Prc: le tendenze interne davanti alla svolta governista

 

di Alberto Airoldi  

 

Un giorno i cittadini dell’Oceania si svegliarono e appresero di non essere più in guerra con l’Eurasia, ma con l’Estasia: così nel romanzo di Orwell. Analogamente i militanti del Prc, un bel giorno di primavera, scoprirono, leggendo La Repubblica, che l’Ulivo non era più un cadavere, ma l’alleato della prossima fase.  Il cambiamento era così stupefacente, i contorni dell’intervista così sfuocati, che per un certo periodo fummo lasciati soli a denunciare la svolta. Non è possibile, ci veniva ribattuto, che a ogni piccola apertura tattica Progeto comunista monti una campagna contro il segretario. Poi vennero le commissioni (Ferrero-Treu, ecc.) e anche la strada ‘’negazionista’’ non fu più percorribile. Scopo di questo articolo non è ripercorrere integralmente questa ennesima triste vicenda, ma più semplicemente riflettere sulle argomentazioni e sul posizionamento delle varie componenti interne al partito.

‘’Non c’è stata nessuna svolta’’

La componente del segretario, anzitutto: la ‘’maggioranza della maggioranza’’, che ha utilizzato il V Congresso per darsi una maggiore strutturazione e un’identità più marcata.  La ‘’rottura con Prodi come atto fondamentale della Rifondazione’’, la ‘’rottura contro lo stalinismo’’, la rottura con la cosiddetta ‘’tradizione comunista novecentesca’’ (abbandonando le categorie di imperialismo, egemonia, violenza giusta, presa del potere), la ‘’scelta per il movimento’’, la ‘’disobbedienza’’, la ‘’rottura della gabbia del centro sinistra’’ al fine di costruire una ‘’sinistra alternativa’’: questi erano allora gli elementi più significativi della cosiddetta ‘’svolta a sinistra’’.  

I dirigenti bertinottiani hanno negato che si sia trattato di una svolta, ma solo di un passaggio necessario nella costruzione della sinistra alternativa. In sostanza si cerca di minimizzare, sconfinando talvolta nella fantapolitica: ‘’non c’è nessun accordo’’, ‘’è una tattica per fare emergere le contraddizioni dell’Ulivo’’, ‘’stiamo rompendo il centro sinistra insieme alla Fiom, la sinistra Ds e il resto del movimento’’, ecc. Il segretario avanza anche un’altra argomentazione: poiché il centro della nostra politica è il movimento, l’assumersi delle responsabilità di governo non è una scelta contraddittoria, ma una garanzia e un supporto alle istanze del movimento: insomma, il vecchio argomento della ‘’sponda ai movimenti’’, che ai tempi del governo del primo Ulivo si è tradotto in 5 anni di devastante pace sociale.  Si cerca di sollevare un grosso polverone, accusando le altre componenti di politicismo, di ‘’non guardare al processo’’: è, però, difficile rimuovere due questioni centrali: 1) la ‘’sinistra alternativa’’, se nascerà, sarà un cartello con Pdci, Verdi e sinistra Ds, 2) il Movimento non ha gradito affatto la svolta Bertinottiana, e gli stessi Disobbedienti, sui quali il partito ha appiattito l’intervento giovanile, si sono spaccati.

‘’La svolta c’è stata, ed era ora’’

L’area dell’Ernesto, una delle due aree emendatarie del V Congresso, interpreta la nuova linea come una svolta positiva, all’insegna del realismo politico, conforme a quanto da loro sostenuto negli emendamenti. La critica si è pertanto concentrata sul metodo, sulla gestione poco democratica e collegiale. Una delle conseguenze che ne traggono è la ‘’disarticolazione della precedente maggioranza congressuale’’, che, fuor di poesia, significa: ‘’l’area di Erre esce dalla maggioranza ed entriamo noi’’.  Riguardo la linea politica le precisazioni di Grassi, Pegolo e altri sono relative a un riaggiustamento nel rapporto coi movimenti (recuperare credibilità nel movimento sindacale e nei Girotondi) e coi Ds, che hanno mostrato maggiore vitalità di quanto si pensasse. Si deve partire dalla necessità di rimuovere il governo Berlusconi per formulare un programma minimo e procedere nel confronto programmatico con l’Ulivo.  I richiami al consolidamento del partito, alla salvaguardia dell’identità comunista, la polemica su diversi fronti, si accompagnano con una linea governista del tutto simile a quella bertinottiana. L’appello ai ‘’paletti’’ da fissare è privo di realismo, tanto che nessuno riesce a individuare dei paletti tali da conciliare le nostre esigenze con quelle dell’Ulivo. Che cosa farebbe un governo Ulivo+Prc delle truppe all’estero? E nel caso di una guerra sotto l’egida della NATO o dell’ONU? E sulle pensioni, la flessibilità, le riforme istituzionali? E’ chiaro che l’unica via all’accordo è quella della segreteria: un accordo basato sullo scambio tra sopravvivenza del Prc (con magari alcune piccole concessioni da giocare sul piano simbolico, come per esempio il reddito di cittadinanza in versione Campana) e condivisione dell’intera legislatura senza contrattualismi: altro che paletti!

Un’estremizzazione delle argomentazioni dell’area dell’Ernesto viene dagli altri emendatari, quei ‘’riformisti padani’’ che forse solo pochi, oltre ai lombardi, hanno l’onore di conoscere. Questi compagni parlano di allarme per la democrazia: il paese corre seri pericoli e l’accordo va fatto a qualunque costo. Una gestione autoritaria e dissennata ha, nell’ultimo periodo, portato il partito sull’orlo della dissoluzione. A questi compagni (a cui bisogna riconoscere che avrebbero fatto l’accordo anche per le politiche del 2001) sarebbe il caso di ricordare che cosa ha prodotto l’Ulivo in termini istituzionali e di ‘’tenuta democratica’’. Anzitutto l’attuale sistema elettorale, fratello di quello che garantì la maggioranza assoluta a Mussolini, tuttora strenuamente difeso. Poi la guerra nei Balcani, la gestione dell’informazione in tempo di guerra, l’orgoglio di D’Alema per il tricolore che sventolava fuori dal suolo patrio (si veda il suo libro), la repressione in piazza Plebiscito, le leggi per la ‘’sicurezza’’ realizzate da Diliberto, la promozione dei carabinieri a IV corpo d’armata, la ‘’detenzione amministrativa’’ per gli immigrati, la consegna di Ochalan ai suoi carnefici, le modifiche alla Costituzione a colpi di maggioranza. Noi, solitamente, insistiamo molto sul Pacchetto Treu, ma in termini di democrazia l’Ulivo ha prodotto altrettante porcherie: un regime strisciante sul quale nessuno sembra intenzionato a fare qualche passo indietro. La tendenza verso la ‘’democrazia autoritaria’’ è diffusa in tutti i paesi imperialisti. L’ideale dell’Ulivo sarebbe probabilmente la Gran Bretagna: esecutivo forte + pluralismo (chiaramente limitato). Il governo Berlusconi, su questo terreno come su altri, procede per strappi, anteponendo i propri interessi particolari a quelli generali della borghesia. Non abbiamo mai ritenuto indifferente essere governati da Polo o Ulivo, ma non ci pare che la scelta oggi sia tra fascismo e democrazia.

 

‘’La priorità è il movimento, e quindi…ci asteniamo!’’

L’area Erre è sottoposta a fortissime tensioni. Dopo avere rivendicato lo ‘’spostamento a sinistra’’ di Bertinotti come un proprio grande successo, questa ‘’minoranza della maggioranza della maggioranza’’ (come suggerisce il gioco di scatole cinesi della maggioranza congressuale) dovrebbe ammettere il fallimento. Invece pare essersi orientata verso una gestione creativa della situazione: si astiene, per lo più, ma producendo documenti di astensione (l’innovazione nella politica…), oppure vota contro, ma accetta due delegati con mandato imperativo al congresso del Partito della Sinistra Europea. Inizialmente il tentativo era quello di sostenere la necessità di coinvolgere il Movimento nella discussione sull’eventuale accordo di governo.  Naturalmente invitare il Movimento al tavolo di Treu, Rutelli e D’Alema non si presentava come un’idea particolarmente di sinistra e dotata di un particolare fascino. La seconda linea di difesa era rappresentata dal sostenere la necessità di una conferenza programmatica (naturalmente non per delegati!), e di giustificare le proprie astensioni apprezzando l’impegno del segretario in tal senso. Probabilmente una conferenza programmatica, forse non sulla svolta, solo sul programma per le Europee, si farà: ma in questa situazione è difficile spacciarla come una grande vittoria. Erre è sempre più stretta tra la volontà di restare in maggioranza e la difficoltà nel trovare un barlume di coerenza con quanto sosteneva fino a pochi mesi orsono: tutte le tecniche indiane di contorsione apprese a Mumbai le torneranno utili nella prossima fase.

 

‘’No alla svolta, no o ni al congresso straordinario’’

L’area di Falce Martello, al pari dell’area dell’Ernesto prende sul serio il dibattito politico culturale degli ultimi mesi e mostra una grande preoccupazione per la tenuta organizzativa del partito. A parte l’evidente difficoltà nel continuare a sostenere la posizione sul carattere socialdemocratico dei DS (che pare caduta nel dimenticatoio), le loro argomentazioni sono spesso condivisibili. Il problema è che sembrano ignorare la ricaduta politica dei vari dibattiti: accreditarsi presso i settori centristi della borghesia come nonviolenti, estimatori della religione cattolica: dei ‘’comunisti liberali’’ (secondo la definizione data da Bertinotti al Dalai Lama), è un una delle stazioni del rosario che porta al governo del paese. Secondo Falce Martello il partito sarebbe ormai troppo debole per offrire alla borghesia il gradito servizio del controllo sui movimenti, pertanto la svolta sarebbe solo una questione di nefaste scelte soggettive di dirigenti confusi o irrimediabilmente destri. La difficoltà di quest’area, che vede in crisi anche il proprio rapporto politico con l’area dell’Ernesto, la cui adesione alla politica interna bertinottiana non è più occultabile, emerge anche da alcune evidenti cadute di tono, come l’accusarci di essere un’opposizione amica della maggioranza, quando siamo gli unici ad avere denunciato in tempi non sospetti fin dove si sarebbe spinto Bertinotti e a chiedere un congresso anticipato. Richiesta alla quale pare di capire che, molto tardivamente, si accodi anche Falce Martello, come traspare significativamente solo dalle ultime parole dell’intervento del compagno Giardiello all’ultimo CPN.

 

In conclusione: congresso straordinario per sconfiggere la svolta

Ho provato ad esaminare i vari argomenti agitati nel dibattito sulla svolta. Davanti a una tale girandola è necessario mantenere saldi alcuni punti: 1) l’argomento degli argomenti della maggioranza resta sempre la necessità dell’accordo ‘’perché il nostro popolo ce lo chiede’’. I comunisti, secondo questa idea, non avrebbero un ruolo di avanguardia, ma di retroguardia: sarebbero gli umori del proprio referente sociale a dettare la linea politica.  La debolezza di questo argomento risiede nel fatto che si dà ragione a posteriori a chi, come Cossutta, ci chiedeva di fare l’accordo nel 2001. Non era forse prevedibile allora il carattere di un governo Fi-Lega-An?, 2) Molti compagni seguono distrattamente il dibattito e quindi non rilevano l’incoerenza di gran parte delle argomentazioni dei dirigenti del partito. La situazione è sempre più paradossale: il re è nudo, ma molti non lo vedono, o fingono di non vederlo, o se ne disinteressano. Noi dobbiamo continuare la nostra denuncia e rivendicare, per esempio, che ci vengano comunicati gli esiti della consultazione politica tenutasi in autunno e insabbiata: i militanti del Prc non meritano di essere presi così impunemente in giro, 3) già durante il V Congresso avevamo denunciato il carattere strumentale della cosiddetta svolta a sinistra come tentativo di fare leva sul movimento per ricontrattare un accordo con l’Ulivo. Oggi dobbiamo evitare di cadere nella trappola del ‘’dibattito a tutto campo’’ e della mera denuncia della ‘’tenuta del partito’’: dobbiamo sempre mettere in relazione i contenuti del dibattito e la debolezza dell’organizzazione con la collocazione di classe del partito. Un partito leggero che rompe con la tradizione comunista è l’ideale per governare con la borghesia. Un partito organizzato, con una vera democrazia interna e con un saldo ancoraggio marxista che cosa dovrebbe stare a fare nel governo Prodi 2, fautore del neo imperialismo europeo?