Genova: un'esperienza di autorganizzazione

 il Coordinamento operaio dei lavoratori delle fabbriche genovesi

 

 

di Andrea Bono e Alessandro Borghi

 

 

Quando nel 2001 ci siamo ritrovati al congresso della CGIL, abbiamo cominciato quasi da subito a tentare di sviluppare i primi ragionamenti circa la ricerca di un metodo di organizzazione efficace, che ci permettesse di aggregare i lavoratori dei diversi siti produttivi presenti a Genova: ci siamo resi conto molto presto che ci stavamo addentrando in una situazione assai complessa, poiché all’interno delle stesse strutture della CGIL abbiamo potuto sperimentare quanta poca volontà ci sia nello svolgere un’azione concreta, tesa a trovare una reale coesione tra lavoratori di fabbriche diverse. Il forte burocratismo, unito ai devastanti effetti di più di un decennio di politica sindacale di concertazione, hanno generato un immobilismo diffuso all’interno delle varie strutture di categoria.

 Frequentando i “salotti” dei comitati direttivi ci siamo persuasi delle enormi distanze che separano ormai diversi funzionari dalla realtà, il più delle volte durissima, dei luoghi di lavoro. Già, i luoghi di lavoro. Questi funzionari che ridono e scherzano durante le riunioni, dimostrano spesso di aver perduto il contatto con i lavoratori, quelli che respirano polvere 10 ore al giorno in un’acciaieria o ancora, quelli che lavorano appesi ai ponteggi di una nave in costruzione, a diversi metri di altezza, soffocati dal fumo della saldatura. Noi sappiamo cos’è tutto questo. Sappiamo chi era il compagno Antonio Cappelletti, morto schiacciato dalle lamiere a 42 anni, alle acciaierie ILVA di Cornigliano (estate 2002), sappiamo chi era il compagno dei cantieri navali di Riva Trigoso deceduto all’ ospedale S. Martino dopo che il 2 Gennaio 2003 era precipitato da un ponteggio mobile di una nave in costruzione. Noi in questa realtà ci stiamo dentro ogni giorno, la realtà la vediamo.

 Abbiamo appurato, a differenza di qualche idiota che vaneggia di “fine del lavoro manuale” e di “fabbrica diffusa”, che gli operai, quelli che faticano sul serio e qualche volta di lavoro muoiono, esistono sempre, sono tanti e svolgono un ruolo assolutamente e incontestabilmente centrale nella società. Sulla base di queste verità incontrovertibili, abbiamo cominciato a lavorare, da circa due anni, alla costruzione del Coordinamento Operaio dei lavoratori delle fabbriche genovesi. Lo abbiamo fatto pensando come questo coordinamento possa divenire, nella sua evoluzione, un efficace strumento di intervento di Rifondazione Comunista nei luoghi di lavoro, troppo spesso trascurati.

Dobbiamo dire da subito, che molti compagni all’interno del PRC hanno accolto questo organismo in maniera positiva e hanno offerto la loro collaborazione, consapevoli che in un periodo di lotte e di risveglio del movimento operaio, come quello attuale, vi era la necessità di creare un’organizzazione capace di mettere insieme le lotte dei lavoratori di diversi siti produttivi, proprio allo scopo di andare in controtendenza, rispetto alla politica padronale, sempre più rivolta al progressivo frazionamento degli insediamenti industriali con l’intento evidente di rendere difficili quei fenomeni di aggregazione dei lavoratori, che hanno sempre conferito risultati positivi alle lotte operaie. Dicevamo, molti compagni del PRC ci hanno sostenuto, specie quelli che anche all’interno della CGIL si sono opposti alla politica cofferatiana di concertazione di tutti questi anni. Dobbiamo dire inoltre che, in seno al PRC, abbiamo trovato il nostro solido punto di riferimento nei compagni di Progetto Comunista e grazie a loro siamo cresciuti non solo numericamente ma soprattutto dal punto di vista politico e organizzativo. Siamo anche stati costretti a rilevare, ahinoi, che non tutti i compagni di Rifondazione (un partito comunista, quindi dei lavoratori, ricordiamolo!) hanno gioito alla rinnovata capacità di radicamento del partito nelle fabbriche. Alcuni sventurati, che evidentemente confondono il comunismo con le teorie ridicole e squallide di Toni Negri, ci hanno accusato di settarismo e altre sciocchezze, “dimenticando” che il consenso dei lavoratori verso il partito nelle fabbriche dove operiamo è in crescita. Ciò evidenzia che ogni accusa nei nostri confronti è priva di fondamento.

A qualcuno rode che i giovani quadri comunisti si formino con i testi di Marx, Engels, Trotsky e Lenin o Gramsci (come si conviene ai veri comunisti) piuttosto che con libri dal sapore romanzesco e fantascientifico come “L’Impero” (di quel buontempone di Toni Negri) e “No Logo”.

Noi del Coordinamento Operaio non siamo attratti da ideologie anarcoidi fondate su un fantomatico “spontaneismo delle masse” o sulla presenza di un movimento eterogeneo composto da presunte "moltitudini" caratterizzate dall’interclassismo (ennesima invenzione quanto mai bizzarra). Noi restiamo ancorati saldamente alla realtà, una realtà incentrata nella lotta di classe tra i capitalisti e i proletari. La realtà verificabile ogni giorno dentro una fabbrica. Noi quindi non cadiamo nella tentazione dell’anarchismo e nel collaborazionismo di classe come certi compagni o presunti tali. Fa abbastanza sorridere, il fatto che costoro mascherino le loro teorie, di antica e fallimentare memoria, con un alone di nuovismo.

Da quando è cominciata la grande battaglia dei lavoratori in difesa dell’Articolo 18 abbiamo sostenuto "senza se e senza ma" la lotta operaia mettendo in chiaro da subito la nostra posizione all’interno delle manifestazioni organizzate dalla CGIL ed in particolare dalla FIOM. Abbiamo aderito agli scioperi, ma abbiamo anche parallelamente sgomberato il campo da ogni dubbio circa il nostro intervento politico nel movimento operaio, un intervento fortemente caratterizzato dalla volontà di indipendenza di classe dei lavoratori nei confronti di chi ha strumentalizzato le lotte operaie esclusivamente a fini politici filo-borghesi (Cofferati per esempio).

Organizziamo assemblee operaie nei circoli, assemblee pubbliche come comitato referendario per il SI', abbiamo organizzato le fermate contro la guerra imperialista, organizziamo seminari di formazione per i quadri, pubblichiamo il Foglio Operaio, il Bollettino dei lavoratori precari, diamo il nostro apporto ai compagni argentini del Partido Obrero nella loro campagna di solidarietà alle popolazioni affamate dal FMI.

E continuiamo a crescere, malgrado qualcuno (che dice di essere comunista) si ostini ad attaccarci strumentalmente, in quanto evidentemente lontano dalle questioni del lavoro. La nostra politica, al contrario, è ben lontana dagli slogan vuoti e alla classe operaia parla di fatti concreti e di lavoro. Insomma, possiamo serenamente riaffermare che il lavoro si sta dimostrando, una volta di più, il terreno centrale e tangibile dello scontro di classe e di costruzione di un progetto comunista.