Bertinotti e il caso
Parmalat
Dalla nazionalizzazione alla...
commissione
di Marco Veruggio
Tempo fa ci eravamo occupati su queste colonne di Marconi, azienda leader nel
campo delle telecomunicazioni improvvisamente entrata in crisi dopo il crollo
del suo titolo in borsa. La vicenda della Parmalat potrebbe sembrare di altro
genere. Qui c'è in ballo una dirigenza corrotta, che si è imboscata miliardi
di euro affossando il futuro della società. Tuttavia, pur con le sue specificità,
anche questo caso si inquadra in una dinamica tipica del capitalismo e in
particolare delle fasi di recessione. Intanto va detto che è ben difficile che
le crisi finanziarie non abbiano dietro di sé anche ragioni di carattere
produttivo. Sarebbe diffcile pensare che un'azienda delle dimensioni di Parmalat
entri in crisi solo perché il titolare ruba. E' evidente che, se il gruppo
fosse stato sano dal punto di vista produttivo, Tanzi non avrebbe avuto nessun
interesse a soffocare la gallina dalle uova d'oro per rubarne un paio. Potremmo
dire che le società non vanno in rovina perché falsificano i bilanci, ma
falsificano i bilanci perché stanno andando in rovina. Del resto gli analisti
sono stati tutti concordi nel paragonare il caso Parmalat a Enron o Worldcom,
aziende rispetto alle quali è evidente il legame tra il loro crollo la crisi
dei rispettivi settori, energia e telecomunicazioni.
Perchè si falsificano i bilanci
Ancora una volta il richiamo a Marx non è letterario. La caduta del saggio di
profitto fa sì che per poter mantenere alto il profitto in termini assoluti
l'imprenditore debba aumentare il capitale complessivo. Questo meccanismo è uno
dei motori principali del processo di concentrazione del capitale e ovviamente
si dispiega in particolare durante le crisi cicliche del capitalismo, essendone
contemporaneamente all'origine. La corsa apparentemente folle all'acquisizione
di nuove società a fronte di difficoltà economiche che spingerebbero qualsiasi
buona massaia a diminuire le spese si spiega in questo modo. Si pensi ad esempio
alle attività turistiche di Tanzi, uno dei talloni d'Achille del gruppo. Nel
corso degli anni '90 la girandola delle acquisizioni realizzate nel segmento
turistico sembra infinita: Club Vacanze, Cit (poi ceduta), poi - dopo la nascita
di Parmatour - Comitour, Gruppo Ausiliare, Going, Lastminutetour (pagata - si
dice - il doppio del suo valore). E nello stesso tempo, nonostante le magagne
evidenti, si continuano a rinegoziare indebitamenti con le banche. In situazioni
come questa l'aumento del capitale complessivo purtroppo determina a sua volta
un fenomeno di sovrainvestimento e quindi di sovrapproduzione. A quel punto per
recuperare risorse è necessario ricorrere sempre più fre-quentemente ai
mercati finanziari, emettendo titoli, ma per riuscire a far sì che questi siano
appetibili è necessario esibire una liquidità che non si ha più. Di qui la
falsificazione dei bilanci. Ovviamente tutto va avanti fino a quando il bubbone
esplode. La stesso equilibrio del mercato capitalistico richiede di introdurre
dei correttivi per eliminare i "mostri" che esso stesso genera (di
solito sono licenziamenti e copertura dei debiti con denaro pubblico).
Degenerazioni del capitalismo
Non si tratta di degenerazioni dell'economia capitalistica ma di fenomeni
canonici, che riguardano centinaia di aziende di quelle dimensioni, ciascuna
ovviamente con le sue specificità, ma con modalità ricorrenti. Gary Becker,
Nobel per l'economia e successore di Milton Friedman alla School of Economics di
Chicago è esplicito: "Di certo quello della Parmalat non è il primo
scandalo che scoppia in Europa, né sarà l'ultimo. Lo stesso discorso vale per
gli Usa dove prima o poi emergeranno altre Enron, nonostante i nuovo
regolamenti." Del resto basta analizzare le cose da un versante di classe
per capire che Parmalat non è un caso isolato. La Itc&P, società con cui
Tanzi si lanciò nel mondo del turismo, era azionista della Cragnotti&partners,
holding mediante la quale Cragnotti acquisì la Cirio. Non sto a ricordare le
sventure della Cirio. Ricordo solo che Cesare Geronzi, patron di Capitalia, è
indagato con l'accusa di aver ammollato le obbligazioni Cirio a ignari quanto
fiduciosi risparmiatori. Lo faccio perché proprio Capitalia sta partecipando al
salvataggio di Parmalat, avendo acquistato da questa nelle scorse settimane
l'1,5% del portafoglio di Mediocredito Centrale (inoltre Tanzi è stato nel
C.d.A. di Capitalia).
Insomma i tre protagonisti dei maggiori crack borsistici degli ultimi anni sono
compari. Aggiungo che, poiché buon sangue non mente, Francesca Tanzi, figlia di
Calisto, dopo aver brillantemente portato al massacro Parmatour ha fondato
assieme a Andrea Cragnotti, figlio di Sergio e Chiara Geronzi, figlia di Cesare
e giornalista di Canale 5, la Gea una società di intermediazione di calciatori.
Se alla ramificazione degli interessi economico-familiari aggiungiamo le
aderenze politiche il quadro diventa ancora più interessante. Le banche che
vantano maggiori crediti nei confronti di Parmalat, quindi le maggiori
finanziatrici di Tanzi sono di nuovo Capitalia, Banca Intesa (guidata da Corrado
Passera, smantellatore delle Poste sotto il centro-sinistra), Monte dei Paschi
di Siena (notoriamente "vicina" ai Ds). Tanzi è vicino all'ex
sinistra Dc di Ciriaco De Mita; Cragnotti, ex simpatizzante del Msi, oggi tifa
An; Geronzi, uomo bipartisan per eccellenza, gestisce Capitalia per conto di
Tronchetti Provera come di Ligresti, di Colannino come di Moratti e annovera tra
le sue opere il risanamento e il lancio in borsa di Mediaset ma anche il
salvataggio dei Ds e de L'Unità dalla bancarotta. Questo per dare un'idea
dell'intreccio di interessi materiali che unisce personaggi e aziende: basta
tirare un filo per disfare tutta la trama del capitalismo italiano e dei suoi
scandali. Il coinvolgimento di Jp Morgan e Merril Lynch nelle indagini e
l'intervento della Sec statunitense testimoniano poi il coinvolgimento del gotha
capitalistico internazionale.
C'è ancora bisogno di indagare?
Fausto Bertinotti ha rilasciato un'intervista al Corsera del 31 dicembre, in cui
faceva registrare un netto passo indietro rispetto alle proposte che il Prc
aveva avanzato all'epoca della crisi Fiat. Allora si proponeva la
"nazionalizzazione", sia pure secondo il modello Renault (cioè
l'ingresso del pubblico per risanare i debiti, lasciando però il controllo ai
privati), oggi Bertinotti propone... una commissione d'inchiesta parlamentare.
Due anni fa, quando l'accordo con l'Ulivo era ancora un'immagine sfuocata
all'orizzonte, potevamo anche fare un po' gli estremisti. Alcuni compagni di
maggioranza vennero da noi con un sorrisino soddisfatto, come dire: "Avete
visto voi che fate i rivoluzionari? Piano piano ci siamo arrivati e ci siamo
portati dietro tutto il Partito!" Ma oggi chi glielo va a dire a Prodi e a
D'Alema che vogliamo nazionalizzare un'azienda loro "amica" nel cuore
dell'Emilia rossa? Se però gli scandali sono il prodotto fisiologico del
mercato capitalistico i casi sono due: o ci teniamo gli scandali, i
risparmiatori truffati, i licenziamenti oppure non possiamo affidare l'economia
ad allegri compagni di merende come i Tanzi, i Cragnotti, i Geronzi. Più
andiamo avanti è più diventerà chiaro che l'unica soluzione è mettere in
mano l'economia agli unici che hanno la capacità e la volontà di farla
funzionare, nell'interesse dei più: i lavoratori. La nazionalizzazione di
aziende come Parmalat e Cirio senza indennizzo e sotto il controllo dei
lavoratori e dei piccoli investitori non è utopia. L'utopia è pensare di far
controllare i Tanzi dai Fazio, dai Tremonti, dalle Consob, ecc.