13 MARZO 2004 ROMA
MEETING NAZIONALE DI PROGETTO COMUNISTA
PER UNA
DIREZIONE ALTERNATIVA DELLE LOTTE
di Marco Veruggio
L’iniziativa di oggi
rappresenta un’occasione preziosa per cercare di trarre un bilancio del lavoro
svolto in questi anni dentro e fuori il Partito della Rifondazione Comunista. Mi
soffermerò in particolare su quest’ultimo aspetto: l’intervento nei
movimenti. Voglio farlo a partire da un’osservazione tanto semplice quanto
fondamentale. E cioè che proprio questa platea rappresenta la migliore smentita
di quell’immagine che ci è stata confezionata e cucita addosso dentro e fuori
il Prc, presentandoci come i professorini del marxismo, coloro che agitando un
qualche libretto rosso dell’ortodossia bolscevica discettano dall’alto della
loro cattedra sulla maggiore o minore purezza dottrinale espressa da quel
movimento o da quella lotta. Ebbene compagni in questa sala io non vedo volti di
giovani invecchiati precocemente stando chini sui libri di Marx e di Lenin. Vedo
volti di tanti compagni che – certo – allo studio di quei testi hanno
dedicato larga parte del proprio tempo – li hanno letti, studiati,
approfonditi – ma che la verifica di quanto hanno appreso da quei testi non
l’hanno fatta nel chiuso di un’aula universitaria: l’hanno fatta semmai
nelle strade e nelle piazze delle proprie città, sul proprio posto di lavoro,
nel proprio centro sociale, l’hanno fatta – in altre parole – stando nel
vivo di quell’ondata di lotta di classe che da qualche anno sta attraversando
il paese!
Perché – badate compagni –
il problema per noi non è mai stato se stare o non stare nei movimenti:
il problema non è mai stato il se ma il come. E su questo
certamente marchiamo una netta divergenza con molte organizzazioni di estrema
sinistra e anche con la stessa maggioranza del Prc. Una netta divergenza
rispetto a un atteggiamento che in questi anni è stato una rincorsa verso tutto
ciò che si muoveva, senza volontà né capacità di distinguere tra movimento e
movimento e, all’interno dei movimenti, tra settori più o meno avanzati. Un
atteggiamento che ha portato a dimenticare quello che per un comunista dovrebbe
costituire l’abc della politica e cioè che esiste un movimento – mi
riferisco al movimento dei lavoratori - che per la posizione che occupa nella
nostra società rappresenta l’unico soggetto in grado di sviluppare intorno a
sé un fronte unitario di tutti i movimenti di lotta, l’unico in grado di
costruire che sia capace di fare dei reali passi in avanti. Ci è stato detto,
per bocca del Segretario nazionale, che dovevamo essere preventivamente
d’accordo con quanto avessero deciso i movimenti, salvo – naturalmente –
quando ciò andasse a cozzare con gli interessi politico-istituzionali del
Partito. Durante l’ultimo congresso ci è stato persino spiegato che erano i
movimenti a chiederci ciò contro cui noi combattevamo in quella sede:
l’accordo col Centrosinistra, tesi peraltro smentita sui giornali dai diretti
interessati.
Ebbene noi ai movimenti abbiamo
proposto qualcosa di diverso, un rapporto chiaro e leale basato su una proposta
politica imperniata su due cardini: l’autonomia dei movimenti da quei settori
sociali che sostengono le politiche neoliberiste nel mondo e il riconoscimento
della necessità di una piattaforma rivendicativa realmente alternativa e per ciò
stesso di una direzione che abbia il coraggio di dirsi non soltanto
antiliberista ma anche e soprattutto anticapitalista. Perché non c’è una
sola proposta sostenuta dai no global che sia compatibile col capitalismo e
anche in quello che viene giudicato il più moderato tra i movimenti, quello dei
girotondi, si avanzano rivendicazioni che sono incompatibili anche con un quadro
di governo liberista temperato di centrosinistra..
Per questo abbiamo sostenuto in
questi anni una posizione molto rigorosa in merito ai contenuti. Certo, sarebbe
stato più facile, più gratificante e forse anche ci avrebbe dato maggiore
legittimazione solleticare le orecchie del nostro uditorio parlando di Tobin Tax
o di bilancio partecipato. Avremmo potuto utilizzare in questo modo anche
l’argomento che è stato profuso a piene mani anche da molti di quelli che ci
hanno criticato: quello della “concretezza”. Ma è proprio sulla base di una
misura di concretezza che oggi siamo in grado di dare un giudizio positivo sul
nostro agire di ieri.
Vorrei chiedere a certi
strateghi dell’anticapitalismo fai da te: “Rispetto a quella Tobin Tax che
continuiamo a non condividere, vi è un angolo del mondo in cui sia stata
introdotta?” E ancora: “Rispetto a quel bilancio partecipato che non
condividiamo oggi come non lo condividevamo ieri, vi è in Italia un solo
paesino in cui si è istituito il metodo partecipativo?” La risposta – lo
sappiamo – è no!
E di contro: vi ricordate
all’ultimo congresso con quale foga si perorasse la causa dell’Onu. Sembrava
che fosse l’unico organismo internazionale in grado di assicurare un quadro di
legittimità internazionale. Ebbene, un anno fa, allo scoppio dei primi
bombardamenti su Bagdad, quel “popolo della pace” che Fausto Bertinotti cita
un giorno sì e l’altro anche, scendeva in piazza urlando uno slogan semplice
e chiaro: “No alla guerra in Iraq, con o senza la copertura dell’Onu”!
Quando negli anni scorsi sostenevamo che era necessario radicalizzare le lotte,
in particolare nel mondo del lavoro, lanciando la parola d’ordine dello
sciopero prolungato qualche compagno ci faceva notare con sussiego che era folle
pensare di presentarsi davanti a una fabbrica con una tale proposta: “E’ una
rivendicazione per rivoluzionari, non per lavoratori!” Ci sono voluti gli
autoferrotranvieri, che a dicembre lo sciopero prolungato non soltanto l’hanno
proclamato, ma hanno anche cercato di farlo e in alcuni casi, come a Milano, ci
sono riusciti, per far capire quanto la consapevolezza del bisogno di una lotta
prolungata si fosse sedimentata nelle coscienze almeno di alcuni settori di
avanguardia dei lavoratori italiani. Ma anche di fronte a questo il Partito,
invece di gettarsi con foga nel tentativo di coordinare e generalizzare la lotta
ne proponeva l’istituzionalizzazione, attraverso un referendum che è stato
una sconfitta annunciata!
Qui non si tratta – compagni
– di prendersi la meschina soddisfazione di dire: “Ve l’avevamo detto!
Avevamo ragione noi!” Si tratta di qualcosa di molto più elementare. Se la
politica è una scienza – e io continuo a credere che lo sia – voglio
ricordare che la scienza da quattro secoli applica il metodo galileiano, che è
molto semplice: si formulano delle ipotesi e, sulla base di una verifica
sperimentale, si decide quale di queste ipotesi fosse corretta, quale sbagliata.
Questo metodo universalmente riconosciuto io lo rivendico – a maggior ragione
– anche nel movimento e nel mio partito!
E’ per questo che continuo a
pensare alla necessità di aprire una vertenza generale che sappia legare il
mondo del lavoro e il popolo della pace, chiedendo il ritiro immediato di tutti
contingenti militari stranieri dall’Iraq, l’abbattimento della spesa
militare e l’innalzamento della spesa sociale, chiedendo aumenti salariali
cospicui e generalizzati e un vero salario sociale – non l’elemosina che
Antonio Sassolino, purtroppo col sostegno del mio partito, vuole elargire ai
disoccupati campani; chiedendo, infine, un blocco delle privatizzazioni e, anzi,
un’inversione di tendenza: la nazionalizzazione senza indennizzo e sotto il
controllo dei lavoratori a partire dai servizi pubblici essenziali per arrivare
alle aziende truffatrici come Cirio e Parmalat!
Una vertenza generale che si
possa riassumere nello slogan dell’Appello ai movimenti che molti di noi hanno
firmato: “Cacciare Berlusconi sì, ma non al rimorchio dei liberali e dei
banchieri!”. Perché – compagne e compagni – purtroppo l’accordo tra Prc
e Ulivo ha già riversato i suoi effetti deleteri anche sul complesso delle
relazioni tra Partito e movimento. Due anni fa, allo scoppio della crisi Fiat,
con un clima sociale molto meno vivace di oggi, il Prc proponeva – sia pure in
versione assistenzialista – la nazionalizzazione dell’azienda di Agnelli. Oggi, di fronte all’esplodere
dei casi Cirio e Parmalat, che svela nella sua più clamorosa evidenza
l’inaffidabilità della classe imprenditoriale e della classe dirigente
italiani agli occhi di milioni di proletari, con un clima di mobilitazione che
non ha eguali negli ultimi vent’anni, che cosa fa il Partito? Propone… la
commissione d’inchiesta parlamentare sul capitalismo italiano! Ed è un caso?
Certamente no, compagni! Perché due anni fa, quando l’accordo col
Centrosinistra era ancora lontano potevamo permetterci di giocare a fare gli
estremisti… Oggi, con un accordo di governo chiuso, chi glielo dice a Prodi e
a D’Alema che vogliamo nazionalizzare un’azienda come Parmalat, nel cuore
dell’Emilia “rossa”?
E ancora, voglio riferirmi a un
episodio che ho vissuto da vicino, perché riguarda la costituzione come parte
civile del Comune di Genova nel processo contro 26 manifestanti arrestati e
massacrati di botte dalla polizia nel luglio 2001. Un sindaco come Giusepe
Pericu, che ha fatto di privatizzazioni e tagli un cavallo di battaglia, al
punto di guadagnarsi la riconferma nel 2002 grazie anche a migliaia di voti
provenienti da cittadini che nel proporzionale avevano votato Forza Italia, al
punto di ricevere lodi sperticate da Silvio Berlusconi – il perché lo capiamo
tutti - ; al punto infine da ricevere lo di sperticate anche da Fausto
Bertinotti, che lo ha definito “uno dei migliori sindaci genovesi degli ultimi
30 anni” – e questo francamente lo capisco un po’ meno… Ebbene Pericu
affibbia l’ultimo schiaffo ai movimenti e al Prc , sostenendo appunto la
costituzione del Comune di Genova come parte civile nel processo iniziato il 2
marzo. E allora cosa fa il Partito? Di fronte all’indignazione del movimento
per la delibera voluta dal Sindaco esce dalla Giunta comunale, ma – quel che
è più importante – mantiene il proprio sostegno politico a Pericu rimanendo
nella maggioranza di governo della città! Giustificando questa scelta con la
necessità – e qui sarebbe interessante approfondire in proiezione futura –
di fare da “sentinella del programma”… Il che mi equivale a riconoscere,
se l’italiano non è un’opinione, che per 7 anni invece tutto quello che
passava al convento lo si è mandato giù, che piacesse o meno!
Soltanto noi, quelli che
venivano accusati di essere fuori e contro il movimento abbiamo dichiarato sui
giornali: “Fuori dalla giunta e dalla maggioranza!” Perché o si sta con le
ragioni di quei 300.000 che scesero nelle piazze di Genova tre ani fa o si sta
coi poteri forti difesi dal Sindaco, con le forze dell’ordine, con le banche,
con quei bottegai genovesi che hanno riversato i loro voti su Pericu
aspettandosi da lui la difesa dei loro interessi! L’epilogo poi è noto a
tutti: un altro pezzo di Partito che se n’è andato. Non ho tempo di
approfondire, ma mi limito a una battuta. Un partito che all’apice della sua
parabola moderata riesce a perdere i suoi pezzi più moderati è un partito che
dovrebbe riflettere più seriamente sulle proprie scelte!
Concludo dicendo che la strada
che ci aspetta è certamente irta di difficoltà. Ho cercato qui oggi di
sottolineare alcuni dei passi avanti che abbiamo fatto in questi anni, alcuni
dei successi che abbiamo colto, proprio perché so bene che spesso, se non si
riesce a socializzare tra noi i i risultati raggiunti, i compagni si lasciano
prendere dallo scoramento e dalla stanchezza. Credo che invece, consapevoli di
avere intrapreso la giusta direzione – e spero di essere riuscito in qualche
modo a dimostrarlo – dobbiamo invece proseguire con caparbietà ed entusiasmo,
con l’ottimismo della volontà, ma, in questo caso, lasciatemi dire anche con
l’ottimismo della ragione. Abbiamo davanti a noi una grande responsabilità.
Berlusconi e Rutelli stanno lavorando per noi. Accumulano fascine l’una
sull’altra e sono fascine che a un certo punto prenderanno fuoco. Quel giorno
noi dovremo esser lì e saremo in una posizione tanto migliore quanto meglio
lavoreremo a partire da domani. Abbiamo una grande responsabilità, quindi,
davanti ai lavoratori e ale classi subalterne in Italia e non solo. Sono sicuro
che, tutti insieme, sapremo affrontarla nel migliore dei modi e ci dimostreremo
all’altezza della situazione. Buon lavoro, compagne e compagni e in bocca al
lupo!