I primi cento giorni di Lula.

I primi passi di un governo di collaborazione di classe neoliberale

 

di Franco Grisolia

 

Nei primi giorni di marzo le agenzie di stampa internazionali e i media più attenti hanno segnalato che l'importantissimo movimento dei lavoratori agricoli senza terra -i "sem terra"- (MST) ha dichiarato finita la tregua che aveva proclamato rispetto al nuovo governo di Luiz Ignacio "Lula" da Silva. Dirigenti dei contadini hanno detto che terre improduttive e altre di proprietà del governo sono state occupate perché "Abbiamo atteso abbastanza che il nuovo governo prendesse azioni concrete in favore della riforma agraria. Il periodo dell'attesa è finito" (così Joao Paulo Rodrigues, uno dei dirigenti del MST), annunciando anche che la presente serie di occupazioni sono solo il preannuncio di una più ampia campagna che partirà nel prossimo mese di aprile. Come aggiunge l'Associated Press, "Ma il ministro dello sviluppo agrario, Miguel Rossetto, ha criticato gli occupanti, dicendo che il governo sta lavorando per realizzare un pacifico processo di redistribuzione delle terre". In una nota del suo ministero ha dichiarato che l'azione dei sem terra "oltrepassa i limiti democratici del diritto di manifestazione".

Che il governo Lula si opponga allo sviluppo reale di una riforma agraria portata avanti da quel MST che ha avuto un ruolo significativo nel creare le condizioni sociali per la vittoria elettorale dell'ex sindacalista operaio, la dice di per sé lunga sulla sua natura. Tanto più che la riforma agraria preconizzata dal MST è, in definitiva, modesta. A differenza di esperienze del passato, realizzate non solo in situazioni rivoluzionarie, ma anche da regimi borghesi o piccolo borghesi radicali, il MST non rivendica l'esproprio generalizzato dei latifondi e la loro redistribuzione a chi li lavora o la loro riorganizzazione in forma collettiva, ma solo l'allargamento degli espropri (anche con indennizzo) di terre lasciate improduttive dai proprietari terrieri e di terre demaniali, per assegnarle progressivamente alla famiglie contadine senza terra. E purtuttavia anche questo modesto programma di riforma è troppo per il governo Lula e per il suo ministro "di sinistra" Rossetto (1). Quello che intendono realizzare è una "riforma" concordata con i proprietari terrieri che ne salvaguardi pienamente gli interessi. Cosa possa nascere dalla collaborazione con il settore sociale più reazionario della società brasiliana, colpevoli di innumerevoli massacri, anche recenti, ai danni di contadini o operai agricoli in lotta lo si può chiaramente comprendere.

Questa vergognosa politica non è certamente limitata al terreno della riforma agraria ma si estende all'insieme della politica del nuovo governo, totalmente in continuità con quella neoliberale del governo precedente di Ferdinando Henrique Cardoso. Del resto questo era stato affermato apertamente da Lula prima della sua elezione, tra l'altro in una intervista, in cui alla domanda se avrebbe rotto con le politiche economiche di Cardoso Lula aveva risposto testualmente: "Preferirei che Dio mi facesse morire"(sic). Ripetute affermazioni di questo tipo e il programma avanzato per la campagna elettorale hanno fatto sì che Lula ricevesse il sostegno aperto di vasti settori della borghesia e di politici del centro-destra. In primo luogo ciò si è materializzato nella presenza al fianco di Lula del vice-presidente Josè Alençar, grande industriale tessile (11 fabbriche con 15.000 dipendenti, sottopagati e limitati nei diritti sindacali), principale dirigente del piccolo Partito Liberale (centro), che fa parte organica della coalizione governativa di Lula. Ma si è espresso anche nel sostegno, a partire dal primo turno elettorale, di vari importanti politici della destra più reazionaria, inclusi due ex ministri dei governi dell'epoca della dittatura militare. Uno di questi due gentiluomini, che amministrava l'economia nei tempi sanguinosi dei generali golpisti, oggi deputato di destra nel parlamento federale, Delfim Neto, ha spiegato così il suo sostegno a Lula: "Fino a poco tempo fa il Partito dei Lavoratori aveva forti riserve rispetto al mercato, esattamente come il Partito Socialdemocratico Tedesco fino al Manifesto di Bad Godesberg (1959) e il Partito Laburista inglese fino alla riunione di Westminster Hall (1995), quando ritirarono dal loro programma tutti i rimasugli di marxismo che lo infettavano. Nel suo ultimo programma il PT ha seguito lo stesso cammino. E nella "Lettera al Popolo Brasiliano" il signor Luiz Inazio Lula da Silva, ha riaffermato i meccanismi di mercato per la amministrazione economica." E analoghe sono state le valutazioni che sempre più chiaramente avanzavano rispetto all'assunzione del governo da parte di Lula i mercati finanziari, il FMI (con cui Lula ha stabilito accordi precisi subito dopo la sua elezione e prima di entrare in carica) e la stessa amministrazione USA. La vera e propria ovazione con cui Lula è stato accolto al forum internazionale economico di Davos a fine gennaio ne è stata la conferma.

Che questa triste realtà potesse non essere evidente alle larghe masse (come quasi sempre purtroppo accade, in assenza di una alternativa rivoluzionaria di massa) in una situazione dominata da grande volontà di cambiamento è una cosa; che non fosse chiara a militanti politici sperimentati è un'altra. Per questi si tratta o di un'autoabbaglio colossale, che dimostra (per quei pochi così motivati nella loro valutazione politica) una incapacità di analisi totale o, per la grande maggioranza di chi ha cercato di negare l'evidente, cioè il carattere borghese del programma di Lula, di un adattamento reale a una prospettiva di collaborazione di classe, si mascheri pure con il contemporaneo fasullo e sempre più debole richiamo ai lavoratori, al "marxismo" o al "trotskismo", come nel caso dei neo-riformisti di Democrazia Socialista.

Lula è stato di una coerenza cristallina col suo programma borghese, anzi, per il momento, è andato oltre alle peggiori aspettative. (Il presidente del Fondo Monetario Internazionale interrogato poche settimane fa ha dichiarato che il politico mondiale che lo ha più impressionato positivamente per il rigore della sua azione è Lula.).

Il problema centrale della politica economica per il Brasile attualmente è, come per la maggior parte dei Paesi dipendenti e per l'America Latina in generale, quello del debito. Debito che strangola ogni possibile sviluppo sociale del Paese. Lungi dal porre in questione questo debito "usurario", tutta la politica economica di Lula è stato orientata a garantirne il pagamento ai grandi centri finanziari internazionali, drenando risorse dall'impoverita società brasiliana.

Ecco quindi spiegate le principali prime misure del governo.

In primo luogo Lula ha voluto garantire i mercati indipendentizzando la Banca Centrale rispetto al governo e affidandola all'appena pensionato ex Presidente mondiale della Boston Bank (tra l'altro una delle grandi creditrici del Brasile), che avrà quindi ampia libertà di manovra. Ha provveduto poi ad aumentare, per due volte, il tasso primario di interesse (costo del denaro). Questo era già a livelli altissimi, cioè al 23,5% (se si pensa che in Europa è al 1,25% e che scontando l'inflazione il tasso reale brasiliano restava al 13% si ha un'idea della situazione). Ebbene il nuovo governo lo ha portato prima al 25%, poi al 26%. Il PT e il sindacato avevano precedentemente giustamente denunciato, anche per bocca dell'attuale ministro dell'economia Palocci, ogni precedente aumento di tale tasso come misura recessiva, produttrice di disoccupazione, di beneficio solo per la grande finanza e antinazionale. Di fronte a queste misure appoggiate dalla destra politica hanno dovuto esprimere la loro "perplessità" ma intanto le misure sono state prese. Accanto ad esso per garantire la solvibilità rispetto al debito estero il governo ha deciso di portare dal 3,75%, previsto dal precedente governo al 4,25% del PIL l'obiettivo del surplus primario di Bilancio (cioè della quote del bilancio pubblico risparmiata per pagare il debito finanziario). Ha quindi imposto quei tagli alle quote di fiscalità destinate agli enti locali a cui il governo di Cardoso aveva dovuto rinunciare nel 2002 di fronte all'opposizione politica e sociale.

Ha ripreso poi, e questo è il grande terreno di dibattito attuale nel Paese, la proposta di riforma previdenziale del governo Cardoso. Si tratta di questo: il sistema generale pensionistico brasiliano, che vale per i lavoratori privati, dà delle pensioni da fame. I lavoratori pubblici sono riusciti a conquistare un sistema migliore, basato sugli ultimi anni di lavoro. Invece di porsi l'obbiettivo di un miglioramento per il settore privato, la proposta del governo è di livellare tutto al basso, abolendo le conquiste passate, creando un sistema basata su un reddito minimo (di "sopravvivenza") e non legato agli stipendi percepiti, aprendo nel contempo massicciamente alla previdenza integrativa privata. Tanto centrale questa riforma che l'ex ministro della Previdenza Sociale, il deputato del partito della destra reazionaria PFL (quello che deriva dai sostenitori del regime militare) ha dichiarato di "applaudire" questa misura; del tutto analoga, secondo la stampa brasiliana, a quella progettata dall'ex ministro e dal suo partito e bloccata, in passato, dal PT.

Nel contempo il governo Lula porta pienamente avanti la prospettiva di partecipazione del Brasile al progetto dell'ALCA, cioè il mercato comune delle Americhe, fortemente voluto dall'imperialismo americano. E ciò nonostante milioni di persone si siano pronunciati contro di esso in un referendum autogestito organizzato dalle forze di sinistra e dalla chiesa di base, all'epoca del governo Cardoso. Oggi il governo rifiuta di organizzare un referendum formale sulla questione, come richiesto, con ampio sostegno popolare dalla sinistra trotskista (in primo luogo Il Partito Socialista dei Lavoratori Unificato -PSTU), ben sapendo che, con ogni probabilità, la maggioranza degli elettori, e in ogni caso di quelli del PT, si pronuncerebbero contro l'ALCA.

Insomma nei suoi soli primi tre mesi il governo del PT e del suo Frente Popular, appoggiato nelle misure concrete dal centro-destra si è rivelato un governo neo-liberale in piena continuità col governo Cardoso, di cui anzi sta approfondendo l'azione (il classico "governo di sinistra per fare al meglio una politica di destra") succube del capitale finanziario e conciliativo addirittura verso i latifondisti. Non c'è nemmeno l'ombra dell'utopia keinesiana, basata sulla sviluppo della spesa statale e del consumo interno. Il progetto di Lula e del suo gruppo dirigente è quello di mantenere la fiducia dell'imperialismo e del capitale finanziario pagando regolarmente il debito grazie a tagli alla spesa sociale e alle pensioni, attirando investimenti stranieri sulla base dei bassi salari (nel solo 2002, secondo le statistiche ufficiali il salario reale dei lavoratori della regione di San paolo è diminuito del 9,4%), producendo per l'esportazione e non per il consumo interno. La classica ricetta neo liberale e della dipendenza.

Accanto a questo pochi progetti "sociali" in particolare quello "fame zero" che dovrebbe destinare "progressivamente" alle famiglie più povere razioni alimentari, programma per il cui sviluppo completo non è chiaro se ci sono i fondi. Insomma un "neoliberalismo compassionevole" e, allo stato, nulla più.

E' chiaro che la natura reazionaria della politica del governo Lula non può non rendersi sempre più evidente anche agli occhi di vasti settori di massa che avevano e, in parte hanno ancora, illusioni nei suoi confronti. Una corrispondenza del Corriere della Sera del 21 febbraio intitolata "Brasiliani delusi da Lula?" segnalava la prossimità della fine della "luna di miele" e scriveva "Si sta muovendo in economia con una cautela e un realismo tali da lasciare senza parole persino la classe dirigente che il PT ha combattuto duramente per decenni…Commentatori e umoristi hanno pane per i loro denti "abbiamo sorpreso il mondo per poi ritrovarci al governo i più fedeli esecutori dell'odiato neo- liberismo?". Più concretamente un importante sondaggio segnalava che tra l'inizio di gennaio e il 10 marzo la popolarità del governo è scesa dal 56,6% al 45%, la CUT (diretta da "lulisti") è stata costretta a lanciare la vaga minaccia di uno sciopero generale e naturalmente il fatto sociale ad oggi più importante è la rottura della tregua da parte del MST.

E' troppo presto per dire quali saranno le conseguenze sul piano della lotta di classe della politica del governo Lula. Due tendenze contraddittorie si scontrano. Da un lato una possibile demoralizzazione come conseguenza della frustrazione delle speranze di cambiamento riposte in Lula. Dall'altro la possibile comprensione, in un settore ampio di massa, della natura reale del riformismo odierno e il tentativo di costruire una prospettiva di lotta politica e sociale indipendente dal "lulismo".

Le possibilità politiche per lo sviluppo di una direzione alternativa rivoluzionaria si ampliano oggettivamente. A sinistra del PT esistono fondamentalmente due organizzazioni trotskiste: i nostri compagni del Partito della Causa Operaia (PCO) e il più grande Partito Socialista dei Lavoratori Unificato (PSTU). Nella sinistra del PT alcuni settori (che in maggior parte si richiamano anche qui al trotskismo) si stanno ponendo sul terreno di un confronto frontale col governo, come la corrente capeggiata dal deputato Babà o la senatrice dissidente di DS Heloisa Helena. Al dì la di passate e presenti divergenze pensiamo che queste forze dovrebbero porsi sul terreno della costruzione comune di un nuovo partito marxista di opposizione di classe al governo Lula e alla sua politica di subordinazione di classe. Centrale sarà anche l'atteggiamento del gruppo dirigente del MST, se cioè sceglierà di uscire finalmente dall'ambiguità politica rispetto ai riformisti, partecipando in una prima persona al processo di costruzione di una nuova forza politica.

La denuncia della realtà politica del governo Lula è di un importanza centrale per i rivoluzionari, sul piano internazionale come in Italia. Nel PRC il lulismo è indicato come un esempio di realizzazione di quella prospettiva riformatrice di "sinistra-centro" (una volta indicata nell'esperienza Jospin in Francia), vista come riferimento strategico dell'azione del Partito (salvo poi accontentarsi più banalmente, nella situazione italiana, di un più normale centrosinistra, come sta nuovamente facendo il gruppo dirigente del Partito con la sua recente "svolta" di alleanza programmatica con l'Ulivo). L'esperienza di Lula con tutte le sue specificità storiche, non esprime solo il fallimento, dal punto di vista dei lavoratori, del gruppo dirigente del PT, ma il fatto inequivocabile che nelle presenti condizioni storiche, ogni ipotesi riformista, non solo, come sempre, non offre una prospettiva, fosse pure graduale, di reale trasformazione della società; ma si esprime solo nell'applicazione, più o meno mascherata o "soft", delle stesse politiche neoliberali reazionarie delle forze borghesi di centro e di destra. E' proprio in un periodo di crisi sociale del capitalismo che risalta con più evidenza che solo un'alternativa socialista e rivoluzionaria è in grado di rispondere ai bisogni fondamentali delle masse, in Brasile come in Italia.

 

 

 Note

1) Come sanno molti nostri lettori Miguel Rossetto è uno dei principali dirigenti della corrente revisionista del trotskismo in seno al Partito dei Lavoratori brasiliano, che ha il nome di Democrazia Socialista (DS) e fa parte del cosiddetto "Segretariato Unificato della IV Internazionale" (corrente definita anche "pablista" dal nome del suo defunto iniziatore, Michel Raptis, detto Pablo) rappresentata nel nostro partito dalla corrente di "ERRE" (ex Bandiera Rossa) diretta da Livio Maitan e Franco Turigliatto.