Il
bilancio del VI congresso del Prc
di
Marco Ferrando
“Cinque documenti, due
posizioni”: così avevamo caratterizzato il quadro di confronto del VI
Congresso del Prc. E così è stato. Da un lato il rilancio della prospettiva
governista e la verticalizzazione della stessa organizzazione interna del
partito in funzione di quella prospettiva. Dall’altro il rilancio di un
progetto comunista a difesa dell’esistenza irrinunciabile di un’opposizione
di classe in Italia. In mezzo la crisi politica obiettiva di ogni ipotesi
intermedia che volesse restare in mezzo al guado. Questo è il segno di fondo
delle risultanze del congresso. Che aprono una fase nuova nel partito.
La
“dote” di Bertinotti
Fausto Bertinotti ha fatto del
Congresso del Prc una sua prova di credibilità agli occhi della borghesia
italiana. Due erano le cose che doveva dimostrare: l’effettiva volontà di
portare sino in fondo la svolta di governo del partito; la propria
determinazione a imporla a un corpo militante in larga parte recalcitrante e
ostile. Questa era la dote che il Centrosinistra si attendeva. E questa è la
dote che il Segretario gli ha portato.
La svolta di governo ha
conosciuto in sede di Congresso nazionale – e dunque a “urne” chiuse –
una razionalizzazione ancor più esplicita e netta: quella di un patto con la
“borghesia produttiva” attorno a una “grande riforma” contro la rendita,
nel segno del rilancio della “programmazione” industriale e di una
“redistribuzione” del reddito. Un canovaccio culturale antico, tratto dal
vocabolario del centrosinistra degli anni ’60 e in particolare del partito
socialista di quell’epoca allora impegnato a motivare la propria svolta di
governo con la Dc. Eppure un vocabolario rivenduto come “nuovo”, nel nome
della Rifondazione comunista proprio nel momento storico della crisi profonda
del riformismo ad ogni latitudine del mondo. Non a caso il più felice ed
entusiasta commento della relazione introduttiva di Bertinotti è stato fornito
da Romano Prodi su La Stampa del 4 marzo: “Una proposta di partito socialista
pienamente riformista, del tutto compatibile con le responsabilità di
governo”. Proprio così. Il principale esponente del mondo delle banche e
della grande industria non è stato per nulla impressionato dalla “critica”
verbale del capitalismo di cui è infarcita la retorica bertinottiana. La
borghesia guarda alla sostanza, non alla confezione innocua delle parole. E la
sostanza è quella di un gruppo dirigente del Prc impegnato a rimuovere
l’opposizione di classe in Italia. Da qui l’incoraggiamento e il plauso a
Bertinotti da parte di tutta la stampa borghese.
Contro
le minoranze, nel nome di Prodi
Ma Bertinotti doveva anche
dimostrare di saper domare il partito, di saperlo piegare alla svolta, di
sapersi sottrarre a condizionamenti interni di qualsiasi sorta pena la propria
inaffidabilità governativa. E anche a questa prova – è giusto riconoscerlo
– Bertinotti si è accinto con determinazione e coraggio. Semplicemente ha
imposto, a maggioranza, una revisione statutaria del partito che concentra nelle
mani del segretario “tutto il potere”: una segreteria omogenea senza
minoranze, un nuovo comitato operativo di gestione alle dirette dipendenze della
segreteria; una direzione nazionale separata dal comitato operativo e priva al
suo interno della segreteria, quindi ridotta a parlatoio ininfluente e a
semplice tribuna; infine un Cpn allargato come pura rappresentanza decorativa.
Si tratta di una forma organizzativa iperaccentrata e ultramaggioritaria, tanto
più abnorme a fronte di un dissenso interno di oltre il 40%, ma proprio per
questo funzionale a un controllo forte del partito lungo la rotta del governo.
Ed anche qui è giunto, non a caso, il compiaciuto plauso del giornale dalemiano
Il Riformista: “Salutiamo con
sollievo e favore le scelte di Fausto Bertinotti all’interno del suo
partito… Ha vinto il congresso su una linea politica chiara, di accordo di
governo con l’Unione, incontrando resistenze fortissime … Ora ha modificato
lo Statuto del partito per blindare tattica e strategia uscite dal congresso, e
ha fatto benissimo… Scelta una
linea politica c’è bisogno di organismi in grado di perseguirla” (9 marzo).
I massimi cultori del sistema maggioritario non potevano che specchiarsi nel
nuovo Statuto del Prc.
In
linea retta verso la socialdemocrazia
Molti si chiedono, ancora
increduli, come possa Fausto Bertinotti procedere in linea retta con una
maggioranza del 59%. Ma sono interrogativi che ancora una volta rivelano
l’incomprensione di fondo della natura vera del bertinottismo e della portata
strategica della sua svolta. Ciò che misura la forza della svolta non è il
margine di consenso interno al partito, ma lo spazio di cui oggi dispone nella
politica italiana.
La deriva liberale della
maggioranza Ds, la rinuncia di Cofferati, la crisi di prospettiva della sinistra
Ds, offrono a Bertinotti un’occasione storica: rifondare una presenza
socialdemocratica in Italia, come sinistra del Centrosinistra, come agente di un
patto di governo con la borghesia dotato di uno spazio sociale e politico di
rappresentanza assai più grande, potenzialmente, del Prc attuale. La svolta di
Bertinotti è finalizzata a occupare quello spazio. E la grande dimensione di
quello spazio trascina a sua volta la determinazione della svolta, il suo
procedere come un carro armato contro ogni ostacolo, la sua assoluta
spregiudicatezza. Il VI Congresso ha chiarito, una volta di più, se ve ne era
bisogno, un punto di fondo: Bertinotti mira all’emarginazione definitiva di
tutte le tendenze interne al Prc che considera o incompatibili, o di ostacolo
alla rifondazione socialdemocratica. Forse consapevole di correre qualche
rischio in questa prova di forza. Ma anche convinto che proprio la
determinazione della svolta, unita alla nuova veste identitaria del partito,
possa guadagnargli lungo il cammino l’afflusso di nuove forze esterne: settori
più o meno ampi della sinistra Ds, del mondo sindacale, dell’area
ambientalista e cattolico-progressista. Settori con cui rovesciare gli attuali
rapporti di forza interni e completare la marginalizzazione dei refrattari.
L’adesione di Ingrao è la metafora di un ricambio atteso. La stessa
operazione della Sinistra Europea è anche finalizzata a questo scopo.
La
sconfitta delle illusioni di Ernesto ed Erre
Proprio per questo il VI
Congresso ha segnato la sconfitta politica profonda di tutte le illusioni di
poter condizionare a sinistra il nuovo corso bertinottiano. E’ il caso del
secondo documento (Grassi) e del quarto documento (Malabarba). Anche qui la
misura del risultato congressuale non è data dal consenso riportato (rilevante
per l’Ernesto, non trascurabile per Erre) ma dalla prospettiva politica cui è
finalizzato.
Il gruppo dirigente
dell’Ernesto puntava a negoziare con Bertinotti un compromesso di gestione del
partito. Il gruppo dirigente di Erre mirava a rilanciare il proprio ruolo di
“sinistra critica” del bertinottismo. In entrambi i casi l’assenza di una
prospettiva strategica di linea realmente alternativa si combinava con
un’incomprensione dell’organicità della svolta e con l’illusione di un
proprio possibile ruolo di “pressione”. Proprio per questo la nuova
accelerazione governista che il congresso ha impresso e lo strappo compiuto da
Bertinotti contro l’insieme delle minoranze sul terreno delle regole, ha messo
Ernesto ed Erre con le spalle al muro, costringendole a una ricollocazione di
“opposizione” interna. Ma questa ricollocazione coatta a sua volta ripropone
il problema della prospettiva: all’opposizione di Bertinotti per cosa? Tutta
la cultura politica di Ernesto ed Erre (rispettivamente neotogliattiana o
movimentista) resta incapace di definire un’alternativa di fondo al riformismo
e al governismo. Tutta la loro tradizione politica si è fondata, in larga
parte, sulla cogestione “critica” della linea di maggioranza del Prc (enti
locali, sindacato, ecc.). Costretti ora all’ “opposizione” quale
espressione e quale progetto le daranno? Ad esempio: si può essere
all’opposizione di Bertinotti ma poi rifiutare ogni appoggio alla proposta
nostra di una battaglia alternativa in Cgil o continuare a cogestire gli accordi
di governo in regioni e città?
E ha un senso, tanto più oggi,
continuare a suggerire a Bertinotti paletti negoziali di governo con l’Unione
quando l’esperienza di ogni giorno rivela la natura di classe del Centro
liberale?
Per
una battaglia unitaria e coerente delle minoranze,
Come Progetto Comunista-terza
mozione non siamo sorpresi dagli avvenimenti in corso. A differenza di altri non
abbiamo nutrito illusioni in Bertinotti; abbiamo cercato da sempre, spesso
controcorrente, di chiarirne prospettive e dinamica; ci siamo sempre opposti,
con coerenza, al bertinottismo, sulla base di un progetto strategico marxista e
rivoluzionario. E per questo siamo stati accusati da tanti compagni oggi
“critici” di settarismo e rigidità. Ma i fatti, che hanno la testa dura, ci
hanno dato ragione. E oggi abbiamo un patrimonio di esperienza, strumenti,
posizioni che vogliamo mettere a disposizione di una più ampia battaglia
politica nel Prc.
Pur a fronte di cinque mozioni
congressuali, e di un incremento di 20.000 votanti, Progetto Comunista si è
confermata la terza tendenza del partito (6,51%), ha preservato i propri voti
assoluti, ha esteso la propria presenza territoriale, ha consolidato attorno a sé
un consenso più militante e più convinto, ha conosciuto un’affermazione
prestigiosa in importanti congressi di fabbrica e di lavoro. Ora lavoreremo, in
primo luogo, a consolidare questo patrimonio. Ma lo faremo dentro un contesto
nuovo che richiama la nostra responsabilità verso l’insieme
dell’opposizione interna al partito.
Il 40% del Prc ha votato contro
Bertinotti ed è oggi all’opposizione nel Prc. E’ un fatto. Noi abbiamo
proposto e proponiamo all’insieme di questi compagni una battaglia politica
unitaria e coerente. Già in occasione del Congresso nazionale abbiamo lavorato
a favorire la più ampia unità delle opposizioni attorno a comuni ordini del
giorno (in particolare sul ritiro immediato e incondizionato delle truppe), sul
terreno della democrazia nel partito, nella contrapposizione all’elezione di
Bertinotti a segretario. Ma ora si impone un salto complessivo di qualità, la
necessità di una prospettiva coerentemente alternativa al bertinottismo attorno
a un principio e impegno comune: la salvaguardia e il rilancio di
un’opposizione comunista e di classe in Italia. Per noi è da sempre un punto
irrinunciabile. Lo proponiamo ora, in primo luogo, a quei ventimila comunisti
che nel Congresso hanno detto, in varie forme, di non volersi omologare a Prodi.