutamente dalla loro parte. La la Klein trovava pure il modo di fare un’osservazione ironica verso “i piccoli giornali trots­ki­sti di tutto il mondo” per i quali “le fabbriche argentine occupate, dove i lavoratori si sono appropriati dei mezzi di produzione, vengono salutate con euforia come l’alba di un’utopia socialista”. E ciò in nome di un’interpreta­zione – questa sì davvero “utopistica” – tutta centrata sul valore “prefigurante” dell’autogestione operaia – la fabbrica occupata e riatti­vata da chi ci lavora come “nuovo modello” possibile di un altro movimento operaio e di un’altra logica economica e sociale – che non coglie che la possibilità di questo “nuovo modello” è strettamente legata a rapporti di forza e condizioni politiche del tutto eccezionali, che solo la generalizzazione di tali esperienze e solo tutta una serie di misure (l’esproprio, la costituzione di una rete di imprese sotto gestione o controllo operaio, un piano nazionale…), che al momento neppure gli operai argentini sono riusciti a conseguire, possono consentire a queste esperienze di sopravvivere e di svilupparsi e che, in definitiva, solo il rovesciamento del capitale e la conquista del potere da parte dei lavoratori può consentire a questo “modello” di diventare la “regola” (e non l’eccezione) per l’intera società.

Secondo esempio. “Carta”, settimanale “di movimento” legato ai centri sociali, ha da tempo “scoperto l’Argentina”. Bene, si dirà. Non proprio, invece, a vedere ciò che il settimanale “dei cantieri sociali” va a scegliere nel vasto laboratorio del paese latino­americano per riproporlo ai propri lettori come “altro mondo possibile”. Una prima scoperta argentina di “Carta” è il treque (il baratto). Le reti di baratto sono fiorite negli ultimi anni in Argentina come reazione al disfacimento dell’economia monetaria in seguito ai licenziamenti, alla caduta dei redditi delle larghe masse, al blocco dei depositi e al crollo del sistema dei pagamenti. “Carta” ci vede l’inizio di una nuova economia solidale, passando sopra agli scandali e alle truffe, per nulla inferiori a quelle del com­mercio tradizionale, che caratterizzano il treque nella realtà. Altra scoperta le assemblee barriales come “nuova” forma di partecipazione politica. Valorizzate però nella misura in cui si occupano locali­sti­camente dei problemi quotidiani in contrapposi­zione ai partiti politici (di sinistra) e alle proposte di centra­liz­za­­zione nazionale; con la qual cosa viene negata in partenza la potenzialità rivoluzionaria delle assemblee popolari di costituirsi come organismi del con­tro­potere operaio. Anche dei pique­teros, poi, piace l’autoprodu­zione su piccola scala, la quale è ovviamente una cosa importante per la sopravvivenza dei senza lavoro e delle loro famiglie, ma non è certo la novità più significativa di questa originale forma di organizzazione e di lotta.

Ma la chiave di lettura riformista di “Carta” vien fuori meglio proprio in rapporto alle fabbriche occupate. Con chi trova da polemizzare “Carta”? Con i “partitini trotski­sti” perché vogliono l’esproprio e la “statiz­zazione”. Quale soluzione sostiene invece il “settimana­le dei cantieri sociali”? Le cooperative, naturalmente, e in particolare quel Movimento nazionale delle fabbriche recu­perate diretto da un furbo notabile pero­nista che se ne fa sostenitore…

 

Una lotta difficile

La realtà attuale delle fabbriche argen­tine occupate non corrisponde a un’utopia socialista in marcia ma neppure si riduce alla logica minima­lista che pure piace a “Carta”. Si tratta in effetti di un fenomeno complesso, nato sul terreno difensivo dalla lotta per la difesa del posto di lavoro nel quadro della crisi produttiva devastante degli ultimi anni.

Una lotta difficile in cui i lavoratori devono barcamenarsi fra le mille difficoltà della gestione quotidiana (trovare le materie prime, i crediti, i clienti), i ricorrenti tentativi repressivi dello Stato, la freddezza delle burocrazie sindacali ufficiali, l’esigenza di avere certezze per il futuro, gli sforzi generosi per uscire dall’isolamento e costruire legami solidali con la popolazione e con le esperienze similari nel resto del paese.

Il fenomeno è rapidamente cresciuto e ha assunto una forte valenza politica dopo la rivolta del dicembre 2001, in particolare nel clima di effervescenza rivoluzionaria dei primi mesi dell’anno scorso. Nell’aprile 2002, per iniziativa dei lavoratori della Zanon di Neuquen e della Brukman di Buenos Aires, si è svolto il primo incontro nazionale delle fabbriche occupate da cui ha preso avvio un tentativo di costruire un coordinamento nazionale unitario e un programma comune (il terzo ha avuto luogo il 15 marzo scorso a Rosario). Ma anche questa si è rivelata un’impresa tutt’altro che semplice. Per motivi diversi. Intanto perché numerose fabbriche “recuperate” (la differenza se­man­tica non è casuale) costituite in cooperative di lavoro hanno continuato ad accettare più o meno di buon grado la tutela di questo o quel personaggio legato al vecchio regime (in una logica, quindi, di mera pressione sui governi locali). In secondo luogo perché non sono mancati i problemi interni e di rapporto col resto dei movimenti come riflesso delle divisioni e delle contrappo­sizioni fra i partiti politici di sinistra (in particolare del Pts, che gioca un ruolo egemone nel sindacato dei cera­misti di Neuquen e nella lotta della Zanon, al Partido Obrero, che ha invece una larga influenza sul movimento piquetero).

Il risultato più negativo di queste con­trapposizioni è stato che il coordinamento nazionale delle fabbriche occupate non ha accettato di integrarsi e di partecipare a pieno titolo nel fronte di organizzazioni piquetere e classiste che ha dato vita nell’ultimo anno e mezzo alle principali lotte sociali e a diverse assemblee nazionali molto partecipate (presenti anche numerose fabbriche occupate), preferendo promuovere propri incontri nazionali separati. Per fortuna questa divisione (che non ha vere ragioni politiche in differenze program­ma­tiche) è stata quasi sempre superata dall’unità d’azione in piazza e nella difesa delle fabbriche minacciate di sgombero, in cui è stata applicata la consegna di tutto il movimento: Si tocan a una, nos tocan a todos (se toccano una, toccano tutti). Le scadenze di lotta unitarie sono state numerose: nell’agosto scorso e nel marzo di quest’anno la difesa della Zanon; a settembre una giornata nazionale di lotta delle fabbriche occupate; più di recente la difesa della Brukman e la manifestazione unitaria del 1 maggio a Buenos Aires.

Oggi sono oltre 160 le aziende in occupazione o sotto gestione operaia (comprese quelle costituitesi in cooperative). Si tratta soprattutto di aziende di piccole e medie dimensioni (da qualche decina o poche centinaia di occupati) che operano in diversi settori produttivi: tessile, meccanico, alimentare, commerciale, sanitario, trasporti. Per tutte il problema immediato è la sopravvivenza. Ciò ha una dimensione economica e una politica. Economica: trovare le risorse per continuare la produzione, il pagamento dei salari, investire ecc. Politica: fronteggiare i tentativi repressivi dello Stato che mirano a ristabilire la sa­cralità della proprietà privata. Signifi­cative le affermazioni del giudice che ha ordinato lo sgombero della Bruk­man: “La vita e l’incolumità fisica non hanno la prevalenza sugli interessi economici” (del profitto, s’intende). Da ciò l’interesse dei lavoratori per ottenere provvedimenti anche parziali che consentano di continuare a resistere e a lavorare e il dibattito sull’alternativa fra cooperative e pubbli­ciz­zazione.

Il futuro delle fabbriche occupate si intreccia con il futuro della rivoluzione argentina. La sconfitta dei movimenti e il successo della classe dominante, e in particolare della frazione impersonata da Duhalde-Kirchner, che emergono dal risultato delle recenti elezioni presidenziali, hanno creato un quadro più difficile. Ma le fabbriche occupate resteranno anche nei prossimi mesi un bastione della resistenza operaia, un punto di riferimento per tutta l’opposizione popolare e un ostacolo per qualsiasi tentativo di normaliz­zazione borghese. I lavoratori sanno di dover fronteggiare nuovi tentativi repressivi ma anche di poterlo fare nella misura in cui sono uniti con tutto il movimento di resistenza sociale. La l’efficacia della resistenza e la possibilità di questa unità dipen­deranno anche dal fatto che il movimento sia in grado di far avanzare il proprio programma, che prospetta risposte concrete e una alternativa generale alle politiche del governo.

 

I materiali che pubblichiamo

Nelle pagine che seguono pubblichiamo un articolo del compagno Pablo Heller, responsabile per le fabbriche occupate del Partido Obrero, sui provvedimenti legislativi per le fabbriche occupate. Pubblichiamo inoltre ampi stralci del punto dedicato alle rivendi­cazioni delle fabbriche occupate del programma approvato dalla terza assemblea nazionale dei lavoratori (svoltasi il 28-29 settembre 2002) , testo che riassume in modo efficace l’approccio e le rivendicazioni del settore più avanzato del movimento.

Questi e altri materiali, naturalmente in spagnolo, sono disponibili sui siti del Partido Obrero (www.po.org.ar) e del Polo Obrero (www.poloobrero.org.ar).