13 MARZO 2004 ROMA
MEETING NAZIONALE DI PROGETTO COMUNISTA
COMUNISMO OGGI
di Francesco Ricci
Cari compagni, care compagne,
voglio iniziare questo intervento sul "Comunismo oggi" citando Fausto
Bertinotti.
Nella nota intervista a Il
Manifesto (quella in cui ci ha spiegato che per lui i dirigenti comunisti
del Novecento sono morti e non solo fisicamente), il segretario ha aggiunto che
avrebbe voluto vedere in faccia uno che oggi dica di voler fare un partito
marxista e che metterebbe la dittatura del proletariato nello Statuto del
partito.
Ebbene io, insieme ad altri
compagni, ho presentato al V congresso un preambolo allo Statuto del Prc che
recita così:
"Il compito fondamentale
dei comunisti resta quello espresso nel Manifesto di Marx: guadagnare la
maggioranza del proletariato, nel corso delle sue lotte quotidiane, alla
comprensione dell'impossibilità di riformare il capitalismo e alla conseguente
necessità di conquistare il potere politico attraverso il rovesciamento
dell'ordine borghese. Solo la trasformazione del proletariato in classe
dominante potrà aprire una strada di progresso per l'umanità che conduca
infine all'eliminazione della società divisa in classi e alla cancellazione di
ogni forma di oppressione."
Questo è quanto abbiamo
proposto per lo Statuto di Rifondazione.
Peccato dunque che Bertinotti
non sia qui tra noi oggi, altrimenti avrebbe potuto vedere in faccia non uno ma
diverse centinaia di comunisti che vogliono fare un partito marxista.
Guadagnare la maggioranza dei
lavoratori alla necessità della rivoluzione per costruire una dittatura del
proletariato. Il comunismo era questo ieri, e per noi continua ad essere questo
anche oggi. Se non è questo, altrimenti cos'è?
Fausto Bertinotti (nella stessa
intervista) ha avanzato un'altra prospettiva come scopo della rifondazione
comunista. Ha detto: si può costruire "una società diversa dentro la
forma di stato presente, introducendo nel capitalismo degli elementi di
socialismo attraverso riforme di struttura".
Questa teoria è stata subito
accolta da alcuni come una straordinaria rivelazione, come una profonda
innovazione.
Purtroppo non è proprio così.
E a questo proposito c'è, come diceva quel tale, una notizia buona e una
cattiva. La notizia cattiva è che l'idea delle grandi riforme in sostituzione
della rivoluzione è vecchia e il marchio è già stato registrato almeno un
secolo fa da un certo Bernstein. La notizia buona è che Bernstein non chiederà
i diritti d'autore perché anche lui è già morto e -ci permettiamo di
aggiungere: non solo fisicamente.
La cosa più triste in questa
forsennata riscrittura della storia (i cui tempi rapidi sono evidentemente
dettati dall'urgenza di un ingresso nel futuro governo liberale) è che non ci
si fa scrupolo di invocare a difesa di questa prospettiva anche quei grandi
rivoluzionari che pure vengono dichiarati morti e sepolti.
Lo hanno fatto con Rosa
Luxemburg, citata da Bertinotti nell'ultimo Comitato Politico di Rifondazione,
la settimana scorsa.
Siccome è piuttosto difficile
arruolare nella marcia verso il governo dell'Ulivo una dirigente che è morta
per aver costruito l'opposizione rivoluzionaria a un governo cosiddetto di
sinistra (e comunque sicuramente più a sinistra di un futuro governo Prodi), il
segretario ha citato un testo in cui Rosa avanza delle critiche ai bolscevichi.
Si tratta di un testo che hanno sempre utilizzato tutti i sostenitori delle tesi
opposte a quelle sostenute dalla Luxemburg.
Peccato che anche quel testo
non si presti alla bisogna e ogni volta viene citato (e lo ha fatto anche
stavolta Bertinotti) dimenticando di precisare che inizia con un violento
attacco ai socialisti che aspirano ad entrare in governi borghesi e finisce
rivendicando un futuro non al ministerialismo ma al bolscevismo. E allora
dobbiamo tornare a ripetere, con Lenin e Trotsky: giù le mani da Rosa Luxemburg!
Anche Lenin è stato utilizzato
in questa nuova elaborazione teorica lanciata con sospetto tempismo negli ultimi
mesi dal gruppo dirigente di Rifondazione.
Ci hanno spiegato che i
comunisti non devono aver timore dell'innovazione e devono saper anche rompere
con la tradizione precedente. Ci hanno detto: guardate Lenin, anche lui ruppe
con la tradizione precedente, quella della Seconda Internazionale. E hanno
ragione.
Purtroppo dimenticano di
precisare in quale direzione e per quali motivi avvenne
quella rottura. Lenin rompeva con la II Internazionale degenerata per
contrapporre alla deriva verso i governi borghesi (e le loro guerre) la necessità
dell'opposizione di classe per l'alternativa operaia.
Viceversa, ci pare, il senso di
marcia che viene proposto oggi è esattamente opposto: rompere con Lenin per
tornare al governo con i Rutelli che rilanciano l'armamento europeo per far
competere l'Europa ad armi pari (letteralmente) con l'imperialismo statunitense.
Rompere con Lenin per governare con i Fassino e i D'Alema che sostengono
ipocritamente i carabinieri in Irak. E cosa c'entra allora in tutto questo il
metodo di Lenin?
E allora dobbiamo tornare a
ripetere con Trotsky: giù le mani da Lenin!
Ma non basta. Nemmeno Marx è
stato risparmiato.
In genere i riformisti di ogni
tempo hanno sempre preteso di contrapporre al Marx teorico e dirigente della
rivoluzione un Marx scienziato e filosofo. Paolo Ferrero, della segreteria
nazionale, ha voluto spingersi oltre, forse per dimostrare la sua abilità. E ha
chiamato in causa addirittura il Marx della Comune di Parigi.
Nel suo intervento (pubblicato
anche nel libro di Liberazione) il compagno Ferrero lascia cadere lì, ad
un certo punto, una frase. Scrive: Marx criticò la Comune e "non condivise
la scelta dell'insurrezione della Comune". Detta così sembra che Marx
fosse critico della rottura rivoluzionaria compiuta dai comunardi. Non è detto
esplicitamente, ma il sospetto che si lascia cadere è che forse già Marx,
persino Marx (pur non avendo potuto leggere il libro allegato a Liberazione)
si stesse convincendo della bontà della strategia nonviolenta. Insomma, il Marx
di Ferrero è diventato un ben educato bertinottiano.
Dobbiamo ammettere di aver
provato dell'ammirazione per il compagno Ferrero. Citare Marx e la Comune di
Parigi per giustificare l'ingresso nel prossimo Prodi bis non è cosa da tutti.
E' noto, infatti, che Marx
prima dell'insurrezione, in carteggi privati, esprimeva un giudizio negativo
sulle condizioni soggettive, cioè sulla direzione politica parigina. Ma una
volta iniziate le 72 giornate della Comune si schierò senza dubbi coi comunardi
e anzi trasse da quell'esperienza (che finì male appunto per l'assenza di una
direzione coerente) una lezione fondamentale che volle inserire anche nella
prefazione del 1872 al Manifesto: la Comune ha dimostrato che la macchina
statale borghese nata per difendere il sistema economico e sociale dello
sfruttamento non può essere riutilizzata dalla classe operaia. Bisogna
spezzare, distruggere lo Stato della dittatura borghese e sostituirlo con lo
Stato della dittatura del proletariato.
In altre parole, la Comune,
nella lezione che ne trasse Marx, è una gigantesca lapide calata su ogni
ipotesi riformista.
Scrive Marx (nella Guerra
civile in Francia): "Il vero segreto della Comune fu questo: che essa
fu essenzialmente un governo della classe operaia. La forma finalmente scoperta
nella quale si poteva compiere l'emancipazione economica del lavoro."
Evidentemente questo segreto è
rimasto tale per il compagno Ferrero. A sua parziale giustificazione bisogna
dire che non ha avuto molto tempo, di recente, per approfondire gli studi
storici. Perché è stato assorbito dagli incontri di commissione con Tiziano
Treu.
Nel dibattito aperto sulle
colonne di Liberazione si è teso molto a contrapporre il Novecento
all'Ottocento e il secolo nuovo a tutti quelli precedenti; Marx contro Lenin,
ecc. La realtà è un'altra: è che in tutti i due secoli precedenti -e anche
oggi- si sono contrapposte due prospettive diverse. Da una parte il marxismo
rivoluzionario che ha affermato (a partire dall'ottocentesco Marx) che il
compito dei comunisti è costruire nell'opposizione di classe la forza per il
rovesciamento dei governi borghesi e aprire così la strada al potere
lavoratori. Dall'altra parte la prospettiva che sostituisce all'opposizione di
classe la pretesa di convincere la borghesia e i suoi governi a fare politiche
diverse.
Non due vie diverse per la
stessa meta, ricordava la Luxemburg: ma due vie diverse per due mete diverse.
L'obiettivo della conquista del potere attraverso il colpo di maglio della
rivoluzione, ricordava la Luxemburg (che misteriosamente Bertinotti indica come
uno dei suoi punti di riferimento) fu sempre al centro della battaglia di Marx.
E, aggiunge Rosa: "era
riservato a Bernstein di scambiare il pollaio del parlamentarismo borghese con
l'organo competente a realizzare la trasformazione più formidabile della storia
umana."
Purtroppo, a quanto pare, oggi
Bernstein è in buona compagnia in quel pollaio.
Il marxismo rivoluzionario ha
combattuto contro il vicolo cieco del riformismo nell'Ottocento, per costruire
l'indipendenza di classe del movimento operaio. E il filo rosso di quella
battaglia è servito ai comunisti della prima parte del Novecento per ripartire,
dopo la degenerazione governista della socialdemocrazia e per vincere
nell'Ottobre. Ma lo stalinismo ha reintrodotto nel movimento operaio il morbo
della collaborazione di governo con la borghesia, con i liberali.
Non il confronto tra due teorie
libresche, ma il confronto vivo della storia ha messo alla prova ancora una
volta riforme e rivoluzione. E tutta l'esperienza del Novecento -dai fronti
popolari degli anni Trenta, passando per la ricostruzione degli Stati borghesi
nell'Europa del secondo dopoguerra, fino ad arrivare al primo governo Prodi, a
Jospin e oggi a Lula ha confermato la teoria marxista e cioè la necessità di
costruire l'alternativa operaia dalle lotte di opposizione, nell'autonomia di
classe. Non vi sono state smentite, ma anzi molte conferme, molte tragiche
conferme.
Purtroppo la lezione storica
non insegna nulla ai riformisti. Anche all'ultimo Comitato Politico Bertinotti
ha ribadito quanto ripete con insistenza quotidiana da mesi in quotidiane
interviste sui giornali borghesi -che sono ovviamente molto interessati a questo
dibattito. Ci ha spiegato che bisogna superare l'"ipotesi novecentesca
della conquista del potere" perché il potere porta solo sciagure e
degenerazioni. Bisogna -ha ripetuto- "estirpare alla radice il tema della
conquista del potere per non rimanerne contagiati."
A chi si fosse eventualmente
preoccupato di una conversione anti-governista del segretario, dopo trenta
minuti di capriole verbali è venuta una rassicurazione. E' arrivato il solito Ma.
Ma non siamo anarchici, ha
detto Bertinotti, e quindi non siamo allergici all'idea del governo.
La conclusione è chiara: il
potere dei lavoratori è cosa brutta, ma qualche ministero in un governo
liberale non si rifiuta mai.
E' in fondo la logica
conclusione a cui sono sempre giunte (anche nell'odiato Novecento) tutte le
derive riformiste: Kautsky finì sottosegretario agli Esteri, Bernstein
sottosegretario al Tesoro, Togliatti ministro di Giustizia.
Un personaggio di Oscar Wilde
diceva: "ogni volta che qualcuno mi parla del tempo ho la certezza che
intenda dire qualcos'altro". Così pure noi quando Bertinotti ci parla di
Marx, di religione, di foibe, di Novecento abbiamo una certezza: si sta parlando
d'altro. E precisamente si sta parlando del Prodi bis. Cioè di un futuro
governo di alternanza basato sul Manifesto antioperaio di Prodi: un governo
contro i lavoratori, contro i movimenti.
Ma se lo scopo dei riformisti
resta ancora una volta quello di sostituire all'assalto al cielo l'assalto a
qualche poltrona ministeriale, lo scopo dei comunisti resta viceversa quello di
trasformare la classe operaia in classe dominante. Non attendendo passivamente
l'ora X ma conquistando nelle lotte i lavoratori a questo obiettivo storico.
Fino a quando non possono
distruggere il potere borghese e costruire un governo loro, i comunisti devono
stare all'opposizione, diceva la Luxemburg prima che oggi qualcuno la
trasformasse in una riformista nonviolenta.
E Rosa diceva questo non in
ossequio a qualche astratto comandamento: ma perché aveva chiaro che non è
possibile "espropriare gli espropriatori" con il loro consenso,
convincerli col confronto tra due programmi inconciliabili perché basati sugli
interessi opposti di sfruttatori e sfruttati.
Opposizione di principio a
qualsiasi governo borghese, dunque, dicevano tanto lei quanto gli altri
rivoluzionari del Novecento e dell'Ottocento, perché il compito principale dei
comunisti è quello di distruggere ogni eventuale illusione dei lavoratori nella
possibilità di riformare un sistema irriformabile.
L'intera storia ha confermato
questo fondamento del marxismo. Ogni governo di collaborazione di classe, ogni
governo di alternanza, non ha mai costituito una tappa verso l'alternativa, ma
un ostacolo su quella strada. Riproporre oggi, dopo un altro secolo di conferme,
quella prospettiva; e farlo tanto più a fronte delle potenzialità di lotta e
della ripresa coraggiosa di mobilitazioni delle giovani generazioni e di quella
classe operaia che era stata data definitivamente per morta, riproporre oggi un
progetto di grande riforma è ben più di una scelta sbagliata.
Per questo il compito dei
comunisti è, ancora una volta, contrastare questa prospettiva e costruirne
un'altra: quella della reale rifondazione comunista. Una prospettiva che
richiede un partito che oggi ancora non c'è ma che stiamo costruendo con la
nostra battaglia, anche oggi, qui in questa sala.
Cari compagni, care compagne,
voglio concludere con un ultimo riferimento a quei dirigenti rivoluzionari del
Novecento che altri considerano morti.
Nel seminario di Venezia sulla
nonviolenza Bertinotti ha detto: "non possiamo discutere come se in questa
platea fossero seduti insieme a noi Lenin e Trotsky."
Per una volta siamo totalmente
d'accordo con lui. A Venezia Lenin e Trotsky non si sarebbero seduti volentieri.
Forse qui, oggi, in questa sala, sì!
E vorrei allora concludere
citando poche righe da un libro molto bello che in queste settimane è stato
attaccato prima da Revelli, poi da Bertinotti e infine anche dal compagno
Turigliatto, dirigente di Erre. Si tratta di Terrorismo e Comunismo, un
testo che Trotsky ha scritto durante la guerra civile, tra una battaglia e
l'altra, sul treno da cui dirigeva l'Armata Rossa contro l'accerchiamento degli
eserciti imperialisti. Un testo di cui Trotsky ha sempre rivendicato -anche
negli anni Trenta- l'attualità.
Scrive Trotsky:
"Infine il processo
storico si riduce alla lotta mortale tra capitalismo e comunismo.
Lasciamo ai Kautsky il ruolo di
seguaci critici della borghesia e dei suoi governi.
Noi combattiamo per la
rivoluzione proletaria internazionale. La posta è grande da entrambe le parti,
e la lotta sarà dura e dolorosa.
Ma noi speriamo nella vittoria
del comunismo e ci battiamo per essa, perché ne abbiamo ogni diritto
storico."