ORDINI DEL GIORNO PRESENTATI DA PROGETTO COMUNISTA AL COMITATO POLITICO NAZIONALE DEL PRC DEL 6-7 MARZO 2004
Trovate di seguito (per chi non li avesse ancora letti nell'inserto pubblicato con Liberazione di domenica scorsa) i due ordini del giorno (sulla linea politica e sull'adesione al Partito del socialismo europeo) presentati da Progetto Comunista al Comitato Politico Nazionale del Prc che si è riunito il 6-7 marzo.
Buona lettura.
F
rancesco Ricci
Odg sulla linea politica
L’avallo da parte del centro dell’Ulivo alla continuità della
spedizione coloniale in Irak; la proposta anti-operaia della Margherita sulle
pensioni e sulle gabbie salariali con ampia convergenza della maggioranza Ds e
con l’aperto sostegno di Romano Prodi; la difesa di Bankitalia e delle
grandi banche da parte del centro dell’Ulivo in relazione alla vicenda
Parmalat; la denuncia degli scioperi degli autoferrotranvieri come “gravi e
inaccettabili” da parte di Rutelli e Treu; la costituzione di parte civile
contro il movimento da parte della giunta di centrosinistra a Genova…
Ogni giorno, ogni accadimento politico, conferma una volta di più
che il centro liberale dell’Ulivo (Margherita, maggioranza Ds, Sdi) non
esprime semplicemente “idee diverse” ma gli interessi del grande capitale
e della grande finanza contro tutte le rivendicazioni del mondo del lavoro e
tutte le ragioni di fondo dei movimenti di questi anni. Non esprime
semplicemente “un’opposizione inadeguata” ma l’opposizione liberale,
l’opposizione di ambienti sociali dominanti che vogliono sì rimpiazzare
Berlusconi ma dal versante dei propri interessi, contro i lavoratori e contro
i movimenti. E che per questo contrastano ogni mobilitazione di massa contro
il governo e il padronato, a tutto vantaggio di Berlusconi.
Inoltre proprio la subordinazione delle direzioni del movimento
operaio alle forze del centro liberale –schierate a difesa dell’Euro e
delle banche- regala di fatto a Berlusconi uno spazio insperato di demagogia
populista presso settori di risparmiatori e di lavoro dipendente contro “il
partito dei poteri forti”. Quindi non solo non aiuta l’allargamento del
blocco sociale alternativo, ma rischia di favorire la ricomposizione di un
blocco sociale reazionario.
Infine, proprio la prospettiva di recupero di un quadro stabile di
concertazione con un futuro governo dell’Ulivo spinge già oggi la
burocrazia dirigente della Cgil a contenere le spinte e le lotte dei
movimenti, a privarle di una vera piattaforma unificante, a disperdere le loro
nuove potenzialità. Consentendo così, obiettivamente, a un traballante
governo Berlusconi di prendere fiato e continuare a colpire i lavoratori.
IL FALLIMENTO DI UNA IMPOSTAZIONE POLITICA
Il nostro partito prende atto di questa realtà complessiva.
Tutta l’impostazione dell’ultimo anno della maggioranza
dirigente, secondo cui il movimento e i movimenti avrebbero spostato il centro
liberale dell’Ulivo e così consentito un governo comune Ulivo-Prc, è stata
radicalmente smentita. L’Ulivo ha incassato e lodato la nostra svolta di
governo senza concedere neppure la finzione di una concessione formale. Un
anno di commissioni programmatiche comuni Ulivo-Prc finalizzate
all’elaborazione del programma di governo ha avuto come unico effetto il
progressivo coinvolgimento del nostro partito in una prospettiva politica
borghese liberale.
Questa situazione va immediatamente e definitivamente superata.
Continuare a chiedere al centro liberale una “seria opposizione” con
lettere aperte e dichiarazioni giornalistiche significa solo prendere tempo e
perpetuare l’equivoco. Peggio: significa continuare ad alimentare
l’illusione tra i lavoratori, nei movimenti, nel nostro stesso partito circa
una possibile rettifica di linea e un “ravvedimento” dei portavoce
dei banchieri, italiani ed europei. Significa continuare a ignorare
l’esperienza per tenere aperta una prospettiva di governo sempre più
insostenibile e inaccettabile. Più in generale, e soprattutto, significa di
fatto aiutare la borghesia italiana ad assorbire e subordinare i movimenti
entro l’orbita della propria alternanza, privandoli di un orizzonte autonomo
e alternativo. Peraltro non è un caso che la svolta di governo del nostro
partito abbia incontrato e incontri il plauso della stampa liberale e del
centro liberale dell’Ulivo e, parallelamente, il dissenso dei settori di
avanguardia in tutti i movimenti di massa (no-global inclusi).
ROMPERE COL CENTRO DELL’ULIVO. CACCIARE
BERLUSCONI DAL VERSANTE DEI LAVORATORI
Il Cpn sancisce allora una svolta vera.
Revoca la prospettiva di un ingresso del Prc in un secondo governo
Prodi.
Dichiara decadute le commissioni programmatiche comuni tra Prc e
Ulivo.
E avanza sul campo una nuova proposta politica rivolta all’insieme
del movimento operaio, dei movimenti di massa e delle loro organizzazioni
politiche, sindacali, associative, per una comune rottura col centro liberale
e per la definizione di un piano unitario di mobilitazione indipendente
finalizzato a cacciare Berlusconi dal versante delle ragioni dei lavoratori e
dei movimenti di massa.
“O ci si schiera con gli scioperi operai, con la mobilitazione per
il ritiro delle truppe, con il movimento antiglobalizzazione, o ci si schiera
con i difensori dei banchieri amici di Parmalat”: ogni forza politica o
sindacale che fa formalmente riferimento ai movimenti deve essere posta
pubblicamente di fronte a questa alternativa di fondo. O di qua, o di là. In
mezzo non si può stare.
In questo quadro, grazie al pieno recupero della propria indipendenza
dall’Ulivo, il nostro partito propone all’insieme dei movimenti e delle
loro rappresentanze l’apertura di una vertenza generale unificante contro
governo e padronato su rivendicazioni comuni e di svolta: un forte aumento
salariale per tutto il mondo del lavoro; il ritorno pieno alla previdenza
pubblica a ripartizione, con l’abrogazione dei piani pensionistici
governativi ma anche della controriforma Dini e della logica dei fondi
pensione; l’abrogazione delle leggi di precariato a partire dal “pacchetto
Treu” sino alla Legge 30; un vero salario garantito ai disoccupati senza
contropartite di flessibilità; la nazionalizzazione senza indennizzo e sotto
controllo operaio di tutte le aziende in crisi, che licenziano e/o che frodano
lavoratori e risparmiatori.
Ovunque va avanzato un concetto di fondo: alla crisi del capitalismo
italiano e delle sue classi dirigenti non si può rispondere con un
compromesso di governo con quelle classi dirigenti (se non al prezzo di una
nuova stagione di subordinazione agli interessi dominanti, di pace sociale, di
arretramenti e rinunce). Alla crisi del capitalismo italiano e delle sue
classi dirigenti si può e si deve rispondere con un progetto di alternativa
anticapitalistica e di classe. Che punti a rimuovere le vecchie classi
dominanti e i loro governi e a realizzare un governo dei lavoratori, delle
lavoratrici, delle masse oppresse di questo Paese. Perché questa è l’unica
vera alternativa.
PER LO SCIOPERO GENERALE PROLUNGATO
Su queste basi il Prc chiede alla Cgil una svolta di fondo della
propria linea. Le chiede di rompere definitivamente con ogni pratica e
prospettiva di concertazione; rompere ogni sudditanza politica e sociale al
centrosinistra; far propria e sostenere sino in fondo la vertenza generale
unificante contro governo e padronato, superando la logica di azioni
simboliche e “di calendario”, e promuovendo invece uno sciopero generale
prolungato sino alla sconfitta del governo e alla sua cacciata. Uno sciopero
che può e deve coinvolgere unitariamente tutto il sindacalismo di classe.
L’esperienza ha infatti insegnato che azioni simboliche e rituali
sono del tutto inefficaci, e che invece la lotta vera, l’azione prolungata
che rompe le regole del gioco, non solo è possibile ma è l’unica che può
strappare risultati. Per questo il nostro partito impegna tutte le sue forze e
i suoi militanti in ogni movimento e in ogni organizzazione di massa a
sostenere la proposta dello sciopero prolungato e a farne terreno di battaglia
politica aperta. A partire dall’imminente assemblea nazionale sindacale
del 10 marzo.
PRIMA E DOPO IL 20 MARZO: PER IL RITIRO IMMEDIATO
DELLE TRUPPE. PER IL DIRITTO DI RESISTENZA E SOLLEVAZIONE DEL POPOLO IRAKENO
Parallelamente il Prc assume la parola d’ordine del ritiro
immediato e incondizionato delle truppe italiane dall’Irak come parola
d’ordine di iniziativa di massa permanente in vista della importante
manifestazione del 20 marzo e dopo di essa. Superando parallelamente ogni
neutralità pacifista tra l’imperialismo occupante e un popolo oppresso, e
quindi sostenendo apertamente il diritto di resistenza e sollevazione di massa
del popolo irakeno contro l’occupazione imperialista –inclusa quella
italiana- e il relativo patrocinio Onu. Ciò che oggi rivendichiamo in Irak
non è “la pace”. E’ la liberazione del popolo irakeno, attraverso la
sua azione di massa, entro una chiara prospettiva socialista. Ciò che è
anche condizione decisiva per un proprio autonomo giudizio sulle forze
dirigenti della resistenza attuale e nella lotta per un’egemonia alternativa
a quelle forze.
LA CENTRALITA’ DELLA LOTTA ALL’IMPERIALISMO
Più in generale va superata la visione della coppia
guerra-terrorismo come schema interpretativo della situazione mondiale. Questa
visione è falsa analiticamente e politicamente deviante. E’ falsa sul piano
dell’analisi perché astrae totalmente dalla natura sociale e politica delle
forze in campo sullo scenario internazionale, rimuovendo la nozione e la
centralità dell’imperialismo. E’ deviante dal punto di vista politico
perché si risolve nel “criticare” la guerra come “metodo sbagliato”
di lotta al terrorismo invece di criticare il terrorismo come metodo sbagliato
di lotta contro la guerra. E soprattutto perché rischia di avallare quella
mistificazione dominante, cara all’imperialismo, che riduce a
“terrorismo” tutte le forme di resistenza popolare, di sollevazione, di
rivoluzione contro l’oppressione. Ciò che è inammissibile per i comunisti.
NONVIOLENZA: UN’IDEOLOGIA SUBALTERNA
In questo quadro il Cpn esprime una critica di fondo della svolta
identitaria della nonviolenza promossa dalla Segreteria nazionale del partito.
L’assunzione del principio della nonviolenza non solo contrasta con la lunga
storia delle classi subalterne e dei popoli oppressi nella lotta per la
propria emancipazione. Non solo contrasta, qui e ora, con la cruda materialità
di una situazione mondiale segnata dal monopolio della violenza del
capitalismo e dell’imperialismo. Ma rimuove, strategicamente, la questione
stessa della forza delle classi subalterne come leva anticapitalista e quindi
il tema stesso della rivoluzione, dell’alternativa di società e di potere.
A vantaggio, ancora una volta, di una prospettiva di alternanza di governo con
i liberali all’interno della società borghese.
Su questo terreno teorico-identitario, il Cpn dà mandato alla
Direzione del partito di istruire un vero confronto paritario tra le diverse
posizioni espresse, superando sia la pratica dell’annuncio mediatico, sia la
presentazione di legittimi convegni di componente come “luoghi di ricerca”
del partito (come nel caso del recente convegno di Venezia).
Più in generale la necessaria verifica complessiva di linea politica
e strategica impone tanto più oggi l’urgenza di un congresso straordinario
del nostro partito.
MARCO FERRANDO
FRANCO GRISOLIA
MATTEO MALERBA
FRANCESCO RICCI
Odg sul Partito della Sinistra Europea
Il Comitato Politico Nazionale esprime un giudizio di
dissenso profondo con l'iniziativa intrapresa a Berlino di costituzione del
"partito della sinistra europea".
UN METODO BUROCRATICO
Il percorso seguito nella realizzazione di questo atto
politico ha avuto un carattere fortemente burocratico e verticistico. I gruppi
dirigenti e il corpo militante del Prc vengono "iscritti" di fatto
in un nuovo partito europeo senza che sia stata loro fornita la possibilità
di conoscere e discutere preventivamente la prospettiva indicata. Senza che si
sia loro fornita un'informazione elementare sulla natura politica delle forze
coinvolte, le loro scelte nei rispettivi Paesi, il dibattito e le divergenze
che le attraversano.
Né vale l'argomento secondo cui la Dn e il successivo Cpn
hanno potere decisionale: perché di fatto sono stati convocati a fatto
compiuto, ciò che limita profondamente la libertà decisionale costituendo un
indebito fattore di pressione e condizionamento; e perché in ogni caso una
scelta così rilevante di fondazione di un nuovo partito in Europa avrebbe
richiesto un coinvolgimento ben più largo del Prc, un confronto serio e
prolungato, un reale potere decisionale dei militanti.
UN PARTITO EUROPEO NEORIFORMISTA
Ma soprattutto il merito della decisione assunta suscita un
giudizio radicalmente negativo.
La scelta compiuta configura la costruzione di un soggetto
politico dichiaratamente non comunista, non solo e non tanto per ragioni
"nominali", ma perché privo di un programma di alternativa
anticapitalistica e socialista all'Europa del capitale. E’ ciò che emerge
sia dallo stesso preambolo dello Statuto, sia soprattutto dal Manifesto
programmatico fondativi.
Il Manifesto programmatico prodotto a Berlino si riduce ad
un semplice richiamo di intenti e di valori "progressisti". Non
mette in discussione le basi strutturali e materiali della UE come costruzione
imperialistica, a partire dalla proprietà dei grandi monopoli e delle banche.
Non rivendica un'alternativa di potere della classe operaia e delle masse
oppresse alle classi dominanti del vecchio continente. Semplicemente rivendica
un continente europeo "più democratico, sociale, ecologicamente
sostenibile e di pace". E a tal fine chiede alla UE e ai suoi governi
"un'altra politica economica e sociale", "un ruolo maggiore ai
parlamenti nazionali e a quello europeo", "iniziative per il disarmo
e il rafforzamento del diritto internazionale".
UN RIFORMISMO UTOPICO E SUBALTERNO
E' questa un'impostazione del tutto subalterna e utopica che
ignora non solo la crisi del riformismo al punto di riproporlo, ma la radice
di fondo delle politiche controriformatrici e militariste della UE, che in
quel quadro non sono scelte "sbagliate" rimpiazzabili da altre
politiche ma la conseguenza strutturale della costruzione stessa dell'Europa
imperialista: in quella nuova competizione per i mercati, per le materie
prime, per le zone di influenza che si è aperta nel mondo dopo il crollo
dell'Urss e che investe l'intero scenario internazionale.
Peraltro è significativo che la rinuncia ad ogni
alternativa di potere all'Europa del capitale finisca col sacrificare, nel
manifesto proposto, caratteri e portata delle stesse rivendicazioni immediate
e dei riferimenti di classe.
Nel Manifesto è assente la richiesta esplicita ed
elementare del ritiro delle truppe imperialiste dall’Irak,
dall’Afghanistan, dai Balcani. Si esprime una posizione ambigua e sibillina
sullo sviluppo dell’esercito europeo, condizionandolo ad “un impegno di
pace” e quindi non respingendolo ed anzi avallandolo. Si evita un chiaro No
alla proposta di costituzione europea, rinviando il pronunciamento ad un
imprecisato futuro. E’ assente, sullo stesso terreno redistributivo, una
piattaforma che vada più in là della liberale Tobin Tax. E’ minimizzata,
clamorosamente, ogni denuncia della socialdemocrazia europea e delle sue
responsabilità anti-operaie e filo-imperialiste degli anni Novanta.
UNA COMUNE VOCAZIONE DI GOVERNO
Nei fatti il Manifesto di Berlino definisce il profilo del
nuovo partito europeo come quello di una forza di sinistra "critica"
neoriformista proiettata verso prospettive di governo; una forza misurata
sullo stesso terreno delle rivendicazioni di riforma per preservare o
rilanciare spazi di intesa governativa con la socialdemocrazia e/o con forze
di centro liberale. Peraltro la vocazione di governo è ben sperimentata e
inscritta nell'indirizzo politico-strategico delle principali forze politiche
coinvolte nell'aggregazione: dal Pcf, già partecipe dei bombardamenti in
Kosovo come forza del governo Jospin, alla Pds tedesca, già al governo con la
socialdemocrazia liberale di Schroeder in intere regioni e nella città di
Berlino, sulla base di una cogestione delle politiche di sacrifici e di tagli
alla spesa sociale.
Qui sta la coerenza tra la costituzione del nuovo partito
europeo e la svolta politica di governo che la segreteria nazionale del Prc
persegue in Italia. L'apertura di una prospettiva di governo col
centrosinistra sotto la guida di Prodi -la principale autorità politica
dell'Europa dei banchieri- è incompatibile con ogni politica comunista e di
classe non solo in Italia ma anche sul piano internazionale: essa ha oggi
trovato sul terreno europeo il proprio naturale risvolto e traduzione. Così
come le forze di altri Paesi coinvolte nell'aggregazione hanno trovato nella
svolta di governo del Prc in Italia una ragione di consolidamento della
propria vocazione governativa.
PER UNA PROPOSTA ALTERNATIVA COMPLESSIVA
Per queste ragioni è necessario opporre alla iniziativa
assunta a Berlino una linea politica e strategica complessivamente
alternativa, nazionale e internazionale.
Non si può sostenere la prospettiva di governo con l'Ulivo
in Italia (o non contrapporsi coerentemente ad essa) e al tempo stesso
criticare l'iniziativa di Berlino perché "insufficientemente
anticapitalistica e comunista". Questa impostazione "critica"
è profondamente subalterna e opportunista.
In un caso rivendica l'estensione dell'aggregazione di
Berlino ad altri partiti comunisti di più spiccata tradizione staliniana, il
cui orientamento strategico è anch'esso neoriformista e governista (si pensi
al Pdci): e così concorre a ridurre il comunismo a riferimento simbolico,
retorico, del tutto separato dalla azione politica reale.
In un altro caso si limita a richiedere al nuovo partito
europeo un più coerente rapporto con i movimenti e i conflitti sociali: come
se il rapporto con la lotta di classe non dipendesse dalla prospettiva
politica che si persegue; come se la prospettiva politica che si persegue non
fosse decisiva per lo sbocco dei movimenti e delle loro ragioni e
rivendicazioni.
PER UN'EUROPA SOCIALISTA, PER IL POTERE DEI LAVORATORI,
PER L'OPPOSIZIONE COMUNISTA AI GOVERNI BORGHESI
E' invece essenziale definire una svolta profonda, politica
e programmatica, del nostro partito, arrestando la sua attuale deriva.
Non c'è alternativa all'Europa del capitale dentro un
orizzonte riformistico, oltre tutto fittizio. Solo requisendo la proprietà
privata dei monopoli e delle banche, solo concentrando nelle mani della classe
operaia e della maggioranza della società le leve decisive dell'economia e
della finanza europea è possibile creare le condizioni di una
riorganizzazione su basi nuove della società del vecchio continente e dare
uno sbocco reale alle domande dei movimenti di lotta che hanno ripreso, con
forza, ad attraversarlo. Legare ogni lotta parziale, ogni speranza di
cambiamento alla prospettiva di un'Europa socialista è il compito decisivo
dei comunisti.
Ciò significa assumere apertamente la prospettiva di
un'alternativa di potere alle classi dominanti, in ogni Paese europeo e su
scala continentale. Solo i lavoratori, i giovani, le masse protagoniste dei
movimenti di lotta di questi anni possono costruire un ordine sociale nuovo. E
possono farlo solo rompendo con le forze della borghesia europea, colpendo le
loro basi materiali, le loro radici economiche, i loro apparati statali, i
loro legami internazionali: solo conquistando il potere politico e basandolo
sulla propria forza e sulla propria autorganizzazione.
A sua volta la lotta per un'alternativa di potere in Europa
richiama l'esigenza dell'autonomia più rigorosa dal potere borghese
esistente, dalle forze di governo del capitalismo europeo.
Rosa Luxemburg, dirigente comunista rivoluzionaria
-incredibilmente celebrata come icona del nuovo partito europeo- affermava che
"i comunisti sono forza di opposizione sino alla conquista del potere
politico". E' questo un fondamento elementare del marxismo
rivoluzionario. La sua rimozione per opera dello stalinismo ha comportato
conseguenze disastrose per il movimento operaio e per i partiti comunisti a
partire proprio dall'Europa. Peraltro tutta la recente esperienza europea
dimostra che ogni subordinazione di forze del movimento operaio a governi di
coalizione con la borghesia determina la sconfitta del movimento operaio e la
crisi delle forze politiche coinvolte. Non vi è, al riguardo, una sola
eccezione.
PER UN'INTERNAZIONALE MARXISTA RIVOLUZIONARIA
Su queste basi programmatiche e di principio è necessario e
possibile lavorare per la rifondazione di un'Internazionale marxista
rivoluzionaria, capace di unificare l'avanguardia operaia e giovanile, di
lottare per l'egemonia nei movimenti di massa, di costruire un'alternativa di
direzione alla socialdemocrazia e ai gruppi dirigenti neoriformisti. Ed oggi
in Europa la crisi di consenso della socialdemocrazia in settori centrali
delle classi subalterne, la crisi profonda di vecchi apparati di tradizione
staliniana, l'emergere sul terreno della lotta di una giovane generazione
possono creare un terreno più favorevole che in passato per questa politica
di raggruppamento rivoluzionario. Una politica aperta al coinvolgimento di
forze d'avanguardia di diversa collocazione e provenienza ma sulla base dei
principi e degli orientamenti programmatici del marxismo. Perché fuori e
contro quei principi, al di là di ogni eventuale intenzione, si preparano
solo vecchi disastri. Magari in nome del "nuovo".
NONVIOLENZA, RELIGIONE, BERLINO: UNA DERIVA TRASCINATA
DALLA SVOLTA DI GOVERNO CON L'ULIVO
In conclusione, la stessa discussione sull'iniziativa
internazionale del Prc, per il contesto in cui si svolge e per i caratteri che
assume, conferma una volta di più l'esigenza di un congresso straordinario
del nostro partito.
"Nonviolenza", esaltazione della religione, nuovo
partito della sinistra europea, non configurano ambiti separati o scissi ma
diverse angolazioni di un medesimo corso politico. Rappresentano il nuovo
abito politico-culturale della prospettiva di governo del Prc. Un abito che
incontra, non a caso, l'esplicito apprezzamento di settori crescenti della
stampa borghese e del centrosinistra. Com'era prevedibile la svolta di governo
del partito trascina con sé la sua deriva generale.
PER IL CONGRESSO STRAORDINARIO DEL PRC
Il Cpn ritiene che la deriva in corso vada arrestata, che
l'opposizione comunista vada salvata e rilanciata, che la rifondazione
comunista vada finalmente intrapresa sulle basi del marxismo rivoluzionario.
Ma solo i militanti del partito possono mettere una barra alla deriva. E solo
un congresso, sempre più urgente, può dare finalmente loro la parola.
MARCO FERRANDO
FRANCO GRISOLIA
MATTEO MALERBA
FRANCESCO RICCI