Il 14 dicembre 2002 a Bologna si è svolta l’assemblea
nazionale dei call-center per una piattaforma di lotta contro il lavoro
precario. All’assemblea hanno partecipato alcuni delegati sindacali (Slc,
Nidil, Cub, Snater, Fiom-Cgil, Uil-Com) ed alcuni lavoratori precari ed a tempo
indeterminato di alcune delle principali aziende della cosiddetta new economy:
Tim, Vodafone Omnitel, Atesia.
Il dibattito si è concentrato sulle figure lavorative e
sulle condizioni, che pur nella loro diversità, affliggono e colpiscono le
nuove generazioni di lavoratori. Tali diversità riguardano non solo le
distinzioni salariali e di diritti sindacali all’interno delle stesse aziende
tra lavoratori full-time, part-time, interinali ma anche la differenza di
gestione da parte delle varie aziende, le quali comunque hanno come scopo
principale e comune quello di fare profitto con il customer care (cura del
cliente) attraverso lo sfruttamento dei lavoratori. Si tratta spesso di svolgere
il proprio lavoro in un reparto di frontiera dove occorre “un uomo-macchina”
capace di conversare con il cliente, interloquire e capire i suoi problemi nel
minor tempo possibile. La maggior parte dei lavoratori sono universitari che,
costretti a mantenersi per pagare gli studi, svolgono questi lavori con salari
molto bassi e con pochi diritti sindacali.
Esaminando alcuni dati, soprattutto della Tim, si può
osservare come i lavoratori interinali vengano utilizzati come merce di scambio:
assunti, sfruttati e poi licenziati. Dal 1998 ad oggi su circa 6400 interinali
assunti quasi 5300 hanno “interrotto” la collaborazione lavorativa in
azienda. A Bologna sono stati fatti 960 contratti, di cui solo 111 trasformati a
tempo indeterminato. Il ricambio di lavoratori legato ai licenziamenti è
preventivato dall’azienda, la quale può far ricorso all’“esternalizzazione”:
si appalta a ditte terze il lavoro da svolgere per conto di Tim, Wind e Vodafone
Omnitel. In quest’ottica s’inserisce la storia di Atesia, che in tre anni ha
visto aumentare i suoi addetti dai 3000 ai 6000 e di conseguenza anche i suoi
profitti. A fianco di questi colossi dell’esternalizzazione vi sono realtà più
piccole strutturalmente ma non dal punto di vista dello sfruttamento; si tratta
di migliaia di micro call-center, sparsi per tutto il territorio nazionale, con
non più di 10 lavoratori che svolgono le loro mansioni all’interno di veri e
propri sgabuzzini. Le aziende, nella maggior parte dei call-center, attuano un
bombardamento psicologico e sociale attraverso l’indottrinamento dei
lavoratori facendo creder loro d’essere membri della grande famiglia
aziendale: con questa finalità vengono organizzati degli appositi corsi che in
Tim per esempio vengono chiamati Fish.
Negli ultimi anni i lavoratori precari stanno cominciando
un percorso di lotta attraverso scioperi, mobilitazioni, assemblee e vertenze
sindacali. A tal proposito va ricordato che in una sentenza datata 16 aprile
2002 il tribunale di Bologna ha espresso l’atteggiamento antisindacale di Tim
nei confronti dei lavoratori. La lotta deve riprendere in tutti i call-center,
bisogna mettere in discussione e non migliorare, come sostengono i sindacati, il
lavoro interinale e atipico che proprio le confederazioni sindacali e
Confindustria hanno inventato. Vi è la necessità, secondo i lavoratori, di
agire fuori delle sigle sindacali e puntare invece alla nascita di comitati
spontanei, con piattaforme su tutto il lavoro precario e con una carta dei
diritti dei lavoratori. E’ necessario inoltre il ritiro della legge sul
precetto, questo in quanto chi ha scritto tale legge ha inserito i call-center
come servizi di pubblica utilità. La realtà è ben diversa perché, più che
fare servizio pubblico attraverso outsourcing, si fa prevalentemente vendita e
pubblicità. Se a tutto questo si aggiunge che attraverso i subappalti e le
esternalizzazioni l’impatto di uno sciopero può essere annullato tramite la
deviazione delle chiamate, gestite da altri lavoratori ignari della situazione,
si può ben capire la situazione di sfruttamento del fattore umano.
L’assemblea di dicembre si è conclusa con la proposta
di un coordinamento orizzontale che miri al sostegno e alla partecipazione di
tutti i lavoratori dei call-center per ogni iniziativa di lotta intrapresa
all’interno di una sola azienda. Per questo, compatibilmente con le esigenze
del momento attuale, segnato dalla guerra e da mobilitazioni ovviamente centrate
sull’opposizione al conflitto bellico, è necessario convocare al più presto
un’altra assemblea nazionale. La partecipazione attiva dei comunisti a questi
incontri è estremamente importante: occorre lavorare affinché i lavoratori,
precari e non, nel rifiuto di qualsiasi ipotesi concertativa, si dotino di una
piattaforma rivendicativa che – a partire dall’abolizione del pacchetto Treu,
dall’assunzione a tempo indeterminato di tutti i precari, dal ritiro di tutte
le leggi funzionali allo sfruttamento selvaggio – sia in grado di prospettare
una messa in discussione del sistema capitalistico nel suo complesso.