Progetto
di Tesi programmatiche per il Congresso per la rifondazione
della Quarta Internazionale
Una nuova fase
nell’epoca dell’agonia del capitalismo
1.
Le caratteristiche che distinguono la presente fase storica sono state
determinate dalla dissoluzione dell’Unione sovietica e dalla restaurazione del
capitalismo che è in corso, a doversi livelli, in Russia, in Cina e
nell’insieme degli Stati operai degenerati. Per quanto non siano mai usciti
dal quadro del capitalismo mondiale, anche perché non avrebbero potuto farlo,
la loro scomparsa ha ampliato in una scala senza precedenti in termini
geografici e sociali il dominio del capitale.
La
restaurazione capitalistica, avendo reintegrato nel mercato mondiale centinaia
di milioni di lavoratori, ha rafforzato la concorrenza all’interno della
classe operaia mondiale. L’espropriazione del capitale, limitando questa
concorrenza con mezzi rivoluzionari, aveva significato un progresso della lotta
della classe operaia contro la classe capitalistica per la distribuzione del
reddito su scala mondiale.
2.
La restaurazione del capitalismo negli ex Stati operai ha messo fine a una lunga
serie di tentativi del proletariato di abbattere i regimi burocratici con metodi
rivoluzionari. Le rivoluzioni politiche contro le burocrazie al governo in tutti
gli ex Stati operai, fra il 1953 e il 1989, sono iniziate come ribellioni delle
forze produttive che si erano sviluppate nel quadro dell’economia pianificata
contro la deformazione e lo strangolamento da parte delle burocrazie
controrivoluzionarie. Senza dubbio, a partire dalle crescenti alleanze
economiche, politiche e diplomatiche della burocrazia controrivoluzionaria con
l’imperialismo, queste rivoluzioni si sono trasformate, oggettivamente, in una
ribellione delle forze produttive contro il capitalismo mondiale. La
restaurazione capitalistica significa, nel
complesso, ossia indipendentemente dai risultati parziali e relativi che
può aver conseguito in questo o quel paese, un arretramento di carattere
storico delle forze produttive imposto dalle relazioni sociali esistenti.
L’ingresso
dei regimi burocratici nel sistema internazionale del debito estero; gli accordi
sempre più frequenti dei loro governi con il FMI; i trattati internazionali che
impegnavano la burocrazia nella difesa della proprietà e del mercato
capitalistici (Helsinki, 1975; cessione di Hong Kong, 1982), sono stati altre
manifestazioni della tendenza della burocrazia alla restaurazione capitalistica.
La
disintegrazione degli apparati statali in Cina e in Polonia, nel quadro della
“rivoluzione culturale” l’uno e dell’occupazione delle fabbriche alla
fine degli anni settanta, l’altro, segnano i punti di svolta che hanno
lasciato i regimi sociali “transitori” senza una “terza opzione” fra
restaurazione del capitalismo o rivoluzione proletaria.
Queste
crisi rivoluzionarie non solo riflettono il fallimento del “socialismo in un
paese solo”, ma anche l’impasse complessiva del capitalismo mondiale. Si
verificarono quando il cosiddetto boom economico internazionale del dopoguerra
si era esaurito e una decina d’anni dopo la crisi internazionale del 1971-75
che fu l’inizio di un declino economico relativo molto prolungato ed esteso.
3.
La restaurazione del capitalismo, che si trova nelle fase iniziali, ha tuttavia
ampliato il raggio di sfruttamento del capitale internazionale. L’apertura
degli ex Stati operai ha offerto al capitale una nuova possibilità di
sfruttamento che comprende centinaia di milioni di persone (Cina), oltre alla
possibilità di impadronirsi di un parco tecnologico sofisticato (Russia): Ma
questo inizio di uscita dalla saturazione del mercato mondiale è stato
accompagnato da un incremento della saturazione dello stesso mercato mondiale.
E’
accaduto che in stretta relazione con questo ampliamento si è intensificata la
competizione fra i monopoli capitalistici internazionali alla ricerca della
conquista di questi nuovi mercati e di una nuova divisione del mercato mondiale.
La maggiore mobilità geografica conquistata dal capitale ha accentuato la
concorrenza all’interno del proletariato a livello internazionale. La
concorrenza fra i lavoratori si manifesta, in forma indiretta, per mezzo dello
sfruttamento delle forze produttive e dei lavoratori a più buon mercato e, in
forma diretta, nell’ondata di migranti diretti verso le metropoli. Nei paesi
arretrati si aggrava la sovrappopolazione relativa derivante dal fallimento
della piccola produzione e dalla crisi agraria,mentre nelle metropoli si
manifesta un marcato arretramento die diritti sociali.
Dal
momento che il capitale affronta la restaurazione capitalistica con i mezzi che
gli sono propri, si sono rafforzate anche le altre sue tendenze fondamentali: la
concentrazione della ricchezza a un polo e della misera al polo opposto della
società; l’acutizzazione dell’anarchia economica e per tanto delle crisi
finanziarie e commerciali; la liquidazione degli strati intermedi della piccola
produzione; l’aumento delle crisi agrarie e delle rivolte contadine; un più
forte ostacolo allo sviluppo indipendente dei Paesi in ritardo. In ultima
istanza, la spinta verso nuove guerre e nuove rivoluzioni.
Con
la restaurazione capitalistica,la crisi storica del capitalismo non si è
attenuata ma semmai acutizzata. Il fatto è che il crollo degli Stati operai
degenerati si sviluppa nel quadro delle tendenze della crisi capitalistica
mondiale. Dall’ex Germana orientale alla Russia si sta svolgendo un vero
arretramento del livello di civiltà. In Cina, l’invasione del capitale
straniero ha sfruttato il dislivello fra l’economia mondiale e il ritardo
storico della Cina per dar luogo a uno sviluppo tanto rapido quanto unilaterale,
che dunque provoca, insieme all’estrema polarizzazione della ricchezza, la
demolizione dell’economia statale, tuttora maggioritaria, e una gigantesca
crisi agraria. Le economie più avanzate, da parte loro, soffrono un seguito di
crisi finanziarie sempre più estese e intense, che trascinano grandi monopoli e
intere nazioni alla bancarotta e all’esplosione sociale e politica. Per la
prima volta si trova minacciata la sopravvivenza dell’Unione europea come
entità politica. La crisi storica del capitale ha attraversato diversi gradi e
ha rafforzato la tendenza alla creazione di situazioni rivoluzionarie e di
rivoluzioni sociali. Diventa manifesta in questo modo la tendenza del capitale
verso la propria dissoluzione.
4.
La fase aperta con il crollo degli Stati operai degenerati ha dissolto il
sistema di relazioni internazionali stabilito attraverso gli accordi del
dopoguerra e, con ciò, ha generato crisi internazionali sempre più profonde.
L’esaurimento della “architettura diplomatica” della cosiddetta guerra
fredda esprime nel complesso una nuova fase dei rapporti di forza fra le classi
sociali.
I
partiti che rispondevano all’apparato internazionale legato a Mosca hanno
fallito nel loro tentativo prolungato di riconvertirsi in partiti riformisti
“nazionali” e in via generale sono in via di dissoluzione. Allo stesso modo,
sono crollati anche molti Stati clienti della burocrazia russa, specie nei
Balcani, in Medio Oriente, in Asia centrale e in Africa. La restaurazione
capitalistica nell’ex URSS non solo ha provocato una disorganizzazione
economica generalizzata, ma ha anche fatto saltare tutti gli antagonismi
nazionali sepolti dallo stato poliziesco. Le nazioni dell’Asia centrale e del
Caucaso si sono trasformate in un gigantesco campo di contesa per
l’imperialismo mondiale. Sul piano delle relazioni politiche internazionali la
nuova fase si caratterizza per crisi interstatali e guerre generalizzate in
tutti i continenti.
5.
La caratterizzazione della fase in atto, presentata dal mondo accademico
ufficiale e semiufficiale, come “globalizzazione” (con riferimento al
capitale) riveste di un carattere storico progressivo la restaurazione
capitalistica negli ex Stati operai. La globalizzazione del capitale, tuttavia,
è un fenomeno che ha raggiunto il suo apogeo storico già da molto tempo, con
la formazione di un unico mercato mondiale e l’emergenza dell’imperialismo.
Esprime il declino del capitalismo, non la sua ascesa. L’arretramento storico,
che a un punto culminante nella restaurazione capitalistica in corso, ha avuto
un inizio con la controrivoluzione burocratica che non fu altro che
l’espressione della pressione dell’economia capitalistica mondiale su un
“socialismo” isolato in “uno” o vari paesi storicamente arretrati. La
“globalizzazione” in quanto restaurazione del capitale laddove questo era
stato espropriato, non costituisce un passo avanti ma un passo indietro storico,
e comporta, da un lato, la perdita di conquiste storiche e social in questi
paesi e a livello internazionale. La “globalizzazione” è l’espressione
ideologica della distruzione della prospettiva del socialismo conquistata
storicamente dal proletariato in due secoli di lotta di classe.
Essa
attribuisce la vittoria transitoria del capitale sui regimi sociali
postcapitalistici diretti dalla burocrazia alla capacità del capitale di
rivoluzionare indefinitamente le forze produttive, ciò che ignora, da un lato,
il carattere contraddittorio del capitale e, dall’altro, il suo carattere
storicamente condizionato; e che i progressi della scienza e della tecnica,
promossi dal capitale non come finalità sociale cosciente ma come mezzo
necessario per aumentare lo sfruttamento del lavoro altrui, potenzia le sue
contraddizioni e le rende sempre più esplosive.
L’eufemismo
“globalizzazione” pretende di mettere un segno di uguale fra la liquidazione
delle formazioni economiche precapitalistiche da parte del capitale nell’epoca
storica della sua ascesa (liberalismo) e la distruzione della proprietà
statizzata e dell’economia pianificata nella fase del capitale monopolistico
in disgregazione.
Presenta
l’unificazione capitalistica del mercato mondiale come una prospettiva ancora
non completata, e non come una realtà che ha esaurito le sue possibilità
storiche e che genera crisi economiche esplosive, catastrofi sociali di portata
maggiore e guerre sempre più distruttive.
La
“globalizzazione” rifiuta l’idea che la restaurazione capitalistica abbia
un carattere transitorio la cui conclusione sarà determinata dallo sviluppo
della presente crisi mondiale.
6.
La “globalizzazione” è una finzione ideologica che pretende ugualmente di
occultare il complesso delle tendenze alla disgregazione del capitale mondiale.
Per esempio, l’estensione fenomenale del capitale fittizio (indebitamente
pubblico e privato, degli investitori e dei consumatori, finanziario e
speculativo), che supera abbondantemente il capitale nella sua forma materiale e
che porta alla bancarotta i bilanci statali. Lo sviluppo del capitale fittizio
sotto forma di estensione senza precedenti dei mercati del capitale costituisce
un mezzo poderoso di confisca economica addizionale dei lavoratori, degli strati
sociali intermedi e di intere nazioni.
La
cosiddetta terziarizzazione (il subappalto), altra caratteristica della
menzionata globalizzazione, non rappresenta una nuova fase storica
dell’industrializzazione sotto l’impulso della divisione internazionale del
lavoro, ma semmai uno sviluppo parassitario dei grandi “polipi”
capitalistici, che sostituisce l’industrializzazione dei paesi arretrati con
l’impianto di maquiladoras [fabbriche ad alta intensità di lavoro
dequalificato] e stabilimenti di assemblaggio per sfruttare la manodopera a buon
mercato e saccheggiare materialmente le nazioni coinvolte.
Il
risultato di questo complesso di tendenze è la sovrapproduzione cronica di
merci e di capitali, la tendenza alla depressione economica, la generalizzazione
(questa sì globale) della deflazione su scala internazionale e della
disoccupazione operaia la più elevata e persistente della storia del
capitalismo. La cosiddetta globalizzazione “ingloba” tutte le forme di
capitale nella forma di capitale “globale” per occultare in tale modo la sua
fase storica specifica, ossia il livello eccezionale raggiunto dal suo sviluppo
parassitario e dipendente dalla rendita.
7.
Lo sviluppo capitalistico delle ultime decadi ha acutizzato la contraddizione
fra il carattere mondiale dello sviluppo delle forze produttive e del mercato,
da un lato, e il carattere nazionale dei capitali, dei monopoli e degli Stati.
Ossia ha acutizzato l’anarchia capitalistica.
Il
rafforzamento della nazionalizzazione dei capitali mette a nudo il carattere
interessato delle espressioni apologetiche come “trasnazionali”,
“multinazionali” o “globalizzazione”. La nazionalizzazione del capitale
si manifesta in modo speciale nella supremazia conquistata dal capitale
nordamericano, soprattutto nelle banche di investimento.
L’unione
europea ha fallito nel tentativo di creare un capitale specificamente europeo in
contrapposizione ai capitali nordamericani e giapponesi e anche con riferimento
ai capitali nazionali dei diversi Stati europei, cioè francesi, italiani,
tedeschi o greci. L’atomizzazione nazionale del capitale monopolistico in
Europa non è stata superata dalla creazione di una Banca centrale e neppure
dalla moneta unica. Quest’ultima ha esacerbato le contraddizioni delle
economie nazionali, in conseguenza dei diversi livelli di sviluppo di ciascuna.
Il tentativo di stabilire una propria moneta di riserva in competizione con il
dollaro è una manifestazione clamorosa delle rivalità nazionali del capitale e
costituisce una fonte costante di scontri internazionali, conflitti diplomatici
e anche guerre per procura (fuori e dentro le frontiere dell’Europa). Le
coalizioni che si costituiscono fra i diversi gruppi economici di nazioni
differenti hanno, quasi sempre, carattere provvisorio. Sono la manifestazione
dello scontro fra blocchi di nazioni contro altri blocchi di nazioni che si
dissolvono, a loro volta, ad ogni manifestazione della crisi economica generale.
Gli Stati nazionali sono più che mai strumento dei monopoli nella lotta per la
supremazia nel mercato mondiale. Questo fenomeno si è accentuato con le
politiche di “libero commercio” che privano le nazioni più deboli della
possibilità di proteggersi con mezzi di ordine politico e le lasciano
all’arbitrio delle pochissime nazioni più potenti, in special modo gli Stati
Uniti.
8.
La formazione dell’Unione europea non è stata un processo storico lineare. Ha
rappresentato, nelle differenti fasi, i tentativi di adattamento e di
sopravvivenza della borghesia imperialista europea alle mutate condizioni della
crisi mondiale. Sotto denominazioni similari, ha rappresentato fenomeni sociali
e politici differenti.
Sia
per contenere la rivoluzione sociale nel dopoguerra; sia come quadro che
permettesse di ristabilire i vecchi Stati nazionali esausti dopo due conflitti
mondiali, come le uniche forme concrete di dominio politico del capitale; sia
per risolvere la crisi di sovrapproduzione mediante la parziale eliminazione
delle barriere commerciali; sia come strumento politico per unificare
l’offensiva contro i lavoratori dopo la fine del boom del dopoguerra e
l’inizio dell’attuale fase di crisi; sia per organizzare la lotta contro il
capitale nordamericano nel quadro di questa crisi mondiale; sia come un
tentativo, infine, degli Stati più potenti, e in particolare della Germania, di
fronteggiare il crollo dell’URSS e dell’Europa orientale e di annettere i
nuovi mercati dell’Est e della Russia. L’imperialismo europeo ha cavalcato
un insieme di “corridoi” (rotte di trasporto, strade, oleodotti), per legare
a Est l’Europa con il Caucaso e l’Asia centrale, passando per i paesi che
compongono la penisola dei Balcani.
Sotto
la pressione della crisi economica mondiale e delle lotte dei lavoratori,
tuttavia, le tendenze centrifughe tendono ad imporsi sempre più su quelle
centripete. L’utilizzazione delle rivalità nazionali da parte del capitale
finanziario nordamericano tende a frantumare l’Unione europea. La crescita di
questo scontro interimperialista condiziona complessivamente la crisi politica
mondiale. Dai Balcani, alla Russia e al Caucaso, fino al lontano Oriente,
all’Iraq e alla Palestina, le crisi e gli scontri nazionali e le guerre
esprimono, ogni volta di più, la crescente opposizione fra i capitali e gli
Stati europei, per quanto divisi fra loro, e quelli nordamericani. Le
manifestazioni della tendenza alla disintegrazione dell’Unione europea si sono
acutizzate, seminando la confusione fra coloro che la consideravano
irreversibile e le assicuravano un progresso illimitato.
9.
Le tendenze centrifughe e lo scontro crescente con l’imperialismo
nordamericano hanno influenzato i ritmi di sviluppo delle crisi politiche, con
un impatto particolare nel Vecchio continente. Questa tendenza d’insieme
condanna al ridicolo coloro che difendono il completamento e lo sviluppo
dell’Europa imperialistica con una “costruzione più democratica”. La
penetrazione dei monopoli europei nei paesi dell’Est ha rafforzato la tendenza
imperialista dell’Unione europea, acutizza la concorrenza fra i grandi gruppi
internazionali, accentua la crescente dissoluzione sociale nei Balcani e
nell’Europa orientale e potenzia l’offensiva del capitale e dei suoi Stati
contro le condizioni del proletariato dell’Europa occidentale.
La
crisi economica cha ha provocato l’esplosione della bolla finanziaria
nordamericana, agli inizi del 2002, si è manifestata con maggiore acutezza
nell’Unione europea, in special modo nella tendenza alla depressione che
interessa la Germania, la Francia e l’Italia. La perdita di posizioni di
questi paesi nel mercato mondiale, a beneficio del capitale nordamericano, ha
provocato un’acuta tensione fra la borghesia e il proletariato, dal momento
che il capitale europeo non può far fronte alla concorrenza internazionale
senza compiere pesanti manomissioni delle conquiste sociali e nei diritti
lavorativi delle masse. L’attacco contro la sicurezza sociale e la salute ha
aperto una fase di violenti conflitti sociali in Europa. Lo “spazio” per una
“costruzione democratica”, ovvero nel quadro dell’imperialismo, si
restringe progressivamente. Idealizzata dai suoi apologeti come il mezzo per
superare i limiti imposti dalle frontiere nazionali allo sviluppo delle forze
produttive, L’Unione europea si è rapidamente rivelata un freno a questo
sviluppo. In un certo modo essa fa esplodere il tentativo di integrare in un
unico quadro istituzionale gli acuti dislivelli di sviluppo capitalistico che
caratterizzano le diverse aree dell’Unione europea. La Quarta Internazionale
denuncia il carattere imperialista dell’Unione europea e dei suoi propositi di
espansione ad Oriente; sottolinea che l’imperialismo implica una tendenza alla
reazione politica e non alla democrazia; segnala che l’Unione europea ha
fallito il tentativo di superare l’ostacolo storico delle frontiere nazionali
e di sviluppare le forze produttive e che, inoltre, ha creato ostacoli ulteriori
che hanno a che vedere con la sua artificialità storica; e evidenzia che la
tendenza imperialista e la tendenza ad accentuare le sue contraddizioni portano
a una acutizzazione della lotta di classe all’interno dell’Europa. Questo
complesso di fattori rafforzano la tendenza a provocare nei paesi europei crisi
politiche importanti e anche a porre la questione del potere. La Quarta
Internazionale iscrive in questo quadro la crisi politica dell’aprile 2001 in
Francia, quando si produsse la dissoluzione politica dei partiti tradizionali di
destra e di sinistra, congiuntamente a una grande mobilitazione di massa, in
particolare della gioventù. Fu messo a nudo, in questa crisi, l’esaurimento
della democrazia imperialista. Su questa base la Quarta Internazionale denuncia
il carattere reazionario della parola d’ordine che rivendica un’Unione
europea “democratica” e “sociale” e riconferma la piena validità
dell’unità del proletariato europeo per l’espropriazione del capitale e
l’istituzione degli Stati uniti socialisti d’Europa.
10.
La fase economia mondiale che inizia intorno agli anni settanta si distingue da
quella che ebbe luogo nell’immediato dopoguerra non solo per il cambio di
tendenza nel trend generale di sviluppo della produzione. Si caratterizza,
soprattutto, per le recessioni cicliche di grande ampiezza che si combinano con
crisi finanziarie di ampiezza inedita, in conseguenza dell’esplosione delle
“bolle” speculative, dello straordinario indebitamente degli Stati, dei
capitalisti privati e dei consumatori, con cui si cerca di alimentare la
“ripresa” dell’economia. I crolli finanziari che vanno dal 1997 al 2001
chiudono un ciclo speculativo senza precedenti iniziato con l’“euforia”
provocata dalla dissoluzione dell’URSS:
L’economia
mondiale, nel suo insieme, si caratterizza per la tendenza al prodursi di crisi
finanziarie di grande ampiezza e alla deflazione. Il quadro politico mondiale, a
sua volta, è condizionato da queste tendenze dell’economia.
11.
Le guerre dei Balcani, dell’Afghanistan, dell’Iraq, nel Caucaso, in
Palestina e in diversi paesi africani hanno inaugurato una fase di guerre
imperialiste di rilievo internazionale che smentiscono del tutto la pretesa
universalistica della “globalizzazione”, la sua natura idillica, ossia
meramente “economica” e “pacifica”, o la “naturalità” della
supremazia del capitalismo nell’attuale fase storica. Il crollo “pratico”
e ideologico della “globalizzazione” si esprime nel risorgere delle sue
manifestazioni formalmente opposte, come lo “scontro di civiltà”, la
necessità delle “costruzioni nazionali” e un particolare “terrorismo
internazionale” che si manifesta come guerra mondiale che non si presenta come
guerra interstatale.
Questa
nuova ondata di guerre è soltanto la fase preliminare di un nuovo periodo di
massacri. E’, prima di ogni altra cosa, l’espressione di rilievo
dell’impantanamento del capitale. Non coinvolge soltanto rivalità commerciali
relative al petrolio e ai mercati delle materie prime in Asia centrale. E’ una
manifestazione inconfutabile del fatto che la restaurazione capitalistica è un
processo che comporta violenze e guerre. Il filo conduttore è la lotta per la
conquista economica e politica dello spazio lasciato dalla dissoluzione
dell’Unione sovietica e per il controllo della restaurazione capitalistica in
Cina. L’egemonia sulla restaurazione capitalistica da parte dell’uno o
dell’altro dei blocchi rivali può spostare in modo decisivo i rapporti di
forza fra le diverse potenze imperialiste. La lotta per la conquista dei mercati
dell’Europa orientale e dell’Asia tende a trasformarsi, per questo motivo,
in una lotta interimperialista senza paragoni nella storia. Questa lotta
interimperialista, espressione di una enorme crisi nelle relazioni fra le classi
all’interno di ogni paese, tenderà ad acutizzare le crisi e le lotte fra le
classe in tutti i paesi, inclusi quelli semicoloniali.
Dal
un punto di vista storico complessivo, la fase attuale è parte di un’intera
epoca, che si è messa in moto con la prima guerra mondiale e con le rivoluzione
che si sono succedute, fondamentalmente con la rivoluzione dell’Ottobre 1917.
Le contraddizioni mortali di questa epoca, fra guerre imperialiste e
rivoluzione, non hanno trovato una soluzione nel corso della seconda guerra
mondiale. Da un lato, la vittoria dell’Armata rossa sul nazismo, la rivoluzione cinese, l’estensione
dell’URSS a Occidente e le varie rivoluzioni nelle colonie misero un limite
alla soluzione fondata sulla restaurazione del capitale in Unione sovietica.
D’altro lato, la sconfitta della rivoluzione in Europa, la ristabilizzazione
del capitalismo colpito dalla guerra e il prolungamento del dominio della
burocrazia controrivoluzionaria negli Stati operai bloccarono la possibile
soluzione storica rappresentata dalla rivoluzione socialista su scala
internazionale.
Nella
fase successiva,le rivoluzioni politiche, il crollo della burocrazia e la crisi
capitalistica mondiale dimostrarono il fallimento della “coesistenza
pacifica” o della “convergenza dei sistemi”. L’attuale periodo storico
pone l’alternativa fra la completa restaurazione del capitalismo attraverso
una fase di barbarie e di guerra e l’arretramento sociale delle masse, o la
vittoria definitiva della rivoluzione socialista, tendenza che tende ad essere
rafforzata dai disastri della restaurazione capitalistica e che, per tanto,
potrebbe incontrare più che mai in passato un terreno favorevole nelle stesse
nazioni imperialiste. I riformisti e i centristi troppo in fretta hanno dato per
conclusa l’epoca delle guerre e delle rivoluzioni e pontificato sull’avvento
della “pace infinita”.
12.
La crisi di direzione del proletariato è stata il fattore decisivo della crisi
nella quale è entrata l’umanità. Per superare questa crisi di direzione ci
si propone ora di ricostruire una direzione della classe operaia mondiale. E’
trascorso un lungo periodo di tempo e l’esperienza di varie generazioni da
quando l’avanguardia della classe operaia poteva ancora parlare a nome di una
direzione storica del proletariato rivoluzionario. Le sconfitte subite dalla
classe operaia, da quelle che hanno distrutto le sue organizzazioni a quelle
politiche – non meno profonde - , si
sono tradotte in un arretramento della coscienza di classe delle masse e,
infine, nella sconfitta delle rivoluzioni politiche e, come conseguenza di ciò,
nella disintegrazione degli stati operai.
Nel
campo popolare sono risorte le tendenze nazionaliste piccolo borghesi nelle loro
forme più aretrate, anche reazionarie. Le cosiddette organizzazioni politiche
tradizionali della classe operaia sono, nella maggior parte dei casi, soggette
alla borghesia, compresa quella imperialista. I partiti stalinisti si sono
penosamente riciclati nel democraticismo pro imperialista.
All’interno
delle organizzazioni tradizionali non si manifesta l’irruzione di alcun
movimento operaio combattivo o tendenza reale che reclami un ‘’ritorno alle fonti storiche’’. Le organizzazioni
che si richiamano, in un modo o nell’altro alla IV Internazionale hanno
capitolato davanti a questo regresso della coscienza di classe e svolgono, nella
maggior parte dei casi, il ruolo politico corrispondente alla piccola borghesia
democratizzatrice o nazionalista. Questo succede anche laddove la difesa della
democrazia borghese e dell’identità nazionale sono rivendicazioni
reazionarie, come nel caso dei paesi imperialisti. I lunghi decenni trascorsi da
quando la bancarotta della II Internazionale lasciò sul tappeto la crisi di
direzione del proletariato internazionale, e dalla fondazione della III e della
IV Internazionale, hanno lasciato un grande vuoto teorico e organizzativo per la
nuova generazione proletaria. La rivendicazione da parte di alcuni gruppi di
rappresentare la continuità rivoluzionaria non è altro che una petizione di
fede settaria, che è servita per coprire diversi tipi di degenerazione
ideologica. Le condizioni soggettive per la ricostruzione dell’Internazionale
Operaia, il cui punto programmatico più sviluppato si trova condensato nel
programma di Transizione della IV Internazionale, hanno subito un arretramento
considerevole, che si potrà superare solo nell’ambito delle lotte di classe
internazionali nel loro insieme, che caratterizzano in modo crescente la fase
attuale.
13.
A partire dalle manifestazioni di massa di Seattle nel 1999, si è messo in
evidenza un grande movimento internazionale di lotta contro l’imperialismo.
Questa irruzione costituisce una delle manifestazioni di lotta più alte
dell’attuale crisi mondiale. Il movimento anti globalizzazione ha debuttato
denunciando ‘’la dittatura ‘’ delle organizzazioni finanziarie e
commerciali internazionali, ma, in seguito, ha dato impulso anche a
mobilitazioni di massa contro la guerra imperialista nei Balcani e in Irak.
Obiettivamente è stato un fattore di intervento popolare nelle crisi politiche
che hanno colpito le potenze imperialiste coinvolte nella guerra.
Per
quanto la presenza di giovani lavoratori sia dominante nelle mobilitazioni
anti-globalizzazione, il proletariato non interviene al loro interno come
classe, con coscienza di classe, cioè con le sue bandiere, le sue
rivendicazioni e le sue organizzazioni. Quando in alcune occasioni compare la
burocrazia dei sindacati, il fine è quello di trascinare il movimento nel campo
dell’imperialismo. Tuttavia, senza dubbio, esso costituisce una tappa nella
maturazione dell’attuale generazione di lavoratori. La ‘’pluralità’’
pretesa dal movimento non è un ostacolo al predominio di una corrente politica
perfettamente organizzata che propone la regolazione del capitale finanziario e
il pacifismo inteso come fattore di pressione dell’opinione pubblica, o
addirittura pro-ONU, in contraddizione con le correnti che vogliono, anche
confusamente, un ‘’altro mondo’’.
Dietro
alla prima ci sono le direzioni delle ONG e dei partiti politici riformisti.
Nella seconda si raggruppa la maggioranza del movimento. Poiché in questa
corrente si trovano tendenze diverse, incluso il Segretariato Unificato, il suo
grado di incoerenza è enorme. Per esempio si oppone al libero commercio dei
prodotti agricoli, reclamando la difesa dei numericamente ridotti contadini
francesi, ma appoggia la libertà di commercio quando la chiedono i paesi
agricoli sottosviluppati manovrati da Cargill o Dreyfus. Denuncia le
organizzazioni internazionali che si incaricano della regolazione del capitale,
ma esige essa stessa questa regolazione per affrontare la crescente anarchia del
capitalismo e addirittura per eliminare la povertà. Rifiuta la ‘’globalizzazione’’
in nome della difesa delle ‘’identità nazionali’’, ma si scontra col
nazionalismo, anche quello delle nazioni oppresse, invocando la necessità di
‘’un’altra globalizzazione’’. E’
tanto “identitaria” (tribale) quanto cosmopolita o liberale (imperialista).
Critica l’Alca, ma difende il Mercosur, il quale, dominato dalle grandi
corporazioni, non vuole altro che servire da ponte per un’alleanza commerciale
con gli USA o l’
Europa.
Le sue assisi internazionali si trasformano sempre più in tribune per i
rappresentanti dell’imperialismo, in particolare europeo, e in uno strumento
per il ‘’dialogo’’ con le assisi realizzate dalle banche e dal grande
capitale. Anche il movimento contro la guerra adotta posizioni molto
incoerenti.Le sue principali rivendicazioni sono: ‘’Fine dell’occupazione
in Irak, Afganistan e Palestina. Ritiro delle truppe.
Lavoro sì, guerra no’’. Le forze borghesi e piccolo borghesi
continuano a fare pressioni perché appoggi gli interventi imperialisti
‘’umanitari’’ con la copertura dell’ONU e dei partiti politici
borghesi ‘’progressisti’’. I movimenti anti globalizzazione e contro la
guerra sono un terreno sul quale noi marxisti rivoluzionari dobbiamo lottare per
conquistare le centinaia di migliaia di giovani che si mobilitano nelle
manifestazioni e le loro organizzazioni.
14.
La
linea pro imperialista del PT brasiliano ha rappresentato un colpo fuori
dall’ordinario, che la corrente che difende la cosiddetta antiglobalizzazione
capitalista ha preferito ignorare. La precedente esperienza dell’ANC di Nelson
Mandela, que governa per conto dei grandi monopoli sudafricani è, tuttavia,
rivendicata dalla tendenza dirigente del movimento no global. Bertinotti,
un’altra delle sue principali spade, vorrebbe arrivare a un accordo di governo
con l’Ulivo imperialista. Questa corrente, che si è ribattezzata ‘’altra
globalizzazione’’ è internamente incoerente anche col proprio pacifismo,
visto che un settore lo rivendica per l’Irak, ma non per i Balcani e solo fino
a un certo punto per l’Afganistan. Propugna l’utilizzo di metodi pacifici
per combattere la violenza della guerra, ma soprattutto come un movimento
d’opinione ‘’plurale’’, che non possa trasformarsi, in ogni caso, in
un fattore di lotta e di alternativa ai governi imperialisti che sostengono la
guerra.
Il
movimento ‘’altra globalizzazione’’ caratterizza sé stesso come
movimentista (‘’movimento dei movimenti’’), opponendosi cioè alla
costruzione di un partito internazionale, soprattutto classista. Cioè è privo
di un’opzione di potere, evita i mezzi di lotta per il potere e li combatte
con determinazione. E’ funzionale al potere capitalista stabilito. Così
facendo confessa di rinunciare a giocare un ruolo indipendente nella crisi
mondiale e di non poter intervenire in essa se non in modo empirico ed
episodico.
Il
movimento ‘’altra globalizzazione’’ nega le opportunità rivoluzionarie
generate dalla decomposizione del capitalismo. Denuncia i tentativi di
trasformarle in rivoluzioni e nella via storica per la presa del potere da parte della classe operaia. La sua ala ‘‘trotskista’’
(il SU) aggiunge, di suo, che l’epoca rivoluzionaria mondiale iniziata con la
rivoluzione d’ottobre è terminata. Questa affermazione proviene
dall’eurocomunismo, nel 1970, e prima ancora dalla teoria del socialismo in un
paese solo. Tuttavia, anche in un periodo di restaurazione del capitalismo, di
arretramento della coscienza di classe e di perdita di conquiste storiche il cui
ottenimento ha contrassegnato una lunga epoca per il proletariato mondiale, le
contraddizioni irrisolvibili del capitale portano alla nascita di situazioni
rivoluzionarie, che possono essere risolte in forma positiva per la classe
operaia solo se trasformate in rivoluzioni proletarie e nel quadro della
conquista del potere da parte dei lavoratori e per l’affermazione della
dittatura del proletariato su scala mondiale.
15.
L’esperienza del governo del PT segna la bancarotta definitiva di tutte le
correnti politiche che continuano a riferirsi al Forum di San Paolo. Esso si è
trasformato nel principale fattore di contenimento delle lotte dei lavoratori e
di demoralizzazione politica di chi lotta. In Brasile ha costituito il governo
con la maggiore concentrazione di rappresentanti diretti del capitale in tutta
la storia del paese. Nella recente crisi rivoluzionaria boliviana ha giocato un
ruolo decisivo per indirizzare le direzioni politiche verso l’accettazione di
una via d’uscita costituzionale, trasformandosi, addirittura, in un nesso
diretto tra Evo Morales e l’imperialismo. Non ha neppure assunto una posizione
di difesa incondizionata di Chavez in Venezuela, giocando, al contrario, da
tramite per la ‘’mediazione’’
dell’imperialismo nella crisi venezuelana. Superando addirittura il governo
argentino, quello brasiliano si trova in prima fila nell’occupazione militare
di Haiti. Quel che accade col PT ripropone quanto avvenuto con gli ex fronti
guerriglieri o ex partiti stalinisti in Centroamerica, in particolare col FSLN
in Nicaragua e l’FMLN in El Salvador.
L’approdo
del PT brasiliano conferma da un lato la
natura pro imperialista della piccola borghesia urbana, che è passata dal
foquismo al democraticismo, e dall’altro il carattere potenzialmente
controrivoluzionario della burocrazia formatasi nei sindacati. Da un punto di
vista pragmatico mette in evidenza il carattere pro imperialista delle parole
d’ordine democratizzatrici, cioè di quelle che sostengono la possibilità del
progresso sociale nel quadro costituzionale dei paesi oppressi, ossia di quelli
che, per la mancanza di indipendenza nazionale e di uno sviluppo capitalista
interno, non hanno costruito le premesse storiche della democrazia.
Il
PT si è trasformato in un partito totalmente affidabile per la borghesia e
l’imperialismo al termine di un lungo periodo di integrazione dei suoi quadri
e della sua burocrazia nello stato, processo che è stato imbellettato con la
teoria di moda come espressione di una ‘’grande capacità di costruzione
politica’’. La partecipazione politica della sinistra democratizzatrice alle
istituzioni dello stato capitalista si trasformata in un potente fattore di
degenerazione politica.
La
presenza del Partido Obrero nel parlamento e nelle municipalità, dalla
Costituente di Santa Cruz del 1995 alle elezioni del 2001 a Salta e Buenos
Aires, è servita per l’uso rivoluzionario delle istituzioni statali e per lo
sviluppo della coscienza e dell’organizzazione rivoluzionarie.
La bancarotta politica del PT ha dato luogo a un processo, finora di
dimensioni ridotte, di differenziazione nella sinistra democratizzatrice. Non si
tratta nemmeno di una differenziazione socialista, poiché non critica i
fondamenti programmatici democratizzanti, né i condizionamenti politici
opportunisti che hanno dato origine al PT (spostare i lavoratori da una lotta di
massa al terreno elettorale e inquadrare il proletariato nella
‘’normalizzazione istituzionale’’ iniziata dalla dittatura di quei
tempi). In questa differenziazione è assente pure la comprensione del carattere
potenzialmente rivoluzionario della situazione brasiliana nel suo insieme. La
direzione del PT ha individuato come fine fondamentale della sua ascesa al
governo prevenire la situazione rivoluzionaria che una bancarotta finanziaria
avrebbe potuto creare: combattere cioè contro il ‘’pericolo’’ di un
‘’argentinazo’’, cosa che si è poi vista confermata in Bolivia.
All’interno della crisi politica provocata dal governo pro imperialista
del PT (e che avrà una nuova edizione nel Frente Amplio dell’Uruguay) nella
sinistra latinoamericana e nel movimento operaio al governo, noi cerchiamo di
dare impulso alla costruzione di partiti operai rivoluzionari, da un lato
mediante una critica implacabile al democraticismo o anti imperialismo
nazionalista borghese, dall’altro sviluppando l’agitazione di un programma
di rivendicazioni immediate fondamentali e di rivendicazioni transitorie fra la
classe operaia e le masse, in particolare le più sfruttate, come i disoccupati
e i contadini senza terra. Di fronte all’esperienza di governi borghesi del PT
o chavisti, in America Latina, esigiamo l’espulsione dei ministri capitalisti
dai governi a guida di sinistra, la rottura col FMI e il rifuito del debito
estero, la nazionalizzazione delle banche, dei grandi monopoli e dei latifondi
sotto controllo operaio, la contrapposizione al sabotaggio capitalista mediante
l’occupazione delle imprese e la gestione operaia, la sostituzione delle
organizzazioni armate della borghesia con con l’organizzazione armata degli
operai e dei contadini e un’azione continentale di lotta per gli Stati Uniti
dell’America Latina.
Una
tappa di guerre imperialiste e la lotta internazionale contro la guerra
16.
La guerra imperialista nei Balcani ha dato inizio a un nuovo periodo mondiale di
crisi internazionali, guerre e rivoluzioni.
La IV Internazionale non considera allo stesso modo, come fa il
pacifismo, le diverse classi in
guerra. Denuncia il fatto che le
guerre sono il prodotto di un regime sociale determinato ed esprimono
l’esplosività delle sue contraddizioni, e non una tendenza particolare di un
governo. Sono insite nel regime capitalistico di produzione e nelle rivalità
tra i differenti gruppi capitalistici e sono uno strumento di dominio economico
e di oppressione nazionale dell’imperialismo. La IV Internazionale combatte
contro le guerre imperialiste col metodo della rivoluzione sociale. La IV
Internazionale segnala la necessità di caratterizzare le guerre facendo
riferimento alla struttura sociale delle nazioni che si affrontano. Combatte la
guerra fra nazioni imperialiste da un lato mediante l’organizzazione della
guerra civile degli sfruttati contro la borghesia dominante nel proprio paese, e
dall’altro mediante la colaborazione rivoluzionaria coi lavoratori dei paesi
‘’nemici’’. Combatte anche
le guerre tra nazioni oppresse in quanto reazionarie e invita alla
fraternizzazione tra i lavoratori e al fronte unito contro l’imperialismo.
Denuncia i miopi appetiti delle borghesie locali e la loro manipolazione da
parte dell’imperialismo ai fini di rafforzare il dominio semicoloniale
prevalente. La IV Internazionale appoggia incondizionatamente le guerre delle
nazioni oppresse contro l’imperialismo e partecipa nella pratica dal lato
della nazione oppressa. Appoggia allo stesso modo la lotta organizzata e di
massa contro lo sforzo politico e militare dell’imperialismo contro le nazioni
oppresse. Tra queste ultime offre tutta la collaborazione politica e militare
alle tendenze che combattono l’imperialismo con metodi popolari e collabora
effettivamente con esse, senza abbandonare in alcun momento l’indipendenza
politica. Le situazioni nazionali in cui l’oppressione dell’imperialismo
mondiale si combina con un’oppressione coloniale o nazionale interna da parte
delle borghesie o anche piccole borghesie locali (come, per esempio, nei Balcani,
Siria o paesi del Golfo Persico), non si differenziano, se non dal punto di
vista del grado, dalle nazioni oppresse dove dominano dittature sanguinose. In
tutti questi casi appoggiamo l’unità della lotta contro l’imperialismo,
compresa la collaborazione pratica con gli oppressori locali contro gli
oppressori internazionali, senza accantonare in nessun momento le rivendicazioni
di libertà nazionale e di democrazia politica contro gli oppressori locali. La
sconfitta del’imperialismo capitalista internazionale è la condizione
necessaria per la conquista della libertà nazionale. Difendiamo l’unità dei
popoli della ex Yugoslavia contro la NATO, così come la libertà per i kosovari,
macedoni, montenegrini, nel quadro di una Federazione socialista dei Balcani
(con Albania, Romania, Grecia e Bulgaria).
Siamo favorevoli all’unità di tutti i popoli che compongono l’Irak
contro la coalizione imperialista yankee e per la libertà e autodeterminazione
nazionali, per esempio per i popoli turcomanno e kurdo. Denunciamo i limiti
dell’enclave kurda appoggiata dall’imperialismo yankee in Irak e le
contraddizioni insuperabili, dal punto di vista della nazione kurda, che
presuppone il proposito di integrarla in una federazione iraquena sotto
protettorato nordamericano. La
libertà e unità nazionali del popolo kurdo presuppongono, anzitutto, il
diritto all’unità libera coi kurdi di Turchia, Siria, Iran e Irak, diritto
che è incompatibile col dominio del capitalismo turco, dell’imperialismo
yankee e della NATO. L’espulsione dell’imperialismo dall’Irak esige la
mobilitazione di tutti gli sfruttati del Medio Oriente per l’indipendenza e la
liberazione nazionale e prospetta la lotta per una Fedreazione Socialista del
Medio Oriente.
17.
L’autodeterminazione, l’unità e indipendenza
nazionali della Palestina costituiscono il centro storico della questione del
Medio Oriente. La guerra in Irak si inscrive nel quadro dei reiterati tentativi
dell’imperialismo per liquidare i diritti nazionali palestinesi.
L’imperialismo ha inserito nel Medio Oriente un mostruoso stato cliente, lo
stato sionista, che è agli antipodi della liberazione e dello sviluppo
nazionali dei popoli della regione. L’indipendenza nazionale del Medio Oriente
è incompatibile con lo stato sionista, una sconfitta dell’imperialismo nella
guerra attuale lo spazzerebbe via dallo scenario mediorientale. La lotta del
popolo palestinese riassume la determinazione storica dell’emancipazione
nazionale nel Medio Oriente. Ha conquistato questo diritto nella lotta viva
contro l’oppressione imperialista moderna. Il sionismo non ha un carattere
nazionale progressivo, il suo obiettivo storico è stato la confisca economica e
territoriale dei popoli nativi, finanziato da un’agenzia internazionale che è
la proprietaria del 99% del suolo che occupa. Il sionismo rappresenta un
ostacolo controrivoluzionario per lo sviluppo libero e universale del popolo
ebraico. La situazione sociale
delle masse ebraiche nello stato sionista è notevolmente peggiorata, per un
verso come conseguenza della crisi economica internazionale, per l’altro a
causa della concorrenza tra i lavoratori immigrati, arabi ed ebrei. Il nuovo
impasse mortale che sta affrontando il popolo ebraico può essere risolto solo
mediante l’unità coi lavoratori arabi per distruggere politicamente lo stato
sionista e costruire una Repubblica socialista unificata di Palestina in tutto
il suo territorio storico, su entrambe le rive del Giordano. La IV
Internazionale denuncia la posizione che sostiene che la militarizzazione fuori
dall’ordinario dello stato sionista rappresenti un ostacolo insuperabile per
una lotta nazionale palestinese e condanna le masse palestinesi a una lunga
collaborazione storica col sionismo. Al contrario denunciamo l’artificialità
e la fragilità storica del sionismo e segnaliamo
la sua dipendenza dalla crisi mondiale in corso. La lotta politica contro il
sionismo non si limita all’ambito regionale del Medio Oriente, ma deve avere
un carattere internazionale, sia tra le masse musulmane, sia tra gli ebrei, in
particolar modo tra i lavoratori e la gioventù. La lotta contro il razzismo e
l’antisemitismo deve servire per unire i lavoratori musulmani ed ebrei e per
fare avanzare la causa dell’espulsione dell’imperialismo mondiale e del
sionismo dal Medio Oriente.
18.
La IV Internazionale denuncia il carattere imperialista
e oppressivo del laicismo negli stati che da tempo si sono lasciati alle spalle
la loro epoca di formazione nazionale e di lotta contro il clero e sono,
attualmente, stati oppressori di nazioni e nazionalità. La neutralità
religiosa negli stati imperialisti, analogamente a quel che accade con la
democrazia, ha un contenuto di oppressione. E’ un’arma di combattimento non
contro il clero e l’oscurantismo clericale, ma contro l’ateismo e la
scienza. E’ anche uno strumento di lotta delle confessioni e delle nazioni che
opprimono contro le nazioni oppresse. Il laicismo ‘’occidentale’’
occulta i lacci che si
rafforzano quotidianamente tra gli stati e la chiesa storica ufficiale, così
come col Vaticano. Data l’egemonia del capitale finanziario, questi lacci sono
storicamente più stretti attualmente che nell’epoca in cui non si era ancora
affermata la separazione tra Stato e Chiesa. Tutta una gamma di corporazioni e
fondazioni che finanziano la promozione del clero nel campo dell’istruzione,
della cultura e dell’assistenza sociale, garantiscono una relazione stretta e
crescente tra il clero e lo stato democratico. L’offensiva dello stato
imperialista francese contro i giovani e i lavoratori che non si adeguano alle
religioni stabilite, in particolare contro quelli di fede musulmana, è uno
strumento del capitale contro l’unità tra i diversi settori del proletariato
e rafforza la tendenza comunitarista tra chi non accetta la religione ufficiale,
come lo è, all’atto pratico, la religione cattolica. Gli stati imperialisti
laici si avvalgono della neutralità religiosa non come un mezzo di lotta contro
l’oscurantismo, ma come arma contro l’ateismo e il comunismo. La circostanza
che questa neutralità possa entrare in conflitto con tendenze confessionali
estreme non attenua per nulla il fatto che si tratta di un mezzo di dominio
politico e culturale della borghesia imperialista e della religione ufficiale,
mediante l’appoggio che riceve dal capitale finanziario. La stessa finalità
di divisione della classe operaia esprime, in particolare nei paesi imperialisti
o sviluppati, la promozione del ‘’multiculturalismo’’ da parte dello
stato, appellandosi alla necessità di proteggere le ‘’diversità’’
etniche o religiose. In realtà si pretende di confinare i lavoratori immigrati
e i loro discendenti in una sorte di ghetto, controllato da una burocrazia
tutelata dallo stato, e, in questo modo, dissimulare la brutale discriminazione
di cui sono oggetto, sia dal punto di vista dei diritti formali, sia da quello
delle condizioni sociali. La IV Internazionale invita la classe operaia dei paesi
imperialisti a rafforzare i legami coi lavoratori musulmani mediante la comune
lotta di classe contro il capitale e a utilizzare questa lotta e
l’organizzazione che essa comporta per emanciparsi da tutte le forme di
oscurantismo religioso, in primo luogo contro la chiesa dominante e da tutto il
dominio clericale comunitarista. La IV Internazionale invita i lavoratori non
cattolici a non lasciarsi ingannare alle richieste di uguaglianza culturale e a
mettere in primo piano nelle loro lotte le rivendicazioni sociali contro il
capitale, per l’uguaglianza dell’accesso alle conquiste ottenute dai
lavoratori del paese nel corso della storia attraverso lunghe lotte.
La IV Internazionale indica come un esempio la persistenza del’opposizione
delle masse in Bolivia al dominio clericale cattolico e invita a trasformarla in
una bandiera che serva alla partecipazione di milioni di indigeni alla
rivoluzione sociale, e in nessun modo per rivendicare un particolarismo etnico
che no ha un futuro positivo sotto il capitalismo.
19.
La IV Internazionale rifiuta qualsiasi forma di subordinazione politica degli
operai e dei contadini arabi rispetto alle loro borghesie e feudatari, che è
propiziata in nome dell’unità della Nazione Araba, e mette in evidenza
l’importanza della lotta contro gli sfruttatori tenendo conto delle peculiarità
dei diversi Stati arabi. Segnala, fondamentalmente, che la lotta per
l’emancipazione nazionale può trionfare solo per mezzo della presa del potere
da parte dei lavoratori, cioè mette in primo piano la lotta per il
rovesciamento delle borghesie e dei feudatari arabi e dei loro governi.
La
liberazione nazionale palestinese affronta una colossale crisi di leadership: la
totalità della sua leadership piccolo borghese ha approvato un compromesso con
l’imperialismo e lo stesso sionismo. La cosiddetta Autorità Palestinese è
una barriera politica per la lotta contro il sionismo e per la lotta finalizzata
ad unire i lavoratori di tutta la regione, in particolare Siria, Libano e
Giordania, contro l’oppressione dell’imperialismo e le dittature
semi-feudali, borghesi o piccolo borghesi. La IV Internazionale pone tutte le
proprie energie nella costruzione di un partito operaio rivoluzionario in
Palestina.
20.
Nell’ambito delle attuali guerre internazionali, denunciamo la collaborazione
tra l’imperialismo e la burocrazia restauratrice della Russia nella guerra
portata avanti contro la nazione afgana, che si manifesta nel lasciare o cedere
basi militari alla NATO in vari paesi dell’Asia Centrale. Questa
collaborazione fu venduta dalla burocrazia russa in cambio del suo “diritto”
a continuare una delle più crudeli e spietate guerre in corso, contro la
nazione e il popolo ceceno. Denunciamo,
inoltre, che questa guerra di oppressione si porta avanti nel solco di una
negoziazione non conclusa tra la burocrazia russa e l’imperialismo yankee, che
può innescare nuove guerre regionali di portata internazionale, per la
divisione economica e politica della regione intorno al mar Caspio e al Caucaso,
in particolare in relazione allo sfruttamento e al trasporto del petrolio. La IV
Internazionale appoggia la lotta guerrigliera del popolo ceceno contro
l’oppressore russo, appoggiato dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti, per
il suo diritto all’autodeterminazione e all’indipendenza nazionale. La IV
Internazionale invita i popoli del Caucaso a lottare insieme contro
l’imperialismo yankee, la NATO, l’Unione Europea e la burocrazia russa, per
la ricostruzione di una federazione socialista del Caucaso.
21.
Il campo di lotta fondamentale contro la guerra deve essere nelle stesse
metropoli imperialiste. La lotta contro la guerra ha dato luogo a mobilitazioni
di massa straordinarie e all’inizio di crisi politiche dei governi
imperialisti. Questo già succede in Spagna e Italia e, in misura di poco
minore, in Gran Bretagna. La guerra ha un effetto di confisca sui popoli delle
nazioni d’Europa, i cui stati non riescono a combattere con deficit fiscali
sempre crescenti (l’Italia ha iniziato a mettere in vendita il suo patrimonio
culturale!). I bottini offerti dalla guerra imperialista non bastano a
compensare il costo che questa causa sui già provati bilanci nazionali e
l’aggravamento della bancarotta dei sistemi di previdenza sociale e sanità,
tanto statali che privati, e oltretutto di questi ultimi in particolare.
L’accaparramento
dei principali affari derivanti dalla guerra da parte dei monopoli nordamericani
e la prodigalità degli Stati Uniti nel finanziamento della guerra al fine di
alimentare la riattivazione economica mediante l’aumento del debito pubblico,
accentua ulteriormente la vulnerabilità degli stati europei. Queste
contraddizioni si trovano potenziate, a loro volta, dall’inasprimento della
rivalità tra l’imperialismo yankee e, in particolare, gli imperialismi
francese, tedesco e, in parte, inglese. Si accumula così l’azione dei fattori
che precipiteranno crisi politiche più importanti e movimenti popolari di lotta
di maggiore importanza.
La
IV Internazionale segnala l’incapacità del pacifismo di porre fine alle
guerre che sono generate inevitabilmente dal regime di sfruttamento dell’uomo
sull’uomo, e denuncia, da una parte, il suo carattere omeopatico e,
dall’altro, il suo carattere anestetizzante. Noi rivoluzionari vogliamo
convertire il crimine della guerra in crisi politiche sempre più intense nelle
metropoli, specialmente mediante l’nformazione alle masse del fatto che tali
crisi crescenti sono la conseguenza inevitabile delle loro lotte antibelliche e
sociali e del fatto che esse rappresentano, non solo un male minore rispetto
alla libertà d’azione che la borghesia pretende per continuare le proprie
guerre, ma il solco più propizio per terminare le guerre mediante l’azione
operaia rivoluzionaria. Nella lotta politica contro la guerra, la IV
Internazionale sostiene lo sciopero e il boicottaggio delle spedizioni militari
dei paesi imperialisti, sviluppa un’agitazione contro l’imperialismo nelle
forze armate e reclama l’immediata nazionalizzazione senza indennizzo di tutti
i capitali promotori della guerra, sotto il controllo operaio, in primo luogo
dell’industria degli armamenti, ma anche di quella petrolifera e la
farmaceutica, già denunciate a livello internazionale. A misura della crescita
della coscienza e dell’organizzazione dei lavoratori, queste crisi politiche
devono essere convertite in crisi rivoluzionarie. La lotta contro la guerra
imperialista rende il primo piano alla lotta di classe nelle nazioni capitaliste
avanzate.
22.
L’imperialismo ha portato avanti la guerra fino ad ora sotto il patrocinio, la
copertura e la protezione della democrazia. Non ha avuto bisogno di ricorrere al
fascismo. E non solo; ha agito in modo da contenere e disperdere i rigurgiti
fascistizzanti o nazional-imperialisti, come è successo in Germania, Danimarca,
Francia e Austria. Ha preferito i ricambi politici di centrosinistra ai colpi di
stato dell’estrema destra. Lo pseudo-fascismo attuale, nel vecchio continente,
ha un campo d’azione limitato perché rappresenta una tendenza di opposizione
nazionalista all’Unione Europea, che continua ad essere l’arma principale
della borghesia per lottare per un posto mercato mondiale e per contendersi la
restaurazione capitalista nell’est. La borghesia non tende, in Europa, a una
guerra tra i propri interessi nazionali ma si orienta alla creazione di un
direttorio politico dei suoi Stati più forti. L’imperialismo, nelle sue
metropoli dentro e fuori dall’Europa, si considera servito meglio, per ora,
dalla democrazia. Questo dimostra il grado di collaborazione di classe della
socialdemocrazia, la burocrazia dei sindacati e la piccola borghesia
sinistreggiante. Lungi dall’essere un prezzo di libertà che la burocrazia
operaia avrebbe imposto alla sua borghesia imperialista, è un’estorsione
dell’imperialismo per mantenerla ostaggio della politica e della guerra
imperialista. La democrazia non è in nessun modo sinonimo di pace quando si
tratta di democrazia borghese e ancora meno se si tratta di quella imperialista.
La
guerra e la democrazia imperialiste si trovano senza dubbio reciprocamente
condizionate dalla capacità di mantenere la “pace sociale” nelle loro
metropoli. Nella misura in cui le contraddizioni capitaliste e quelle della
stessa guerra minano quella “pace sociale”, il regime democratico si trova
compromesso. La possibilità di regolare o mitigare le contraddizioni oggettive
del capitale si trova fuori dalla portata della burocrazia operaia ; perciò, se
questa vuole conservare la “pace sociale” in condizioni avverse, deve
ricorrere alla divisione delle masse che fanno fronte all’offensiva
capitalista, alla paralizzazione delle organizzazioni operaie e la capitolazione
pura e semplice di fronte al padronato e allo Stato. È ciò che hanno fatto i
sindacati e la sinistra in Europa e la AFL-CIO negli Stati Uniti. Dalla metà
degli anni ’90 la direzione dei sindacati nordamericani si trova in mano a una
dirigenza riformista e di centrosinistra, che arrivò anche a strizzare
l’occhio alle manifestazioni di massa “contro la globalizzazione”.
Un’ala di sinistra di quella dirigenza provò a proporre la costituzione di un
Labour Party. Questa nuova dirigenza è stata un solido baluardo
dell’imperialismo yankee durante tutta l’attuale crisi mondiale.
La
misura in cui viene minata la “pace sociale” nelle metropoli la offre
l’impoverimento crescente delle masse, da un lato, e in particolare il
carattere cronico, con una curva crescente, della disoccupazione di massa, e la
forte tendenza alla limitazione delle libertà democratiche, per altro con
caratteristiche proprie di uno stato di polizia, che si realizza nel nome della
“lotta contro il terrorismo”. Dal pentagono nordamericano, specialmente, si
tenta di convertire l’antiterrorismo nel pretesto per la completa
subordinazione delle forze armate del resto degli altri paesi. Per tutto ciò,
mentre denunciamo la dipendenza completa della democrazia borghese
dall’imperialismo, invitiamo alla lotta per la difesa delle libertà
democratiche formali e di organizzazione nelle nazioni imperialiste, inclusa
specialmente la difesa del diritto di resistenza alle guerre e alla oppressione
etnica o nazionale con mezzi rivoluzionari. Denunciamo la campagna “contro il
terrorismo” come diretta contro l’indipendenza nazionale delle nazioni
storicamente sottosviluppate. Denunciamo il fatto che la reazione politica nelle
metropoli si nutre della sottomissione nazionale e segnaliamo il fatto che la
lotta per l’emancipazione di tali nazioni è la forma più alta della lotta
per la democrazia formale.
23.
L’enorme avanzamento della restaurazione del capitale negli ex Stati operai
non significa in nessun modo che si tratti di un processo storico che sia giunto
a conclusione. L’importanza teorica di questo carattere risiede nel fatto che
esso condiziona la caratterizzazione della crisi capitalista mondiale nel suo
complesso. È necessario distinguere gli stadi che caratterizzano lo sviluppo
del capitale e in particolare le connessioni delle sue diverse tappe. In questo
consiste, precisamente l’analisi storica concreta.
Il
trasferimento senza precedenti del patrimonio statale ad un manipolo di
accaparratori privati non ha privato la burocrazia statale oriunda del vecchio
regime del suo ruolo di arbitro d’eccezione (con riferimento alle burocrazie
dei paesi capitalisti, compresi quelli nei quali la presenza dello stato è più
forte). Ciò è molto evidente in Cina come in Russia, però vale fino a un
certo punto anche per alcuni paesi dell’Europa orientale. A Cuba
l’arbitraggio è più autonomo. A Cuba la restaurazione del capitale ha
seguito la strada degli investimenti stranieri limitati e non c’è stato
praticamente trasferimento di proprietà statali, benché il patrimonio
economico pubblico si trovi principalmente in mano a una corporazione, le forze
armate, che fa parte dello stato, ma non è lo stato. In Cina ha avuto luogo una
enorme penetrazione del capitale straniero e si sono formati grandi capitali
privati, però il patrimonio economico dello stato supera ancora quello privato,
specialmente per ciò che riguarda le banche.
Negli
Stati ex operai il capitale privato prospera, però non si è ancora formata una
classe capitalista. La mediazione dei capitali privati si realizza
principalmente attraverso la burocrazia ed è condizionata dalle disposizioni
amministrative della stessa burocrazia. I parlamenti non costituiscono, in
nessun caso, la rappresentanza, o la mediazione politica, dei capitalisti come
classe. Tantomeno esiste realmente una classe di capitalisti acquirenti che
abbia il monopolio della relazione tra capitale e mercato internazionale, da un
lato, e mercato interno dall’altro; in Cina, Russia e Cuba tale mediazione
avanza, almeno principalmente, per parte della burocrazia dello stato.
L’acaparrmento
della proprietà statale può essere un passo verso la formazione di una classe
capitalista, ma non è sinonimo di questa. Il capitale continua a formarsi, nel
mercato interno, mediante il saccheggio del patrimonio e delle risorse dello
stato. Benché con gradazioni diverse tra loro, il capitale non è ancora la
potenza sociale dominante, ossia non è capace di subordinare effettivamente
tutte le forme di lavoro sociale alla accumulazione del capitale. In Cina, dove
il potenziamento sociale del capitale è più intenso, il ruolo lo svolge il
capitale straniero non quello nazionale (la manifestazione più sviluppata di un
capitale nazionale cinese ha luogo a Hong Kong e si ramifica nelle regioni
costiere del sud).
Le
contraddizioni proprie di tali formazioni sociali collegate, “sui-generis”,
dei regimi capitalisti transitori, hanno avuto una manifestazione eccezionale
nella semi-confisca delle piovre petrolifere russe Yukos e Sibneft, da parte
dello stato. Il governo della burocrazia russa si pone come intermediario tra il
capitale petrolifero internazionale e le risorse petrolifere della Russia. È
stato forzato a procedere in questo modo per l’imminenza di un trasferimento
di proprietà dalla oligarchia russa, che non ha capitali per competere nel
mercato mondiale, al capitale petrolifero internazionale. In questa
espropriazione parziale dell’oligarchia è intervenuta in modo decisivo la
crisi politica internazionale, ogni volta che le risorse, il trasporto e i
metodi di distribuzione di gas e petrolio pongono crisi internazionali
nell’estremo oriente, con riferimento alla fornitura di Cina e Giappone;
nell’artico, con riferimento al trasporto verso gli USA, in Asia Centrale e
nel Mar Caspio, con riferimento ai loro giacimenti; nel Caucaso con riferimento
al trasporto verso l’Europa, che è a sua volta determinante con gasdotti e
oleodotti che attraversano la Bielorussia e l’Ucraina. Come avvenne durante il
suo passato, la Russia torna ad essere incapace di porsi in relazione con
l’occidente capitalista attraverso un capitale socialmente indipendente.
24.
La questione della proprietà non è stata risolta, almeno a Cuba, in Cina e in
Russia, le nazioni più importanti nella storia politica rivoluzionaria. In
Russia i grandi conglomerati tecnologici, i gioielli della corona dell’ex
URSS, continuano, totalmente o parzialmente, a essere in mano allo Stato. Nella
ex Jugoslavia si trovano nel limbo anche le sovranità statali e i territori,
alcuni dei quali sono addirittura dei protettorati. Tra il processo di
privatizzazione che caratterizza la restaurazione capitalista e le
privatizzazioni attuali nelle nazioni borghesi esiste molto più che una
differenza di grado, in primo luogo per la sua scala, in secondo luogo per il
loro peso nell’economia mondiale e nella redistribuzione di potere tra i
monopoli capitalisti internazionali, in terzo luogo perché implica una
catastrofe sociale per decine di centinaia di milioni di persone.
In
Cina la trasformazione capitalista della proprietà è stata facilitata per
l’assenza di una grande industria statale moderna, al meno se comparata con
quella della Russia. Però deve ancora risolvere, da una parte, il destino del
monopolio finanziario e del credito che lo Stato conserva ancora e,
dall’altra, quello della proprietà agricola di centinaia di milioni di
contadini che utilizzano la terra sotto forma di usufrutto. Le banche statali si
trovano in bancarotta, con un ammontare di crediti inesigibili uguale al
prodotto interno lordo della Cina. La privatizzazione delle banche statali
presuppone una dichiarazione di bancarotta finanziaria parziale dello Stato, però
pone anche la minaccia di tracollo di decine di migliaia di imprese industriali
già in bancarotta finanziaria, con la loro inevitabile sequela di decine di
milioni di licenziamenti. Un riscatto statale di tali imprese non porrebbe
solamente la prospettiva catastrofica di una iperinflazione ma anche una
catastrofe finanziaria internazionale, che sarebbe un risultato del ritiro del
capitale in divise che la Cina ha investito nei debiti pubblici dei diversi
stati capitalisti. Le contraddizioni straordinarie che caratterizzano la
restaurazione del capitalismo rimarranno esposte al fuoco delle crisi
finanziarie internazionali che si preannunciano imminenti, come già si è
visto, in una scala piuttosto minore, nel 1997-99, quando la crisi asiatica
provocò la crisi russa e la caduta, alla fine, del governo Yeltsin.
La
prospettiva della privatizzazione agraria sta già dando luogo all’espulsione
dei contadini dalla terra da parte delle burocrazie locali che fino ad ora li
sfruttavano principalmente con il mezzo di confisca delle imposte, delle tasse e
dei tributi. In Cina la concentrazione della proprietà della terra è già
stata avviata e, parallelamente, l’intensificazione delle battaglie nei campi.
La concessione di rango costituzionale al diritto di proprietà privata punta a
consolidare la sovrastruttura giuridica del processo di privatizzazione
finanziaria, industriale e agraria, che è solo all’inizio.
La
restaurazione capitalista non potrebbe mai essere, fondamentalmente, un processo
organico interiore. Il capitalismo è giunto a un livello storico di sviluppo
che pone un limite invalicabile a tale possibilità. La restaurazione
capitalista può svilupparsi solo come processo internazionale, sottomesso
all’egemonia del capitale finanziario. Però il capitale internazionale
procede, in tale lavoro, conformemente alla propria natura. È obbligato ad
avvicinarsi e a condizionare la restaurazione capitalista alla lotta
internazionale per il controllo e l’egemonia del mercato mondiale e per il
monopolio della redistribuzione di influenza che la restaurazione capitalista
provoca nel mercato mondiale. A partire da qui pone in essere una contraddizione
importante; da un lato, una tendenza a valersi della penetrazione nei nuovi
mercati per intensificare la concorrenza per il monopolio del mercato mondiale
esistente e, dall’altro una tendenza a bloccare la restaurazione del capitale
per attenuare tale concorrenza mondiale e frenare l’ingresso di nuovi
competitori. La penetrazione capitalista straniera negli ex Stati operai è
stata spinta finora dal prezzo relativo più basso della manodopera e delle
risorse tecnologiche e naturali, acutizzando la concorrenza nel mercato mondiale
tra i monopoli capitalisti stabiliti. La ri-colonizzazione economica selvaggia
dello spazio interno degli ex Stati operai si trova in gran parte condizionata
al decollo della rivalità commerciale, finanziaria e politica che si è
accentuata, tra i monopoli e i loro rispettivi stati. In sintesi la
restaurazione capitalista costituisce un episodio storico concreto di crisi
gigantesche e rivoluzioni.
25.
I lavoratori degli ex Stati operai hanno di fronte a loro un ventaglio di
compiti politici:
La
IV Internazionale rifiuta le posizioni che:
La
pretesa di eliminare dalla storia le grandi rivoluzioni sociali di contenuto
proletario del XX secolo, specialmente quella del ’17, attraverso un processo
indolore, pacifico o graduale ha già fallito. Per la serie di fattori che la
condizionano, la restaurazione del capitale dovrà dar luogo a giganteschi
scontri sociali e politici internazionali. In tutti i modi, una vittoria del
capitalismo avrebbe solo la capacità di ritardare la marcia delle lancette
della storia. Tale vittoria renderebbe di nuovo attuale la lotta tra capitale e
lavoro in nuove condizioni storiche; ossia, la concorrenza, la concentrazione
della ricchezza in poche mani, la socializzazione della produzione, le crisi, le
contraddizioni irrisolvibili del capitale, infine un nuovo periodo di
rivoluzioni socialiste.
La crisi sociale nei
paesi capitalistici sviluppati
26.
La più chiara evidenza della crisi mondiale è data dall’incapacità della
borghesia nel preservare le legislazioni lavorali ed i sistemi di protezione
sociale, risultato delle lotte popolari prima e dopo le guerre mondiali.
Questa
incapacità è il risultato della forte diminuzione del saggio di profitto del
capitale. Questo dimostra che il capitale ha difficoltà a riprodursi sulle
proprie basi.
Il
superamento della crisi d’accumulazione esige un incremento notevole nel tasso
di sfruttamento dei lavoratori. Di qui derivano anche le tendenze verso la
flessibilità della forza lavoro e la disoccupazione. Ed è anche questo
l’origine dello smantellamento delle forme di protezione sociale poiché esse
sono parte del prezzo della forza lavora che deve essere ridotto.
crisi dei bilanci pubblici è un riflesso di questa situazione. Lo Stato
cerca di far fronte alla crisi trasferendo la carica fiscale sui consumatori,
privatizzando i beni in suo possesso ed incrementando il debito pubblico; in
casi estremi con l’inflazione e l’iperinflazione. Dopo, gli interessi del
debito ed i limiti ad una pressione fiscale maggiore peggiorano la situazione
delle finanze statali e dei servizi pubblici.
Le
privatizzazioni rappresentano il tentativo della borghesia di associare il
finanziamento della sicurezza sociale al ciclo dei profitti e liquidare così il
suo carattere giuridico che incaricava allo Stato la previdenza sociale dei
lavoratori. In questa fase di crisi, il tentativo è quello di legare il prezzo
della forza lavoro al andamento dei profitti. Da qui nasce il tentativo di
determinare i salari come parte dei benefici. La disoccupazione crescente e la
caduta relativa dei salari determinano una riduzione nei contributi alle diverse
forme di previdenza. Le privatizzazioni accentuano, in molti paesi, la crisi
perché diminuiscono le risorse dello Stato per finanziare le previdenze
pubbliche.
Inoltre,
le privatizzazioni costituiscono uno strumento di confisca ai danni dei
salariati perché i fondi raccolti in passato finanziarono grandi affari
e la speculazione finanziaria. Il crollo delle borse nel 2000, a sua
volta, portò al collasso dei fondi pensione privati. Oggi abbiamo di fronte una
crisi tanto dei sistemi previdenziali pubblici come privati. I costi della
spessa sanitaria sono cresciuti enormemente come conseguenza dei superprofitti
dei monopoli farmaceutici e della svendita della medicina pubblica. Gli
apologeti del capitalismo danno la colpa al invecchiamento relativo della
popolazione, e quindi dicono che bisogna innalzare l’età pensionabile. La
falsità di queste argomentazioni si dimostra con il fatto che con l’aumento
della disoccupazione, l’innalzamento della età pensionabile significa ancora
più disoccupati e meno contributi.
La protezione che si nega a chi deve andare in pensione deve essere data ai
disoccupati; così i conti tornano scaricando tutto sui senza lavoro.
La
dipendenza esistente tra lo smantellamento dei diritti sociali e del lavoro, da
una parte, e la crisi capitalistica dall’altra, risulta evidente nel fatto che
man mano che aumenta la produttività del lavoro il capitale esige l’aumento
delle ore lavorative e le riduzione relativa del salario. Nella misura nella
quale cresce la capacità di creazione di ricchezza sociale, cresce da parte del
capitale l’esigenza di una maggiore miseria sociale. E chiaro, tuttavia, che
l’incremento nel tasso di sfruttamento relativo della forza lavoro (più
produttività) e di quello assoluto (più flessibilità) porta ad un limite
sempre maggiore le possibilità del capitale a realizzare il maggior valore.
L’uscita per questa contraddizione, che sarà sempre transitoria, risiede per
ora nella restaurazione piena del capitale negli ex stati operai degenerati e
nella svalutazione del proprio capitale ovunque sia necessario per rendere più
profittevole la sua utilizzazione produttiva. Queste soluzioni implicano guerre
o crisi economiche internazionali, perché una forte svalutazione degli attivi
deve essere preceduta da un “default”.
27.
La difesa delle conquiste sociali chiama a una lotta di portata storica , dato
che pone come compito finale la rimozione del capitalismo. Questo compito è
sempre più chiaro dopo i ripetuti fallimenti delle burocrazie sindacali nei
tentativi di scambiare la sicurezza sociale con maggiori contributi da parte del
salariati, aumento dell’età per andare a riposo, diminuzione delle
prestazioni, e tentativi di rimuovere i contratti nazionali di categoria.
La
IV Internazionale propone la difesa di tutte queste conquiste con un programma
di rivendicazioni transitorie. Lottiamo per la nazionalizzazione senza
indennizzi di tutti i fondi pensioni e assicurazioni private, sotto controllo
dei lavoratori e così assicurare una pensione uguale al ultimo salario
percepito. La liquidazione, parte del salario differito, deve essere pagata
interamente dai capitalisti. La possibilità di aumentare l’età pensionabile
può solo essere un fattore positivo di sviluppo umano in una società senza
disoccupazione, onde l’organizzazione del lavoro sia libera e sotto controllo
degli stessi lavoratori. La sanità pubblica esige il controllo dei monopoli
farmaceutici, un servizio statale integro sotto gestione dei suoi lavoratori ed
il finanziamento da parte dei capitalisti. Quindi, queste esigenze basilari
mettono in discussione l’esistenza stessa del capitale.
Di
fronte alla disoccupazione rivendichiamo, contro i licenziamenti, la scala
mobile delle ore di lavoro (senza toccare i salari), aggiungendo la ripartizione
totale delle ore di lavoro di tutta la società, tramite una borsa nazionale di
lavoro che includa tutti i lavoratori disoccupati, base al loro mestiere,
residenza, età, sesso. Se la scala mobile delle ore lavorative sfida la
proprietà capitalistica a livello di impresa, la divisione delle ore di lavoro
a livello generale sfida tutto lo Stato borghese.
In
opposizione al capitale che tenta di prolungare la giornata lavorativa,
intensificarne i ritmi, violare i periodi di riposo e ferie, precarizzando i
contratti, noi rivendichiamo: salario minimo pari al costo del paniere di
riferimento; giornata di otto ore; riposi e ferie collettivi, divieto di
licenziamenti; contratti a tempo indeterminato; controllo operaio delle
condizioni di lavoro; contratti nazionali negoziati da rappresentanti dei
lavoratori scelti in assemblee e revocabili. Denunciamo i limiti della settima
di 36 ore negoziata in Francia, perché si concede come contropartita il
congelamento dei salari nominali, diminuendo il riconoscimento degli
straordinari e l’introduzione dell’anualizzazione delle ore lavorative,
permettendo così di fatto la violazione del accordo stesso e delle ferie
collettive. In Francia la disoccupazione, la precarietà e le condizioni dei
lavoratori sono peggiorate. Per rendere efficace questa rivendicazione deve
essere accompagnata da una lotta per il divieto di licenziamento, per fermare
l’intensificazioni dei ritmi di lavoro, generalizzare gli aumenti salariali, e
con un controllo operaio capace diversificare i risultati sociali della
riduzione delle ore di lavoro settimanali in favore dei salariati.
28.
Nel corso della presente crisi
mondiale si sono verificate grandi lotte sociali, ma il proletariato delle
principali nazioni industriali è stato relativamente assente in esse, con
l’eccezione parziale della Corea del Sud. Tuttavia ci sono segnali che le cose
iniziano a cambiare, come le lotte alla FIAT dimostrano, o le lotte nei cantieri
navali in Spagna. Gli ammortizzatori sociali delle lotte tendono a dissolversi
perché sono in rotta di collisione con le necessità del capitale. La IV
Internazionale rivendica la necessità di essere presente in tutte le lotte
provocate dall’oppressione sociale, nazionale. La lotta contro il capitale
coinvolge tutte le contraddizioni e antagonismi che possono diminuire la
dominazione capitalista; fra esse c’e una relazione di dipendenza reciproca.
Se l’Inghilterra avesse perso la guerra nelle Malvinas nel 1982, certamente il
governo Thatcher avrebbe trovato più difficoltà a sconfiggere i minatori
britannici nel 1985. La IV Internazionale partecipa insieme ai Sem Terra in
Brasile, ai contadini in Bolivia e Colombia, alle donne uccise in Messico e
colpite in tutto il mondo, gli immigranti clandestini, i bambini schiavi, i
giovani che lottano per l’educazione e per la difesa dei diritti contro lo
stato poliziesco che è ogni Stato capitalista. La IV Internazionale interviene
in queste lotte, ma non in difesa di soluzioni di ordine particolare (che non
sono soluzioni) senno per produrre un unico movimento internazionale che porti
alla vittoria della rivoluzione socialista. Solo facendo parte di tutte le lotte
contro l’oppressione può la vanguardia dei lavoratori esigere il posto che le
spetta nelle file del proletariato internazionale.
Le
chiusure di imprese ha posto il problema dell’occupazione delle fabbriche, e
con la crisi industriale questo aumenterà nel prossimo futuro. L’occupazione
delle fabbriche a posto, storicamente, un insieme di questioni che sono
strettamente connesse alle condizioni di insieme della lotta di classe. Quando
sono provocate dal fallimento economico, oppongono alla chiusura o al
licenziamento la richiesta di esproprio dell’impresa e la messa in
funzionamento sotto gestione del propri lavoratori. La IV Internazionale esige,
in queste situazioni, l’esproprio senza indennizzo, la confisca dei beni, la
produzione e gestione sotto controllo operaio. In consonanza al livello generale
delle lotte, si pone la formazione di un fronte di imprese occupate sotto
gestione operaia, per esigere fondi bancari senza interessi, l’intervento dei
lavoratori nella gestione della banca e la nazionalizzazione del sistema
finanziario sotto controllo dei lavoratori. Mentre deve essere chiaro che una o
più imprese sotto controllo operaio non sono viabili sotto il capitalismo,
avvertiamo però contro l’intervento dello Stato e contro la statizzazione
delle imprese già gestite dai lavoratori, perché questo significa la
distruzione della gestione operaia e, quando le condizioni sono in generali più
rivoluzionarie, è uno strumento contro la rivoluzione. Alla statizzazione delle
imprese da una parte, e alla soluzione individuale della cooperativa o
dell’autogestione, la IV Internazionale oppone come alternativa un fronte di
imprese occupate e sotto controllo operaio; l’intervento di questo fronte
nelle banche statali e private, cercando la nazionalizzazione del sistema
finanziario, per fare possibile la gestione operaia; l’alleanza con
l’insieme del movimento operaio in base alle rivendicazioni comuni, ed in
prospettiva di uno sciopero politico di massa. La IV Internazionale precisa che
le statizzazioni borghesi nazionali contro il capitale imperialista possono
avere un carattere relativamente progressivo, e che quelle che vanno a
sostituire la gestione operaia sono contrarie ad un’azione indipendente dei
lavoratori.
Un
compito di fondamentale importanza nella
presente crisi è l’organizzazione del disoccupati. Questa organizzazione non
solo riduce la rivalità fra lavoratori spinta dal capitale ma tende a
trasformarsi in un poderoso mezzo
rivoluzionario, dato che i disoccupati rappresentano il settore più colpito
delle masse ed il sintomo della dissoluzione del capitalismo in quanto tale.
Questo potenziale fa capire l’ostinata opposizione delle burocrazie sindacali
all’organizzazione dei disoccupati, che tuttavia dovrebbe essere al primo
posto fra i loro compiti come mezzo di ridurre la concorrenza fra salariati.
Nella misura nella quale la vanguardia si sforza in organizzare questi settori,
tramite la pressione nei sindacati e fuori da essi, e trasforma questa
organizzazione dei senza lavoro in un movimento di solidarietà con i lavoratori
occupati che lottano contro i licenziamenti e la flessibilità, questa
vanguardia si avvicina al insieme della classe operaia. La rivendicazione
fondamentale dei senza lavoro è quella per il diritto al lavoro, ad un salario
di disoccupazione ed l’accesso al lavoro. Di fronte ai tentativi dello Stato
di annacquare il “salario sociale” con forme di assistenzialismo
clientelistico, la IV Internazionale esige il controllo operaio, dei senza
lavoro, del salario sociale al disoccupato o di ogni altra forma di
remunerazione. Denunciamo la Banca Mondiale e le ONG che chiedono l’assistenza
sociale come strumento di controllo sui lavoratori disoccupati e convertire i
piani assistenziali in una variante dello sfruttamento sociale che faccia
concorrenza ai lavoratori occupati. Denunciamo anche le campagne del
centrosinistra internazionale, in particolare in Brasile, Argentina e Francia,
che ha fatto sua la rivendicazione liberale di un salario minimo di
cittadinanza. Questo salario di sussistenza convertirà in status quo la
disoccupazione di massa e diventerà il minimo salariale concesso a tutti i
lavoratori giovani o neo assunti. In opposizione a questi attacchi diretti
contro le condizioni di vita dei lavoratori lottiamo per fermare la
disoccupazione tramite la divisione delle ore di lavoro, il salario minimo pari
al paniere familiare, salario di disoccupazione, occupazione delle imprese che
chiudono, opere pubbliche sotto controllo dei lavoratori, la tassazione del
capitale e la centralizzazione di tutte le risorse necessarie per fare fronte a
la crisi sociale nelle mani delle organizzazioni dei lavoratori.
La
IV Internazionale richiama l’attenzione sul ruolo eccezionale delle donne e
dei giovani nei movimenti e organizzazioni dei disoccupati. Questo ruolo è
riflesso della loro condizione di essere i più esposti alla disoccupazione.
L’azione delle donne modifica no solo i parametri di lotta dei disoccupati ma
anche quelli dell’insieme della società, dando uno scossone più vasto che
colpisce anche al clero e loro seguaci. La presenza delle donne nella lotta di
classe tende ad infrangere i limiti politici dei movimenti femministi,
introducendo in essi la lotta contro il capitale. L’azione delle donne agisce
anche nella formazione della vanguardia operaia, incorporando nelle sue file un
protagonista di maggiore potenziale rivoluzionario, fermando la tendenza alla
demoralizzazione che la disoccupazione provoca fra gli uomini. La IV
Internazionale include nelle sue conclusioni il significato che ha la presenza
delle donne nelle lotte degli sfruttati, e chiama a estrarre le lezioni che
questa presenza impone nel compito di ricostruire la vanguardia dei lavoratori.
Gli
attacchi contro la previdenza sociale, la chiusura di fabbriche, la flessibilità,
la riduzione dei salari apriranno il paso ad importanti lotte rivendicative. La
IV Internazionale chiama a partecipare attivamente nei sindacati, inclusi i più
reazionari; ad organizzare le posizioni classiste; a invitare alla lotta ai non
sindacalizzati chiedendo la sovranità delle decisioni delle assamblee e dei
comitati di sciopero, organizzare i rapporti fra le realtà di una stessa
regioni a prescindere dalla loro filiazione sindacale. Sulla base di questo
metodo di lotta è necessaria l’espulsione delle burocrazie dai sindacati, e
la formazione di direzioni classiste. Il permanere delle burocrazie nella
direzione dei sindacati nel corso delle lotte che si avvicinano compromette
seriamente le possibilità di vittoria sui padroni e lo Stato.
29.Considerata
nel suo insieme la situazione mondiale, è chiaro che la borghesia non può
continuare a governare come lo ha fatto fino adesso, e che le condizioni sociali
generali si sono trasformate per le masse in eccezionalmente insopportabili. La
questione del potere posta da queste condizioni varia, anche enormemente, da un
paese all’altro, però, contemporaneamente, ha creato una relazione reciproca
tra di essi. L’impantanamento dell’imperialismo in Iraq ha già creato una
crisi politica importante all’interno della borghesia e dello stato
nordamericani e anche all’interno del governo Bush. La stessa cosa è
avvenuta, e anche più accentuatamente, in Spagna, in combinazione con le
maggiori manifestazioni di massa contro la guerra imperialista. L’impasse
economico nell’Unione Europea ha
determinato una frattura nella borghesia italiana e perfino una tendenza alla
rottura della frazione berlusconiana col suo proprio governo, nello stesso
momento in cui cresce la mobilitazione sindacale. La crisi dei governi di
Francia e Germania è fuori discussione , mentre si insinuano, e a volte si
approfondiscono, lotte di massa importanti. In un altro continente, la pressione
imperialista sulla Bolivia ha dato luogo, in ottobre passato, a una rivoluzione
popolare. La disgregazione di un governo appena entrato in carica, quello di
Lula, è anch’essa evidente. La caduta di Aristide
ha determinato ad Haiti una occupazione militare. Il golpismo oligarchico
contro il venezuelano Chavez continua ad attizzare la crisi e la mobilitazione
delle masse più povere del paese in difesa del governo nazionalista.. Il
periodo di grazia di Kirchner si è virtualmente concluso, alla fine di dieci
mesi che sono stati caratterizzati da un metodo di governo di crisi permanente.
L’accumulazione di tensioni finanziarie nella pentola in ebollizione
rappresentata dall’Estremo Oriente ha provocato la destituzione transitoria
del Presidente della Corea del Sud da parte dei grandi monopoli nazionali
che sentono minacciata la propria esistenza dalla penetrazione del
capitale finanziario nordamericano. Il Medio Oriente è una polveriera vicina ad
una esplosione, specialmente in Arabia Saudita, Iran e Siria. La IV
Internazionale si differenzia da altre correnti rivoluzionarie e operaie, in
primo luogo, su questa caratterizzazione della situazione mondiale.
Presa cioè come un insieme, ossia nella prospettiva che presenta e nelle
sue relazioni reciproche (tra le nazioni e le classi), la situazione mondiale
pone, con ritmi, caratteristiche storiche e peculiarità differenti, e anche una
comprensione squilibrata di ciò da parte delle classi che agiscono, la
questione del potere.
30.
A partire da questa caratterizzazione, il governo operaio od operaio e contadino
riscuote tutta la sua attualità come rivendicazione transitoria. Questa parola
d’ordine significa, prima di tutto, una politica che consiste nello sviluppo,
all’interno delle organizzazioni tradizionali delle masse ed in quelle che
esse costituiscono nel corso delle lotte, della comprensione che quella posta è
una questione di potere e che la soddisfazione reale ed integrale delle
aspirazioni popolari esige la presa del potere da parte dei lavoratori. Quando,
nel corso della lotta e come conseguenza dell'esperienza della lotta stessa,
quelle organizzazioni conquistano una complessiva posizione di autorevolezza
politica, quella del governo operaio è la rivendicazione che rivolgiamo loro
per preparare la lotta diretta al potere politico. La possibilità, tuttavia,
che le direzioni tradizionali affrontino quella lotta per il potere è remota o
eccezionale, perfino sotto una pressione rivoluzionaria dalle masse. La IV
Internazionale mette sull’avviso contro il pericolo di fare un sol fascio di
ciò che sono le masse, le loro organizzazioni e le loro direzioni, perché di
regola le relazioni tra loro sono contraddittorie. I periodi di crisi politica o
rivoluzionari accentuano quelle contraddizioni, perché sono caratterizzati, da
un lato, da un cambiamento fondamentale nella coscienza delle masse e,
dall'altro, da un'acutizzazione dell’istinto di sopravvivenza delle direzioni
collocate nelle vecchie relazioni politiche. In questo senso, la rivendicazione
del governo operaio è il metodo del quale si avvale la IV Internazionale, non
per aggiungere una nuova occasione di sopravvivenza alle vecchie direzioni, bensì
per conquistare la direzione delle masse e le organizzazioni delle loro lotte
all'avanguardia rivoluzionaria.
Benché
il parlamentarismo si trovi da lungo tempo in decomposizione storica ed il
governo reale dello Stato sia nelle mani di un pugno di burocrati profondamente
intrecciati con i principali trust capitalisti, la partecipazione parlamentare
(e, quindi, le campagne elettorali) sono fondamentali, specialmente in un
periodo di crisi di potere o pre-rivoluzionario. Questa partecipazione deve
servire non solamente per amplificare l'agitazione politica quotidiana, ma anche
come propaganda, cioè come educazione politica per la parte più militante dei
lavoratori. La circostanza che il parlamento si sia trasformato nella copertura
della cospirazione dello Stato contro le masse (in nessun modo nella sua
rappresentazione) rafforza la necessità della partecipazione in esso per
procedere ad un metodico lavoro di smascheramento. Senza un lavoro
rivoluzionario nel parlamento borghese è impossibile fare realmente un lavoro
di massa. Nelle condizioni in cui l'avanguardia rivoluzionaria, lì dove esiste
ed agisce, è eccessivamente minoritaria ed il suo raggio d’influenza è
limitata a rivendicazioni sindacali, è necessario sfruttare tutte le opportunità
per intervenire nelle campagne elettorali e nel parlamento. L'attivismo
sindacale, perfino il più conseguente, può risultare un sinonimo di
metodologia economicistica; la partecipazione elettorale e nel parlamento può
servire, invece, per svolgere una politica realmente socialista, cioè,
relazionata coi problemi di insieme del capitalismo, di tutte le sue classi
sociali e dello Stato. La subordinazione storica del parlamentarismo rispetto
all'azione diretta delle masse non deve essere confusa con un disprezzo
all'azione parlamentare; semplicemente quella subordinazione significa che il
parlamento deve essere usato come tribuna rivoluzionaria di propaganda, di
agitazione ed anche di organizzazione. L'esperienza dimostra che la presenza dei
rivoluzionari provoca nelle masse un interesse per il parlamentarismo che non
esisteva in precedenza. Questa aspettativa costituisce un passo verso
l'esaurimento delle illusioni nel parlamentarismo che si trovavano sotto
traccia. La presenza di parlamentari rivoluzionari incentiva la tendenza
popolare a mettere il parlamento sotto "la pressione della strada",
contribuendo in questo modo a che l'azione diretta passi ad occupare il piano
principale dei metodi popolari di lotta.
In
numerosi paesi, la decomposizione del parlamentarismo, che non è diversa da
quella dello Stato borghese e della società capitalista, si manifesta come
"una crisi di rappresentazione politica" o "una crisi della
politica." Questo significa che gli sfruttati non percepiscono il carattere
di classe del parlamentarismo, né caratterizzano le crisi politiche in corso
come il risultato del carattere inconciliabile degli antagonismi di classe.
Questa deformazione si aggrava quando la piccola borghesia svolge un ruolo
politico smisurato in relazione al suo peso nel processo produttivo sociale. La
crisi di potere assume in questi casi una caratteristica formale che tiene
nascosto il suo contenuto sociale fondamentale. L'esperienza delle crisi e lotte
recenti hanno insegnato che, in circostanze come queste, la parola d’ordine
dell'Assemblea Costituente sovrana potrebbe svolgere in primo luogo un gran
ruolo politico, intesa, innanzitutto, come un rovesciamento del parlamento e
delle istituzioni esecutive nazionali e municipali messe in discussione dalla
"crisi rappresentativa" e, quindi, come un vincolo al governo operaio
ed alla dittatura del proletariato, se è sviluppata attraverso un programma di
rivendicazioni transitorie di insieme. Il peso politico di questa parola
d’ordine si accentua nei paesi in cui il parlamentarismo e la democrazia non
hanno messo radici solide o nessuna, e dove la sua lunga esistenza si è
accordata con crisi, colpi di stato e dittature, cioè dove è molto vivo il
sentimento favorevole al suffragio universale. La rapida decomposizione dello
Stato ha determinato che, in molti paesi, si presenti la necessità di una
"rivoluzione politica" in anticipo rispetto alla coscienza della
necessità della rivoluzione sociale. Ciò che importa è che, da un lato,
questo serva per mobilitare le masse e, dell'altro, serva per intervenire nella
crisi di potere. Ciò che importa, soprattutto, è che serva per tirare fuori
l'avanguardia operaia da una posizione esclusivamente propagandistica quando sta
per svilupparsi una crisi politica che è parte di una crisi storica ma che
segue tappe e ritmi differenziati, specialmente per quel che riguarda la
comprensione che le masse vanno acquisendo degli avvenimenti.
La
dissociazione tra la crisi politica dello Stato ed il suo contenuto storico
concreto di agonia del capitalismo, ha dato luogo ad una corrente che oppone al
parlamentarismo la "democrazia diretta". Si tratta di un altro
episodio della saga che denuncia la democrazia borghese per il suo carattere
rappresentativo, cioè che delega la sovranità popolare in una rappresentazione
indipendente. La "democrazia diretta" tende ad occupare, nell'opinione
pubblica, il posto della "democrazia partecipativa" o
"sociale" del passato recente. In un regime caratterizzato dal
dispotismo sociale (la dipendenza assoluta della forza di lavoro, nella sua
qualità di merce, dal capitale, e la dittatura assoluta del capitale nel luogo
di lavoro) la democrazia diretta riproduce la finzione dell'autonomia
dell'individuo che caratterizza il costituzionalismo. Tuttavia, nell'epoca in
cui l'individualità specificamente borghese si trova in rovina, la
"democrazia diretta" ha meno spazio che mai e si tramuta nella pretesa
di assaltare il parlamentarismo per mezzo del plebiscito. La "democrazia
diretta" che va relativamente di moda oggi, ha punti di contatto con
l'anarchismo legato alla piccola borghesia, non con l'anarchismo che fu legato
alla classe operaia che subordinava la democrazia diretta alla rivoluzione
sociale, stabilendo un punto di contatto con la dittatura del proletariato.
Una
volta arrivato al potere nella lotta per le rivendicazioni principali dei
lavoratori e della crisi politica dello Stato borghese, il governo operaio si
confronta immediatamente con l'opposizione dell'insieme di quello Stato che
rappresenta la dittatura di classe della borghesia. Soltanto il governo operaio
può servire a rappresentare, allora, un breve interregno verso la dittatura del
proletariato. La sua possibilità di sopravvivenza dipende dal disarmo della
borghesia e dall'armamento della classe operaia, e dell'espropriazione delle
principali piovre capitaliste. Chi, come il Segretariato Unificato, parla di
"potere operaio", ma si oppone alla dittatura del proletariato,
semplicemente non sa di che cosa sta parlando. In realtà mente sapendo di
mentire. Un "potere operaio" che negasse il disarmo della borghesia e
l'armamento delle masse non durerebbe granché. Non avrebbe l'opportunità, per
le condizioni di crisi che segnerebbero il suo arrivo al governo, di essere
almeno un gestore dello Stato borghese, cioè un governo operaio della
borghesia. Un governo operaio che emerga da una lotta delle masse per le
rivendicazioni transitorie deve confrontarsi anche con l'insieme dell'apparato
dello Stato - la sua burocrazia amministrativa, giudiziale, municipale e
l'ordinamento giuridico corrispondente. Deve rompere il potere capitalista nel
posto di lavoro che è la base reale del potere del capitale. Obbligato a
spezzare integralmente l'apparato dello Stato, si vede altrettanto obbligato a
cominciare a trasformare le relazioni sociali di sfruttamento sulle quali quello
si fonda. Struttura, in questo modo, un nuovo stato nella forma di una gestione
operaia collettiva che va dalla direzione governativa a carico dei consigli
operai alla gestione operaio delle imprese, la salute, la gestione, la cultura,
e che si manifesta in un piano sociale di insieme. Il fallimento della divisione
del lavoro tra governanti e governati significa il principio della dissoluzione
dello stato come tale. Di tutte le tendenze che parlano in nome della classe
operaia, la IV Internazionale è l'unica che lotta per un governo operaio od
operaio e contadino nel suo senso storico completo di distruzione dello Stato
borghese e l’insediamento della dittatura del proletariato. Per la IV
Internazionale, il governo operaio è sinonimo della dittatura del proletariato,
e lo usa come tale nell'agitazione che realizza in seno al paese.
Nella
storia della IV Internazionale, la rivendicazione del governo operaio stabilita
nel suo programma di fondazione, è stata precocemente distorta. A far data
dagli anni ’50 smise di essere considerata come sinonimo della dittatura del
proletariato e la rivendicazione del governo delle organizzazioni tradizionali
fu convertita nella strategia sostituta della IV Internazionale. Il passo
seguente fu prospettare il governo operaio su una base parlamentare, come succedè
con l'Unione di Sinistra, in Francia, dalla fine degli anni ’70, con
l'aggravante che si trattava di un fronte popolare col partito radicale. Con la
conversione euro-comunista dei partiti stalinisti, la dittatura del proletariato
fu rimpiazzata sul piano della teoria dalla "democrazia socialista"
che concilia il governo dei lavoratori col parlamentarismo e lo Stato borghese
in generale. La "democrazia socialista" servì per abbellire il
movimento della burocrazia moscovita alla restaurazione del capitalismo, che
realizzava con le parole d’ordine dello stato di diritto, regime
costituzionale, libertà elettorale. Nel variegato panorama di tendenze che si
proclamano trotskiste esiste una vasta gamma di posizioni sullo Stato, ma tutte
hanno abbandonato la rivendicazione della dittatura del proletariato. Il degrado
teorico è arrivato tanto all'estremo che alcune di quelle tendenze difendono i
loro stati imperialisti nazionali, adducendo che rappresentano conquiste della
civiltà che devono essere protette dalla ‘globalizzazione', da un lato, e la
‘regionalizzazione', dall'altro. Il recente ritiro, dagli statuti della Lega
Comunista Rivoluzionaria, in Francia, della rivendicazione della dittatura del
proletariato, è il culmine di una lunga evoluzione politica, ma che non tocca
solamente il Segretariato Unificato, bensì tutte le tendenze che nacquero dalla
scissione della IV Internazionale a partire dagli anni ’50.
La
IV Internazionale respinge l'identificazione della dittatura del proletariato
con la dittatura della burocrazia. Non solamente si tratta di una differenza di
metodi tra l’una e l'altra, bensì di contenuto sociale, perché la burocrazia
difende la dittatura del proletariato entro i limiti dei suoi propri privilegi,
vale a dire che in difesa dei suoi privilegi combatte la supremazia sociale e
politica della classe operaia. In difesa dei suoi privilegi, prepara la
restaurazione del capitalismo e si converte, come si è convertito, nell'agente
principale di quella restaurazione. Respingiamo anche l'identificazione, degli
apprendisti dei diritti umani, tra il terrore rosso o rivoluzionario ed il
terrorismo di Stato, la qual cosa non rappresenta altro che la vecchia volgarità
di mettere sullo stesso piano la violenza rivoluzionaria e la violenza della
reazione e dello Stato capitalista. Perfino lì dove ha trionfato la rivoluzione
proletaria, lo stato che esercita l'egemonia continua ad essere lo stato
capitalista che si manifesta per mezzo del sistema internazionale di stati ed
aggredisce lo stato proletario con l’uso della forza organizzata del sistema
di stati stabilito da lungo tempo. Ogni guerra civile obbliga la rivoluzione a
militarizzare le sue istituzioni ed, entro queste condizioni, limita la
democrazia dei lavoratori, allo stesso modo che nel corso di qualunque azione
bellica l'autorità si concentra in un comando unico. La dittatura proletaria
soffre, così, l'influenza dell’ambiente nel quale è obbligata ad agire. La
dittatura del proletariato, come una democrazia di lavoratori, fiorisce quando
più ampio è lo sviluppo internazionale della rivoluzione, quando maggiori sono
le risorse economiche e culturali che il proletariato trionfante eredita, quando
maggiore è stata anche la preparazione politica e la scuola di lotta della
classe operaia che si impegna nel rovesciamento della borghesia. Ogni cittadella
assediata può trasformarsi in Masseria. Come diceva Lenin, il proletariato
delle nazioni più avanzate farà meglio le cose.
31.
La lotta politica è una lotta di partiti, tanto più la lotta per il potere. La
rivoluzione sociale in generale, ed a maggior ragione quella proletaria, è un
fenomeno storico, cioè che riassume e finisce una fase della civiltà umana.
Non può essere intrapresa senza una coscienza di questo carattere, che si
traduce in un programma. Possono esserci ammutinamenti e ribellioni, e se ne
verificano con straordinaria frequenza quando una determinata organizzazione
sociale entra nella sua fase di decadenza. Ma una rivoluzione che sia capace di
mettere fine alla dominazione e sfruttamento sociali, è impossibile senza un
programma e senza un'organizzazione. Il capitalismo non permette uno sviluppo
generalizzato dell'educazione generale né della preparazione politica del
proletariato; al contrario, stimola la competizione e la rivalità tra gli
sfruttati. Soltanto a partire da un'avanguardia operaia può intraprendersi il
compito di formare un proletariato rivoluzionario. Parallelamente al ruolo
strategico senza concorrenti del partito rivoluzionario nella rivoluzione
proletaria, la lotta contro l'idea di costruire un partito e contro il partito
stesso rappresenta la risorsa ultima del capitale che in questa lotta si
manifesta principalmente per mezzo della piccola borghesia progressista o al
massimo sociale. Allo stesso modo della collaborazione di classe, in generale, e
del fronte popolare, in particolare, il movimentismo è una risorsa ultima del
capitale contro la rivoluzione proletaria.
Si
tratta di costruire partiti, non sette; organizzazioni rivoluzionarie, non
federazioni parlamentari; organizzazioni di combattimento, non solamente di
propaganda; radicate nella classe operaia e nella sua storia, come nella storia
delle masse del paese di cui si tratta e proprio di quel paese. Le particolarità
nazionali svolgono un ruolo eccezionale nella strategia dei partiti
rivoluzionari. Tenendo in conto queste esigenze, la forma dello sviluppo del
partito rivoluzionario riconosce ogni tipo di varianti. Nello stadio attuale, di
enorme dispersione dell'avanguardia rivoluzionaria, la IV Internazionale
sottolinea la nuova tappa rivoluzionaria che ha aperto l’attuale crisi
mondiale; segnala che la restaurazione capitalista accentua, in ultima istanza,
questa crisi mondiale e sviluppa maggiori confronti rivoluzionari in proporzione
a quelli conosciuti, perfino nei paesi sviluppati; sottolinea la validità dei
programmi storici del comunismo, dal Manifesto del 1848, i primi quattro
congressi della III Internazionale ed il programma di transizione della IV
Internazionale; e richiama i rivoluzionari e le loro organizzazioni ad elaborare
un programma internazionale che dia conto dei cambiamenti fondamentali degli
ultimi decenni.
La
ricostruzione dell'Internazionale operaia e rivoluzionaria parte da una chiara
filiazione storica, ma non può rivendicare una continuità organizzativa. Il
Segretariato Unificato della IV Internazionale si è convertito, almeno nel
complesso, in un'appendice della piccola borghesia progressista, perfino nei
paesi imperialisti. La prossima Internazionale operaia sarà progettata per
avvenimenti storici di straordinaria grandezza. È ozioso congetturare sulle sue
caratteristiche. Tuttavia, non si può lottare per quella futura internazionale
senza un programma ed un partito. Il nostro appello a rifondare immediatamente
la IV Internazionale significa che respingiamo la politica dell'attesa passiva
dei grandi avvenimenti futuri. Per questo il nostro progetto consiste nel
raggruppare l'avanguardia operaia in un partito internazionale che lotti per la
futura grande Internazionale Operaia Rivoluzionaria. In opposizione al metodo
settario che consiste nel condizionare la rifondazione immediata della IV
Internazionale alla previa risoluzione, puramente letteraria d’altro canto,
delle discrepanze politiche che possono esistere, progettiamo l'organizzazione
di un partito rivoluzionario internazionale, la IV Internazionale, sulla base di
una precisa delimitazione politica di tutte le divergenze. Costruire il partito
internazionale è il punto del programma che distingue i marxisti rivoluzionari
delle sette.
Presentato dal Partito Operaio (Argentina)
APPROVATO A MAGGIORANZA
Voti
a favore: 78 voti
Voti
contrari: nessuno
Astensioni:
6 voti
VOTAZIONE INDICATIVA DEI DELEGATI OSSERVATORI
Voti
a favore: 4 voti
Voti
contrari: nessuno
Astensioni:
2 voti