ASSEMBLEA NAZIONALE DI LAVORO E SOCIETA' - CAMBIARE ROTTA: IL DOCUMENTO ALTERNATIVO 

 

Trovate di seguito il testo presentato da compagni di Progetto Comunista come documento alternativo all'assemblea nazionale di Lavoro Società-Cambiare Rotta, l'area di sinistra della Cgil.

Il testo ha avuto 10 voti favorevoli su circa 150 votanti; 5 si sono astenuti e gli altri hanno votato , compresa Lotta Comunista e il gruppo del cosiddetto "coordinamento delle Rsu", per il testo dei riformisti di sinistra. Benchè il voto sia modesto è tutt'altro che disprezzabile. Ciò anche perché si è avuta una vera "pari dignità" nelle presentazioni e votazioni (a differenza di altre occasioni, perché non si tratta del primo testo che presentiamo ad una assemblea nazionale della sinistra Cgil). Siamo ormai visti come la minoranza di Ls. Questo esprime un limitato, ma reale rafforzamento, legato al rafforzamento generale di Progetto Comunista (segnaliamo tra l'altro che alcuni compagni che avrebbero potuto votare -il voto era limitato ai/lle compagne componenti dei più importanti organismi Cgil- non erano presenti per altri impegni sindacali).

Buona lettura,

Franco Grisolia


 

ASSEMBLEA NAZIONALE

LAVORO SOCIETA'- CAMBIARE ROTTA

DOCUMENTO CONCLUSIVO ALTERNATIVO

 

Il quadro generale economico-sociale

La situazione mondiale è dominata da due fattori: il perdurare di una crisi economico-sociale e il tentativo del proletariato e di altri settori oppressi di reagire alle drammatiche conseguenze di questa crisi.

Da ormai quasi trent'anni il mondo è entrato in una onda lunga economica negativa, in pieno contrasto col boom del trentennio postbellico. La tendenza alla stagnazione e all'acutizzarsi delle contraddizioni spinge all'accentuarsi di quella che Marx definiva legge essenziale del capitalismo: la caduta tendenziale del saggio di profitto. Per recuperare il tasso dei profitti il capitalismo ha dovuto rispondere in tutto il mondo con la politica del cosiddetto neoliberalismo. Cioè con una politica economica basata  sull'aumento dei saggi di sfruttamento, sia attraverso la riduzione del salario reali sia attraverso l'aumento della produttività; le ristrutturazioni industriali; le delocalizzazioni alla ricerca di forza lavoro a bassissimo costo; il taglio del salario sociale (cosiddetto welfare state); delle pensioni e dell'assistenza pubblica (dai sussidi di disoccupazione, ove esistono, a quelli di invalidità); le privatizzazioni sia delle industrie che dei servizi pubblici. Il ruolo di sostegno dello stato, il "keynesismo", non è scomparso, ma agisce, nelle condizioni esistenti, solo come "Keynesismo bellico", come si vede nella politica dell'amministrazione Bush negli Stati Uniti. Questa amministrazione è quella che oggi teorizza il perdurare a tempo indefinito di quella situazione di guerra che ha caratterizzato il mondo negli ultimi anni.

Tuttavia tutte queste misure reazionarie non hanno stabilizzato il mondo. Continua ad esserci una sovracapacità produttiva rispetto a quanto può assorbire il mercato; le contraddizioni tra le grandi potenze tendono ad aggravarsi; la tendenza alla stagnazione persiste,; il dominio del capitale parassitario provoca un susseguirsi di crisi finanziarie (da quella asiatica del '97 a quella argentina); e crisi come quelli della Enron negli Usa e della Parmalat in Italia, pur con le loro particolarità criminali, rappresentano l'espressione più acuta di una crisi più profonda. Questo non significa che il capitalismo sia in una strada senza uscita e che siamo alla vigilia di un suo collasso. Il capitalismo ha sempre molte capacità di riequilibrio parziale. Anzi si può dire che spezza il suo equilibrio da un lato per ricostruirlo dall'altro e via continuando, e in questo modo realizza il perdurare del suo dominio. Quello che però la situazione significa è che la crisi economica e sociale continuerà e che, per mantenere i suoi livelli di profitto in questa quadro, la borghesia capitalistica continuerà ad attaccare le condizioni di vita della classe operaia e degli strati sociali sfruttati e oppressi. Ogni ipotesi di ritorno al cosiddetto "compromesso sociale" degli anni del boom è, anche nei paesi più ricchi, escluso da ogni visibile futuro.

Di fronte alla crisi sociale e agli attacchi della borghesia le masse hanno cominciato a reagire. Questa reazione è ancora piena di contraddizioni. Sulla classe operaia pesano le sconfitte degli anni ottanta e novanta, sia sul terreno dello scontro sociale nei vari paesi, sia su  quello internazionale più generale. Dalla metà degli anni novanta c'è stata però una ripresa delle lotte di massa con fenomeni come la mobilitazione in Italia contro la ipotesi di

riforma pensionistica del primo governo Berlusconi; lo sciopero prolungato contro la riforma Juppè in Francia; la lotta straordinaria degli operai sudcoreani; i sia pur limitati movimenti che hanno portato alla caduta del regime di Suharto in Indonesia; la "Intifada" in Palestina; le mobilitazioni  di milioni di persone da Seattle '99 in poi, prima sul terreno della lotta al neoliberismo , poi su quello della lotta contro la guerra, unendo masse giovanili, in larga misura precarie, con larghi settori di lavoratori/trici e di contadini poveri; fino al risveglio rivoluzionario di tanta parte dell'America Latina, dall'Ecuador, all'Argentina, alla Bolivia (il punto più alto, anche per il ruolo giocato dal tradizionale proletariato, in primo luogo i minatori).

Come detto, questi movimenti hanno ancora molte contraddizioni e limiti. In diversi grandi paesi la situazione dello scontro di classe è ancora molto arretrata e anche in alcune situazioni di radicalizzazione la classe operaia industriale non riesce ancora a entrare in campo, assumendo il suo essenziale ruolo di primo piano , per il peso delle sconfitte degli anni passati e della crisi sociale stessa. E tuttavia, al di là di tutte le contraddizioni e limiti, la tendenza del mondo del lavoro e delle masse oppresse a rientrare con forza in campo si sviluppa e continuerà a svilupparsi nel futuro.

Uno dei problemi che questo movimento deve affrontare è che forze che dovrebbero rappresentare il mondo del lavoro sul piano politico e difenderne gli interessi almeno minimali partecipano all'attacco contro le conquiste salariali e sociali. Governi di "sinistra" o di centrosinistra, socialdemocratici, socialisti o laburisti che, in un'altra epoca storica, pur difendendo il sistema capitalistico nel suo insieme, praticavano politiche di compromesso e concessioni parziali alle masse, oggi (spesso con la complicità delle formazioni sindacali da essi dirette, con cui però aumentano le contraddizioni) praticano politiche neoliberali. La radice di ciò non sta in un cambiamento ideologico, che semmai è un prodotto e non l'origine. Questa sta nel quadro generale di crisi sociale ed economica che abbiamo prima tratteggiato. Gli spazi riformistici propri di un epoca passata, sono ormai chiusi.

Tutto ciò  rende evidente che gli appelli a soluzioni "democratiche e sociali" (per esempio in riferimento all'Europa Capitalistica) quando non sono puri inganni, sono solo utopiche illusioni. L'unica alternativa reale alla crisi e alle sue conseguenze  disastrose è data dalla lotta per la mobilitazione anticapitalistica nella prospettiva di un cambiamento di società. Un altro mondo e un'altra Europa sono certo possibili (anche il percorso sarà lungo e difficile). Ma solo sulla base di una trasformazione socialista.

Questo non vuol dire che su questa strada non sarà possibile ottenere obbiettivi parziali (soprattutto difensivi) anche importanti . Ma che essi potranno solo essere il frutto di una lotta di classe, che mantenga la sua indipendenza, sviluppi al massimo la sua radicalità e imponga su queste basi all'avversario a cedere qualcosa per paura di perdere tutto (fino a quando naturalmente non potrà realizzarsi quest'ultimo obbiettivo)

 

Il bilancio dell'azione della Cgil in questi anni

In questo quadro generale si inserisce l'azione sviluppata dal movimento operaio in Italia in questi anni, che hanno visto, pur con ancora molti limiti e contraddizioni, un importante ripresa delle lotte, sia dal punto di vista quantitativo che da quello qualitativo. La valutazione che tali lotte abbiano visto la Cgil come coerente direzione è del tutto da sfatare. Certamente la situazione creata dalla vittoria elettorale del centro-destra  - con la sua volontà di portare un attacco frontale alla Cgil  e quello, almeno per alcune delle sue componenti, di istituzionalizzare una rottura completa tra le confederazioni per crearsi una sponda permanente nella Cisl - hanno spinto la stessa burocrazia dirigente della Cgil ad una posizione meno subordinata agli interessi padronali e governativi rispetto alla fase precedente. A ciò si è unita la situazione di crisi e modifica dei rapporti  all'interno delle forze della "sinistra", che hanno reso possibile, per la prima volta dalla sua nascita (o rinascita) nel 1944, una reale autonomia della confederazione dalle forze partitiche. Così in particolare sull'art 18 si è giocata una complessa partita che vedeva mischiata alla sacrosanta difesa di questo istituto minimo di garanzia per lavoratori e lavoratrici: una difesa del ruolo della Cgil, in cui si confondevano giuste esigenze con quelle della ricerca di un mantenimento del terreno della concertazione ; un'azione tesa ad affermare il ruolo di Sergio Cofferati in un nuovo scenario politico, che per molti, compreso la maggioranza del gruppo dirigente della nostra area di Lavoro e Società, era rappresentato dalla nascita, di fronte alla deriva liberale dei Ds, di una nuova forza a carattere socialdemocratico-laburista.

Su quest'ultima questione i fatti si sono incaricati di dimostrare che si trattava di un'illusione. Costretto a scegliere tra il diventare leader di una "sinistra del centro sinistra" e il tentativo - illusorio o meno- di avere un ruolo centrale nel Centrosinistra in quanto tale Cofferati ha scelto la seconda opzione, rivendicando  il boicottaggio del referendum per l'estensione dell'art 18.

Quello che più importa sottolineare è che, stante il quadro cui abbiamo fatto riferimento, la Cgil, lungi dal trasformare la rabbia dei lavoratori e delle lavoratrici contro padronato e governo e il suo riacquistato prestigio in lotta conseguente , ha fatto di tutto per contenere la mobilitazione nei termini di una politica concertativa. Di fronte ad uno scontro vitale ha realizzato una politica di "sciopericchi" più o meno trimestrali, senza piattaforma unificante e senza progettualità rivendicativa alcuna, se non, come apertamente dichiarato da Cofferati, la disponibilità ad un ripresa della concertazione con lo stesso governo Berlusconi, in analogia con quella realizzata dalle Commissiones Obreras con Aznar in Spagna.

In questo modo il gruppo dirigente della Cgil ha tradito le aspettative e potenzialità del grande movimento sviluppatosi negli ultimi anni nel nostre paese, ponendolo in una situazione di impasse, da cui deve essere nostro compito cercare di farlo uscire.

 

Il bilancio di Lavoro e Società 

Purtroppo il bilancio della nostra area su questo terreno generale è assolutamente negativo. In luogo di denunziare gli enormi limiti dell'azione confederale, ci siamo pienamente adattati ad essa per una scelta prima ancora politica che sindacale. Infatti la maggioranza del gruppo dirigente della nostra area si è di fatto identificata nell'illusoria prospettiva socialdemocratica-laburista a direzione Cofferati, vista come soluzione ai problemi di rappresentanza del mondo del lavoro e nella prospettiva di un inserimento ,sia pure critico, in essa. Per questo non siamo stati capaci di proporre alcuna alternativa all'azione della maggioranza della Cgil di contenimento e svilimento delle lotte, né sul piano delle forme di mobilitazione, né su quello della piattaforma rivendicativa. Il punto culminante di tutto ciò è stato rappresentato dal voto quasi unanime a favore dell'OdG  conclusivo dell'ultimo congresso confederale di Rimini. Con quel voto, simbolicamente e nei fatti, abdicavamo al ruolo di opposizione critica nei confronti di una linea fallimentare per lo sviluppo possibile del movimento di massa. Da questa scelta negativa derivano le difficoltà generali della nostra area e la difficoltà  a rappresentare una linea conseguentemente rispondente alle esigenze dei lavoratori sui vari terreni, in particolare quello contrattuale. Su di essi va certamente aperta una discussione specifica. Ma ogni ipotesi, pur in sé positiva, di poter cambiare la nostra linea su queste questioni specifiche (contrattazione, democrazia interna, ruolo delle rappresentanze di base) senza affrontare l'origine complessiva dei problemi, non potrebbe che rappresentare una illusione o ,peggio, un atteggiamento puramente strumentale (come se si volesse curare una malattia grave con una aspirina: male non fa, ma non guarisce certo). Solo modificando la nostra linea d'approccio generale, quale espressa nel voto di Rimini e nella conseguente alleanza di fatto con la maggioranza confederale ed elaborando su questa base un nuovo progetto strategico e tattico per Lavoro e Società,  ci potrà essere un cambiamento reale a cascata su tutti i terreni specifici quali quelli indicati. Pertanto questa assemblea nazionale accoglie il giudizio critico sulla scelta del congresso di Rimini del 2002, considera in ogni caso conclusa la fase di relazioni interne alla Cgil aperta da quel congresso e dà mandato ai compagni presenti negli organismi confederali nazionali di segnalare il nostro aperto passaggio ad una linea di opposizione rispetto non solo alla linea proposta dalla destra interna e dai "cofferatiani", ma anche a quella del gruppo di maggioranza intorno a Guglielmo Epifani.

 

Per la vertenza generale

Uno degli aspetti centrali dell'ultima fase è rappresentato dall'esplosione di alcune lotte rivendicative importanti nel mondo del lavoro espresse in forme molto radicali, dagli autoferrotranvieri ai siderurgici dell'Ilva di Genova; tra l'altro con una presenza importante di proletariato giovanile, in contraddizione con le assurdità teorie che in un recente passato hanno avuto tanto spazio nella sinistra politica e in, un certo senso, anche nel sindacato (si vedano, ad es., le teorizzazioni di un Marco Revelli). Queste esperienze non possono essere viste in maniera scollegata né dalle mobilitazioni più generali di questi ultimi anni (sull'art 18 in particolare) né dal quadro più generale di mobilitazioni che da Genova 2001 in poi hanno visto esprimersi -nel quadro della lotta contro la cosiddetta globalizzazione  neo-liberale prima, della lotta contro la guerra poi - milioni di persone (in primo luogo giovani, ma non solo) con una forte presenza di lavoratori e lavoratrici, molti dei quali vittime di una delle varie forme di precariato che caratterizzano la situazione attuale. In queste mobilitazioni si è fatta strada confusamente la necessità di nuove forme di lotta, di una radicalità antica, che la politica burocratica aveva fatto dimenticare e che rispondano meglio alle difficoltà della fase attuale, come la questione dello sciopero prolungato. Non a caso in alcune situazioni locali (Venezia e Genova) le assemblee di base dei lavoratori del trasporto locale hanno votato tale opzione scontrandosi con le burocrazie sindacali non solo confederali, ma anche (è il caso di Venezia) con quelle del "sindacalismo di base" (Cub). Certamente tali indicazioni non hanno potuto tradursi in pratica, ma ciò è dipeso da un lato dal mancato coordinamento tra le varie situazioni di lotta della categoria, e dall'altro dal fatto che tale prospettiva, nella situazione italiana dovrebbe trovare il primo esempio in un quadro più generale.

E' compito della nostra area proporre che la Cgil offra questo quadro più generale. Dobbiamo avanzare una proposta rivendicativa di fase. Una vertenza generale che unifichi il mondo del lavoro e gli altri strati sfruttati ed oppressi. Una vertenza centrata su queste parole d'ordine:  

Lo sviluppo di una vertenza di tale spessore non potrebbe che essere supportata dalla forma più radicale di lotta e cioè lo Sciopero Generale Prolungato, cui come detto, se coinvolti democraticamente e consci di affrontare una lotta seria e determinata la maggioranza dei lavoratori e delle lavoratrici sarebbe favorevole. Su questo terreno è necessario rivendicare la discussione della piattaforma e delle modalità di lotta in una vera assemblea dei/lle delegati/te, eletti a partire da assemblee di base in fabbriche e uffici e poi ai livelli superiori fino ad una grande assise nazionale.

Lo sviluppo della vertenza stessa non potrebbe che scontrarsi fortemente con il governo Berlusconi, nemico dichiarato del movimento dei lavoratori e non potrebbe quindi che implicare la lotta per la cacciata di tale governo, rivendicando quanto a noi una soluzione a favore del mondo del lavoro e quindi anticapitalistica.  E' nostro compito batterci per una tale prospettiva, in Cgil, propagandandola e, nella misura del possibile agitandola anche autonomamente nel movimento di massa.

 

Contratti e democrazia 

Naturalmente la battaglia per la vertenza generale non può esaurire il nostro intervento nella Cgil e tra i/le lavoratori/trici. Fintanto che quella prospettiva non si realizzi, l'intervento sul terreno contrattuale normale deve essere agito con coerenza da parte nostra. Su questo terreno il quadro generale di alleanza da noi stabilito ha fatto sì che le contraddizioni nella nostra linea e al nostro interno, esistenti precedentemente, continuassero a perdurare con grave danno all'azione dell'area. Si tratta di superare questa situazione ripartendo da alcuni criteri generali. Ad eccezione di quella della Fiom, tutte le altre piattaforme, almeno per i contratti più importanti, sono state e sono negative o insufficienti. Tale giudizio da parte nostra deve essere chiaro. Dobbiamo rifiutare il terreno della concertazione, anche nei termini più moderati in cui viene oggi riproposta dalla maggioranza Cgil come "politica dei redditi".  Noi dobbiamo proporre piattaforme basate su tre assi: la difesa e il recupero del salario, la lotta al lavoro precario e alle flessibilità; la riduzione dell'orario di lavoro, senza contropartite. Piattaforme che escano dal quadro del 23 luglio e che ne rompano i criteri. Le recenti polemiche e rivelazioni sui limiti o la falsità dei dati statistici ufficiali sull'inflazione e la complessità delle previsioni sulla prossima fase economica rendano incerti e perdenti tutti i criteri basati su "inflazione attesa" o "attuale": Il criterio reale  (ovviamente concepibile, visto quanto detto sopra, come ipotesi di valutazione) può essere solo quello della perdita reale del potere d'acquisto e quindi della rivendicazione del recupero salariale. Ciò significa che un serio risultato contrattuale non può chiudersi se non con un aumento non inferiore al 10% e quindi che non approveremo piattaforme che non partano almeno da quella cifra. Inoltre dobbiamo essere assolutamente rigidi sulla questione delle flessibilità . Per noi i contratti devono tendere a scardinare la legge 30 sulla flessibilità e quindi non appoggeremo piattaforme che non si pongano su questo terreno. E' assolutamente essenziale che la nostra battaglia sia pubblica, aperta e presentata chiaramente di fronte ai lavoratori.

Accanto alla contrattazione normale altro terreno importante è quello delle crisi industriali. Su questo terreno dobbiamo uscire da logiche da ricerca del male minore che portano quasi sempre a risultati disastrosi. I/le  lavoratori/trici  non si devono fare carico delle contraddizioni e/o incapacità del capitale e dei capitalisti. Per questo in tali condizioni dobbiamo rivendicare l'esproprio senza indennizzo ai grandi azionisti delle aziende "in crisi", sotto controllo dei/lle lavoratrici.

Infine un terreno centrale resta quello della democrazia. Noi abbiamo giustamente lottato per la democrazia delle Rsu, per l'abolizione delle quote riservate, per il referendum vincolante per l'approvazione dei contratti. Va però fatto un salto di qualità. Questi anni hanno dimostrato che questione centrale è quella della rappresentanza nella contrattazione stessa. Purtroppo quando alcuni anni fa (alla vigila del congresso del '96) alcuni di noi posero il problema  della battaglia per l'elezione dal basso, con criteri proporzionali, delle delegazioni trattanti, la stragrande maggioranza dei dirigenti della nostra area (allora diversamente configurata) non  compresero l'importanza e la centralità della questione e si opposero o non sostennero tale proposta. E' positivo che tale essa sia oggi inserita nel testo congressuale di maggioranza della Fiom. Si tratta di farla nostra e generalizzarla.    

 

No all'inserimento nel quadro del centrosinistra, per l'indipendenza di classe del movimento operaio.

Un elemento centrale delle prospettive dell'azione della Cgil e del movimento operaio è dato dallo scenario politico futuro. Il quadro politico, al di là di ogni ipocrisia, è stato sempre fattore dominante per la linea della Cgil. Basterebbe solo ricordare la "svolta dell'Eur" della fine anni '70 determinata dal quadro dell'unità nazionale Dc-Pci. Naturalmente a ciò si è sempre più aggiunto il peso della volontà concertativa propria della burocrazia sindacale, ma il rapporto è rimasto. Ciò spiega nel recente passato la mancata opposizione della Cgil alle politiche antioperaie e antipopolari dei governi Prodi, D'Alema e Amato o la inqualificabile proposta di riforma previdenziale avanzata nel  1999 da Cofferati, con l'ipotesi del passaggio di tutti i lavoratori al sistema contributivo con gli attuali metodi di calcolo.

Oggi il quadro della crisi politica a sinistra rende più autonoma la nostra confederazione, ma il pericolo di adattamento,  se non ad una forza partitica, ad uno schieramento permane. Il problema riguarda ovviamente il rapporto con un possibile (e forse probabile) nuovo governo di centrosinistra, allargato a Rifondazione. La sconfitta del governo Berlusconi per le sue caratteristiche reazionarie peculiari è certamente un obbiettivo che ogni forza che rappresenti gli interessi dei/lle lavoratori/trici deve porsi. Ma questo non risolve il problema dell'atteggiamento da adottare rispetto alla alternativa attualmente in campo. La natura del centrosinistra (Ulivo + Rifondazione) è stato chiaramente mostrato dall'esperienza del governo Prodi cui dobbiamo, tra l'altro: le "finanziarie lacrime e sangue" con una massa mai uguagliata di tagli ai servizi e allo stato sociale;  il "pacchetto Treu" con lo sviluppo della flessibilità; i centri di detenzione provvisoria per gli immigrati; la modifica delle aliquote fiscali con la loro riduzione massiccia per i più ricchi e il loro aumento per i più poveri; un record di privatizzazioni; e l'elenco potrebbe continuare. Il fatto è che la natura del centrosinistra è  pienamente borghese e la sua politica non può rispondere che agli interessi dei banchieri e dei grandi capitalisti che lo usano in funzione di questi e la sua concreta politica anche in futuro non potrà avere che un carattere antioperaio, tanto più in quel quadro di crisi che abbiamo ricordato all'inizio di questo documento. Come dimostrato appunto dalla esperienza del governo Prodi la presenze delle forze di sinistra, anche di tutte le fondamentali, non ne cambia minimamente né la natura né la politica essenziale, ma solo trasforma tali forze in concrete agenzie degli interessi del capitale nel movimento operaio.

La prospettiva di inserimento nel quadro del centrosinistra è quindi da respingere da parte di ogni forza che voglia difendere minimamente gli interessi del mondo del lavoro. Non si tratta di di identificarsi in una o in altra strategia politica, ma di difendere l'elementare indipendenza di classe.

La nostra area, con una decisione formale, ha partecipato con ruolo centrale alla costituzione del "Forum per l'Alternativa", presentando anche un programma in 13 punti. Lo scopo di tutto ciò era  ed è quello di costruire un quadro di discussione per la sinistra che le permetta una di trattativa positiva con le forze del centro liberale. Questa scelta è sbagliata. Ciò non perché sia errato metodologicamente che, in particolare in un quadro come quello attuale, una forza a carattere sindacale come la nostra agisca su un piano più generale. Ma perché è errata nel contenuto. Come detto il nostro compito non deve essere quello di creare un ponte tra il movimento operaio e la rappresentanza liberale del capitale; al contrario, invece, quello di separare il movimento operaio dalla borghesia e dai suoi rappresentanti politici diretti. Il programma dei 13 punti rappresenta  l'unica ipotesi effettivamente riformista, presentato al dibattito intorno alle prospettive del nuovo governo. In quanto tale, pur nella sua moderazione, è puramente utopistico, in particolare nella situazione generale attuale. Non a caso nessuna delle forze partitiche della sinistra lo ha preso seriamente in considerazione, in quanto i loro dirigenti (il cui scopo appare sempre più evidentemente quello di realizzare un accordo di governo a prescindere da ogni elemento di contenuto) sanno che ogni ipotesi pur moderatamente riformista è oggi inaccettabile dalla borghesia e quindi dal centro liberale. Non a caso i 13 punti non hanno avuto alcuno spazio reale nel dibattito delle commissioni congiunte Ulivo-Prc e in particolare in quella Treu-Ferrero, dedicata ai problemi del lavoro.

Pertanto questa assemblea decide di dare mandato al coordinamento nazionale perché alla prossima riunione proponga a tutte le forze coinvolte nel Forum , nonché alla Cgil in quanto tale, la sua trasformazione in "Forum per la costruzione di un polo anticapitalistico unitario",. Un polo cioè che rompa con il centro liberale dell'Ulivo e (fermo restando la possibilità di un puro accordo tecnico elettorale per battere Berlusconi  alle prossime elezioni politiche) si contrapponga programmaticamente e politicamente ad entrambi i due schieramenti dell'alternanza borghese

Per elaborare un programma di azione di lotta ed, eventualmente, di alternativa di governo indipendente su basi anticapitalistiche dobbiamo proporre che questo nuovo Forum convochi a partire da assemblee di base nelle aziende ,scuole e quartieri una grande assemblea nazionale di delegati /e di lavoratori/trici, studenti, disoccupati/e, pensionati/e, democraticamente eletti/e dal basso verso l'alto.  

 

Per l'apertura di un ampio dibattito strategico e  la convocazione di una assemblea larga per delegati

Quanto sopra indicato rappresenta certamente una modifica di strategia complessiva per Lavoro Società- Cambiare Rotta. Per questo non potrebbe che essere discussa e resa valida dall'insieme delle compagni/e che hanno costruito in questi anni la nostra area, a partire da quelli presenti nelle aziende. Perciò questa assemblea decide di aprire un'ampia fase di discussione sulla svolta decisa, le sue connotazioni programmatiche, le sue conseguenze sulla contrattazione e sull'atteggiamento all'interno della Cgil. Ciò che dovrà concludersi prima della pausa estiva con una assemblea larga di Lavoro Società-Cambiare Rotta, che coinvolga dirigenti e rappresentanti sindacali , sulla base di una democratica elezione di delegati (rappresentanti le diverse posizioni presenti sulla base della loro consistenza) nelle assemblee regionali e di categoria dell'area, proporzionalmente ai voti raccolti in ciascuna di esse nello scorso congresso della Confederazione.