ANDREA COLOMBO
COSIMO ROSSI
ROMA
Il disgelo procede a passo di
carica. Non è iniziato con le elezioni, ma dopo il voto ha subìto
un'accelerazione impressionante. Uscito di scena Sergio Cofferati e con alle
spalle la riprova di quanto gli elettori apprezzino uno schieramento unitario,
Ulivo e Prc marciano verso la definizione di quell'«accordo programmatico»
su cui dovrebbe basarsi il fronte unitario nel 2006. Dagli studi di Porta a
Porta, a conteggi non ancora terminati, Fausto Bertinotti spiegava che
l'Ulivo non è più quello di una volta, che è stato investito dal vento del
pacifismo. In questi casi non c'è bisogno di aggiungere altro per far capire
che la marcia di avvicinamento è già a buon punto. Del resto le successive
interviste del leader del Prc non lasciavano margine di dubbio. A raccogliere
la palla sono stati i leader diessini, nel direttivo di mercoledì scorso.
Prima di tutto con un messaggio esplicito, ribadito sia da Piero Fassino che
da Massimo D'Alema: «Con Rifondazione non basta più la desistenza. Bisogna
puntare a un accordo politico». Ma soprattutto con un messaggio cifrato.
Fassino e Cesare Salvi, che tra i leader del correntone è quello più vicino
alle posizioni del Prc nonché promotore del referendum sull'art. 18, hanno
convenuto sulla necessità di smussare i toni del confronto su quel
referendum. E ai vertici della Quercia nessuno nasconde che, se l'obiettivo
esplicito dell'offensiva di pace era l'ala sinistra di Aprile, il vero
destinatario del messaggio era proprio Bertinotti. La stessa tregua firmata
sotto la Quercia dalle due anime del partito, inoltre, fa perno proprio
sull'intesa in merito al dialogo con Rifondazione.
Certo, quelle tre «commissioni paritetiche» decise il 6 marzo scorso, nel
vertice Ulivo-Prc che diede l'avvio al disgelo, non sono mai state convocate.
Non si tratta di un particolare irrilevante, dato che proprio quelle tre
commissioni avrebbero dovuto verificare in concreto la possibilità di
un'intesa programmatica. Ma lo slittamento, probabilmente, rivela proprio
quanta importanza entrambi gli attori attribuiscano al confronto. Inutile,
anzi dannoso, farlo partire prima del referendum, quando le divisioni
inevitabilmente avrebbero la meglio sui tentativi di mediazione.
Se il confronto è ancora alle posizioni di partenza, almeno uno dei punti
messi sul tavolo da Fausto Bertinotti è noto: il «salario sociale» per i
disoccupati, magari in una delle versioni accettate anche dagli economisti
liberal come Dahrendorf. Rutelli non aveva detto no, non aveva sprangato le
porte. E proprio Rutelli, da quel 6 marzo alle elezioni di domenica scorsa, si
era incaricato di gestire in prima persona i rapporti diplomatici con il Prc.
Ma le urne hanno drasticamente ridimensionato il ruolo e il peso specifico
dell'ex sindaco di Roma. Per Rifondazione è diventato dunque determinante
puntare alla mediazione con il vero interlocutore numero uno, Romano Prodi.
Gli elogi riservati da Bertinotti a Gasbarra «che apriva i suoi comizi sotto
la bandiera della pace», non vanno intepretati, garantisce il capogruppo
rifondatore Franco Giordano, come conferma del rapporto privilegiato con
Rutelli. Segnalano invece l'interesse del Prc per quelle aree cattoliche che
si sono distinte nell'opposizione alla guerra, e che anche in materia di
politica sociale potrebbero trovare assai più facilmente di altri un punto di
contatto con la sinistra radicale. Una linea che Bertinotti ha sostenuto anche
nei colloqui con i leader dei Verdi, e che porta dritta al confronto con la
principale testa di serie per la leadership dell'opposizione nel 2006,
l'attuale presidente della commissine europea.
Proprio i Verdi, come e più del correntone, mirano a proporsi come cerniera
fra il centrosinistra e le altre forze d'opposizione, il Prc e il gruppo di
Antonio Di Pietro. Il banco di prova dovrebbero essere le elezioni in Val
d'Aosta, dove le tre formazioni hanno dato vita a una «lista arcobaleno»
sulla base della comune posizione nei referendum (l'ex pm di Mani pulite,
assicura il portavoce dei Verdi Pecoraro Scanio, ha infatti cambiato idea
sull'art.18, ed è passato dalla linea astensionista al sì). La lista
arcobaleno ha ottime probabilità, secondo i pronostici, di raggiungere un
buon risultato, oltrepassando il 10% e forse superando gli stessi Ds. I Verdi
la considerano un'esperienza pilota e hanno già intavolato trattative con il
Prc per estenderla. «Noi - dichiara Pecoraro Scanio - vogliamo rappresentare
una cerniera. Pensiamo a un Ulivo che non sia più una gabbia, ma una
formazione dai confini mobili. Non un Ulivo allargato, ma una nuova alleanza
di programma». Obiettivo pienamente condiviso dallo stesso Bertinotti. Forse
persino più indicativo del caso della Val d'Aosta è quello del Friuli, dove
per la prima volta il Prc ha raggiunto l'accordo con il candidato alla
presidenza della regione Illy, che pure ha nel suo programma il completamento
della privatizzazione della Fincantieri.
Gli ostacoli, va da sé, non sono stati ancora superati. E se il primo è la
difficile ricerca della mediazione sui programmi, il secondo è l'opposizione
interna al Prc. Il leader della minoranza Ferrando promette «una campagna
come mai l'opposizione ha fatto sinora», annuncia un appello «a tutto il
partito, aldilà delle degli steccati congressuali». Subito dopo le elezioni
la minoranza tenterà di bloccare i «comitati paritetici» Ulivo-Prc, e si
dichiara pronta a chiedere la convocazione del congresso straordinario.
Bertinotti e i leader ulivisti «dialoganti» hanno però dalla loro parte il
verdetto delle urne. I risultati dell'ultima tornata amministrativa
certificano in sostanza l'impraticabilità elettorale di due ipotesi politiche
a lungo dibattute negli ultimi due anni: la costruzione di un schieramento di
«sinistra alternativa» capace di estendere il consenso oltre quello raccolto
da Rifondazione comunista e l'idea di un Ulivo a due velocità guidato da un
nocciolo duro composto dal tandem Ds-Margherita.
La scarsa capacità di penetrazione elettorale di un cartello di «sinistra
alternativa» era già stata certificata nelle precedenti tornate elettorali.
La buona tenuta del Prc nella corsa solitaria alle scorse politiche (5 per
cento, pari a 1.868.659 voti), si colloca comunque ad anni luce di distanza
dal grande successo politico dell'alleanza con l'Ulivo nel 1996 (8,6 per
cento, pari a 3.213.748): un problema di «efficacia» del voto a Rifondazione
- ritenuto tale solo se dentro un'alleanza di governo alternativa alle destre
- che non è mai sfuggito ai vertici di via del Policlinico. E confermato
anche nelle recenti amministrative. Talvolta a discapito della stesso volontà
dei dirigenti del Prc: come a Brescia, dove l'alleanza è stata disdettata
dall'Ulivo, ma dove il Prc paga ugualmente la corsa solitaria (calando al 3,2
per cento, rispetto al 3,7 delle recedenti comunali del '98 e al 5,1 del 2001;
per non parlare dei voti assoluti ridotti a 3.008 dai 6.903 delle politiche).
Tuttavia anche l'idea di un motore a due cilindri - Ds e Margherita - del
centrosinistra deve fare i conti con il responso del voto. La Quercia,
infatti, cresce proprio in ragione della sua differenziazione rispetto al
partito di Francesco Rutelli. Insieme ai Ds crescono anche i partiti minori
(il Pdci in primis) più ancorati a sinistra: segno che su di loro si sono
maggiormente depositati i flutti dell'onda lunga del 23 marzo 2002 e delle
lotte per i diritti. Tanto da trasformare la maggioranza Ds, certo non
sospettabile di radicalità, in un interlocutore privilegiato e non
belligerante con Rifondazione comunista, anche nella prospettiva vicina del
referendum.