Venezia, VI Congresso Prc: relazione e replica di Bertinotti

Un partito riformista per tutelare un governo liberale

 

di Francesco Ricci  

 

"Al governo nel capitalismo, senza se e senza ma". Nel precedente numero del giornale avevamo così sintetizzato il senso e gli scopi della mozione bertinottiana al VI Congresso del Prc. Non ci eravamo sbagliati. Lo svolgimento dell'assise nazionale del Congresso (di cui si dà conto nell'editoriale e in altri articoli in queste pagine) ha contemporaneamente confermato e impresso una nuova accelerazione alla marcia del Prc verso il prossimo governo capitalista.

 

No al potere dei lavoratori... sì al potere della borghesia

L'interminabile relazione introduttiva di Bertinotti a Venezia ha riaffermato uno per uno gli assi delle Quindici Tesi (per un'analisi dettagliata del documento rinviamo al dossier che abbiamo pubblicato sul numero di gennaio di questo giornale).

Il succo di quelle tesi sta, crediamo, nel titoletto che utilizziamo qui sopra: "no al potere dei lavoratori... sì al potere della borghesia." Con la relazione Bertinotti è andato anche oltre le Tesi, cercando di colmarne i vuoti teorici e per due ore ha lavorato con la consueta raffinatezza retorica alla edificazione di un palazzo barocco davanti a una platea in cui spiccavano in prima fila Prodi, Fassino, Rutelli (i protagonisti del "mondo nuovo" in costruzione celebrato nello slogan del congresso...).

Una relazione densa di quella sociologia su cui pare si formi il nuovo gruppo dirigente di maggioranza (più che su testi marxisti); citazioni di autori preferibilmente non comunisti (con l'eccezione di una irriconoscibile Rosa Luxemburg); richiami interclassisti alla "democrazia" e a una indistinta "umanità"; e poi la ripetuta sequenza dei padri delle varie teorie di disarmo della classe operaia (Gandhi, Capitini, Dolci, ecc.).

Mentre nelle Tesi ci si limitava a sintetizzare la proposta della rinuncia alla lotta per il Potere (operaio) per guadagnare l'accesso in un governo liberale definito "riformatore" (anche se al suo interno saranno presenti tutti gli alfieri delle contro-riforme degli ultimi vent'anni, da Amato in poi), qui il segretario si è esercitato nella ricerca di riferimenti culturali nobili che potessero sostenere la proposta.

Mentre nelle Tesi si liquidava sbrigativamente l'idea rivoluzionaria della "conquista del potere" per via rivoluzionaria (cioè la violenta espropriazione degli espropriatori) che è stato posto alle fondamenta dei partiti rivoluzionari di ogni secolo, nella relazione si stila un elenco (ancorché incompleto) dei padri culturali di questa prospettiva riformista e democratica, cercando affannosamente di completare un nuovo "album di famiglia", inserendo foto di avi acquisiti che non possano spaventare in alcun modo gli interlocutori liberali.

Togliatti, Berlinguer, Turati, Bernstein, Proudhon, ecc. anche se non citati (si è preferito Don Balducci) sono i veri ispiratori del progetto di alleanza con la borghesia illuminata: cuore di ogni riformismo di ogni tempo e racchiusa nell'espressione "riforme sociali e di struttura" che campeggia nella relazione, tra cupole e colonnati che impreziosiscono un progetto in sé terribilmente banale.

Il senso di tutto questo è stato ben colto nell'apprezzamento di Romano Prodi: dalla relazione, ha detto, emerge "l'idea di un partito riformista compatibile con le responsabilità di governo" e in grado -come si è scritto- di rimuovere ogni "pregiudiziale opposizione di classe".

 

"Non regaliamo il governo alla borghesia"

Dopo una relazione da convegno di studi, la replica è stata viceversa molto "politica", di attacco pesantissimo alle minoranze (specie a quella più numerosa, l'Ernesto); con le modalità che si impiegano in genere in un comizio di piazza più che in conclusione di un congresso. Bertinotti ha bersagliato per due ore, con toni urlati, concitati, quel 40% di iscritti (cioè la metà o più dei militanti) che non condivide la svolta. Pur tra intermezzi lirici dedicati alla comprensione reciproca e addirittura alla "fratellanza", a "uno sforzo di tenerezza", ha continuato a tirare colpi come un pugile incapace di fermarsi al "gong". La platea (accortamente preparata con l'immissione di un alto numero di sostenitori del segretario arrivati da Venezia e dal Veneto) pareva solo in attesa del segnale per spellarsi le mani a ogni nuovo colpo. E ogni nuovo colpo era nuovamente intercalato con inviti a "tollerare" quella metà del partito che la pensa diversamente.

Se la relazione introduttiva guardava più al parterre di liberali assiepati nelle prime file, le conclusioni, al contrario, sono state formulate per arroccarsi e per tentare di diroccare specialmente la minoranza più corposa, con inviti espliciti a sue parti a rientrare dalla porta di servizio (finché resta aperta) o a starsene definitivamente fuori (magari anche uscendo dal partito, come ha suggerito qualche giornalista malizioso).

Due ore di pugilato senza pausa tra una ripresa e l'altra. Un tripudio di frasi demagogiche ("ci hanno detto che non siamo comunisti"; "governista a chi?"; "noi siamo stati e saremo sempre dalla parte degli operai, ma non abbiamo alcuna intenzione di regalare per sempre il governo ai padroni") in cui si è financo esibita grottescamente (fra gli applausi) la rottura col primo governo Prodi... come se la funzione dell'intero Congresso non fosse proprio quella di riportare il partito in un governo Prodi...

Non sono mancate esplicitazioni di grande rilevanza simbolica e nuove "sfide" al senso comune dei militanti. Dalla sottolineatura che il ritiro delle truppe non potrà che essere "graduale"; all'omaggio a Calipari, l"eroe" dei Servizi segreti ("fedele servitore dello Stato"), dimostrazione persino eccessiva, zelante, di affidabilità "democratica". Gli osservatori hanno colto questi passaggi e non a caso tutta la stampa borghese e tutti i futuri alleati di governo hanno trovato parole di incondizionata stima per Bertinotti. Tutti, indistintamente, hanno promosso a pieni voti il Prc come forza pronta al governo liberale del Paese. Altro che "non regaliamo il governo alla borghesia": questo congresso -e la relazione e replica di Bertinotti- ha messo anche il fiocco sul pacchetto regalo!

 

Parole e percentuali non cambiano il mondo

Se il mondo fosse governato dalle parole, i principali dirigenti della maggioranza del Prc meriterebbero il trono e non soltanto uno sgabello da ministro, viceministro o sottosegretario in un gabinetto liberale. Così pure, se un partito si governasse con le percentuali (costruite a tavolino) di un congresso, quel 59% garantirebbe a Bertinotti un dominio incontrastato.

Ma né il mondo né il partito si governano solo con le parole e coi numeri. La realtà non ascolta i discorsi di due ore ed è spesso debole in aritmetica. Ed è proprio la realtà che si è incaricata di smentire, quotidianamente, le tesi e la prospettiva di Bertinotti -come per alcuni secoli ha smentito centinaia di altri esperimenti riformisti che hanno preceduto quest'ultimo.

Peraltro i primi a non credere nella linea decisa (sia essa elegantemente interpretata in chiave intellettuale e arpeggi di violino o suonata a colpi di tamburo e di cimbali nelle orecchie dei militanti, come nella replica del Segretario) è una buona metà del partito. E' per questo che il vero passaggio chiave di tutto il congresso di Venezia è stato quello che si è consumato il venerdì notte, quando con forzatura di maggioranza è stato modificato lo Statuto per garantire al segretario organismi controllabili, lasciando alle minoranze il solo diritto di tribuna in un Cpn ulteriormente ridotto a vuoto parlamento e in una Direzione completamente svuotata di ogni ruolo di direzione. Non avendo realmente guadagnato il partito con l'argomentazione, la maggioranza ha dovuto sottometterlo con un nuovo Statuto. Come ha scritto con soddisfazione il dalemiano Il Riformista è stato applicato "il metodo Bertinotti" per "tutelare Prodi".

 

O alternativa rivoluzionaria o socialismo nel mondo dei cieli

L'operazione appare riuscita, mettendo in conto il voto contrario di tutte le minoranze persino sul testo che dovrebbe definire le regole comuni della convivenza nel partito. Ma così come non basteranno le parole di una relazione o le percentuali congressuali costruite contabilmente a cambiare la realtà, così non sarà certo qualche comma statutario a imbrigliare un dissenso sempre più vasto nel partito e che non può più essere contenuto nemmeno nei tentativi di "condizionamento critico" della maggioranza che i dirigenti delle "aree critiche" (L'Ernesto ed Erre) hanno profuso per tutto il percorso congressuale.

Il percorso di Bertinotti è stato delineato con chiarezza. A esso occorre contrapporsi con altrettanta chiarezza. All'alternanza di governo con i liberali non si può rispondere con ipotesi "critiche" e fumose di "sostegno esterno" al medesimo governo. Alla rifondazione socialdemocratica di Venezia -che Parisi, braccio destro di Prodi, ha definito "un socialismo nel mondo dei cieli"-  si risponde, si può realmente rispondere solo con la costruzione dell'alternativa operaia nelle lotte di opposizione. Cioè col socialismo in terra (l'unico che possa interessare chi, come noi, non è impegnato in una "ricerca religiosa"). E' quanto ha fatto e farà tanto più nei prossimi mesi Progetto Comunista.