Questa assemblea, invece, è priva di potere decisionale e non è stata preceduta da un dibattito democratico in tutte le istanze territoriali.
Qui sotto trovate un contributo al dibattito che presenteremo all'Assemblea stessa.
CONTRIBUTO
AL DIBATTITO
PER
L'ASSEMBLEA NAZIONALE DEI GIOVANI COMUNISTI
(Genova,
16-17-18 APRILE 2004)
Luca
Belà, Nicola di Iasio, Fabiana Stefanoni
PREMESSA
Nella
riunione dell'ultimo Coordinamento Nazionale, che ha deciso la convocazione
dell'Assemblea Nazionale dei GC, abbiamo proposto di avviare, in breve tempo,
il percorso verso la III Conferenza Nazionale: non solo perché, lungi dal
rappresentare "un'ingessatura del dibattito", è l'unico percorso
realmente democratico che permette un reale confronto paritario e un
coinvolgimento effettivo di tutta l'organizzazione; non solo perché è quanto
previsto dallo Statuto del PRC; ma soprattutto perché ciò è richiesto dal
nuovo quadro politico complessivo che si è definito dopo la scorsa conferenza
(processo verso una liquidazione dell'opposizione comunista, partito della
sinistra europea, nonviolenza, religione etc.) e dagli evidenti elementi di
crisi dell'organizzazione giovanile.
Ci
sembra insomma che la convocazione della Conferenza Nazionale sia una scelta
logica, utile e persino obbligata.
La
nostra proposta è stata respinta.
Crediamo
che, fatte queste precisazioni, l'Assemblea Nazionale dei GC possa essere
comunque un momento utile di riflessione e di elaborazione. Presentiamo quindi
di seguito un contributo al dibattito che riassume in maniera succinta i punti
che riteniamo di primaria importanza.
INTRODUZIONE
Non
crediamo sia possibile avanzare seriamente un contributo al dibattito
sminuendo o peggio ancora tacendo l'elemento sovraordinatore dell'intera
discussione e soprattutto dell'azione dei Giovani Comunisti: la prospettiva
di governo con i liberali inscrive infatti in una cornice ben determinata
non solo i nodi politici ma persino la rete ideologico-identitaria di supporto
a quest'ultima; e allo stesso tempo condiziona ogni nostro posizionamento e
azione nelle mobilitazioni in corso e a venire. Non vi è al riguardo
eccezione alcuna: la prospettiva politica sciagurata che si intende perseguire
è in contraddizione con ogni nostro intervento come Giovani Comunisti nel
movimento contro la guerra, nelle mobilitazioni universitarie e studentesche
etc. proprio perché è in contraddizione con le stesse ragioni di fondo
dei movimenti di questi anni. E questa contraddizione di fondo non può
essere aggirata con appelli ad un rapporto più "coerente" con i
movimenti e i conflitti sociali: come se il rapporto con la lotta di classe
non dipendesse dalla prospettiva politica che si persegue; come se la
prospettiva politica che si persegue non fosse decisiva per lo sbocco dei
movimenti e delle loro ragioni e rivendicazioni.
Riteniamo
allora prima di tutto fondamentale richiamare l'attenzione di tutti i Giovani
Comunisti, al di là di precedenti collocazioni nel dibattito interno, sulla
gravità del "nuovo corso" intrapreso, e sulle sue ricadute
politiche immediate sull'organizzazione giovanile. Ciò che è appunto
condizione necessaria per affrontare la discussione sull'analisi della fase e
sull'orientamento dei GC. Anche a costo di deludere chi ritiene (forse non in
buona fede) che ciò significhi riprodurre in sedicesimo il dibattito degli
"adulti".
LA
SVOLTA DI GOVERNO
Di
fronte alla crisi del governo Berlusconi -in difficoltà profonda di consenso
sociale e privo di un quadro di concertazione stabile su cui appoggiarsi- il
centro liberale dell’Ulivo si candida a rappresentante privilegiato del
grande capitale italiano. Oggi più di ieri, D’Alema e Rutelli (sotto
l'egida di Prodi) si presentano come gli unici in grado di garantire alla
grande borghesia un quadro di pace sociale concertata. Il tentativo di
coinvolgere il Prc in questo progetto si spiega proprio con la volontà di
subordinare i movimenti che hanno preso vita in questi ultimi anni agli
interessi dei banchieri e dei grandi imprenditori; con la volontà di
inglobare (e liquidare) in una prospettiva di alternanza borghese la lotta di
una nuova generazione che è scesa in campo per “un altro mondo
possibile”.
Riteniamo
estremamente grave il fatto che la maggioranza dirigente del nostro Partito si
sia dichiarata favorevole all’entrata in secondo un governo Prodi -il cui
programma di governo è dettagliatamente illustrato nel Manifesto prodiano,
organicamente antioperaio (Europa: il sogno, le scelte). Questa scelta
compromette sin d’ora l’intervento dei Giovani Comunisti nelle
mobilitazioni e nelle lotte che vedono protagoniste proprio quelle giovani
generazioni; compromette la possibilità di rappresentare un punto di
riferimento credibile e anticapitalista per quei tanti giovani che oggi
subiscono gli effetti di devastanti politiche antiproletarie (portate avanti
indifferentemente dai governi di centrodestra e di centrosinistra):
precarizzazione selvaggia dei rapporti di lavoro (dal "Pacchetto Treu"
alla Legge 30), smantellamento e privatizzazione dell’istruzione pubblica
(da Berlinguer a Moratti), repressione e criminalizzazione dei movimenti.
LA
REVISIONE IDEOLOGICO-IDENTITARIA
La
prospettiva di governo con i liberali fa il paio con la revisione
ideologico-identitaria ad essa funzionale. Infatti "nonviolenza",
esaltazione della religione, nuovo Partito della Sinistra Europea non
configurano ambiti separati o scissi ma diverse angolazioni di un medesimo
corso politico. Rappresentano il nuovo abito politico-culturale della
prospettiva di governo del Prc. Un abito che incontra, non a caso, l'esplicito
apprezzamento di settori crescenti della stampa borghese e del centrosinistra.
Com'era prevedibile la svolta di governo del partito trascina con sé
la sua deriva generale.
Il
centro liberale dell’Ulivo chiede al Prc di ammantarsi di credibilità agli
occhi del padronato italiano, in vista di un futuro coinvolgimento in un
governo di alternanza. Per questo la “svolta governista” del nostro
partito si è tradotta, anche per i Giovani Comunisti, nella celebrazione
della nonviolenza. Una posizione assurda, tanto più in una fase storica
segnata dal dispiegarsi delle politiche aggressive dell’imperialismo,
dall’esplosione dello scontro di classe su scala internazionale,
dall’inasprirsi della repressione di piazza e della violenza dello
Stato borghese, dall’accentuarsi continuo della violenza quotidiana dello
sfruttamento. Nello specifico dei Giovani Comunisti, aver optato per la
“disobbedienza nonviolenta” ci allontana addirittura dalle migliori
potenzialità della disobbedienza stessa, che molti giovani anche nel nostro
partito hanno inteso quale vettore di un altro mondo possibile, non certo come
obbedienza a Prodi e all’Europa dei banchieri.
La
scelta strategica della nonviolenza significa anzitutto rinuncia alla
prospettiva della trasformazione rivoluzionaria dell’esistente; significa
adattamento a questa società e a questo mondo, alla borghesia e ai suoi
governi (di centrodestra e di centrosinistra); significa, in estrema sintesi,
decretare la morte della prospettiva di un altro mondo possibile quale
alternativa di sistema. La nonviolenza infatti rimuove il problema
ineludibile della reazione violenta che le classi dominanti hanno sempre
opposto e sempre opporranno non solo un domani all'"esproprio degli
espropriatori" ma già oggi alla crescita di movimenti che rimettano
oggettivamente in discussione il loro dominio.
Paradossalmente,
poi, in nome della nonviolenza, si finisce col liquidare la prospettiva del
potere dei lavoratori per aprire la strada alla partecipazione a governi della
borghesia, cioè i massimi organizzatori di violenza. E così la traduzione
materiale del tanto celebrato "superamento del Novecento" non è
altro che la riproposizione, tanto drammatica quanto caricaturale, della
cancrena del Novecento: la collaborazione di classe con la borghesia, causa di
tutte le sconfitte e tragedie del secolo passato.
LA
COSTRUZIONE DEL PARTITO DELLA SINISTRA EUROPEA
Parimenti,
la prospettiva di governo trascina e sospinge il progetto di costruzione
del Partito della Sinistra Europea (non a caso un partito il cui minimo
comune denominatore è la vocazione di governo con forze socialdemocratiche e
liberali), e rivela al fondo, ancora una volta, un'impostazione tanto
utopica quanto subalterna; che ignora non solo la crisi del riformismo -al
punto di riproporlo- ma la radice di fondo delle politiche controriformatrici
e militariste della UE, che non sono scelte "sbagliate"
rimpiazzabili da altre politiche ma la conseguenza strutturale della
costruzione stessa dell'Europa imperialista.
Peraltro
è significativo che la rinuncia ad ogni alternativa di potere all'Europa del
capitale finisca col sacrificare, nel manifesto del Pse, caratteri e portata
delle stesse rivendicazioni immediate e dei riferimenti di classe.
L'INTERVENTO
DEI GIOVANI COMUNISTI NELLE MOBILITAZIONI
Allo
stesso modo la prospettiva di governo condiziona pesantemente il nostro
intervento nelle mobilitazioni. Da Scanzano Ionico alla mobilitazione dei
ferrotranvieri: che credibilità può avere l’appoggio e la partecipazione
dei Giovani Comunisti a queste battaglie se nel frattempo il nostro Partito
porta avanti il confronto programmatico con Treu e Mastella (che gareggiano
col centrodestra nel sabotare e condannare queste stesse lotte)?
Il
centrodestra e il centrosinistra, oggi come ieri (con la riforme di De Mauro e
Berlinguer), sostengono un modello di scuola e di università funzionale agli
interessi di padronato e Confindustria:
obbligo formativo da svolgersi in alternanza scuola-lavoro e relativi
finanziamenti pubblici alle aziende; annullamento del valore legale del
diploma superiore; restrizione dei criteri di accesso e smantellamento di
strutture, borse di studio, case dello studente etc. con il conseguente
inasprimento della selezione di classe; precarizzazione della ricerca a
livello universitario. Anche l’intervento dei Giovani Comunisti nelle
mobilitazioni studentesche è oggi gravemente compromesso dalla prospettiva di
governo con l’Ulivo, con quei partiti cioè che concepiscono il sapere come
merce e intendono svendere ai privati l’istruzione pubblica. Anche su
questo terreno la discriminante di fondo ci pone dinanzi ad un bivio: o nelle
mobilitazioni a difesa della scuola pubblica o in un governo liberale a
braccetto con Berlinguer e company.
Lo
stesso bivio è posto dalle prime mobilitazioni contro il decreto sulla
Procreazione Medicalmente Assistita: una norma reazionaria che priva in
particolare le giovani donne di decidere dei propri corpi. La Margherita ha
sostenuto questa legge scandalosa. I DS hanno portato avanti un’opposizione
puramente di facciata, ribadendo a più riprese la volontà di minimizzare le
divergenze per evitare ostacoli al progetto di lista unica con la Margherita. Anche
su un terreno semplicemente democratico come questo, la necessità oggi di
impegnarsi, come Giovani Comunisti/e per la costruzione di mobilitazioni di
massa contro gli attacchi alle donne, cozza inesorabilmente con la prospettiva
di un accordo politico con chi sta sostenendo o non contrastando questa legge
famigerata.
IL
FALLIMENTO DI UN'IMPOSTAZIONE POLITICA E LA NECESSITA' (E L'URGENZA) DI UNA
SVOLTA
Ogni
ambito di intervento per noi Giovani Comunisti evidenzia la necessità e
l'urgenza di una svolta profonda. Solo un'altra prospettiva può rilanciare il
nostro intervento tra le giovani generazioni: una prospettiva basata su una
nuova proposta politica rivolta all’insieme del movimento operaio, dei
movimenti di massa e delle loro organizzazioni politiche, sindacali,
associative, per una comune rottura col centro liberale e per la
definizione di un piano unitario di mobilitazione indipendente finalizzato a
cacciare Berlusconi dal versante delle ragioni dei lavoratori e dei
movimenti di massa.
“O
ci si schiera con gli scioperi operai, con la mobilitazione per il ritiro
delle truppe, con il movimento antiglobalizzazione, o ci si schiera con i
difensori dei banchieri amici di Parmalat”:
ogni forza politica o sindacale che fa formalmente riferimento ai movimenti
deve essere posta pubblicamente di fronte a questa alternativa di fondo. O di
qua, o di là. In mezzo non si può stare.
Ovunque
va avanzato un concetto di fondo: alla crisi del capitalismo italiano e delle
sue classi dirigenti non si può rispondere con un compromesso di governo con
quelle classi dirigenti (se non al prezzo di una nuova stagione di
subordinazione agli interessi dominanti, di pace sociale, di arretramenti e
rinunce). Alla crisi del capitalismo italiano e delle sue classi dirigenti
si può e si deve rispondere con un progetto di alternativa anticapitalistica
e di classe. Che punti a rimuovere le vecchie classi dominanti e i loro
governi e a realizzare un governo dei lavoratori, delle lavoratrici, delle
masse oppresse di questo Paese. Perché questa è l’unica vera alternativa.
PER
LO SCIOPERO GENERALE PROLUNGATO
La
stessa "crisi del movimento", cioè la difficoltà di una sua
crescita politica, lungi
dall'essere una questione "tecnica" legata a questa o quella modalità
di relazione, rivela al fondo in tutta la sua drammaticità il nocciolo
politico: la proposta di una battaglia di egemonia politica su una
piattaforma comunista, lungi dal rappresentare un'impostazione
"settaria", era ed è tanto più necessaria al fine di non
disperdere quel patrimonio prezioso di energie e forze della giovane
generazione scesa in campo negli ultimi anni. L'alternativa drammatica è il
rischio che queste forze siano incanalate e deviate all'interno di un quadro
di alternanza borghese favorendo il recupero di quelle forze politiche che per
la prima volta non si trovano alla testa dei movimenti e rimuovendo nei fatti
la prospettiva dell'altro mondo possibile.
Un'altra
prospettiva apre ovviamente la strada nel concreto a diverse forme di lotte:
occorre superare la logica di azioni simboliche e “di calendario”, e
lavorare invece a uno sciopero generale prolungato sino alla sconfitta del
governo e alla sua cacciata, uno sciopero che può e deve coinvolgere
unitariamente tutto il sindacalismo di classe. L’esperienza ha infatti
insegnato che azioni simboliche e rituali sono del tutto inefficaci, che
invece la lotta vera, l’azione prolungata che rompe le regole del gioco, non
solo è possibile ma è l’unica che può strappare risultati.
Sulla
base dell'esperienza in concreto di questi anni chiediamo di fare bilancio.
Spesso ci veniva obiettato che le nostre proposte in tema di rivendicazioni
programmatiche e di modalità di lotta prolungata mancavano maledettamente di
"concretezza". Ora chiediamo: vi è un angolo del mondo in cui sia
stata introdotta la Tobin Tax? vi è in Italia una sola città in cui sia
stato istituito il metodo partecipativo traducendosi in una qualche forma di
avanzamento reale per i lavoratori e i giovani? La risposta a queste domande
è ovviamente negativa. E viceversa: la proposta di sciopero generale
prolungato -che, secondo alcuni, non era "una rivendicazione
comprensibile per i lavoratori”- non è forse diventata, con la lotta degli autoferrotranvieri
una concreta realtà? Gli autoferrotranvieri lo sciopero prolungato non
soltanto l’hanno proclamato, ma hanno anche cercato di farlo e in alcuni
casi, come a Milano, ci sono riusciti, a dimostrazione di quanto, tra mille
contraddizioni, la consapevolezza del bisogno di una lotta prolungata si sia
sedimentata nelle coscienze almeno di alcuni settori di avanguardia dei
lavoratori italiani.
Ciò
che emerge con evidenza è che non solo la realtà si è presa come al solito
gioco, a suon di sberle, di tante "teorizzazioni nuoviste"; ma
soprattutto che è necessario ma anche possibile un intervento dei Giovani
Comunisti nel vivo di tutte le mobilitazioni, sulla base di una piattaforma
unificante di rivendicazioni transitorie e sulla base di forme di lotta
radicali adeguate: per cacciare Berlusconi, governo di guerra e di rapina,
non al fine di aprire la strada, come nel ’94, all’alternanza borghese e a
un nuovo governo antioperaio di centrosinistra, ma per aprire la strada
all’alternativa di classe, cioè a quello che Marx definiva un “governo
dei lavoratori per i lavoratori”.
LA
CENTRALITA' DELLA LOTTA ALL'IMPERIALISMO
Sul
terreno della mobilitazione contro la guerra, che resta un asse centrale di
interevento, proponiamo di assumere la parola d’ordine del ritiro
immediato e incondizionato delle truppe italiane dall’Irak -"senza
se e senza Onu"- come parola d’ordine di iniziativa di massa
permanente. Occorre superare ogni neutralità pacifista tra l’imperialismo
occupante e un popolo oppresso e sostenere apertamente il diritto di
resistenza e sollevazione di massa del popolo irakeno contro l’occupazione
imperialista -inclusa quella italiana- sia attuata con o senza il
patrocinio dell'Onu.
Ciò
che oggi dobbiamo rivendicare in Irak non è “la pace”. E’ la
liberazione del popolo irakeno, attraverso la sua azione di massa, entro una
chiara prospettiva socialista. Ciò è anche condizione decisiva per un
autonomo giudizio sulle forze dirigenti della resistenza attuale e nella lotta
per un’egemonia alternativa a quelle forze.
Più
in generale va superata la visione della coppia guerra-terrorismo come schema
interpretativo della situazione mondiale.
Questa visione è falsa analiticamente e politicamente deviante. E’ falsa
sul piano dell’analisi perché astrae totalmente dalla natura sociale e
politica delle forze in campo sullo scenario internazionale, rimuovendo la
nozione e la centralità dell’imperialismo. E’ deviante dal punto
di vista politico perché si risolve nel “criticare” la guerra come
“metodo sbagliato” di lotta al terrorismo invece di criticare il
terrorismo come metodo sbagliato di lotta contro la guerra. Soprattutto,
rischia di avallare quella mistificazione dominante, cara all’imperialismo,
che riduce a “terrorismo” tutte le forme di resistenza popolare, di
sollevazione, di rivoluzione contro l’oppressione. Ciò che è inammissibile
per i comunisti.
Il
superamento di analisi prive di un fondamento di classe è premessa
indispensabile per costruire l'autonomia di classe del movimento contro la
guerra che -anche a fronte dei massacri compiuti dalle truppe italiane in
Irak- sta riprendendo vigore nelle ultime settimane, assumendo la
consapevolezza del carattere coloniale dell'occupazione militare
dell'imperialismo statunitense ed europeo.
Oggi
più che mai è allora necessario denunciare l'ipocrisia del centro liberale
dell'Ulivo (maggioranza Ds, Margherita) che pretende di partecipare alle
manifestazioni contro la guerra mantenendo al contempo un sostegno di fatto
all'occupazione dell'Irak (mascherato dietro richiami all'Onu e alla
"linea Zapatero"). Oggi più che mai è necessario denunciare la
convergenza oggettiva dei due poli dell'alternanza in sostegno degli interessi
(petrolio, ricostruzione, privatizzazioni) delle imprese italiane in Irak. Se
le migliaia di manifestanti che hanno marciato il 20 marzo giustamente
non vogliono Fassino nelle manifestazioni, è grottesco che il Prc si prepari
a costituire con Fassino addirittura un governo.
CONCLUSIONE
Crediamo
infine che, a partire dall'Assemblea Nazionale di Genova, si possa e si debba
aprire, fermo restando l'impegno in tutti gli ambiti di intervento, un
ampio dibattito in tutta l'organizzazione aprendo il percorso verso la III
Confrerenza Nazionale. L'insieme dei punti che abbiamo tracciato, e che
necessariamente andranno approfonditi maggiormente formulando un bilancio
netto dell'attività dalla scorsa Conferenza, non costituiscono la cornice di
un dibattito “routinario”. L'insieme delle questioni all'ordine del giorno
costituisce viceversa, al di là delle posizioni di ciascuno, l'essenza stessa
della “rifondazione”: ecco perché sarebbe tremendamente sbagliato
sminuire o rimuovere questo dibattito. Al contrario, è indispensabile
coinvolgere tutti i Giovani Comunisti perché a partire dall'organizzazione
giovanile si arresti la pericolosa deriva governista che rischia di mettere in
discussione le stesse ragioni di classe della rifondazione.