Venezuela : il collasso del golpe dei gorilla

 

di Jorge Altamira

   

Dopo 62 giorni di serrata padronale e di sistematico sabotaggio della produzione petroliera, i golpisti venezuelani hanno deciso di seguire una vecchia raccomandazione nordamericana per le battaglie definitivamente perse: dichiarare vittoria e abbandonare la scena. Infatti, dopo aver elencato i successi della serrata, le grandi organizzazioni padronali del Venezuela hanno battuto in ritirata, circondate dal discredito, dal fallimento e pure del disfattismo. Una pubblicazione a circolazione limitata, che riflette le opinioni dei grandi gruppi monopolistici, ha riassunto il disastro nel modo seguente: ‘’In poche parole il blocco è restato molto distante dalle aspettative, e sembra avere indebolito più che rafforzato la capacità della società di difendere la democrazia (sic). Hugo Chávez probabilmente non riesce a credere alla fortuna che ha avuto: i suoi oppositori non riescono a liberarsi da una strategia che li indebolisce sempre di più’’ (VenEconomía semanal, 29/1). Nei giorni antecedenti alla sospensione della serrata gli editorialisti dei giornali (tutti oppositori del governo) rivaleggiavano nell’attribuire il fallimento del sabotaggio ai dirigenti ufficiali della Coordinadora Democratica o ad alcune sue frazioni.

Il campo dei gorilla è, al momento, pura confusione e dispersione.

 

 

Il ruolo della classe operaia

Il fallimento della serrata ha approfondito la situazione rivoluzionaria esistente in Venezuela, per il fatto che ha esasperato la bancarotta che già si stava preparando e che ha accelerato la mobilitazione popolare in quantità e qualità. Nonostante la tolleranza del governo con le manifestazioni degli oppositori, fino al punto di non convocare nessuna mobilitazione popolare in più di due mesi, il raduno chavista del 23 gennaio è stato di massa, e soprattutto ha rispecchiato la disposizione alla lotta dei settori più poveri e oppressi, specialmente a Caracas. La cosa più importante è il ruolo giocato da importanti settori della classe operaia nel compito di fare fallire la serrata padronale. Il proletariato ha forzato il funzionamento della grande industria pesante nel sud del paese, nella città industriale di Valencia, i sindacati di classe hanno mantenuto una mobilitazione costante contro le chiusure. Nella raffineria e nella petrolchimica di Puerto La Cruz il 95% dei lavoratori ha contribuito a lavorare e ha mantenuto la produzione al 65-70% del suo livello attuale (700.000 barili giornalieri), nonostante che i dirigenti avessero aderito per il 70% al blocco. I lavoratori sono giunti alla conclusione che ‘’si è infranto il mito che solo una elite ben preparata può governare un’impresa’’ (Punto de Vista, 1/2003). I dirigenti dell’organizzazione classista La Jornada hanno dichiarato allo stesso giornale: ‘’impedendo la paralisi della raffineria abbiamo salvato il governo Chávez da una caduta sicura’’. Gli operai di Puerto La Cruz avevano sofferto in passato la repressione di Chávez quando si opposero alla privatizzazione parziale dell’industria di fertilizzanti Fenitro. Siamo cioè di fronte a un settore operaio con un’elevata indipendenza politica dallo stato capitalista

 

 

L’esercito e la crisi dall’alto

In secondo luogo rispetto al rapporto con gli operai e il popolo, il fallimento del blocco ha obbedito ad altri due fattori importanti. Il primo è il ruolo dell’esercito, che è intervenuto per affrontare il sabotaggio dell’industria e del petrolio

Il primo è il ruolo dell’esercito, che è intervenuto per impedire il sabotaggio nell’industria e nella produzione petrolifera, in particolare anche contro due grandi gruppi che accaparravano alimenti e bevande. In molte caserme ci sono riunioni nelle quali si discute senza censure della situazione politica. Dopo il fallito golpe del 11-14 aprile dell’anno scorso le forze armate sono state depurate dei gorilla reazionari. In ogni caso la posizione dei militari riflette un fenomeno più profondo, cioè che non è possibile esercitare un ruolo di arbitro tra l’imperialismo e le masse, impedendo così la guerra civile, se non appoggiandosi al popolo per contenere gli estremisti fascisti dell’opposizione padronale. Questo si riflette negli scontri che l’esercito si vede obbligato a sostenere con la guardia metropolitana di Caracas, che è comandata da un intendente dei gorilla, Peña.

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L’altro fattore che ha contribuito al fallimento della serrata è stato la divisione dei golpisti, poiché, dietro una maggioranza instabile che persegue la rimozione costituzionale di Chavez, si muove un settore pinochettista che ritiene che lo scontro di classe si sia spinto troppo in là perché sia possibile una soluzione elettorale. E’ per questo che una gran parte dell’industria, del commercio e dei servizi non è stata colpita: non sono mancati gli alimenti, né i trasporti, né l’elettricità. L’imprevisto prolungarsi della serrata ha finito per colpire mortalmente parte della borghesia golpista, al punto che si stima che ha provocato il fallimento del 30% delle imprese. Il colmo è che il governo Bush avrebbe potuto appoggiare una serrata breve e dall’esito certo, ma non il suo indefinito prolungamento, perché compromette il rifornimento di petrolio in vista della guerra contro l’Iraq. Si è pertanto verificato il paradosso che mentre il ‘’castro-comunista’’ Chavez aveva firmato un accordo che garantiva il rifornimento di petrolio per 20 anni, i ‘’liberi imprenditori’’ dell’opposizione facevano una serrata che avrebbe potuto determinare una grande scarsità di petrolio in tempo di guerra.

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Situazione rivoluzionaria

Il fallimento della serrata ha messo a nudo una situazione straordinariamente rivoluzionaria. Da un lato la classe dominante sabota attivamente il proprio stato, lasciando le forze armate e lo stesso Chavez come unici arbitri, ma nelle condizioni precarie di chi non è sostenuto dalla classe che monopolizza le risorse materiali del paese. Dall’altro lato le masse si sono mobilitate a difesa di uno stato che non è il loro, col risultato di non ottenere alcun beneficio rilevante e nessun miglioramento sostanziale del proprio livello di vita. Inoltre lo hanno fatto coi loro metodi, cosa che mina la stabilità e le prospettive di questo stato. Lo dimostra il fatto straordinario che non solo tra gli operai e i sindacati classisti, ma anche in buona parte dei ministeri, il tema del giorno è il controllo operaio, nella prospettiva che nei prossimi giorni possano fallire massicciamente le imprese e per il motivo che senza il controllo operaio non sarebbe possibile normalizzare l’attività della PDVSA, l’impresa petrolifera statale, quarta produttrice mondiale, a causa della diserzione dei dirigenti legati ai monopoli internazionali.

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Il collasso economico ha spinto il governo a stabilire il controllo dei cambi, giustificandolo con la necessità di preservare le riserve e per non aumentare i salari come conseguenza di una svalutazione. Questo dimostra il carattere conservatore del chavismo di fronte alla crisi, perché in Venezuela una gran parte del popolo non arriva a un dollaro al giorno e perché un aumento dei salari sarebbe un potente fattore di mobilitazione.

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Controllo operaio

Il controllo operaio viene ufficialmente discusso nei termini di ‘’autogestione’’: gli operai acquisirebbero le imprese fallite col monte salari non pagato e le rimetterebbero in funzione. Sarebbe una forma di riscatto parziale o totale dal capitale privato. Anche con questa formula l’autogestione richiederebbe una nazionalizzazione delle banche, con la quale le imprese passerebbero a girare attorno a un piano finanziario unico. Il controllo operaio delle imprese in crisi, tuttavia, lascerebbe insoluto il problema di fondo, che è il controllo operaio della PDVSA. Il sabotaggio del 90% dei dirigenti non lascia altre alternative: o il controllo operaio o il reinserimento di gran parte dei sabotatori. Il destino della questione petrolifera gira attorno al controllo operaio.

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Il controllo operaio dell’industria e della PDVSA, cioè l’elezione di comitati di controllo da parte delle assemblee operaie, è incompatibile col regime politico attuale. Il chavismo è un nazionalismo petrolifero limitato, che cerca di appropriarsi della rendita differenziale derivante dalla produzione di petrolio, con obiettivi ambigui di industrializzazione e ridistribuzione di redditi. Paradossalmente la nazionalizzazione del petrolio del 1976 e l’inserimento del Venezuela nell’OPEC hanno prodotto l’effetto contrario, il deflusso all’estero della rendita petrolifera, a partire dall’autonomizzazione politica della PDVSA: al posto dello sviluppo industriale sprechi e corruzione. In un certo senso il chavismo vuole tornare alla situazione pre-nazionalizzazione, e per questo ha lanciato ‘’l’apertura del petrolio e del gas’’, trasferendo però il controllo della PDVSA al ministero degli idrocarburi, con un proposito meno radicale di quello del 1976. Anche tra settori chavisti si sospetta che la divisione della PDVSA in un ramo occidentale e uno orientale sarebbe una manovra per scavalcare la disposizione costituzionale che proibisce la privatizzazione dell’organismo centrale, ma non delle sue filiali. Il problema del limitato nazionalismo chavista è che anche così si scontra con l’offensiva capitalistica internazionale per sottrarre il controllo del petrolio a tutti gli stati nazionali. C’è una forte crisi su questo punto in Messico e in Arabia Saudita, ed è la causa ultima della guerra in Iraq.

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Il movimento popolare è chavista e anche tra i settori rivoluzionari predomina la tendenza a ‘’fare pressioni su Chavez’’. Non esiste cioè una delimitazione politica dal nazionalismo borghese, piccolo borghese o militare, nonostante una lunga storia di fallimenti e di capitolazioni del nazionalismo latinoamericano. Le rivendicazioni attuali non devono avere come obiettivo strategico la pressione sul chavismo, ma la formazione di un’avanguardia operaia e di un partito operaio rivoluzionario.

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A partire dal controllo operaio, e pertanto dall’occupazione delle imprese, si svilupperà un dualismo di poteri, non solo rispetto alla borghesia cospiratrice, ma anche nei confronti dello stesso governo.

 

La rivoluzione venezuelana e i suoi ‘’amici’’

Il fallimento della serrata golpista ha spinto i gorilla a depositare tutte le loro speranze nel ‘’gruppo degli amici’’ formato da Lula e Bush e nella mediazione di Jimmy Carter, che è amico personale del capo in testa dei gorilla, Gustavo Cisneros, padrone dei mezzi di comunicazione e delle principali imprese e pure sospettato di essere un narcotrafficante. Gli ‘’amici’’ si sono trasformati nel principale pericolo, al momento, per la rivoluzione. La loro principale esigenza è rimettere a posto i dirigenti sabotatori della PDVSA. Tutto il resto è subordinato a questo punto. Naturalmente la bancarotta economica può paralizzare il governo, demoralizzare le masse e offrire nuove opportunità alla reazione. La fine della serrata ha rotto l’equilibrio instabile precedente e trascinato la società verso una crisi rivoluzionaria.

Rivoluzione in Venezuela? In realtà no. Non l’ha iniziata Chávez, lui è solo una tappa della rivoluzione. Nel febbraio 1989, col "Caracazo" che si contrappose al brutale piano di aggiustamento del governo di Carlos Andrés Pérez; con il sollevamento popolare del febbraio 1992, capitanato da Chavéz; col golpe nazionalista sconfitto nel novembre dello stesso anno, con la mobilitazione rivoluzionaria che sconfisse il golpe contro Chávez nell’aprile 2002; con la lotta che ha fatto fallire la serrata oligarchica, il popolo e la nazione venezuelana sono entrate in una fase di convulsioni rivoluzionarie che hanno insegnato molto alle masse. La situazione attuale esprime la maturazione di tutto questo periodo e, naturalmente, lo straordinario aggravarsi della situazione mondiale. La questione è sempre la stessa: la delimitazione socialista del nazionalismo borghese nella lotta nazionale contro l’imperialismo e la preparazione politica del proletariato affinché prenda il potere nelle sue mani.

 

 

Traduzione di Alberto Airoldi

 

(Il testo qui tradotto è stato ridotto in alcuni passaggi -indicati dalla parentesi coi tre puntini- per ragioni di spazio. La versione integrale in lingua originale è reperibile sul giornale del Partido Obrero di Argentina, Prensa Obrera, n. 789, del 7 febbraio 2003).