Autodeterminazione femminile e lotta al capitale

 

di Mariapia Gigli e Eleonora Mazzucco

 

Il legame tra oppressione delle donne e sfruttamento di classe nella società capitalistica rende inscindibile la lotta per la liberazione della donna dalla lotta di classe. L’autorità ed il potere che gli uomini si sono dati nel corso della storia sono parte integrante dell’ordine economico capitalistico. Il capitale per riaffermare la sua egemonia ha necessità di creare divisioni e differenze all'interno della classe sfruttata; in questo senso la divisione uomo-donna viene alimentata dal capitale come elemento fondamentale per la propria vitalità, creando una ricattabilità della classe sia a livello economico sia a livello della riproduzione della vita stessa. È compito quindi delle donne proletarie, portatrici di una specifica oppressione all’interno della classe operaia, smascherare tale divisione, fuori da ogni idealistica concezione di “differenza di genere” - che rimuove il contesto economico e sociale in cui tale divisione si attua - per ricomporre un fronte di lotta che veda la liberazione della donna come terreno di egemonia.

La cosiddetta “emancipazione”, che si vuole per acquisita dalle donne, risulta, proprio in questa fase storica ed economica, una mistificazione. In particolare per le donne proletarie risulta sempre più evidente la tendenza ad un’involuzione di alcuni avanzamenti nella sfera dei diritti e delle conquiste sociali che la borghesia ha dovuto concedere in momenti di espansione, sulla spinta di lotte da parte del movimento delle donne. Nel mercato del lavoro le donne, soprattutto nelle classi proletarie, sono soggette per prime a licenziamenti, flessibilità, precarizzazione, bassi salari, e rappresentano un esercito di riserva da utilizzare all'occorrenza, come fonte di risparmio per il capitale, nell'erogazione di lavoro gratuito. Lo smantellamento dello stato sociale, le privatizzazioni dei servizi e le “politiche della famiglia”, manovre iniziate dai governi del centrosinistra e realizzate oggi dal governo Berlusconi e assai più incisivamente dagli attuali governi regionali, sono la dimostrazione di come il capitale si doti di strumenti che possano gestire a suo vantaggio l'entrata o l'uscita delle donne dalla sfera del “pubblico” a quella del “privato”.

La propaganda del capitale in tal senso passa anche sul controllo del corpo femminile, esaltando il ruolo riproduttivo, la difesa a tutti i costi della natalità e del modello di famiglia borghese. Ma proprio nell’esaltazione del ruolo di madre e di angelo del focolare le donne vengono espropriate del diritto di decidere autonomamente in materia di contraccezione, di fecondità, di maternità. Sul versante del controllo del corpo delle donne e della loro sessualità si cerca di annullare le conquiste del movimento delle donne degli anni ’70: forze clericali e conservatrici minacciano la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza e nello stesso tempo si impedisce l’uso della pillola abortiva RU486; vengono smantellati i consultori famigliari; si ricorre ad una pratica spinta di medicalizzazione del parto attraverso un abuso del cesareo.

La legge sulle tecniche di riproduzione assistita, approvata dalla Camera ed ora in discussione al Senato, col pretesto di “mettere ordine” nell’anarchia del mercato della riproduzione assistita, rappresenta un esempio di questo pesante attacco. Le tecniche di riproduzione assistita, o di riproduzione artificiale, nacquero negli anni ’70, con uno scopo puramente terapeutico. Nel corso dell’ultimo trentennio il ricorso a tali tecniche è andato sempre più aumentando, ed è uscito dall’ambito terapeutico per entrare in quello puramente edonistico e consumistico, diffondendosi così dalle coppie sterili o a rischio alle coppie che desiderano “programmare” i propri figli. Per questo si è costituito un vero e proprio mercato, con tanto di multinazionali farmaceutiche e biotecnologiche, sponsor, fondazioni scientifiche, centri medici privati ad alta tecnologia, equipe super specialistiche, il tutto sufficientemente supportato da campagne pubblicitarie che indicano il ruolo materno come unica forma di realizzazione della donna. Lo scopo è uno solo: indurre il bisogno di maternità e soddisfarlo a tutti i costi. E i “costi” in realtà sono molto alti sia in termini economici, sia in relazione alla salute della donna. Questi sono i contenuti essenziali della legge:

L’embrione viene dotato di capacità giuridica. Ciò apre la strada agli antiaboristi per giustificare la soppressione della legge 194/78 sull’interruzione volontaria della gravidanza. Inoltre, proprio in contraddizione con la 194, la “capacità giuridica” dell’embrione apre un conflitto tra donna e nascituro, conflitto nel quale è la donna ad essere perdente perché espropriata del proprio diritto di autodeterminazione. È ridotta a semplice contenitore e la sua salute fisica e psichica è relegata in secondo piano.

- L’accesso alle T.R.A. è consentito solamente alle coppie sposate e conviventi, escludendo le donne sole e le coppie omosessuali; si “legalizza” così come unica famiglia possibile quella di stampo tradizionale, magari basata sul “sacro vincolo” del matrimonio, quella famiglia dove si consumano la maggior parte delle violenze sui bambini e sulle donne.

- La produzione degli embrioni deve essere finalizzata unicamente alla procreazione: non sarà infatti possibile produrre più di 3 embrioni da impiantare tutti nell’utero della donna; si riduce così la possibilità di riuscita della tecnica e si costringe la donna a successivi cicli di trattamenti ormonali con i conseguenti rischi per la salute fisica e mentale. Nel caso in cui gli embrioni prodotti siano in numero maggiore, dovranno essere tutti impiantati nell’utero imponendo alla donne di avere più figli di quanti ne desidera. Inoltre la donna non potrà praticare l’interruzione volontaria della gravidanza, tranne nei casi in cui la gravidanza plurima potrà pregiudicare la sua salute.

- È vietato il ricorso alla fecondazione eterologa (con il seme di un donatore), il che impedirà a molte coppie di avere figli, in aperto contrasto con il fine della legge che è quello di garantire alle persone sterili la possibilità comunque di procreare.

- I medici e il personale ausiliario dei centri dove si applicano le tecniche di riproduzione assistita possono praticare obiezione di coscienza.

- Tale servizio è sottratto nei fatti al Sistema Sanitario Nazionale, dal momento che non esistono finanziamenti statali a questo scopo, lasciando così arricchire ulteriormente le cliniche e gli ambulatori privati.

Crediamo che questa legge vada contrastata perché reazionaria e permeata di ideologia clericale; perché rappresenta un profondo attacco ad alcune conquiste emancipative delle donne e rafforza il loro ruolo di subordinazione allo Stato, al mercato e alla famiglia; perché è legata ad un unico disegno politico che implica lo smantellamento della sanità pubblica, tagli ai servizi sociali, sempre più precarie condizioni di lavoro e mercificazione dei corpi e dei rapporti tra sessi.

Non ci dobbiamo limitare a rivendicare la “libertà di scelta delle donne” appellandoci alla laicità dello Stato, come fanno forze politiche sia liberali che progressiste, associazioni di “pazienti” e centri di fecondazione assistita legati ad esse. Dobbiamo impugnare la battaglia contro questa legge per smascherare il lucro e l’affare del mercato che si è costituito intorno alle tecniche di riproduzione assistita, e per imporre lo smantellamento dei centri privati e la loro riconversione in centri pubblici per la salute riproduttiva della donna, senza rifiutare le nuove acquisizioni della scienza e della tecnologia medica, ma rivendicandone il controllo da parte delle donne e della classe operaia.

Sarà necessario condurre una seria indagine prima ancora che sugli effetti, sulle cause che provocano la sterilità e l’infertilità umana, ricordando che tanta parte è provocata dall’impatto ambientale, lavorativo e sociale. Da ciò non può che scaturire una battaglia per il “rischio zero” negli ambienti lavorativi e fuori di essi, per la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario e per la totale abolizione del lavoro notturno. Va riconquistato un potere delle donne di decidere in materia di riproduzione e di salute riproduttiva, costituendo comitati di controllo per ogni consultorio e struttura pubblica in cui vengono praticate le tecniche di riproduzione assistita, l’interruzione volontaria di gravidanza, contraccezione e parto e rivendicando l’aumento delle strutture pubbliche, la loro qualificazione e l’applicazione delle tecnologie meno invasive, quali ad esempio l’uso della pillola RU 486 (pillola abortiva).

Contemporaneamente non deve cessare una battaglia per il mantenimento e la riqualificazione di tutti i servizi pubblici che supportano la vita delle donne quali asili nido e strutture per l’infanzia, assistenza domiciliare agli anziani e ai disabili, centri di aggregazione femminili per donne italiane ed extracomunitarie.Va recuperato il ruolo sociale della procreazione, affinché i figli non siano considerati proprietà della coppia e soddisfazione di un bisogno individuale ed eterodiretto. Va scardinato questo modello di famiglia che riproduce al suo interno disagi, violenze, ingiustizie e nella quale spesso si concretizza il dominio di un sesso sull’altro o di una generazione sull’altra, in maniera del tutto funzionale alla conservazione del dominio capitalistico.

Il nostro compito in questa fase di ripresa del movimento operaio e dei movimenti sociali, nei quali  nuove giovani si affacciano alla politica, è quello di costruire un intervento di classe che possa ricomporre la più vasta opposizione di massa a partire dalle donne, e che, nella lotta per obiettivi immediati, prefiguri, in una logica transitoria, l’abbattimento del capitalismo per una diversa società ed un altro potere.