MICAELA BONGI
ROMA
E' un test
locale «e non siamo così sciocchi da non saperlo». Ma il successo portato a
casa Piero Fassino lo assapora tutto e, al termine della riunione della
segreteria, incontra nuovamente i giornalisti sciorinando i dati elaborati
dall'ufficio elettorale del partito: la Quercia torna a superare il 20 per cento
e raddoppia sulla Margherita alla quale nel 2001 era quasi appaiata. Ma non è
questo il risultato che vuole enfatizzare il segretario dei Ds, anzi, «non è
giusto parlare di crollo della Margherita», che in molte città raggiunge un
consenso significativo e importante», minimizza. Del resto i conti - anche
all'interno del partito di Rutelli - si faranno più seriamente solo dopo i
ballottaggi. I Ds preferiscono mantenere la preoccupazione per la deludente performance
degli alleati e per i suoi possibili effetti al chiuso del Botteghino. E se
i Ds vanno bene, è la battuta di Massimo D'Alema, «non diciamolo troppo in
giro, sennò scoppia il finimondo». Riconquistata l'egemonia nella coalizione,
Piero Fassino vuole battere sul tasto unitario, posto che la maggioranza
diessina ha anche tutto l'interesse a sdrammatizzare il risultato dei centristi
dell'Ulivo a fronte di un voto che ha invece premiato l'ala sinistra
dell'alleanza (a Roma il Pdci passa dall'1,2 per cento al 2,9, e si candida a
ereditare parte del consenso dei cofferatiani, dopo la tregua siglata nella
Quercia). Il segretario dei Ds, paragonando le amministrative a un'elezione di
«medio termine», parla di «una netta vittoria del centrosinistra che esce
rafforzato in voti e percentuali», mentre «il centrodestra è più debole e
fragile. La destra frana in modo significativo, Forza Italia dimezza i voti».
Conclusione: «In questo momento il centrosinistra sarebbe maggioranza nel
paese, sia nel maggioritario, con il 51,6 per cento, sia nel proporzionale, con
il 48,9». Ma la rimonta della Quercia preoccupa anche i Verdi, che temono una
coalizione ds-centrica. In casa della Margherita, poi, dopo aver visto volare il
voto moderato verso l'Udeur (Mastella è fuori di sé dalla felicità) e l'Udc,
non tira certo un'aria allegra: l'ufficio di presidenza rimane riunito per ore,
ma la discussione è solo all'inzio e viene aggiornata (il direttivo si riunirà
domani), anche se i dissapori già emergono. A metà pomeriggio, Francesco
Rutelli incontra la stampa. Ammette la «flessione» e la necessità di
analizzarla e discuterla nel partito. Ma l'ex sindaco capitolino vuole anche «collocare
nel giusto scenario» il flop. In particolare, sottolineando che «la
Margherita aiuta l'Ulivo a vincere con i propri candidati, che hanno fatto la
differenza» e «subisce una flessione contenuta tipica di un partito giovane
ancora senza un forte radicamento». Caustico il commento di Enzo Carra: «Non
possiamo limitarci a essere un'agenzia di casting per la scelta dei candidati».
Il malumore di Rutelli per il risultato romano è racchiuso in una battuta: «Cercherò
di dare ai dirigenti del partito a Roma qualche buon consiglio». Per il resto,
messa al bando la competition («con i Ds non ci deve essere concorrenza,
ma convergenza» e «il lavoro che io posso fare è in chiave assolutamente
unitaria») il coordinatore ulivista si concentra sui guai degli avversari e in
prospettiva indica la strada di un Ulivo allargato e di «un accordo politico
trasparente con Rifondazione». E proprio il leader del Prc, Fausto Bertinotti,
arriva in soccorso di Rutelli. In un'intervista al Messaggero esalta la
«formula magica che ha fatto volare il centrosinistra allargato a Rifondazione»
e loda Enrico Gasbarra come «candidato ideale». Quanto alla Margherita,
continua il leader rifondatore, «sarebbe sbagliato leggere in modo univoco il
risultato» di un partito «la cui presenza è fondamentale nella coalzione».
Certo, non basta ricomporre la coalizione, ma «è già un segnale di
cambiamento» e insieme è stata data «un'anima a questa alleanza che si è
riconosciuta nella forte mobilitazione contro la guerra e nella promozione dei
diritti dei più deboli, ponendosi come vera alternativa alla destra».
Parole che allertano la minoranza rifondatrice di Progetto comunista: «I
commenti sul voto amministrativo richiedono una immediata chiarificazione - dice
infatti Marco Ferrando - un accordo politico e di governo fra Ulivo e Prc
sarebbe privo di qualsiasi base di principio e rappresenterebbe la distruzione
politica di Rifondazione. Se sarà aperto un negoziato politico, programmatico e
di governo tra Rifondazione comunista e l'Ulivo bisognerà andare a un congresso
straordinario».