L' INTERVENTO DI FABIANA STEFANONI AL VI CONGRESSO NAZIONALE

 

 

Una settimana fa Prodi, in un’intervista al Corriere della sera, ha esplicitato (cito testualmente) “la politica estera che ha in mente l’Ulivo per l’Unione e per l’Italia”. Un’intervista chiarificatrice –se ancora ci fosse bisogno di chiarificazione- di quanto il centrosinistra sia cambiato. Qualcuno nel nostro partito ha voluto vedere nel “no” parlamentare al finanziamento della missione in Iraq il segno di una svolta, di un presunto cambio di rotta nelle politiche dei liberali dell’Ulivo.

Nulla di più falso. Le parole di Prodi –che abbiamo visto dare un caloroso benvenuto a Bush- sono chiarissime:  l’Unione ritiene legittimi interventi militari “anche in forma preventiva”, magari per “offrire protezione da atti di terrorismo”.

Questo, compagne e compagni, è il linguaggio dell’imperialismo europeo, che vuole sostituire alle aggressioni unilaterali statunitensi nuove aggressioni multilaterali con il beneplacito dell’Onu. Non è un caso se Prodi –facendo eco alle dichiarazioni quotidiane dei vari D’Alema, Fassino e Rutelli- in quell’intervista rivendica la giustezza delle guerre in Kossovo, in Kwait, in Afghanistan. Non solo: negli stessi giorni in cui si pronunciava in parlamento per il no in relazione all’Iraq, il centrosinistra votava a favore del finanziamento di altre 9 missioni coloniali (tra cui l’Afghanistan, la Bosnia e l’Albania).

Basta questo per capire che la politica estera di un futuro governo Prodi sarà fatta di nuove guerre umanitarie, di nuovi massacri di civili, di nuove aggressioni imperialiste sotto le bandiere delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea.

E questo, compagni e compagne, non per uno sventurato caso né perché il centrosinistra non è abbastanza ancorato nei movimenti: la politica estera dell’Unione è una politica guerrafondaia perché è espressione degli interessi coloniali e guerrafondai del capitalismo italiano; perché è in sintonia con gli interessi dei grandi gruppi finanziari interessati alla costruzione di un polo imperialista europeo.

 

Non serve molto –basta prestare orecchio alle parole dei portavoce dell’Unione- per capire che un futuro eventuale governo Prodi sarà il governo di confindustria, un governo all’insegna della concertazione e della pace sociale. Chiediamoci, compagne e compagni, perché l’entrata del nostro partito in quel governo riceve il plauso del padronato italiano; chiediamoci perché la ricetta che Montezemolo propone per uscire dalla crisi coincide perfettamente con le dichiarazioni d’intenti dei portavoce dell’Ulivo: Montezemolo esattamente come Fassino, Rutelli e D’Alema esalta la “competititività”, le “liberalizzazioni”, l’“innovazione del mercato”.

La risposta sta nella collocazione di classe del centro dell’Ulivo che era e resta il rappresentante privilegiato degli interessi della grande borghesia italiana, perché in grado farsi ligio esecutore di politiche di smantellamento dello stato sociale, di precarizzazione del lavoro, di selvaggia privatizzazione in un clima di pace sociale. Ed è proprio perché maggioranza Ds e Margherita rappresentano gli interessi di un’altra classe che dovrebbero essere la controparte delle nostre lotte e non i nostri alleati politici né gli interlocutori per trattare impossibili programmi comuni.

 

E’ sufficiente sfogliare le pagine dei giornali per rendersi conto che non esiste compatibilità di programma possibile tra le forze liberali dell’Ulivo e un partito che voglia rappresentare gli interessi dei tanti giovani –operai, studenti, immigrati- che sono scesi in piazza in questi anni per rivendicare “un altro mondo possibile”. Fassino ci spiega che la riforma delle pensioni è essenziale e va attuata con gradualità; D’Alema ci dice che legge 30 e riforma Moratti non vanno abolite ma “ritoccate qua e là”; Rutelli si lancia in sperticati elogi alla scuola privata e sottolinea la necessità di garantirle finanziamenti pubblici; fino ad arrivare a Riccardo Illy, presidente della giunta friulana (sostenuta ahinoi anche dal Prc) che addirittura critica il governo di centrodestra per non aver attuato un piano di dismissioni di Enel, Finmeccanica, Fincantieri e Alitalia. Ma si potrebbe continuare a lungo con l’elenco delle citazioni.

Sono parole che portano il peso delle manovre e delle leggi dei passati governi di centrosinistra, che trovano continue drammatiche concretizzazioni nelle scelte politiche a livello locale, dalla privatizzazione dell’acqua in Campania ai progetti di Burlando in Liguria che annuncia la vendita ai privati del settore civile di finmeccanica. Ma, soprattutto, sono parole che anticipano le sorti del nostro partito, che rischia di cambiare radicalmente, di trovarsi catapultato dall’altra parte della barricata, a fianco dei banchieri amici di Prodi e in contrapposizione alle ragioni di classe che dovrebbe rappresentare.

Come diceva ieri il compagno di Melfi, o si sta con i padroni o si sta con gli operai. O si sta con Montezemolo o si sta con gli operai di Melfi. O si sta con Prodi o si sta con i tranvieri di Milano.

E purtroppo Rifondazione a questo congresso ha scelto di stare con Prodi e Montezemolo, contro gli operai di Melfi e contro gli autoferrotranvieri di Milano.

 

I compagni della maggioranza ci dicono che bisogna entrare in quel governo per condizionarlo: l’esperienza insegna, verrebbe da dire. Basta il triste ricordo del voto a favore al pacchetto Treu e alla Turco Napolitano per spazzare via l’illusione di poter  ottenere qualcosa di buono dall’avversario di classe. La verità è che diventeremo i complici di un governo direttamente volto ad assecondare gli interessi del grande capitale italiano, di un governo inserito nel processo di costruzione di un polo imperialista europeo. La verità è che Rifondazione cambierà radicalmente.

 

Del resto Rifondazione Comunista ha cominciato a cambiare nel momento in cui sono state avviate le trattative con l’Ulivo: bizzarre teorizzazioni di una presunta spirale guerra-terrorismo, l’elogio della nonviolenza sempre e comunque funzionale ad acquistare credibilità agli occhi del padronato italiano, l’adesione al partito della sinistra europea fino al rilancio delle alleanze a livello regionale con le aperture ai radicali e il sostegno incondizionato ai rappresentanti del capitalismo italiano, da Burlando a Sarfatti a Loiero.

 

Ma il paradosso più grande è che la svolta di governo viene giustificata col richiamo alle ragioni dei movimenti: ma, ci chiediamo, quale delle istanze emerse nelle mobilitazioni di Genova, degli operai di Melfi, degli autoferrontranvieri di Milano possono trovare accoglimento nelle politiche concertative dell’Ulivo? Nessuna. Non solo: Rifondazione in quel governo avrà il ruolo di ammortizzatore del conflitto sociale, con la grave responsabilità di privare le nuove generazioni protagoniste delle lotte operaie e di movimento di un referente per una reale alternativa di sistema. E non è un caso se recentemente si è consumata una rottura con i settori più radicali del movimento noglobal.

 

Queste e altre contraddizioni rischiano di aggravarsi drasticamente e irreversibilmente dopo questo congresso, che, come è emerso dalla relazione del segretario, è pensato come la benedizione dell’accordo di governo su scala nazionale, della riduzione di rifondazione comunista a mero tassello del progetto padronale di ristrutturazione del capitalismo italiano. Al contrario da comunisti dovremmo dire che nel capitalismo non c’è risposta possibile alle richieste dei tanti giovani costretti a subire la dura realtà della disoccupazione, del lavoro precario, dello smantellamento dell’istruzione pubblica. Un partito comunista degno di questo nome dovrebbe offrire loro una prospettiva rivoluzionaria e anticapitalistica, non certo il compromesso di classe con la borghesia illuminata dei vari Montezemolo, Agnelli e Tronchetti Provera.

 

Concludo il mio intervento facendo una riflessione più specifica sul VI congresso. E’ vero: il congresso si è chiuso con la vittoria al 59% della proposta governista. Ma, compagne e compagni, è bene precisare che questo risultato è stato raggiunto con quasi 20000 voti passivi aggiunti e con un raddoppio dei votanti rispetto ai congressi precedenti che non corrisponde a una reale crescita della partecipazione alla vita del partito e al dibattito. Nonostante questo, coi vari distinguo, quasi la metà degli iscritti e la gran parte dei militanti si è pronunciata contro la svolta di governo.

Credo, compagni e compagne, che si aprirà una fase molto difficile per il nostro partito: i fatti ci daranno ragione.

 

Questo congresso però non segna la fine dei giochi. I compagni e le compagne che hanno sostenuto il 3° documento –“Per un Progetto Comunista”- continueranno a battersi, dentro e fuori il partito, per contrastare la dissoluzione dell’opposizione comunista in Italia, per continuare a garantire l’opposizione di classe a tutti i governi borghesi, siano essi di centrodestra o di centrosinistra; per prospettare una reale alternativa anticapitalista.

E con noi, ne sono certa, si batteranno migliaia di altri militanti di questo partito.