DOSSIER PALESTINA

 

  INTRODUZIONE 

La lotta di liberazione del popolo palestinese contro il colonialismo sionista e la feroce reazione di quest’ultimo continuano ad essere fattori centrali sulla scena internazionale, congiuntamente con la preparazione della guerra imperialista contro l'Iraq. Il nostro Movimento per la rifondazione della Quarta Internazionale (Mrqi) è da sempre incondizionatamente a fianco delle masse palestinesi. Lo è con l’azione di solidarietà ovunque presenti nel mondo, lo è con la coraggiosa azione in loco dei nostri compagni della Lega operaia socialista (Los) di Palestina (benchè composta da compagni/e ebrei/e la Los si denomina così, in rifiuto del riconoscimento dell’entità statale sionista di Israele), sottoposti alla quotidiana repressione statale e anche agli attacchi della sinistra israeliana puramente pacifista; lo fa, naturalmente, lottando per la prospettiva della rivoluzione socialista mondiale, che unica creerà le basi per la fine di ogni oppressione, compresa quella nazionale.

Così nella primavera scorsa il Coordinamento del nostro movimento ha varato un testo che indica le nostre posizioni di fronte al nuovo capitolo dell’aggressione sionista e che qui presentiamo con un ritardo dovuto solo ai limiti di spazio della nostra rivista. Come detto nella successiva nota di Grisolia-Johnson il testo è una corretta denuncia dell'invasione israeliana della Cisgiordania e una riaffermazione delle tradizionali posizioni trotskiste sulla Palestina. Tuttavia alcuni punti di analisi e di programma non corrispondono alle convinzioni espresse dall’Opposizione trotskista internazionale (Oti), la piccola tendenza internazionale di cui era parte la Amr Proposta e che partecipa, sia con le sue sezioni che in quanto tale, al Movimento per la rifondazione della Quarta Internazionale. I due compagni dell’Oti facenti parte del comitato di coordinamento del Mrqi, avrebbero voluto, pertanto, proporre emendamenti al progetto di testo – elaborato dalla Los e dal Partito operaio rivoluzionario di Grecia, che lo ha fatto circolare per posta elettronica tra i membri del coordinamento. Come indicato nella nota di Grisolia-Johnson, il PO argentino e la Los, ritenendo il testo approvato da tutti nella sua versione originaria, lo hanno reso pubblico prima dello sviluppo di tale dibattito. Questa piccola incomprensione fa sì che l’Oti accompagni il testo del Coordinamento del Mrqi (con le cui linee generali concordiamo) con la suindicata nota critica.uesta picola incomprensione fa sì che l’OTI

Come i lettori potranno vedere, al di là di alcuni elementi di analisi, sostanzialmente di importanza relativa, le differenze concernono alcune delle prospettive programmatiche da avanzare. Fermo restando il comune accordo di principio sulla necessaria prospettiva della federazione socialista del Medio Oriente, quale unico quadro possibile per una vittoria completa della lotta di liberazione del popolo palestinese, le divergenze concernevano due punti centrali. Il primo deriva dalla formula "Per una repubblica socialista e laica di Palestina su tutto il territoriodella Plestina storica", che nelle attuali condizioni e rifiutando ogni ipotesi di espulsione in massa della popolazione ebraica, tende a presentarsi come un'ipotesi di stato binazionale. Niente da obbiettare in astratto, se questa soluzione rispondesse alla volontà del popolo oppresso; ma oggi non è così, i palestinesi vogliono un loro stato nazionale e i rivoluzionari devono rispettare il loro diritto all'autodeterminazione, concetto che, invece, non viene citato nella dichiarazione. L'altro concetto non ripreso ed elemento di dibattito nel Mrqi è quello di rivoluzione socialista araba, che implica il riconoscimento dell'esistenza e della necessità della lotta per l'unità della nazione araba nel suo complesso. (Per le posizioni e gli argomenti generali dell'Oti sui punti citati si vedano le Tesi sulla questione palestinese, pubblicate sul n. 30 di “Proposta”).

Come sempre il dibattito tra i marxisti conseguenti deve essere chiaro (si pensi, nella nostra storia, alle ben più profonde divergenze tra Lenin e Rosa Luxemburg) e in questo modo può permettere anche di avvicinare le posizioni.

Questo si è visto, sulla questione palestinese, alla terza conferenza internazionale del Centro socialista dei Balcani Christian Rakovsky, la struttura di discussione tra organizzazioni rivoluzionarie, animato in primo luogo dai compagni del Partito operaio rivoluzionario di Grecia, di cui pubblichiamo qui il comunicato e l'appello finale. In quest'ultimo, nel punto sulla Palestina, si indica chiaramente l'obbiettivo dell'autoderminazione del popolo palestinese e si modifica la formula sulla Palestina socialista, in termini tali da evitare il riferimento ad una soluzione binazionale (tali formulazioni sono state poi riprese nel testo della dichiarazione del Mrqi contra la guerra imperialista contro l'Iraq, pubblicata in Italia sul numero speciale di “Progetto comunista” per il Forum sociale europeo di Firenze e lì diffusa anche con un volantino bilingue). Ciò è tanto più significativo in quanto la bozza originale del testo della conferenza dei Balcani, elaborata dai compagni greci, era diversa, riproponendo le formule del testo del Mrqi dell'8 aprile, da noi criticate nella nota successiva. E' stato il rappresentante della Amr Proposta che ha proposto la modifica del punto. In ciò è stato immediatamente appoggiato da quelli della Los di Palestina e, quindi, l'emendamento è stato approvato all'unanimità. Ciò non elimina tutti i punti di dissenso indicati nella nota di Grisolia-Johnson, ma li riduce sensibilmente. E offre ancora una volta una dimostrazione della superiorità del metodo marxista di discussione e confronto tra rivoluzionari. 


Basta con l'aggressione e l'occupazione sionista!

 

Dichiarazione del Comitato di coordinamento del Movimento per la rifondazione della Quiarta Internazionale

 

 

Il Movimento per la rifondazione della Quarta Internazionale denuncia la guerra di aggressione e il terrorismo di stato sionista contro il popolo palestinese, l'Autorità nazionale palestinese e il suo presidente Yasser Arafat condotta dal governo di criminali di guerra Sharon-Perez con il pieno appoggio della più grande organizzazione terroristica del pianeta, l'imperialismo statunitense.

Chiediamo l'immediato ritiro di tutte le truppe israeliane e la fine dello stato d'assedio delle città palestinesi e del quartier generale dell'Autorità nazionale palestinese di Ramallah, dove lo stesso Arafat è trattenuto come ostaggio con la minaccia di essere ucciso dai sicari di Sharon.

Chiamiamo la classe lavoratrice internazionale, le sue organizzazioni, il movimento contro la globalizzazione capitalistica, tutti i movimenti popolari di liberazione delle nazioni oppresse del Medio Oriente, dell'Asia, dell'Africa e dell'America latina, gli sfruttati e gli oppressi di tutto il mondo, in particolare i lavoratori e i poveri ebrei, a mobilitarsi in azioni di massa, in Palestina e a livello internazionale, per sostenere l’eroico e martire popolo palestinese.

Lo stato sionista ha invaso la Cisgiordania usando i mezzi del terrorismo di massa: i massacri di civili indifesi, inclusi vecchi, donne e bambini; gli assassinii a freddo, le esecuzioni di prigionieri inermi, gli arresti di massa e la detenzione in campi in condizioni spaventose, l'uso di donne e bambini come "scudi umani" per le truppe israeliane, la demolizione delle abitazioni, la distruzione dei sistemi per la fornitura dell'energia elettrica e dell'acqua potabile, dei servizi sanitari e sociali ecc. L'espulsione dei giornalisti stranieri, delle squadre di medici e degli osservatori internazionali del movimento antiglobalizzazione, delle organizzazioni operaie, dei parlamentari ecc. hanno lo scopo prioritario di impedire che questi crimini di guerra siano resi noti e condannati all'estero.

Questa vasta operazione militare è sata pianificata e preparata molto tempo prima degli attentatiti suicidi in Israele durante il periodo di Pasqua, che sono stati usati da Sharon come pretesto per portare avanti il suo piano di pulizia etnica dei palestinesi nei territori occupati nel 1967 e di distruzione stessa dell'Autorità nazionale palestinese. I piani militari erano pronti già due anni fa, nel 2000, quando ancora esisteva l'euforia "pacifista" per gli Accordi di Oslo (come rivelato da "Le Monde" del 3 aprile 2002). Sharon il macellaio non ha mai nascosto il suo obiettivo di dare una "soluzione finale" di tipo militare alla questione palestinese.

Dopo il fallimento degli Accordi di Oslo e lo scoppio dell'eroica Intifada del popolo palestinese, la principale preoccupazione dei sionisti è schiacciare la ribellione popolare. L'Intifada non solo continua indomabile già da 19 mesi ma negli ultimi mesi essa ha acquistato sempre più forza, con la partecipazione dei palestinesi che vivono in Israele e lo sviluppo di operazioni di guerriglia su una scala e con un'efficacia che ha sorpreso l'esercito sionista.

Ciò che ha aperto la strada alla follia militarista di Sharon è la "guerra al terrorismo" imperialista di George W. Bush, l'aggressione all'Afghanistan, la preparazione della guerra all'Iraq, le minacce di geurar contro l'"Asse del male", la follia della "Nuova dottrina nucleare" del governo degli Stati Uniti rigardo "l'uso tattico delle armi nucleari", non solo contri i paesi del Medio Oriente e dell'Asia (Iraq, Iran, Siria, Libia, Nord Corea) ma anche contro la Russia e la Cina.

L'imperialismo statunitense vede l'invasione dei Territori da parte di Sharon come parte di una più vasta campagna di guerra che si sta preparando in Medio Oriente: "La nozione che la pace in Medio Oriente passa per Gerusalemme è un'illusione", ha chiarito con enfasi un editoriale del "Wall Street Journal". "Il sentiero per un Medio Oriente pacificato ora non passa per Gerusalemme ma per Bagdad" (2 aprile 2002).

George W. Bush ha dichiarato che l'apperto sostegno della sua amministrazione "al diritto di Israele all'autodifesa contro il terrorismo" nel momento in cui i tank israeliani entravano a Ramallah e in Cisgiordania. Anche l'appello tardivo, ipocrita ed ambiguo, a Israele "di considerare di iniziare" il ritiro delle sue truppe dalla Cisgiordania fatto dal presidente degli Usa non è una proposta di pace ma un inganno – che un assediato Arafat ha frettolosamente accettato. In realtà Bush ha dato a Sharon il permesso e il tempo di finire prima le sue operazioni assassine e di ritirare poi le sue orde.

L'imperialismo statunitense e il sionismo si avvantaggiano della vigliaccheria e della pronta capitolazione delle classi dominanti arabe che hanno sempre tradito i palestinesi e i propri stessi popoli. Il patetico fallimento del vertice arabo di Beirut, all'epoca della guerra di Sharon, lo dimostra una volta di più. L'Arabia Saudita ha proposto di riconoscere l'usurpazione sionista della Palestina in cambio della pace, l'Egitto e la Giordania hanno boicottato il vertice per sfidare il ruolo di protagonisti dei sauditi e Sharon, in concorrenza con i siriani, ha provocatoriamente impedito ad Arafat di recarsi al vertice mentre il Libano, su ordine della Siria, ha addirittura proibito ad Arafat di parlare al vertice da Ramallh…

La nostra difesa di principio e incondizionata di Arafat oggi contro l'assedio sionista e l'offensiva contro l'Autorità nazionale palestinese non implica alcun supporto politico alla sua direzione borghese e la capitolazione allo "spirito di Oslo" e alle sue attuali disastrose conseguenze.

I governi arabi temono di più la ribellione delle proprie masse popolari che la catastrofe provocata dall’imperialismo e dal sionismo in Palestina e nell’intera regione. Le dimostrazioni di massa al Cairo, Amman, Beirut e in tutto il mondo arabo, spesso culminate in scontri con le forze locali della repressione statale, mostra chiaramente come l’eroica resistenza rivoluzionaria del popolo palestinese è il detonatore della rivoluzione per l’emancipazione nazionale e sociale dell’intero Medio Oriente e oltre

La barbara aggressione sionista deriva dalla decomposizione del sionismo stesso nelle attuali condizioni di crisi mondiale del capitalismo nell’epoca della decadenza imperialistica e non farà che accelerare ulteriormente questa decomposizione. Non può esserci alcuna "soluzione militare" della crisi del sionismo che può solo sperare di sopravvivere su un oceano di sangue e di orrori. L'invasione della Cisgiordania da parte di Sharon può finire come la precedente invasione del Libano: cioè con una sconfitta per la resistenza delle masse popolari arabe e per il rigetto da parte della stessa popolazione ebraica, in mezzo a orrori senza fine.

Israele sta attraversando la sua più profonda crisi economica dal 1948. Una disoccupazione crescente, il taglio delle spese sociali, lo sprofondamento di vasti settori della popolazione ebraica ed araba nella povertà, una profonda recessione sono gli elemneti salienti di questa situazione. La deriva militare in corso colpirà sempre più duramente la popolazione ebraica e araba all'interno dlela "linea verde", come mostra chiaramente il taglio annunciato di altri due milioni di dollari dalla spesa pubblica per fini militari.

Già la prospettiva di una sconfitta e dei suoi effetti destabilizzanti nell'intera regione suscita i timori di settori della borghesia, particolarmente in Europa (vedere il "Financial Time" del 3 aprile 2002). L'Unione Europea nella crisi attuale ha manifestato vergognosamente sia la sua completa impotenza politica sia la sua complicità imperialistica. Il fatto che il sionismo abbia trattato i suoi rappresentanti con sufficienza arrogante è un'altra prova che l'Unione Europea è, forse, un gigante economico ma anche un pigmeo politico. Tuttavia i paesi dell'Unione Europea sono parti inseparabili della "coalizione antiterrorismo" costruita dal superterrorista Bush e in questo senso essi sono complici degli attuali crimini perpetrati in nome della "lotta al terrorismo".

Ci sono voci che invocano l'"intervento internazionale" da parte di "forze internazionali di pace" che fa eco, su scala maggiore, ai timori e agli interessi dei settori delle classi dominanti, soprattutto in Europa ma anche in America. Dobbiamo opporci senza compromessi a questa politica, invocata non solo da stetori dei capitalisti ma anche dalla sinistra sionista "moderata" e dai pacifisti di Gush Shalom [pace adesso], dall'ala riformista del movimento contro la globalizzazione capitalistica, dagli stalinisti europei e da ambienti di cosiddetta "estrema sinistra", in primo luogo delle organizzazioni di quello che abusivamente si chiama "Segretariato unificato della Quarta Internazionale".

Il Congo, Cipro, la Corea in passato; più recentemente la Bosnia, il Kosovo e la Macedonia nei Balcani, hanno dimostrato al di là di ogni ombra di dubbio il ruolo disastroso di queste "forze di pace" internazionali sia dell'imperialista Unione Europea sia dei paesi dell'Onu, per non dire della Nato. Esse sono la fask force dell'imperialismo per imporre i suoi disegni e i suoi interessi. L'instaurazione di protettorati imperialistici è una forma di schiavitù, non di libertà e di indipendenza.

Il pacifismo, il riformismo, anche il "radicalismo" di pseudo sinistra del tipo di quello del Segretariato unificato dipingono di rosa il ruolo dell'Onu e dell'Unione Europea e spargono illusioni di una "soluzione" e di una "pace" che potrebbe essere portata sulle baionette e i cannoni delle truppe imperialiste. Thomas Friedman, un editorialista democratico-sionista del "New York Times", il medesimo che nel 1999 salutò i bombardamenti della Nato contro la Jugoslavia durante la guerra del Kosovo, oggi invoca apertamente "un Kosovo in Cisgiordania". E' drammatico che questo appello controrivoluzionario sia accettato e propagandato da "radicali" occidentali in nome del movimento antiglobalizzazione e addirittura del trotskismo!

L'emancipazione degli oppressi è un compito e un impegno degli oppressi stessi, in primo luogo della classe operaia. E' compito degli operai e degli contadini palestinesi stessi; ma è anche un dovere di tutti gli ebrei che rifiutano di accettare la continuazione dei crimini del sionismo, commessi in loro nome da coloro che hanno confiscato la storia di tragedie del popolo ebraico e in primo luogo dell'Olocausto nazista. Sharon può uccidere gli arabi ma non può salvare una sola vita ebraica. Il governo sionista Sharon-Perez è diventato oggi la fonte di una nuova pericolosissima ondata mondiale di antisemitismo, come mostrano gli attacchi contro le sinagoghe e gli ebrei in Francia e in Belgio. Il popolo ebraico deve rompere col sionismo in decomposizione e prendere con forza e orgoglio, come ha già fatto molte volte, il suo posto nelle fila della lotta per la rivoluzione socialista mondiale, l'unico modo per mettere fine all'antisemitismo. Prima di tutto esso deve sostenere pienamente i loro fratelli e sorelle palestinesi che lottano per una Palestina indipendente, laica e socialista, dove palestinesi ed ebrei possano vivere insieme in pace. Questa prospettiva è avanzata dai nostri compagni in Palestina, la Lega operaia socialista che si battono per unire l'avanguardia dei lavoratori e dei giovani arabo-palestinese ed ebrei sotto la bandiera della Quarta Internazionale, la cui rifondazione è più urgente che mai.

Per le masse palestinesi e per tutti gli oppressi e sfruttati del Medio Oriente, compresi i lavoratori e i poveri ebrei, la sola soluzione progressiva è la distruzione della macchina di guerra, terrore e oppressione rappresentata dallo stato sionista, l'espulsione dell'imperialismo dall'intera regione, l'instaurazione di una Repubblica palestinese laica e socialista sull'intero territorio della Palestina storica e l'unificazione di tutti i popoli della regione, arabi, kurdi, iraniani, berberi, ebrei ecc. in una Federazione socialista del Medio Oriente.

Chiamiamo le organizzazioni della sinistra e dei lavoratori in Israele a organizzare immediatamente una grande manifestazione di massa di ebrei e di palestinesi contro la folle deriva militarista del governo. Chiamiamo i soldati israeliani a rifiutarsi di prendere parte a questo macello e ad organizzarsi per rifiutarlo. Chiamiamo i lavoratori e le organizzazioni di sinistra del Medio Oriente e del mondo, incluse quelle ebraiche, a formare comitati di fronte unico in solidarietà con il popolo palestinese, che unisca socialisti, palestinesi in esilio, attivisti antiguerra, sindacalisti ecc. e mobiliti le masse dei propri paesi contro il governo israeliano e contro il sostegno degli Stati Uniti e dell'Unione Europea allo stato sionista, in difesa della rivolta palestinese.

 

·         Fermiamo la guerra di Sharon!

·         Via subito l’esercito israeliano e le colonie dai territori occupati!

·         Difendiamo il popolo palestinese, l’Autorità nazionale palestinese e il presidente Arafat dagli aggressori sionisti!

·         Vittoria all’Intifada! Sconfiggiamo il sionismo!

·         Per la piena attuazione del diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi!

·         Per una Repubblica democratica, laica e socialista di Palestina nel territorio della Palestina storica!

·         Via l’imperialismo dal Medio Oriente!

·         Per una Federazione socialista di tutti i popoli del Medio Oriente!

·         Per la rivoluzione socialista mondiale! Per la rifondazione della Quarta Internazionale!

(8 aprile 2002)

 

Il Comitato di coordinamento del Movimento per la rifondazione della Quarta Internazionale


Alcune osservazioni sulla Dichiarazione del Mrqi sulla questione palestinese

 

di Franco Grisolia e Peter Johnson

 

Il Partido Obrero e la Socialist Workers League (Lega operaia socialista) hanno presentato il documento “Basta con l’aggressione sionista e l’occupazione!” come “dichiarazione del Comitato di coordinamento del Movimento per la rifondazione della Quarta Internazionale” prima che questo testo potesse essere propriamente discusso, messo a punto e votato dallo stesso Comitato di coordinamento del Mrqi.

Se il Comitato di coordinamento avesse discusso e votato la dichiarazione, Franco Grisolia e Peter Johnson, in qualità di membri del Comitato stesso, avrebbero proposto degli emendamenti per colmare alcune lacune del documento. Questa mancata discussione e voto riflette il permanere di contraddizioni politico-organizzative nel Mrqi. Nonostante ciò, l’Ito diffonderà la dichiarazione con le nostre osservazioni.

Il documento è, in primo luogo, una corretta denuncia dell’invasione israeliana della Cisgiordania e una riaffermazione dei tradizionali punti di vista trotskisti sulla Palestina. In particolare, concordiamo con gli slogan finali, anche se avremmo proposto alcuni emendamenti che indichiamo di seguito tra parentesi quadre:

·         Fermiamo la guerra di Sharon!

·         Via subito l’esercito israeliano e le colonie dai territori occupati!

·         Difendiamo il popolo palestinese, l’Autorità nazionale palestinese e il presidente Arafat dagli       aggressori sionisti!

·         Vittoria all’Intifada! Sconfiggiamo il sionismo!

·         Per la piena attuazione del diritto al ritorno nella loro terra dei rifugiati palestinesi!

·         Per una [Palestina democratica, laica e socialista]!

[•  Per il diritto all’autodeterminazione nazionale del popolo palestinese!]

[•  Per l’unificazione socialista e rivoluzionaria della nazione araba!]

[•  Basta con gli aiuti militari degli Usa e degli altri Paesi imperialisti a Israele!]

·         Via l’imperialismo dal Medio Oriente!

·         Per una federazione socialista di tutti i popoli del Medio Oriente [e del Nord Africa]!

·         Per la rivoluzione socialista mondiale! Per la rifondazione della Quarta Internazionale!

 

La lacuna principale del testo è che si focalizza troppo sugli israeliani e gli ebrei e troppo poco sui palestinesi e gli arabi. Questa lacuna ha delle implicazioni di tipo strategico, tattico e programmatico. Prima di discuterne, comunque, vogliamo porre in evidenza alcuni errori secondari di analisi e di valutazione.

 

L’invasione di Sharon e la guerra di Bush

 

Il documento dice “l’imperialismo degli Stati Uniti vede l’invasione dei territori come parte di una più ampia campagna di guerra che si sta preparando in Medio Oriente”. In questo modo non si vede la contraddizione tra gli interessi e le politiche imperialistiche degli Stati Uniti e di Israele sionista.

L’imperialismo degli Stati Uniti considera Israele, per ora, uno strumento indispensabile per il suo dominio in Medio Oriente. Ma Israele non è sufficiente come strumento. L’imperialismo statunitense ha bisogno anche degli stati arabi.

L’attacco israeliano alla West Bank (Cisgiordania) serve gli interessi della classe dominante israeliana. I sionisti, se potessero, vorrebbero espellere i palestinesi e sostituirli con gli immigrati ebrei. Poiché per adesso non possono attuare questa soluzione, vogliono imporre un sistema di apartheid di stile sudafricano che permetta loro di controllare saldamente i palestinesi e continuare a sfruttarne la manodopera.

L’attacco israeliano alla Cisgiordania non serve certo gli interessi della classe dominante statunitense. Gli Usa, infatti, non possono permettere ad Israele di espellere i palestinesi poiché questo potrebbe portare alla rivoluzione negli stati arabi. Non hanno niente da obiettare all’apartheid israeliano, semplicemente non credono che possa essere imposto solo con mezzi militari. Sono convinti che per una soluzione definitiva sia necessario il “consenso” degli stati arabi e dell’Autorità palestinese. Nel frattempo, l’attacco israeliano ha complicato i piani statunitensi per tentare di affrontare la questione Iraq, Iran e cosiddetti “gruppi terroristici” nei paesi arabi, ciò che costituisce la vera minaccia per gli interessi degli Stati Uniti.

Il governo israeliano asserisce di non aver avuto né “semaforo verde” né “semaforo rosso” dagli Usa per le operazioni militari. Sembra verosimile che il governo israeliano prosegua nella sua politica dei “fatti compiuti” e che il governo statunitense si limiti a dare “semaforo giallo”, cioè un invito ad agire con prudenza. L’amministrazione Bush non avrebbe potuto dire “no” poiché Israele non ha fatto altro che imitare la “guerra al terrorismo” americana; ma non avrebbe neanche potuto dare il suo incondizionato consenso poiché la politica israeliana interferisce con gli interessi statunitensi.

La contraddizione esistente tra Israele e Usa è molto importante per il popolo palestinese poiché, per il momento, impedisce a Sharon di espellere i palestinesi.

 

Il piano Arabo di pace

 

Il documento fa riferimento “al patetico fallimento del vertice arabo a Beirut” e dice che “l’Arabia Saudita ha proposto di riconoscere l’usurpazione sionista della Palestina in cambio della pace”. Questo travisa i risultati del vertice della Lega araba e il contenuto del piano saudita.

I media borghesi giocano sulle divisioni esistenti tra gli stati arabi, che sono reali, ma il risultato più importante è che la Lega araba, inclusa l’Autorità palestinese, ha riaffermato la posizione sulla questione palestinese che porta avanti da vent’anni. Offrono pace e “relazioni normali” con Israele in cambio della fine dell’occupazione della Cisgiordania, di Gaza, di Gerusalemme Est, delle alture del Golan e del Libano, di uno stato palestinese indipendente e del diritto ai rifugiati palestinesi di tornare nelle proprie terre.

Certo, ciò implica “riconoscere l’usurpazione sionista della Palestina”. E non permette realmente il ritorno nella propria terra della maggioranza dei rifugiati. Ma accetta, a parole, le richieste centrali dell’Intifada ed è più di quanto Israele potrebbe accettare.

Il testo afferra la ragione di tutto ciò ma manca di trarre le ovvie conclusioni. “I governi arabi temono di più la ribellione delle proprie masse popolari che la catastrofe provocata dall’imperialismo e dal sionismo in Palestina e nell’intera regione. Le dimostrazioni di massa al Cairo, Amman, Beirut e in tutto il mondo arabo, spesso culminate in scontri con le forze locali della repressione statale, mostra chiaramente come l’eroica resistenza rivoluzionaria del popolo palestinese è il detonatore della rivoluzione per l’emancipazione nazionale e sociale dell’intero Medio Oriente e oltre”. I governi arabi continuano a rivolgersi freneticamente agli Stati Uniti e agli imperialisti europei: Israele e la politica statunitense potrebbero provocare una rivoluzione negli stati arabi. Tuttavia, il documento non fa parola della prospettiva della rivoluzione socialista araba propria del Comintern e della Quarta Internazionale.

 

Decomposizione del sionismo?

 

Nel documento si legge: “La barbara aggressione sionista deriva dalla decomposizione del sionismo stesso nelle attuali condizioni di crisi mondiale del capitalismo nell’epoca della decadenza imperialistica e non farà che accelerare ulteriormente questa decomposizione”; e ancora: “Già la prospettiva di una sconfitta e dei suoi effetti destabilizzanti nell’intera regione suscita le paure di settori della borghesia, particolarmente in Europa”.

Sfortunatamente questo non è vero. Israele ha invaso la Cisgiordania per consolidare il regime di apartheid, contro cui le masse palestinesi cercavano di resistere coraggiosamente e disperatamente con l’Intifada. I palestinesi non possono sconfiggere Israele militarmente. Possiedono solo fucili e granate mentre Israele ha carri armati, artiglieria, aerei, elicotteri e armi chimiche, batteriologiche e nucleari.

Il testo dice: “L’invasione della Cisgiordania da parte di Sharon può finire come la precedente invasione del Libano: cioè, con una sconfitta per la resistenza delle masse popolari arabe e per il rigetto da parte della stessa popolazione ebraica, in mezzo ad orrori senza fine”.

Questo potrebbe essere vero se l’intenzione del governo israeliano fosse di rioccupare parte dei villaggi e città cedute all’Autorità palestinese. Ma l’intenzione non è questa. Il piano è di devastare le aree palestinesi e poi di ritirarsi nelle proprie basi e nelle colonie. Con la dimostrazione di tutto il proprio potere e della propria spietatezza, spera di demoralizzare i palestinesi fino a costringerli a interrompere l’Intifada.

La popolazione ebraica israeliana, compresa buona parte della classe lavoratrice, si è stretta attorno al governo Sharon-Peres e sostiene l’invasione considerandola una necessaria autodifesa contro il “terrorismo”. Anche se l’esercito israeliano si ritirasse abbastanza presto, la maggioranza degli ebrei israeliani continuerebbe a sostenere il governo.

Israele si è ritirato da Libano perché i costi politici superavano di gran lunga i vantaggi militari di un’occupazione permanente. La situazione in Cisgiordania e Gaza è molto diversa. Il Likud, il Partito laburista e i partiti religiosi promuovono e continueranno a promuovere le colonie poiché tengono viva la possibilità di una più Grande Israele.

Molti ebrei israeliani avversano i coloni e vorrebbero che Israele si ritirasse entro la “linea verde” dei confini precedenti alla guerra del 1967; ma fino a quando continueranno a vedere l’esercito israeliano come il garante dei propri privilegi e della propria sicurezza, accetteranno le colonie e continueranno a sostenere l’azione militare per difendere i coloni.

 

Rivoluzione araba o israeliana?

 

Il documento presenta ripetutamente i lavoratori ebrei come gli agenti chiave della liberazione palestinese. Si legge: “Chiamiamo la classe lavoratrice internazionale, le sue organizzazioni, il movimento contro la globalizzazione capitalistica, tutti i movimenti popolari di liberazione delle nazioni oppresse del Medio Oriente, dell'Asia, dell'Africa e dell'America latina, gli sfruttati e gli oppressi di tutto il mondo, in particolare i lavoratori e i poveri ebrei, a mobilitarsi in azioni di massa, in Palestina e a livello internazionale, per sostenere l’eroico e martire popolo palestinese”.

Perché “in particolare i lavoratori e i poveri ebrei”? Fuori da Israele, gli ebrei costituiscono quasi esclusivamente una classe media e, dappertutto, si sono stretti a difesa di Israele. Persino tra i lavoratori ebrei, la solidarietà religiosa, etnica e nazionale è più forte della solidarietà di classe. Invece, i lavoratori e i poveri arabi difendono i palestinesi, condividendone il senso di identità nazionale e l’oppressione.

Il testo dice: “L’emancipazione degli oppressi è un compito e un impegno degli oppressi stessi, in primo luogo della classe operaia. E’ compito degli operai e dei contadini palestinesi stessi"; e in un passaggio precedente si sottolinea il potenziale rivoluzionario della solidarietà araba. Però l’accento si pone soprattutto sugli ebrei.

Sì, “è dovere di tutti gli ebrei che rifiutano i crimini del sionismo” sostenere i palestinesi nella lotta per l’emancipazione. E apprezziamo gli sforzi della Socialist Workers League di strappare i lavoratori ebrei al sionismo, ma queste sono questioni secondarie. Per ora, i lavoratori e i poveri arabi hanno più ragioni per agire rispetto ai lavoratori ebrei e, di fatto, sono già in moto. Questo dovrebbe essere il nostro punto di partenza tattico e strategico.

Il fatto che il documento focalizzi l’attenzione sugli ebrei piuttosto che sui lavoratori arabi porta a due madornali omissioni programmatiche. In primo luogo, non si sostiene il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione nazionale. Nel testo non compare né la parola né il concetto.

L’omissione non è nuova né tanto meno accidentale. La soluzione che gli autori promuovono per la questione nazionale palestinese è riassunta nello slogan: “Per una Repubblica democratica, laica e socialista di Palestina, nel territorio della Palestina storica!” Ciò significa uno Stato binazionale di ebrei israeliani e arabo-palestinesi.

Chiaramente, le masse palestinesi non lo vogliono; non ora, in ogni caso. L’obiettivo principale dell’Intifada è uno stato palestinese indipendente. Il testo dovrebbe almeno riconoscere il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione nazionale, il loro diritto a decidere.

Questa omissione è particolarmente grave perché il Mrqi comprende ebrei israeliani ma non arabo-palestinesi. Come sottolineavano Lenin, Trotsky e la Terza e la Quarta Internazionale, i comunisti delle nazioni oppressore devono sostenere il diritto all’autodeterminazione nazionale del popoli delle nazioni oppresse, vale a dire il diritto alla secessione e a costituire uno stato separato. Non riconoscerlo significa adattarsi allo sciovinismo nazionale.

In secondo luogo, il testo non sostiene la parola d’ordine storica del Comintern e della Quarta Internazionale della rivoluzione socialista araba. Con le strade arabe in tumulto e con i leader arabi che temono la rivoluzione, la prospettiva di una rivoluzione permanente nel mondo arabo è più importante che mai: una rivoluzione dei lavoratori che risolva la questione nazionale, le questioni democratiche e la questione della terra e che si diffonda in lungo e in largo fino alla nascita di una Repubblica socialista araba e una federazione socialista del Medio Oriente e del Nord Africa.

Saluti trotskisti,

(16 Maggio 2002)