Il
Partito della Sinistra Europea
L'alternanza
di governo su scala europea
di
Valerio Torre
Dapprima
la sospensione della critica verso le direzioni sindacali; quindi, in rapida
successione, la desistenza, la non belligeranza, la disobbedienza. E poi a
raffica, con un’impressionante accelerazione, la riflessione sulla religione,
l’adozione del paradigma della non violenza, ed infine l’approdo al
“partito della sinistra europea”.
Un
osservatore attento delle vicende che hanno attraversato gli ultimi dieci anni
di vita di Rifondazione comunista non può non vedere tutte quelle appena
elencate come tappe progressive di un unico (seppur non lineare) disegno che il
gruppo dirigente di maggioranza del partito ha costantemente perseguito e che
oggi appare in tutta la sua evidenza come l’annunciata ed imminente svolta di
governo con il centrosinistra.
Dunque,
i prossimi 8 e 9 maggio, a Roma, delegazioni del Prc, della Pds (Germania), del
Pcf (Francia), di Iu (Spagna), del Pc austriaco, della Pds ceca, del Pc
slovacco, del Synaspismos greco, del Partito della sinistra (Lussemburgo), del
Partito socialdemocratico del lavoro (Estonia), saranno riunite nel congresso
fondativo del Pse (Partito della sinistra europea). Questo approdo è stato
fissato in un incontro svoltosi fra i suddetti partiti ad Atene il 14 e 15
febbraio scorsi.
Le
critiche di metodo
Per
quel che riguarda Rifondazione comunista, la decisione di aderire
all’iniziativa che porterà fra un paio di mesi alla nascita del nuovo
soggetto politico ha da subito suscitato una discussione accesa, che però – e
ciò costituisce il nucleo della diffusa critica sul metodo della scelta –non
ha coinvolto, in una fase preventiva,
il corpo militante del partito (la qual cosa avrebbe dovuto implicare un
dibattito a partire dalle istanze di base cui attribuire un effettivo potere
decisionale), bensì, e solo a cose fatte, gli organismi dirigenti nazionali (Dn
e Cpn) convocati in tutta fretta sostanzialmente per ratificare una
determinazione già assunta: ad alcuni componenti dei quali, peraltro, era stata
concessa la possibilità di un simulacro di confronto sulle colonne di Liberazione, almeno fin tanto che il suo direttore, Sandro Curzi,
non ha deciso di “chiuderlo” d’autorità "per non interferire nella
vita di partito" (25/2/2004).
Come se l’esposizione delle opinioni di dirigenti sul giornale del partito
avesse potuto in qualche modo disturbare la “serenità” di un dibattito che
non c’è mai stato, piuttosto che quella del … “manovratore”!
Per
giustificare l’atto burocratico e verticistico con cui i militanti venivano
posti di fronte al fatto compiuto, si sono dovute riesumare persino le tesi del
V congresso, trovando nella tesi 35 l’addentellato per coonestare una
decisione già presa fuori di ogni democratico coinvolgimento. Ora, il
formalismo non è abito che si adatti ai marxisti rivoluzionari; e non è dunque
per formalismo che faccio notare come la tesi richiamata a mo’ di testo sacro
non prevedeva affatto la nascita di un partito europeo, bensì –molto più
limitatamente– l’avvio di un "processo … comune di ricerca, di
elaborazione, di promozione di iniziative politiche, istituzionali … e
sociali" fra le forze della sinistra europea: cosa che, infatti, è
avvenuta a più riprese nell’ambito della Conferenza della sinistra
anticapitalista europea (Gage).
La
differenza lessicale non attiene solo alla forma,
ma alla sostanza del problema: una
lettura che prescindesse dall’inestricabile compenetrazione fra forma e
sostanza risulterebbe estremamente riduttiva.
Il
salto in avanti verso un partito europeo, rispetto a ciò che era stato
licenziato in sede congressuale, richiedeva appunto un’approfondita
discussione preventiva ad ogni livello del Prc che invece non c’è stata. Ed
allora, non occorre domandarsi se questa scelta sia solo frutto di una brutale
volontà della maggioranza dirigente di impedire un democratico dibattito, ma
piuttosto quali ragioni profonde sorreggano un’accelerazione così brusca.
Le
critiche di merito
Se
si guarda non tanto alla composizione del futuro Pse –alcune delle forze che
ne faranno parte si dichiarano non comuniste; altre, come il Prc, stanno
compiendo un restyling identitario che
implica l’abbandono non solo di ogni residuo di leninismo, ma addirittura la
“rottura” col marxismo novecentesco– quanto piuttosto al manifesto
programmatico adottato nell’incontro di Berlino, può notarsi come l’intera
operazione di costruzione della sinistra europea sia nel segno complessivo di un
impianto neoriformista: l’edificazione di quel soggetto poggia su scelte
politiche non di alternativa anticapitalistica rispetto ad un’Europa dominata
dal capitalismo imperialista e tecnocratico dell’Ue.
Il
Dna che i partiti costituenti hanno scelto per la nascente creatura è
costituito dall’affastellamento di mere petizioni di astratti principi e
valori “progressisti”: solidarietà, ambientalismo, pace, democrazia,
giustizia sociale, libertà, eguaglianza di genere, rispetto per la natura. E
tutto questo senza mettere assolutamente in discussione la stessa
“costituzione materiale” dell’Europa capitalistica; senza rivendicare
un’alternativa di potere della classe operaia e delle masse oppresse rispetto
alle classi dominanti che hanno costruito l’attuale Ue, anzi rivendicando uno
"sviluppo bilanciato e sostenibile … per affrontare in termini nuovi le
questioni della globalizzazione", fino a giungere in crescendo alla …
“stabilizzazione” del Patto di stabilità, che, insieme alle politiche ed
agli orientamenti della Banca centrale europea, dovrà essere tutt’al più
"cambiato per lavorare ad altre politiche sociali ed economiche" ma
sostanzialmente mantenuto (e, con esso, ovviamente, l’intero impianto
capitalistico europeo).
Non
c’è traccia, nel documento programmatico, di un’analisi dell’imperialismo
europeo e dei conflitti che lo contrappongono a quello americano, né vi appare
un’effettiva critica del nascente militarismo del vecchio continente visto che
non viene esclusa la creazione dell’esercito europeo (cui, ad esempio, non è
contraria Izquierda Unida), né una critica del ruolo imperialista dei singoli
Stati e della parte che gli stessi hanno avuto (ed hanno) nelle due aggressioni
contro l’Irak ed in quelle contro la Jugoslavia e l’Afghanistan; manca
addirittura l’obiettivo del ritiro immediato delle truppe dei paesi coinvolti
nell’occupazione militare irakena.
Insomma,
grazie all’assolutizzazione ed all’universalizzazione di “valori”
progressisti, impiantati su di un sostrato fintamente radicale ma in realtà
privo di ogni connotazione di classe, si è creata la piattaforma per un
riformismo idealistico che contraddice persino, tradendole, la potenzialità
delle dinamiche di classe oggi nuovamente riesplose.
La
vocazione “governista” su scala europea
In
realtà, il vero progetto che è sotteso alla fondazione del Pse è la
costruzione a livello continentale di una forza di sinistra “critica” che
costruisca, attraverso le relazioni con i partiti della borghesia
“illuminata” e quel che resta delle socialdemocrazie, stabili coalizioni di
governo: cosa che, peraltro, alcuni “soci fondatori” già hanno fatto e
fanno egregiamente nei rispettivi paesi. Con il valore aggiunto, però, di un
partito che, dopo aver espunto dagli statuti delle singole componenti ogni sia
pur vago riferimento alle esperienze novecentesche, si inietta gli anticorpi per
evitare possibili “ricadute” del virus comunista; ricadute che renderebbero
intollerabile per la borghesia europea la condivisione di un’esperienza di
governo con il Pse. E questi “anticorpi” sono stati molto
opportunamente individuati nella possibilità, che l’adottando statuto
prevede, di adesioni individuali al futuro partito, le porte del quale, com’è
logico attendersi, saranno spalancate per tutti coloro i quali vorranno accedere
a quest’area di “sinistra critica” senza passare per il giogo della falce
e martello (per quanto stilizzata ed evanescente).
Naturalmente,
le decisioni che riguarderanno il soggetto europeo verranno prese, al medesimo
titolo, dagli iscritti ai singoli partiti nazionali e da quelli che hanno
aderito al solo Pse; ma è altrettanto ovvio che, in tal modo, questi ultimi
determineranno anche le scelte dei primi, con un’ingerenza sull’autonomia
decisionale di un corpo di militanti che sarebbe ben difficile altrimenti
immaginare.
Per
quanto concerne Rifondazione, quello del partito europeo costituisce, proprio
alla luce di quanto finora detto, l’ultimo tassello di un processo, che,
passando nella fase più recente dalla rivalutazione della religione per
l’adozione del principio della non violenza e l’abbandono del marxismo
novecentesco, porta dritto dritto il Prc nelle braccia di Prodi e, nel carniere,
un paio di ministri ed una manciata di sottosegretari.
L’ingresso
in un partito europeo così concepito rende la stessa Rifondazione ancor più
“presentabile” di quanto non fosse già diventata, chiudendo il cerchio che
ne fa per la borghesia un partito affidabile pur se, ancora nominalmente,
comunista.
Il
dibattito negli organismi dirigenti
La
Direzione nazionale del 28 gennaio ed il Cpn del 6‑7 marzo scorsi hanno
sancito sul punto una profonda divisione in seno al partito. La linea del
segretario, che prevedeva una sostanziale “ratifica” della scelta della
fondazione del Pse, è passata con 21 voti a 17 nella prima e 67 voti favorevoli
su 120 votanti nel secondo.
In
entrambe le occasioni, le due aree che appoggiano la maggioranza bertinottiana
– quella dell’Ernesto (che fa capo
a Grassi e Sorini) e quella di Erre
(ex Bandiera Rossa, che annovera
Malabarba, Maitan e Turigliatto) – hanno presentato propri contrapposti
documenti, votando contro il testo del segretario.
La
prima posizione si è contraddistinta per la critica alle modalità del percorso
scelto, che, invece di favorire l’inclusione del più ampio numero possibile
di partiti di “tradizione” comunista, avrebbe creato “divisioni” nei
confronti di soggetti che si sono sentiti “esclusi” (partiti che, perlopiù,
si richiamano all’ortodossia staliniana): il dissenso dell’area grassiana si
è compendiato nella richiesta di differimento di ogni decisione fondativa del
Pse a dopo le elezioni europee, per tentare di favorire la massima aggregazione
delle forze comuniste sulla base di un programma elettorale comune.
A
differenza di questa posizione, che, a dispetto del richiamo ideologico al
marxismo ortodosso, è saldamente legata a quella bertinottiana dalla comune
prospettiva e vocazione “governista”, l’altra (ex Bandiera Rossa) ha mosso una critica dall’apparenza molto più
radicale, denunciando il deficit,
nell’iniziativa in discussione, di antagonismo di movimento e di radicalismo
anticapitalista.
In
realtà, soprattutto negli interventi dei compagni che si richiamano a
quest’area, è emersa la volontà di non marcare troppo la distanza, oltre la
pura e semplice denuncia apparentemente radicale, dalla maggioranza di cui essi
sono parte integrante. Quest’opportunistico risultato è stato ottenuto con la
rivendicazione di essere loro stessi i veri difensori di una linea congressuale
che oggi sarebbe contraddetta dallo sbocco del partito europeo: in altri
termini, di essere … più bertinottiani di Bertinotti!
Ed
il banco di prova di questa posizione è stata la decisione sulla delegazione
per il congresso fondativo del Pse, che la segreteria ha previsto con vincolo di
mandato imperativo: ebbene, i compagni di Erre
hanno accettato di farne parte, pur avendo espresso netta contrarietà nel
merito della sinistra europea.
Progetto
comunista, coerentemente con le proprie idee, ha avanzato una proposta
alternativa com-plessiva, denunciando che la svolta di governo del Prc trascina
con sé la sua deriva politico‑culturale ed oggi le corrispondenti scelte
internazionali; ha rivendicato l’assunzione aperta della prospettiva di
un’alternativa di potere alle classi dominanti in ogni paese europeo e su
scala continentale; ha indicato la necessità per i lavoratori e le classi
subalterne di rompere con la borghesia europea sulla base di un programma
indipendente, in piena autonomia dal liberalismo; infine, ha individuato in
un’Internazionale marxista rivoluzionaria quel solo strumento capace oggi,
nella crisi di consenso degli apparati staliniani e socialdemocratici, di
portare avanti una reale politica che conduca al potere dei lavoratori
rovesciando le istituzioni politiche ed economiche della borghesia.
Fuori
da questa prospettiva non c’è alternativa!
Conclusione
L’edificazione
del partito europeo secondo lo schema elaborato dalla maggioranza bertinottiana
fa pensare alla costruzione di un bellissimo ed audace vascello, con
un’imponente velatura, pronto a prendere il mare per navigare verso
l’orizzonte, in acque libere, sospinto dalla forza del vento nella giusta
direzione.
Spiace
disilludere i compagni in buona fede, ma quel meraviglioso veliero non sarà mai
in grado di navigare in acque aperte: esso è racchiuso in una bottiglia di
vetro e, come si sa, i modelli in bottiglia non navigano.