VI CONGRESSO: VERSO VENEZIA; UN PRIMO BILANCIO E L'INTERVISTA DI LIBERAZIONE A FERRANDO
Si stanno concludendo gli ultimissimi congressi e ci si avvia verso il congresso nazionale di Venezia. Il dettaglio delle cifre finali è ancora incerto (i numeri esatti dipendono dagli ultimi conteggi e dal pronunciamento delle commissioni federali e nazionale su vari ricorsi). Sapremo quindi nelle prossime ore i dati realmente definitivi. Il nostro documento, comunque, si attesta intorno al 6-6,5 % dei voti, in una sostanziale parità al terzo posto con il documento 4 di Malabarba (in alcuni conteggi risultiamo sopra noi, in altri il documento della Sinistra Critica: preferiamo aspettare i calcoli finali, evitando -a differenza del documento 4- di parlare di "vittorie" per un possibile scarto di una manciata di voti tra noi e loro); la mozione di Bertinotti prende circa il 59-60% e quella dell'Ernesto tra il 24 e il 26%.
In ogni caso, numeri esatti a parte, è già possibile iniziare a tracciare un primo bilancio politico, rinviando per ovvi motivi a dopo il congresso nazionale una valutazione più approfondita. Trovate qui allora l'ultimo intervento pubblicato nella tribuna congressuale a sostegno del nostro documento, scritto da due nostri dirigenti (il compagno Alberto Madoglio e il compagno Nicola di Iasio): pur nella sintesi necessaria del testo ci sembra che esso contenga tutti gli elementi per iniziare a formulare le nostre valutazioni.
Condividiamo il giudizio positivo che i compagni danno sul risultato politico della nostra battaglia che registra una crescita in voti assoluti (a fronte di un calo percentuale dovuto soltanto alla abbondante "correzione" di voti ottenuta con l'aggiunta di ventimila voti passivi da parte delle due aree principali della vecchia maggioranza, le mozioni 1 e 2); e soprattutto che evidenzia una crescita politica del consenso a Progetto Comunista in un congresso difficile, con cinque documenti, con interi apparati nazionali e locali impegnati nella raccolta dei voti (per tacere di parlamentari e assessori -che, come noto, non aderiscono a una mozione che rivendica l'opposizione di classe a tutti i governi locali e nazionali della borghesia). La battaglia congressuale per la nostra mozione -l'unica a sostenere l'opposizione di classe senza se e senza ma- ha soprattutto raccolto intorno al nostro documento un sostegno, un interesse di tanti compagni giovani e centinaia di nuovi contatti: decine sono le richieste di nuovi abbonamenti al nostro giornale e l'avvio della diffusione in città in cui non eravamo precedentemente presenti. Ma, ripetiamo, torneremo dopo Venezia a fare valutazioni più approfondite per costruire il proseguimento della nostra battaglia politica generale.
Sempre in questa circolare potete leggere l'intervista a Marco Ferrando, portavoce del documento, pubblicata oggi sulle pagine di Liberazione.
Francesco Ricci
Le contraddizioni della scelta governista oltre il congresso
La
fase congressuale si avvia a conclusione. Non disponiamo delle cifre finali ma
un dato è certo. La svolta governista si conferma maggioritaria ma circa la metà
del partito non la condivide: distribuendosi sulla mozione che propone il
rifiuto netto dell'approdo di governo con i liberali (la 3) e sulle mozioni
"critiche". E questo nonostante siano stati messi in atto per il
congresso mezzi che non trovano eguale nei cinque congressi precedenti. A
partire dal ricorso al voto passivo (in cui si è distinta oltre alla prima
anche la seconda mozione). Si va infatti verso un raddoppio dei votanti rispetto
ai congressi precedenti... e non certamente per una crescita della
partecipazione al dibattito, come sa chiunque abbia affrontato i congressi (una
situazione diffusa: congresso su due giorni; nel giorno del dibattito
partecipano 30 compagni, 4 interventi; nel giorno del voto arrivano altri 130
iscriti, che non si erano mai visti e che probabilmente non si vedranno più).
Il "lavoro" sulle percentuali in
ogni caso non modifica, per quanto ci riguarda, il consenso alla mozione 3 che -
sottratti i voti di Falcemartello (nel congresso precedente emendava il nostro
documento) - riceve un sostegno in voti assoluti in crescita numerica in molte
federazioni e una importante estensione territoriale: un dato solo in parte
offuscato dal calo in percentuale, dovuto all'annacquamento prodotto dai quasi
ventimila voti passivi aggiunti.
Soprattutto la conclusione del congresso non
elimina le contraddizioni della scelta governista: ogni giorno ne accumula di
nuove, derivate dalla scelta di governare con i liberali e il blocco sociale di
capitalisti "illuminati" che (Montezemolo in testa) sostiene
l'alternanza di Prodi.
Il dibattito sulla guerra in Irak è
esemplificativo.
Quanto alla "cacciata di Berlusconi"
- ultimo argomento a cui si ricorre nei congressi per convincere sulla svolta
governista - resta uno slogan vuoto. Berlusconi rimarrà fino al 2006 proprio
grazie all'Unione e nonostante la crisi del suo blocco sociale e la stagione
delle lotte. E nel 2006 verrà (forse) sostituito da un governo di banchieri che
- in assenza di una vittoria dei lavoratori, e anzi con l'annegamento nella
concertazione delle lotte - a sua volta anticiperà nuove e più pesanti
vittorie della destra.
Questo è quanto apprezza il coro della grande
borghesia e della sua stampa che attende con soddisfazione l'ingresso dei
ministri del Prc nel Prodi-bis per decapitare politicamente le lotte,
assicurando al prossimo governo liberale la rimozione dell'opposizione.
Queste contraddizioni si amplieranno nei
prossimi mesi, facendo riflettere sia i compagni che oggi hanno voluto, in buona
fede, credere al miracolo del "compromesso riformatore" con gli
artefici liberali delle controriforme; sia evidenziando l'inesistente
prospettiva alternativa offerta, nei fatti, dalle due mozioni
"critiche" (2 e 4).
I congressi finiscono ma la realtà continua e
si incarica ogni giorno di smascherare le illusioni. I fatti hanno la testa dura
e i fatti, crediamo, ci danno e ci daranno ragione. Su questi fatti continuiamo
la nostra battaglia per preservare l'opposizione di classe a tutti i governi
della borghesia.
Nicola
di Iasio
Alberto Madoglio
Marco Ferrando, portavoce della terza mozione al congresso di Rifondazione, racconta la sua passione politica e il suo trotskismo: un programma di trasformazione socialista e anticapitalista che sappia sfruttare lo spazio di rappresentanza sociale e politica a sinistra
«Mandiamo a casa Berlusconi, ma non vendiamo la nostra identità»
Piero Sansonetti
Ferrando è arrivato alla politica poco dopo il '68. In quell'anno fatidico era in quarta ginnasio. Due anni dopo, sedicenne, incontra un gruppo politico che si chiama "Lotta comunista". E' un gruppo forte soprattutto a Genova. Nel "casellario" dei gruppi extra-parlamentari dell'epoca è classificato come "bordighista". Sapete che vuol dire? Amedeo Bordiga è il fondatore del Pci, fu lui che guidò la scissione a Livorno, nel '21; era un ingegnere napoletano astensionista che non sopportava Turati, ma non amava troppo neanche Lenin. Si portò dietro Gramsci e Togliatti, e loro, due anni dopo la fondazione del partito, lo misero in minoranza e lo sostituirono. Bordiga si ritirò dalla grande politica subito dopo la sconfitta, mentre il fascismo si consolidava. Il suo nome, nella tradizione del Pci, è sempre stato un pessimo nome: non era considerato esattamente un traditore ma qualcosa del genere. Ferrando restò lì due anni, fece esperienza, ruppe con le tradizioni familiari e con l'educazione cattolica, lesse Marx e Lenin. Poi nel '72 ruppe con Lotta comunista. Perché? "Era una setta che usava l'icona di Lenin per coprire il settarismo bordighista, la sua estraneità ai movimenti". Nel 1975, a vent'anni, Ferrando incontra Trotsky. Diciamo che fa la scelta di vita.
Nel 2005 tu mi dici ancora che sei trotskista?
Lo "confesso"…
Cos'è il trotskismo?
Né una religione né una iconografia, ma la continuità dell'ispirazione di fondo del bolscevismo. Un programma di trasformazione socialista, rigorosamente anti-capitalista, e ostile alla burocrazia e allo stalinismo. Ecco, il trotskismo è questo, non il culto della personalità. Peraltro penso che se facciamo un bilancio della storia del movimento operaio del novecento, tanto più dopo la caduta del muro e il crollo dell'Urss, l'unica impostazione politica che ha coniugato l'opposizione allo stalinismo con la difesa della rivoluzione e del suo programma è il trotskismo. In questo senso è la continuazione di Lenin e dell'Ottobre.
Com'era Genova in quegli anni della tua giovinezza?
C'era una situazione politica particolare. Erano deboli i gruppi importanti della nuova sinistra, come Lotta Continua o Avanguardia Operaia o il Pdup. C'era il grande apparato del Pci, molto invadente, e Lotta Comunista.
Come hai vissuto il '77?
Nelle lotte del movimento. Ma rimproverando alla sua cultura egemone (in particolare ad Autonomia Operaia) un atteggiamento elitario verso le grandi masse. Non si interessava al grosso del movimento operaio. Riteneva che la politica del Pci e la base del Pci fossero due facce della stessa medaglia. Al contrario noi ci opponevamo strenuamente al compromesso storico, ma guardavamo con interesse la base del Pci, ponendo la questione della rottura con la Dc e di un'altra direzione del movimento operaio. I vecchi gruppi dirigenti della nuova sinistra avevano commesso peraltro degli errori enormi, abbandonando il campo proprio nella fase in cui, con l'unità nazionale, si erano aperti dei grandi spazi a sinistra. Il risultato fu che quegli spazi, lasciati liberi, finirono in parte con l'essere occupati dalla "autonomia operaia" o addirittura dalle Brigate Rosse, col loro carico di aberrazioni.
Dicendo queste cose non ti viene il dubbio che stai commettendo lo
stesso errore dell'estrema sinistra di allora? Mi spiego meglio. Bertinotti
dice: compagni, la destra è in crisi, il centrosinistra non ha una ricetta, si
apre per noi uno spazio grandissimo: abbiamo la possibilità di inserirci in
questa crisi e guidare noi la ricostruzione della sinistra e di una sinistra di
governo. Tu rispondi: no, fermi tutti, non c'è nessuna novità, si resta
all'opposizione, belli, puri e immobili. Non è così?
No. Innanzitutto non c'è nessuna divergenza sul fatto che per il nostro partito si apre una prateria e che dobbiamo correrci dentro. Io, in un certo senso, la vedo più di altri. Da molto tempo infatti denuncio l'evoluzione liberale della maggioranza Ds (altro che "riformisti"), la rescissione progressiva delle vecchie radici socialdemocratiche, e le nuove relazioni coi poteri forti del paese, con la grande impresa, la Fiat, le banche. Si apre un nuovo spazio di rappresentanza sociale e politica a sinistra.
Ma proprio per questo pongo la seguente questione: vuoi utilizzare questo spazio nuovo, aperto dall'esaurirsi della vecchia socialdemocrazia, per ricostruire tu la socialdemocrazia, dandole il ruolo di costola sinistra di una grande alleanza col centro liberale? Oppure preferisci utilizzare il nuovo spazio politico che si è aperto per la rifondazione comunista? Cioè per dare una direzione anticapitalistica al movimento operaio, e una politica ostile al compromesso di governo con le forze liberali e con quei poteri e quegli interessi che queste forze rappresentano? E' questa la domanda di fondo. Io colgo il fondamento reale dell'operazione di Fausto. E' una operazione brillante di ricostruzione di un partito socialdemocratico in Italia, cioè di un partito che non c'è più. Ma così facendo, non solo gettiamo a mare la rifondazione comunista, ma ci subordiniamo all'alternanza liberale guidata dai poteri forti. Che oggi vogliono rimpiazzare Berlusconi nel nome della concertazione e della pace sociale. Non saremmo certo noi a guidare questa alleanza. Noi saremmo la ruota di scorta, a rimorchio della borghesia italiana.
La sinistra secondo te deve porsi o no il problema dell'accesso al
governo? E se non deve porselo, qual è il suo compito: opposizione vita natural
durante?
Un partito comunista per definizione si pone il problema del governo. Non è una forza protestataria. Vuole cambiare il mondo. Il partito comunista aspira a concentrare nelle mani dei lavoratori e delle masse le leve del potere politico. E concepisce il potere dei lavoratori come strumento per costruire una società socialista. Purtroppo questa prospettiva strategica è del tutto assente dagli orizzonti del nostro partito. E invece si persegue uno sbocco di governo sul terreno dell'alleanza con forze politiche rappresentanti di altre ragioni sociali.
Guarda Prodi, Rutelli, D'Alema: non è solo che hanno idee diverse dalle nostre, loro sono la nomenclatura dei poteri forti. Guarda lo staff di Prodi: non manca un solo banchiere del nord e nessun rampollo delle grandi famiglie. Può un partito comunista andare al governo con queste forze e sotto la loro direzione? Può consegnare alle destre il monopolio dell'opposizione al centrosinistra?
E quindi?
Quindi si tratta di costruire dall'opposizione, nei movimenti di lotta un'alternativa di potere alle classi dominanti.
Ma questa prospettiva è lontanissima…
Andare al governo coi poteri forti non solo l'allontana ancora, ma la
compromette. Come è avvenuto sempre ogni volta che i partiti operai e comunisti
sono andati al governo con i liberali. E questo è vero tanto più oggi, in
questa epoca di crisi. Jospin e Lula insegnano.
Ma tu non vedi il problema di contribuire a levare il governo dalle mani
di quella parte della borghesia italiana, la più aggressiva e reazionaria, che
è guidata da Berlusconi?
Eccome. Noi siamo da sempre in prima fila nella battaglia per cacciare il governo Berlusconi. Di più: crediamo che sia inutile continuare a dire: "cacciamolo…" e poi limitarsi agli scioperi simbolici ogni quattro o sei mesi. Noi crediamo che occorra una azione di massa, forte e concentrata. Se Berlusconi cadesse sull'onda di una mobilitazione radicale, allora tutto il quadro dei rapporti di forza cambierebbe e si riaprirebbe il varco di un'alternativa vera. Per questo proponiamo una svolta di fondo nell' azione del movimento operaio italiano che generalizzi la lezione di Melfi. Solo l'opposizione radicale strappa risultati concreti: contro i padroni e contro Berlusconi.
Sì, ma c'è anche il problema elettorale.
Certo, non siamo contrari ad accordi con la sinistra del centrosinistra nei collegi "marginali", in modo da favorire la sconfitta dei candidati della destra.
Quindi siete favorevoli ad un governo antiberlusconiano?
Siamo favorevoli a cacciare Berlusconi. Incondizionatamente. Ma Berlusconi può cadere da due versanti diversi: dal versante dei lavoratori o dal versante dei poteri forti. Se viene sostituito da un governo Prodi-Montezemolo, io penso che un partito comunista debba necessariamente restare all'opposizione.
Nessun accordo, se non tecnico?
Sì. Chiediti, perché oggi i liberali non propongono a Rifondazione un
accordo puramente elettorale per cacciare Berlusconi? Non lo propongono per un
motivo semplicissimo: vogliono che il nuovo governo sia privo di opposizione
sociale e politica a sinistra. Sanno che una politica di concertazione oggi
reggerebbe solo se Epifani ha le spalle coperte a sinistra.
Perciò abbiamo un progetto opposto al loro: non dissolvere ma rafforzare
l'opposizione comunista e di classe.