13 MARZO 2004 ROMA
MEETING NAZIONALE DI PROGETTO COMUNISTA
QUALE
INTERNAZIONALISMO?
di
Tiziano Bagarolo
Care
compagne e cari compagni,
in molti siamo qui oggi per dire alto e forte che “non siamo
d’accordo”, che non condividiamo la strada imboccata dalla direzione del
nostro partito, che questa strada porta a negare le ragioni sociali, politiche e
ideali della rifondazione, che abbiamo un’alternativa a tutto questo e che
siamo pronti a batterci, e che ci batteremo fino in fondo, per questa
alternativa.
Ricorderete: poco meno di due anni fa si chiedeva il V congresso, che
buona parte del nostro partito aveva interpretato come il congresso della
“svolta a sinistra”, della rimessa a tema dell’alternativa “socialismo o
barbarie” e della prospettiva della rivoluzione, dello strappo con lo
stalinismo, della priorità dei movimenti, dell’autoriforma del partito.
Certo, noi di Progetto comunista non avevamo dato credito a
quell’interpretazione. Ma è un fatto che così il congresso è stato vissuto
da molti compagni in buona fede. Noi avevamo indicato già allora le
contraddizioni e le ambiguità di una operazione il cui significato reale veniva
dissimulato in poche righe - la famigerata Tesi 37 - sufficientemente chiare
tuttavia, per chi l’avesse voluta intendere obiettivamente e non alla luce dei
propri desideri. E quelle righe ribadivano che la prospettiva
politico-strategica del PRC restava la ricerca di un’alternativa di governo
con le forze di quel centrosinistra che poche righe sopra e poche righe sotto
veniva definito una “gabbia” da spezzare.
In effetti, la stagione del movimento e della svolta a sinistra è stata
breve. Ricorderete il modo in cui si concluse. All’indomani del referendum
sull’art. 18 - che, nonostante il mancato raggiungimento del quorum, fu
tutt’altro che una sconfitta per i lavoratori e per il nostro partito giacché
attivò nuove energie militanti, raccolse comunque un largo consenso fra i
lavoratori, contribuì a frenare l’azione del governo e, soprattutto, aiutò a
fare chiarezza sull’effettiva collocazione di tanti soggetti e tanti
personaggi che godevano d’immeritata fiducia - il segretario del nostro
partito se ne uscì con la proposta di un accordo di governo fra il PRC e
l’Ulivo di Prodi.
Così, con una sorta di piroetta da saltimbanco, veniva cancellato
l’abisso che il referendum aveva scavato fra noi e coloro che, astenendosi,
avevano scelto di stare dalla parte del governo e della Confindustria e contro
le ragioni dei lavoratori.
Tutto ciò, naturalmente, allo scopo di costruire un’alternativa al
governo Berlusconi. Che nobile proposito! Sulla cui genuinità tuttavia è
lecito dubitare, se si riflette sul fatto che il gruppo dirigente del nostro
partito aveva rifiutato l’indicazione, che Progetto comunista proponeva, di
lanciare la parola d’ordine “Cacciamo il governo Berlusconi” per tutta la
stagione in cui i lavoratori e i movimenti erano vivi e in piazza e chiedevano -
chiedevano ad alta voce - una indicazione precisa in tal senso.
Ricordo qui questo passaggio e questo nodo perché è alla luce della
scelta di cercare di costruire un’alleanza di governo con il centro liberale
in vista delle elezioni politiche del 2006 che possiamo intendere le scelte
successive del gruppo dirigente che hanno provocato sorpresa crescente e
disorientamento in molti settori del nostro partito.
Non c’è dubbio: tutti noi abbiamo la percezione come di
un’accelerazione nella ridefinizione non solo delle prospettive politiche ma
anche dell’identità e dei riferimenti ideali del nostro partito, e che questo
non è senza significato.
Il significato di tutto questo è chiaro: il PRC vuol occupare lo spazio
lasciato libero a sinistra dalla deriva liberale dei DS.
Ma non con la prospettiva di costruire un polo di classe alternativo e di
contendere al centro liberale e alla sinistra socialdemocratica in rotta
l’egemonia sui lavoratori e sulle larghe masse che ancora si affidano al
centro sinistra.
Piuttosto, con l’intenzione di utilizzare il potenziale dei movimenti e
delle attese di queste masse, che vogliono ad ogni costo la sconfitta di
Berlusconi, per ricontrattare, in diretta concorrenza con l’attuale sinistra
del centrosinistra, un accordo di governo con il centro liberale
Un disegno spregiudicato, di cui non interessa molto stabilire qui in
quale misura sia dettato da illusioni reali e/o da sincere convinzioni e in che
misura risponda a pure e semplici spinte opportunistiche di gruppi dirigenti che
vogliono garantirsi un ruolo politico nei modi offerti dal sistema bipolare.
Interessa piuttosto valutare il suo esito, qualora questo disegno dovesse
avere successo: esso rappresenterebbe il coinvolgimento del nostro partito
dentro la logica dell’alternanza borghese; la sua riduzione a sinistra del
centrosinistra in una logica del tutto subalterna; la fine dell’opposizione
comunista in questo paese; forse la definitiva compromissoione della prospettiva
di una vera alternativa di sistema, ossia di società e di potere, per molti
anni a venire. Una prospettiva contro la quale noi ci siamo battuti, ci battiamo
e continueremo a batterci, certi di trovare ascolto dentro e fuori il partito.
Per rassicurare i suoi interlocutori, il gruppo dirigente del nostro
partito deve ancora dare garanzie: da un lato, deve dimostrarsi affidabile
alla classe dominante, circa le sue intenzioni verso le istituzioni dello Stato
borghese; dall’altra deve dimostrarsi utile, ossia in grado di
mantenere i movimenti reali o possibili entro un quadro controllato e
“ragionevole”.
In questo contesto acquistano coerenza e significato gli “strappi”
degli ultimi mesi su temi come la non violenza strategica, il valore della
religione, la condanna pubblica delle foibe, la costituzione del nuovo Partito
della sinistra europea. Si tratta - abbiamo detto e scritto - “del nuovo abito
politico-culturale della prospettiva di governo del PRC. Un abito che incontra,
non a caso, l’esplicito apprezzamento di settori crescenti della stampa
borghese e del centrosinistra”.
Più nelle specifico, ha suscitato sorpresa, soprattutto in quei settori
del partito che più avevano creduto nella svolta verso i movimenti e nella
prospettiva del “movimento dei movimenti” come “nuova Internazionale del
XXI secolo”, la scelta, comunicata ai primi di gennaio dai massimi dirigenti
del nostro partito, di partecipare alla costituzione del nuovo Partito della
sinistra europea con altri dieci partiti di vari paesi europei in gran parte di
origine stalinista.
Dopo dodici anni di vita di Rifondazione comunista, nei quali il tema del
quadro internazionale era stato relegato dal gruppo dirigente di maggioranza
all’ultimo posto dell’attenzione del partito, questa accelerazione
improvvisa non poteva che suscitare sorpresa.
Sorpresa,
ma anche sconcerto e opposizione, per il metodo e per il merito.
Ed è certo che la riunione del Comitato politico nazionale, che una
settimana fa ha ratificato questo scelta con ben poco entusiasmo, non si può
dire che abbia chiuso la discussione.
Sia per ragioni contingenti - la nascita del Partito della sinistra
europea appare troppo legata alla scadenza delle elezioni europee per non subire
i contraccolpi dell’esito elettorale - sia anche per ragioni politiche di
fondo - perché l’internazionalismo rappresenta una dimensione centrale della
rifondazione comunista, intrinsecamente legata ai temi della sua identità, del
suo programma, della sua prospettiva, il confronto su un tema di così vasta
portata è destinato a restare aperto e non solo per i prossimi mesi.
Molto avremmo da dire - e Progetto comunista già lo ha detto - sul
metodo di una scelta che è stata calata dall’alto bell’e confezionata dal
segretario e dai suoi più stretti collaboratori, senza una discussione
preliminare nel partito, nei suoi organismi dirigenti, nella stessa Direzione
nazionale.
Lo stesso CPN della settimana scorsa è stato chiamato semplicemente a
ratificare a posteriori una operazione già avviata e ad eleggere i
delegati al congresso di fondazione (che si svolgerà qui a Roma l’8 e il 9
maggio prossimi) con l’insolita clausola del mandato imperativo, neppure
contemplata nello statuto del nostro partito!
Ma
il metodo ha ovviamente a che fare con la sostanza ed è proprio sulle questioni
di sostanza che intendiamo qui soffermarci.
Noi, che sempre ci siamo battuti perché la questione
dell’Internazionale trovasse lo spazio e la priorità che le compete nel
dibattito di un partito comunista, non ci associamo a coloro che temono che la
costruzione di un soggetto sovra nazionale faccia correre al nostro partito
il rischio di perdere la sua “autonomia”.
E nemmeno ci convincono coloro che fanno l’elenco degli esclusi
dall’accordo di Berlino, sia che fra gli esclusi si privilegino i vecchi
partiti comunisti di provenienza stalinista sia che si privilegino le forze
della Sinistra anticapitalistica, magari presunte “trotskiste”.
Perché per noi il punto centrale sono i contenuti programmatici e
politici di questa nuova formazione europea.
E
il nuovo partito nasce dichiaratamente non comunista, sotto il segno
d’una operazione elettoralistica, con un chiaro marchio neoriformista e
subalterno, con una esplicita vocazione governista.
Il
Manifesto del nuovo Partito della sinistra europea si riduce a un elenco di
buone intenzioni “progressiste”. Non mette in discussione l’Europa polo
imperialista, non rivendica un’alternativa di classe, non propone un programma
di alternativa socialista.
Semplicemente chiede un’Europa genericamente “democratica, sociale,
ecologicamente sostenibile e di pace”. A questo scopo si limita a invocare
“un’altra politica economica e sociale”, un “ruolo maggiore dei
parlamenti”, “iniziative per il disarmo e il diritto internazionale”,
evitando peraltro di pronunciarsi “senza se e senza ma” per il ritiro di
tutte le truppe imperialiste dall’Iraq, dall’Afghanistan, dai Balcani e
contro l’esercito europeo.
In
altre parole, il programma di Berlino disegna di una forza genericamente di
sinistra “critica”, proiettata verso prospettive di governo, per altro già
praticate da diversi dei partiti che ne fanno parte, in primis il Partito
comunista francese (al governo ai tempi della guerra del Kosovo), o la PDS
tedesca, alleata della socialdemocrazia di Schroeder in molti laander.
Insomma,
anche da questa iniziativa sul terreno internazionale traspare la medesima
logica delle scelte sul terreno nazionale: la ricerca dei rapporti e di un
terreno favorevole per l’ipotesi di un’alleanza di governo il
centrosinistra, ossia con forze e uomini della borghesia liberale che oggi
rappresentano settori fondamentali della classe dominante in Italia e in Europa.
Una prospettiva che è tuttavia la negazione di qualsiasi rifondazione
comunista degna di questo nome e che ha ben poco a che vedere con la tradizione
e i contenuti dell’internazionalismo marxista e comunista prima della sua
degenerazione staliniana.
Anche su questo terreno, come comunisti, come sinistra marxista
rivoluzionaria del partito, noi non ci siamo limitati e non ci limitiamo a dire
dei “no” e a marcare il nostro dissenso. Da tempo lavoriamo per costruire
una prospettiva e un orientamento alternativi, consapevoli che
l’internazionalismo non è un optional, ma il metro di misura della
coerenza di un progetto di alternativa rivoluzionaria e socialista.
In autonomia dal gruppo dirigente del partito abbiamo lavorato e
continueremo a lavorare per costruire le relazioni e il confronto con tutte
quelle forze, non solo di tradizione trotskista, che in Europa e nel mondo
comprendono l’urgenza di impegnarsi per la ricostruzione dell’Internazionale
rivoluzionaria dei lavoratori e sono disposte a impegnarsi per attuarlo su una
coerente base programmatica marxista rivoluzionaria.
Che per noi significa in primo luogo rifiutare ogni ipotesi di
collaborazione di governo con le forze borghesi, perché per noi l’autonomia
dei comunisti rispetto al potere borghese è un fondamento essenziale del
marxismo rivoluzionario. Come ricordava Rosa Luxemburg, tante volte citata a
sproposito durante la conferenza di Berlino, “i comunisti sono forza di
opposizione sino alla conquista del potere politico”.
In modo conseguente, dunque, il nostro impegno per la rifondazione di un
coerente internazionalismo non è che l’altra faccia del nostro impegno sul
terreno nazionale per una coerente rifondazione comunista sulle basi
dell’indipendenza di classe e su un programma di alternativa anticapitalistica
e socialista.
Lo sappiamo: la nostra è un’impresa difficile, tutt’altro che
scontata, ma necessaria.
Lo impone il dato obiettivo dell’aggravarsi della crisi mondiale, che
fa gravare nuove minacce e nuove tragedie su tutti i continenti, di cui
l’incancrenirsi della guerra, ormai di casa anche in Europa, è solo il segno
più eclatante e drammatico.
Lo richiede la crescita dei movimenti e l’affacciarsi di una nuova
generazione che chiede nuove prospettive per rendere un altro mondo davvero
possibile, che non gli può essere dato dalle vecchie ricette del riformismo,
oggi fallito, e neppure dal generico movimentismo.
La costituzione del Partito della sinistra europea non risponde certo a
queste sfide. Perciò, lo diciamo con chiarezza: non si può pensare che il
Partito della sinistra europea chiuda nel proprio spazio ristretto l’opera di
ricostruzione dell’internazionalismo e dell’Internazionale. Non può
pretendere di escludere la ricerca di altre relazioni e rapporti più ampi che,
per noi, è innanzi tutto un altro modo di impostare il problema stesso della
ricostruzione dell’Internazionale rivoluzionaria.
Un
compito che Progetto comunista non scopre certo oggi; un compito che si è
assunto fin dalla sua nascita; un compito che molti di noi hanno cercato di
praticare già da molti anni.
Perché
per noi la prospettiva della rifondazione comunista è sempre stata
imprescindibile dalla sua dimensione internazionale, così come è sempre stato
nella tradizione migliore del marxismo e del comunismo, da Marx ed Engels nel
XIX secolo, a Lenin, a Trotsky, a Rosa Luxemburg, a Gramsci, all’inizio del XX
secolo.
Oggi, di fronte alla dimensione mondiale con cui si presentano ormai
tutte le questioni politiche essenziali della lotta di classe, per non dire
molte questioni di vita e di morte per l’intera umanità, di fronte
dell’offensiva imperialistica su scala globale, la questione
dell’Internazionale è in tutta evidenza una dimensione fondativa di
una autentica rifondazione comunista all’altezza dei tempi.
Già sette anni fa, in anticipo sulla stessa esplosione del movimento di
Seattle, alcuni di noi diedero avvio ad una iniziativa internazionale per la
rifondazione dell’Internazionale marxista rivoluzionaria, iniziativa che
arriverà fra poche settimane – alla fine di aprile – ad un primo, parziale,
ma importante risultato.
Sette anni fa, l’allora Associazione marxista rivoluzionaria Proposta
(che due anni fa ha contribuito alla nascita della nostra Associazione Progetto
comunista) lanciò, con altre tendenze e organizzazioni di vari paesi – fra le
quali ricordo il Partito operaio di Argentina – un appello rivolto alle forze
di avanguardia marxiste rivoluzionarie e classiste per lavorare insieme per la
ricostruzione dell’Internazionale rivoluzionaria dei lavoratori, ossia per la
rifondazione della Quarta Internazionale.
Dunque una proposta chiara ma aperta, programmatica e non ideologica, su
cui ci siamo impegnati negli anni successivi in molteplici incontri e confronti
sia a livello internazionale sia nel quadro del nostro partito.
Molta strada è stata fatta e le forze che hanno lanciato
quell’iniziativa hanno continuato a lavorare sia sul piano dell’inserimento
nella lotta di classe nel proprio terreno nazionale, sia nello sviluppo
dell’iniziativa internazionale.
Voi tutti sapete del ruolo giocato nella vicenda argentina dai nostri
compagni del Partido Obrero, in particolare del ruolo centrale
nell’organizzazione del movimento dei disoccupati, il movimento piquetero.
Meno noto ma altrettanto significativo è l’impegno dei compagni della Lega
operaia socialista contro l’escalation sionista in Palestina e a fianco
dell’Intifada palestinese. O quello dei compagni del Partito operaio
rivoluzionario di Grecia contro la guerra della Nato nei Balcani. O ancora
quello dei compagni boliviani in una delle lotte rivoluzionarie più avanzate
dell’America latina e del mondo. O quella dei compagni del Partito della causa
operaia in Brasile per costruire l’alternativa di classe al governo
neoliberale di Lula e del PT.
Sono solo esempi per spiegare il modo in cui noi concepiamo in concreto
l’internazionalismo: non come sommatoria diplomatica di organizzazioni e
tendenze; neppure come autoproclamazione settaria; ma come battaglia aperta di
radicamento nelle lotte del proprio paese e, contemporaneamente, come battaglia
di chiarificazione politico-programmatica per il raggruppamento aperto sulle
basi del marxismo rivoluzionario.
E’ su queste basi che possiamo misurare i passi avanti, parziali ma
signficativi, che la nostra iniziativa ha compiuto in questi anni, che si
concretizzeranno fra poche settimane – alla fine di aprile a Buenos Aires –
nella conferenza internazionale per delegati del Movimento per la Rifondazione
della Quarta Internazionale che darà vita – dopo un ampio processo
democratico di confronto e di dibattito comuni – a una tendenza internazionale
organizzata, di cui noi di Progetto comunista siamo parte essenziale come cofondatori,
che intende rilanciare con più forza e determinazione l’iniziativa per la
ricostruzione-rifondazione della Quarta Internazionale.
Certo, un passo avanti ancora modesto, se lo confrontiamo con le nostre
ambizioni e con i compiti immensi che ci stanno davanti, ma un passo importante
perché indica, dopo molti decenni, l’avvio di una controtendenza. Per la
prima volta forze di avanguardia con un peso significativo e con percorsi
diversi alle spalle danno vita a un processo di ricomposizione reale su scala
internazionale.
E ciò avviene su basi programmatiche chiare, le basi del marxismo
rivoluzionario, e con una logica aperta e non settaria, come primo passo,
dunque, di un processo che vuole andare oltre ai suoi primi pur significativi
risultati, senza farsi frenare da alcun feticismo organizzativo.
Compagne e compagni,
per la prima volta dei trotskisti provano a smentire il luogo comune che
li vuole solo capaci di dividersi spaccando il capello in quattro, dimostrando
invece che è possibile una prospettiva di unità
su basi non ideologiche ma politiche e programmatiche, recuperando il
metodo leninista dell’unità sui principi e del confronto democratico sulle
questioni politiche tattiche e contingenti.
E’ il metodo che Progetto comunista ha sempre proposto e praticato
anche nel Partito della rifondazione comunista. Metodo che oggi riproponiamo a
tutti coloro che vogliono opporsi alla deriva moderata del gruppo dirigente di
maggioranza e contribuire con noi a difendere e rilanciare un’altra politica e
un’altra prospettiva: la politica e la prospettiva che è stata definita
centocinquant’anni fa nel “Manifesto del partito comunista” e che è stata
ripresa e rilanciata dall’Ottobre e dalla fondazione della Terza
Internazionale: la strada dell’unità internazionale di tutti gli sfruttati e
gli oppressi, della lotta per il potere dei lavoratori, per l’unico altro
mondo possibile che i lavoratori e gli oppressi possono opporre alla barbarie
incombente prodotta dal capitalismo, e che per noi si chiama ancora e sempre socialismo
mondiale.