VI CONGRESSO DEL PRC: INTERVENTI NELLA TRIBUNA
Potete
leggere qui sotto gli interventi pubblicati nella tribuna congressuale di
Liberazione nei giorni 19, 21, 26 e 28 gennaio.
Buona lettura,
Francesco Ricci
PARTITO
CON UNA MASSA DI TESSERATI O PARTITO DI ATTIVISTI CON INFLUENZA DI MASSA?
La
polemica sulla questione del tesseramento rimanda ad aspetti più generali.
Non
è la prima volta che alla vigilia di un congresso il numero dei tesserati al
partito è incrementato in maniera "non spontanea", né si può negare
che, oggi o in passato, alcune delle attuali minoranze abbiano utilizzato, a
volte, questa forma di "crescita" a proprio vantaggio (siamo
orgogliosi di poter dire che, come ci è stato riconosciuto da dirigenti di
altre aree, Progetto Comunista, anche nelle situazioni in cui dirigeva il
partito, non ha mai utilizzato tale metodo). Ma oggi vi è stato un salto di
qualità tale da far ritenere l'esistenza di una volontà di vincere il
congresso al di là dell’opinione del corpo attivo del partito. Perché tale
vittoria è vista come elemento centrale della strategia che ha il suo asse
nell'inserimento organico nel centrosinistra e la partecipazione ad un suo
futuro governo.
La
questione del tesseramento è collegata alla concezione stessa del "partito
di massa" che è propria sia della maggioranza che dei settori
"critici" rappresentati dalle mozioni 2 e 4. Naturalmente tutti siamo
favorevoli a un "partito comunista di massa". Ma per noi questo si
identifica con la concezione originaria del movimento operaio e comunista per
cui il carattere di massa del partito era dato dal suo radicamento sociale, nei
luoghi di lavoro e nei movimenti; mentre la adesione era basata sulla militanza
attiva. L'iscrizione passiva, che inevitabilmente degenera nel tesseramento
amicale, familiare, lideristico, è propria invece della tradizione riformista e
borghese (già Gramsci nel ’19 confrontava il PSI che con 60 mila iscritti
otteneva il 30% alle elezioni con il Partito Popolare cattolico che con 600 mila
iscritti aveva il 20% dei voti). Con questa struttura, al congresso, anche chi
non ha partecipato in alcun modo alla vita del partito e alla sua discussione può
deciderne le scelte, che poi non concorrerà a realizzare.
Il
"gonfiamento" di tessere realizzato è strettamente collegato alla
linea politica generale del partito: non solo quella attuale ma anche quella
praticata precedentemente dall'insieme della vecchia maggioranza (mozioni 1, 2 e
4). Una linea istituzionale e governista. La moltiplicazione degli assessori
nelle giunte di collaborazione di classe ha favorito un tesseramento non
politico, amicale. Ma la proposta di indicare questo aspetto nel testo congiunto
delle minoranze sul tesseramento è stata respinta dai rappresentanti delle
mozioni 2 e 4: perché avrebbe messo in questione la loro pratica politica.
L’inconseguenza
dei settori "critici" si è vista al momento della "svolta"
del partito, nel 2003. Quando noi abbiamo lanciato la proposta di un congresso
straordinario perché subito il partito potesse essere messo in condizione di
pronunciarsi, le altre aree si sono opposte alla nostra richiesta mentre
continuavano a sostenere la linea di Bertinotti.
Se
quindi è positivo che si siano condannati insieme i metodi della maggioranza
nel rigonfiamento del tesseramento, è tuttavia evidente che le concezioni delle
minoranze non sono omogenee nemmeno sulla questione del partito.
Chi
ha condiviso la denuncia sul tesseramento dovrebbero valutare come certe logiche
distorte sono il prodotto di una strutturazione sbagliata. Ciò che proponiamo
in alternativa non è una setta di pochi "illuminati" ma un partito
con migliaia di militanti attivi nei movimenti di massa. Una diversa
"forma" del partito che può darsi solo in relazione a un diverso
progetto politico, di opposizione di classe per guadagnare milioni di lavoratori
alla necessità di un governo dei lavoratori per i lavoratori. Per questo le
mozioni "critiche", che propongono un sostegno critico a un governo di
alternanza borghese, restano in mezzo al guado anche sul terreno della
concezione del partito.
Per
questo cinque sono i documenti ma due le posizioni fondamentali: quella della
maggioranza e quella di Progetto Comunista. Tra essi si tratta di scegliere.
Franco
Grisolia
Francesco
Ricci
(rappresentanti
della mozione 3 nella Commissione nazionale per il congresso)
UNA
PROSPETTIVA STRATEGICA DI ALTERNANZA IN QUATTRO DOCUMENTI SU CINQUE
Per
i suoi contenuti il VI congresso assume connotati straordinari, poiché la
prospettiva avanzata da Bertinotti (alleanza programmatica col centrosinistra e
ministri in un futuro governo Prodi bis) mette in discussione la ragione sociale
dell’esistenza del Prc e la stessa sopravvivenza di un’opposizione di classe
in Italia.
Questa
prospettiva, in definitiva, riflette, aldilà della contingenza dettata dal
dibattito congressuale, impostazioni politiche e culturali che attraversano non
da oggi Rifondazione comunista.
Se
nel primo documento (Bertinotti) è amputato qualsiasi riferimento concreto al
tema della “Rivoluzione”, enfaticamente recitato al V congresso, nel IV
documento (Malabarba) si afferma che "tornare al marxismo di Marx non è
possibile (...) significherebbe tornare al niente”. Per l’identità di
rifondazione assumerebbe rilevanza “il pacifismo radicale, l’esistenza di
una democrazia dell’uguaglianza e la laicità dallo Stato”.
Quest’impostazione è parte integrante di una tendenza programmatica che,
traendo elementi impressionistici dalla crisi dello stalinismo, ha ritenuto che
si chiudeva il ciclo dell'ottobre e dell’attualità della dittatura del
proletariato, facendo, in questi anni, del programma antiliberista, della
democrazia partecipativa, la mistica di un nuovo marxismo e del movimento no
global l’agente della ricomposizione di una nuova rifondazione e di un
"nuovo" movimento operaio.
Una
liquidazione del marxismo (che ricordiamo non è un’ideologia scolastica ma un
metodo dialettico e una proposta programmatica), parimenti operata dal II
documento (Grassi) che malgrado reclami la necessità di valorizzare
“il patrimonio di idee degli ultimi centocinquant’anni” e della
“battaglia per la costruzione del socialismo”, riduce l’analisi di Marx ed
Engels ad una “forza di mutamento politico del sentimento d ingiustizia
sociale”; Lenin ad un’analista del “colonialismo e dell’imperialismo”,
e il pensiero di Gramsci alla “complessità dei contesti sociali”.
La
posizione oggi apparentemente critica del gruppo dirigente della mozione Essere
Comunisti, lungi dal mostrare un contenuto contingente, è viceversa tutta
interna alla sua tradizione togliattiana, con tutto quello che ha significato
quest’eredità sulle impostazioni politiche: dalla prospettiva internazionale,
articolata in termini campisti, là dove i rapporti interstatuali sostituiscono
nei fatti la centralità della lotta di classe; a quella politico-programmatica
sulla questione del governo, che esplicitamente in linea con il recupero della
"via italiana al socialismo", della via graduale, accetta e promuove
le alleanze con la cosiddetta borghesia democratica o progressista.
Un
filo comune che intreccia anche l’apparente ortodossia teorica espressa dal V
documento (Falcemartello) enfaticamente riassunta nella proposta di “Rompere
con Podi e preparare l’alternativa operaia”. Secondo questa mozione
il Prc può divenire “forza egemonica nel movimento operaio”, realizzando
un’alleanza tra il Prc e la socialdemocrazia italiana -mentre quest'ultima
sarebbe espressa secondo questi compagni dai Ds di D'Alema... Una prospettiva
decisiva, a detta del V documento, per “l’evoluzione della coscienza delle
masse” e che esprimerebbe la migliore lezione dei "primi quattro
congressi dell’Internazionale Comunista”. Peccato che Lenin (ma
evidentemente per il V documento è solo un dettaglio), la pensasse
diversamente, poiché riteneva che la distruzione politica delle "agenzie
borghesi nel movimento operaio" fosse la precondizione della costruzione
dell’egemonia comunista.
Una
lezione tanto più oggi necessaria per una Rifondazione Comunista politicamente
e culturalmente indipendente dalla borghesia e dai suoi agenti, che assuma la
costruzione di un polo autonomo e di classe come centrale per lo sviluppo, nella
coscienza delle masse popolari, dell’alternativa di potere e della rivoluzione
socialista.
Ruggero
Mantovani
PER
UNA NUOVA STAGIONE DI LOTTE OPERAIE, FUORI DALLA GABBIA CONCERTATIVA DELLA GAD
I
poteri forti di questo Paese, le grandi banche e le concentrazioni finanziarie,
preferiscono un governo di centrosinistra (la Gad), un’alleanza tra liberali
(maggioranza Ds e Margherita) e sinistra politica (sinistra Ds, Pdci, Prc),
perché, come l’esperienza del primo governo Prodi ha dimostrato, solo così
possono imporre politiche antioperaie e antipopolari con la collaborazione
concertativa della burocrazia sindacale in un quadro di pace sociale.
L’attacco sferrato dal governo Berlusconi alle condizioni di vita e di lavoro
dei lavoratori si è infatti inserito dentro un percorso normativo iniziato dai
governi di centrosinistra: dalle pensioni con Dini, alla precarizzazione con
Treu, alle norme antimmigrati...
La
nascita della Gad già oggi agisce come potente fattore frenante delle
mobilitazioni operaie e popolari, di moderazione salariale e normativa nelle
vertenze, negli accordi bidone firmati. Il riavvicinamento tra la Cgil e Cisl,
Uil, dopo la rottura verificatasi in seguito alla firma del Patto per l’Italia
con la Confindustria di D’Amato e il governo Berlusconi, ha avuto
un’accelerazione con la recente investitura di Montezemolo alla guida del
padronato. Segnali fortemente negativi di questa deriva si sono succeduti a
intervalli più o meno regolari: dai documenti firmati da Cgil, Cisl e Uil con
la Confindustria sulla competitività del "sistema Italia" a quello
sul Mezzogiorno. In questa dimensione appare stridente la contraddizione tra il
livello di mobilitazione, pur con gravi limiti di continuità e contenuti,
attuato dalla Cgil nel triennio 2001-2003 e la caduta determinatasi a ridosso
dell’ipotesi di un “governo amico”. Si pensi ai rinnovi contrattuali del
commercio, del turismo, dei tessili, dei lavoratori delle telecomunicazioni e
degli autoferrotranvieri: tutti caratterizzati da: bassi aumenti salariali,
forti indebolimenti normativi ed aperture alla legge 30.
Per
quanto riguarda il rinnovo del contratto dei metalmeccanici, la proposta di
piattaforma unitaria per il biennio salariale 2005-2006 (104 € al 5° livello
più 26 € a chi non fa la contrattazione integrativa aziendale a fine 2005) è
insufficiente a salvaguardare il potere d’acquisto dei salari. E’ in
contraddizione con la richiesta avanzata dalla Fiom-Cgil due anni fa (aumento
salariale di 135 € uguali per tutti) e sostenuta dalle lotte dei lavoratori,
contro Fim e Uilm che firmarono un accordo separato e bidone.
Per
questo, in coerenza con il nostro percorso di lotta e mobilitazione invitiamo i
lavoratori a votare, nelle assemblee referendarie in fabbrica, contro questa
proposta che si inserisce dentro un quadro concertativo in continuità con gli
accordi del Luglio ’93. Quadro che può essere rotto solo da un percorso di
lotta a oltranza che unifichi la classe su basi reali ed alternative:
significativi aumenti salariali (almeno 200 €), regole di reale trasparenza
democratico-sindacale basata su delegati operai che coordinano e dirigono la
lotta, abolizione delle leggi precarizzanti (pacchetto Treu e L. 30) e
stabilizzazione dei precari, salario sociale ai disoccupati, abolizione delle
leggi contro gli immigrati, estensione dell’art.18, difesa della scuola, sanità
e previdenza pubblica, nazionalizzazione sotto controllo operaio delle aziende
che licenziano. Su queste basi, riteniamo necessario salvaguardare una
componente classista in Cgil anche attraverso un documento alternativo alla
maggioranza Cgil nel prossimo congresso. Riteniamo infatti estremamente grave la
crescente subordinazione di Lavoro e Società alla maggioranza dirigente in Cgil
e al centrosinistra fino a prefigurare un documento unitario al prossimo
congresso Cgil. Condividendo quanto indicato sulla questione sindacale nel 3°
documento,invitiamo i lavoratori comunisti a sostenerlo nei congressi e a
praticarlo nell’azione sindacale.
Francesco
Doro
Direttivo
regionale Fiom Cgil Veneto
Enrico
Pellegrini
Direttivo
regionale Filcams Cgil Veneto
Stefano
Fontana
Direttivo
provinciale Fiom Cgil Padova
NO ALLA CONCERTAZIONE SINDACALE E POLITICA
La
mozione n.3 si rivolge, coerentemente con il suo intero impianto, ai compagni e
alle compagne che militano nei sindacati indicando loro che “la proposta del
polo autonomo di classe anticapitalistico, opportunamente articolata sul piano
sindacale, deve divenire il terreno d’unificazione dell’azione dei militanti
del Prc, ovunque collocati sindacalmente”. Diventa, infatti, sempre più
improcrastinabile un coordinamento dei comunisti impegnati nel sindacalismo di
classe per contrastare le burocrazie sindacali concertative e arrivare a una
vertenza che unisca in una lotta ad oltranza l’insieme del mondo del lavoro,
superando l’attuale frammentazione di scioperi simbolici e inconcludenti.
Quest’indicazione
è coerente con l’analisi e l'asse generale che la mozione esprime sul piano
politico, là dove rilancia la necessità di un polo autonomo di classe per
scacciare Berlusconi ma anche per sconfiggere ogni illusione rappresentata da un
futuro governo di centrosinistra che si candida a rappresentare gli interessi
del grande capitale con l'intenzione di rendere il Prc complice di una politica
che sarà inevitabilmente contro gli interessi dei lavoratori.
Incuriosisce
molto, invece, l’analisi esercitata sul piano sindacale dai compagni delle
altre mozioni. I compagni dell’area dell’Ernesto, a questo proposito
rappresentano un esempio clamoroso. Nella loro mozione(tesi n. 12) si parla dei
“danni prodotti dalla concertazione”, si critica la “subalternità del
sindacato, sancita dagli accordi di luglio 93”, si parla di
“restituire al sindacato il ruolo di soggetto autonomo della negoziazione”.
E si prosegue rilevando il bisogno per le masse lavoratrici di “protagonismo e
autonomia”, mettendo in guardia contro le “tentazioni concertative” e
affermando testualmente che “la politica della concertazione non solo ha
dimostrato che non è in grado di difendere i lavoratori, ma presuppone un
sindacato che è il contrario di quello per cui noi lavoriamo e cioè un
sindacato che si basi sul conflitto, autonomo dai governi…”
E’
un’analisi condivisibile: la concertazione è un male, ma è un male tanto sul
piano sindacale quanto su quello politico. Nella coscienza dei militanti
comunisti “il rapporto dei sindacati rispetto al partito dovrebbe essere
quello della parte rispetto al tutto” e “partito e sindacato sono
effettivamente una cosa sola, rappresentano la lotta socialista per
l’emancipazione, in forma diversa” (Rosa Luxemburg). E’ paradossale,
quindi, che si denunci la mancanza dell’autonomia sindacale dalla
concertazione e al contempo si lavori per la partecipazione a giunte e governi
di centrosinistra che rappresentano gli interessi del padronato contro la classe
lavoratrice. O che si attacchi a parole la concertazione sindacale e nel
frattempo si ammetta la “concertazione politica” in cambio di qualche
assessore o qualche ministro. La passata esperienza d’appoggio al governo
Prodi e l’attuale esperienza nelle varie giunte di centrosinistra dovrebbe
aver fornito prove inconfutabili che i famosi “paletti” sono la bella favola
per fare digerire un’altra volta uno scandaloso appoggio ai nemici
dell’articolo 18 (Rutelli, Prodi, D’Alema) e alla abdicazione dalla
costruzione di un partito realmente autonomo e alternativo, di classe.
Così pure, per me che faccio
attività nel sindacalismo di base, resta un mistero come alcuni compagni
impegnati nel sindacalismo di classe riescano a criticare sul piano sindacale la
concertazione e le politiche uliviste del lavoro, e poi -con una capriola-
sostengano nel partito la mozione di maggioranza o quelle "critiche"
che propongono un ingresso diretto (o un sostegno esterno) a un nuovo governo
Prodi-Treu che già annuncia quotidianamente di voler appunto rilanciare le
politiche di "flessibilità" e sfruttamento selvaggio dei lavoratori
contro cui ci battiamo quotidianamente nei posti di lavoro.
Patrizia Cammarata
(Rdb
Cub, componente Rsu Comune di Vicenza)