La questione della violenza rivoluzionaria

(illustrata in forma popolare, adeguata all'intelligenza non solo degli operai più arretrati, ma anche di certi leader tra i meno irrecuperabili) (1)

 

(estratti)

 

di Lev Trotskyj

 

(...) Anche nella sua qualità di cristiano credente, Lansbury (2) dovrebbe del resto considerare che se ai loro tempi quei furfanti matricolati di sacerdoti ebrei, assieme al codardo proconsole romano Pilato, (...) non avessero fatto uso della violenza contro il Cristo, non ci sarebbero state né l'accettazione della corona di spine né la resurrezione e l'ascensione; e lo stesso signor Lansbury non avrebbe avuto modo di venire al mondo come fervente cristiano e di diventare un cattivo socialista. Non credere nella violenza è lo stesso che non credere nella forza di gravità. Tutta la vita è determinata da forme svariate di violenza, dal controbilanciarsi di una forza con un'altra, e rinunciare alla violenza liberatrice vuol dire appoggiare la violenza degli oppressori che domina oggi il mondo.

 

(...) Che cosa si intende in realtà con rifiuto di ogni forma di violenza? Supponiamo che un ladro penetri nella casa del signor Lansbury: temiamo molto che questo devoto gentiluomo (parliamo ora del padrone di casa) farebbe uso della forza o si rivolgerebbe a questo scopo al poliziotto più vicino. Anche se nella sua generosità, Lansbury consentisse al ladro di andarsene in santa pace (non ne siamo affatto sicuri), lo farebbe alla condizione, del tutto ragionevole, che lasci immediatamente la casa. E il degno gentiluomo potrebbe permettersi il lusso di un gesto così cristiano solo perché la sua casa è sotto la protezione della legge britannica sulla proprietà e dei suoi innumerevoli custodi, di modo che le visite notturne dei ladri sono di solito un'eccezione e non una regola. Se Lansbury volesse risponderci che penetrare in una rispettabile casa privata cristiana è un atto di violenza, che determina la necessità della resistenza, gli diremmo che un tale modo di ragionare sarebbe una completa abiura del rifiuto della violenza: in realtà sarebbe il riconoscimento della violenza in teoria e in pratica e tale riconoscimento potrebbe essere esteso integralmente alla lotta di classe, dove la penetrazione quotidiana del capitalista-ladro nella vita e nel lavoro del proletario e l'espropriazione del plusvalore giustificano completamente la resistenza. Forse Lansbury replicherebbe che per violenza non intende tutte le misure di coercizione in generale, senza le quali non potrebbe sussistere la nostra eccellente società, ma solo la violazione del sesto comandamento che dice: Non uccidere. A sostegno di una simile interpretazione si potrebbe far ricorso a molti paroloni sul carattere sacro della vita umana. Ma vorremmo chiedere, usando il linguaggio delle parabole dei vangeli, il più comprensibile per i leader del socialismo britannico, nel caso che un ladro alzasse un bastone per colpire i bambini proprio dinanzi ai suoi occhi, il signor Lansbury non cercherebbe forse di salvarli con un colpo di pistola tempestivo e bene azzeccato? Se il nostro supposto interlocutore non avesse voglia di occuparsi di questi meschini sofismi, forse risponderebbe per sua tranquillità di coscienza che il nostro esempio ha un carattere del tutto eccezionale. Ma questa risposta significherebbe egualmente che Lansbury ha ceduto il suo diritto di uccidere in circostanze particolari alla sua polizia, strumento organizzato della violenza, non avendo così bisogno, nella maggior parte dei casi, di usare una pistola e neppure di chiedersi per quale scopo sia stata costruita.

 

Ma che cosa accade, chiediamo, se crumiri armati feriscono o uccidono degli scioperanti? Fatti del genere sono del tutto frequenti in America e non sono rari neppure in altri Paesi. Gli operai non possono cedere alla polizia il loro diritto di resistere ai crumiri, perché in tutti i Paesi la polizia tutela il diritto dei crumiri di ferire e uccidere gli scioperanti, cui non si estende, come è risaputo, la legge del carattere sacro della vita umana. Chiediamo: hanno diritto gli scioperanti di usare bastoni, pietre, pistole, bombe contro i fascisti, contro le bande del Ku Klux Klan e ogni sorta di furfanti stipendiati dal capitale? E' una domandina cui vorremmo si rispondesse in modo chiaro e preciso e non evasivo o ipocrita. Se Lansbury ci dice che compito del socialismo è dare alle masse popolari un'educazione tale che i fascisti cessino di essere fascisti, i furfanti furfanti e così via, la sua risposta è improntata alla più pura ipocrisia. E' del tutto fuori discussione che scopo del socialismo è quello di sopprimere la violenza, anzitutto nelle sue forme più crude e sanguinose, successivamente nelle sue forme nascoste. Ma qui stiamo discutendo non sul carattere e sulla morale della società comunista, bensì sui modi concreti di combattere la violenza capitalista.

 

(...) Che cos'è, a rigore, la violenza? Dove comincia? A qual punto le azioni collettive delle masse, lecite e opportune, si trasformano in violenza? Dubitiamo molto che Lansbury o un qualsiasi altro pacifista sia in grado di dare una risposta, a meno che non si limiti a rifarsi semplicemente al codice penale, dove è stabilito che cosa è consentito e che cosa non è consentito. La lotta di classe è un succedersi continuo di atti di violenza, aperti o mascherati, "regolati" in misura maggiore o minore dallo Stato, che a sua volta rappresenta l'apparato organizzato di violenza del più forte degli antagonisti, cioè della classe dominante. Uno sciopero è forse un ricorso alla violenza? Ci sono state epoche in cui gli scioperi erano proibiti e tutti gli scioperi erano accompagnati quasi inevitabilmente da violenti scontri. Successivamente, come risultato delle lotte condotte con gli scioperi, cioè come risultato dell'attacco violento delle masse contro la legge o, più esattamente, come risultato dei continui colpi sferrati dalle masse contro la violenza legale, gli scioperi sono stati legalizzati. Significa questo che Lansbury considera come metodi di lotta leciti solo scioperi pacifici "legali", cioè quelli consentiti dalla borghesia? Ma se gli operai non avessero organizzato scioperi agli inizi del secolo XIX, la borghesia britannica non li avrebbe legalizzati a partire dal 1824. Se si ammette l'uso della violenza sotto forma di sciopero, se ne devono accettare tutte le conseguenze, tra cui la difesa degli scioperi contro i crumiri con l'impiego di appropriate misure di risposta violenta.

 

(...) Chiunque rinunci alla violenza dovrebbe rinunciare a tutte le lotte in generale, in altri termini dovrebbe, in realtà, stare dalla parte delle forze prevalenti della classe dominante.

 

(...) Supponiamo per un momento che dalle nuove elezioni esca una maggioranza laburista in parlamento e che il parlamento per cominciare, decida nella più completa legalità di trasferire senza indennizzo ai farmer e ai disoccupati cronici la terra dei proprietari terrieri, di introdurre una pesante imposta sul capitale e di abolire l'autorità monarchica, la Camera dei Lord e varie altre bizzare istituzioni. Non c'è il minimo dubbio che le classi possidenti non si rassegneranno senza combattere, tanto più che tutto l'apparato poliziesco, giudiziario e militare è completamente nelle loro mani. C'è già stato nella storia della Gran Bretagna un caso di guerra civile, in cui il re era appoggiato da una minoranza alla Camera dei Comuni e da una maggioranza alla Camera dei Lord contro una maggioranza ai Comuni e una minoranza ai Lord. E' stato negli anni quaranta del secolo XVII. Solo un idiota, ripetiamo, solo un miserabile idiota può pensare seriamente che una ripetizione di una guerra civile del genere (su nuove basi di classe) sia impossibile nel secolo XX come conseguenza degli evidenti successi nel corso degli ultimi tre secoli della concezione cristiana del mondo, dei sentimenti umanitari, delle tendenze democratiche e di altre ottime cose. Lo stesso esempio dell'Ulster dimostra che le classi possidenti non scherzano quando il parlamento, il loro parlamento, è costretto a intaccare, sia pure parzialmente, i loro privilegi. Per questo, preparandosi alla conquista del potere è necessario prepararsi a tutte le conseguenze che deriveranno dall'opposizione inevitabile delle classi possidenti. E' necessario capire chiaramente che, se un vero governo operaio dovesse giungere al potere in Gran Bretagna, sia pure nel modo più democratico, una guerra civile sarebbe inevitabile. Il governo operaio sarebbe costretto a eliminare l'opposizione delle classi privilegiate. Gli sarebbe impossibile farlo per mezzo del vecchio apparato statale, della vecchia polizia, dei vecchi tribunali e delle vecchie forze armate. Un governo operaio che nascesse per via parlamentare, sarebbe costretto a crearsi nuovi organi rivoluzionari, basati sui sindacati e sulle organizzazioni operaie in generale. Ciò porterebbe a uno sviluppo straordinario dell'attività e dell'iniziativa delle masse proletarie. Sulla base della lotta immediata contro le classi sfruttatrici i sindacati si mobiliterebbero attivamente non solo a livello di gruppi dirigenti, ma anche alla base e si renderebbe necessaria la convocazione di assemblee locali di delegati, in altri termini, di consigli di delegati operai. In realtà, un governo operaio, cioè un governo fedele agli interessi del proletariato, sarebbe in tal modo costretto a spezzare il vecchio apparato statale, strumento delle classi possidenti, e a contrapporgli i consigli operai. Ciò significa che la genesi democratica del governo operaio -se mai fosse possibile- porterebbe inevitabilmente a un ricorso alla violenza di classe rivoluzionaria contro l'opposizione reazionaria.

 

(...) Non accettiamo minimamente il principio della democrazia parlamentare come criterio supremo per affrontare il problema della violenza rivoluzionaria. Non è l'umanità che deve essere subordinata alla democrazia, ma la democrazia che costituisce uno degli strumenti accessori dello sviluppo dell'umanità. Se la democrazia borghese diventa un ostacolo, deve essere abbattuto. Il passaggio dal capitalismo al socialismo non sarà determinato da formali principi democratici, posti al di sopra della società, ma dalle condizioni materiali di sviluppo della società stessa: dalla crescita delle forze produttive, dall'impasse cui il capitalismo è costretto dalle proprie contraddizioni, interne e internazionali, dall'intensificarsi della lotta tra proletariato e borghesia.

(...)

 

(1) Si tratta del V capitolo dell'opuscolo Dove va la Gran bretagna?, scritto nell'aprile del '25. La versione integrale del testo è reperibile nell'antologia I problemi della rivoluzione cinese e altri scritti su questioni internazionali -1924-1940 (Einaudi, 1970).

 (2) George Lansbury prima liberale poi socialdemocratico, pacifista piccolo-borghese, fu direttore del Daily Herald (1912-1922) e leader del partito laburista nei primi anni Trenta.