Dove va il Prc?

L'impressionante accelerazione della maggioranza dirigente verso il governo

 

di Francesco Ricci

 

Una serie di vicende, in apparenza slegate tra loro, ci possono aiutare a rispondere alla domanda: dove va il Prc? Il lettore paziente ci segua: quello che inizialmente sembrava un insieme incoerente di colori su una tavolozza risulterà alla fine essere un dipinto con un significato chiarissimo. Su gran parte di questi argomenti -che qui ci limitiamo ad elencare- si possono leggere nelle altre pagine articoli di approfondimento.

1. Cominciamo con la Palestina. L'8 novembre scorso settori significativi di avanguardia che militano in solidarietà con la lotta palestinese promuovono una manifestazione a Roma contro il muro sionista. Con la risibile scusa di una caratterizzazione non abbastanza "pacifista" dei promotori, la maggioranza bertinottiana del Prc non partecipa a una manifestazione di diverse migliaia di persone (tra cui, come era ovvio, moltissimi militanti del partito). Dopo qualche settimana il segretario Bertinotti firma, insieme ai maggiorenti dell'Ulivo, un manifesto di sostegno agli "accordi di Ginevra" (che cancellano il diritto al ritorno dei profughi palestinesi) e partecipa il 21 dicembre con Fassino e soci a una manifestazione di "500 persone" (secondo le stime più generose).

2. Le elezioni amministrative si avvicinano; il Prc rinnova gli accordi nelle tante città dove già governava con l'Ulivo e si prepara a stringerne di nuovi nei pochi posti dove ancora stava all'opposizione. Gli accordi locali continuano a essere (almeno così si dice) distinti dal rapporto nazionale e, per così dire, "facoltativi". Ma se qualche federazione non ci sta o non si pone con la dovuta prontezza in posizione di accordo, si interviene dall'alto. E' il caso della federazione di Salerno, prontamente commissariata.

3. Liberazione avvia (con tanto di speciali e paginoni in cui si ospitano i deliri mistici di preti di varie confessioni) un "dibattito" (abbastanza monocorde, per la verità) sulla religione e sull'atteggiamento dei comunisti davanti ad essa. Tra omaggi al papa "pacifista" ed esaltazione della "fede che muove le masse" arrivano puntuali le conclusioni teoriche di Rina Gagliardi: la religione "non è più l'oppio dei popoli" di cui parlava Marx. Come, quando, perché? Agli argomenti contrari (ma da dove nascono le religioni, ma il ruolo politico e sociale della Chiesa, ma...), sono riservate le dieci righe della rubrica lettere. Dubbi non possono essercene (d'altra parte, quando si parla di fede e dogmi religiosi...).

4. Con qualche intervista del segretario, un paio di convegni e le presentazioni dell'ultimo libro scritto da Bertinotti si riscopre e rilancia con un altro atto di fede il valore "assoluto" della "nonviolenza". Liberazione, ancora una volta, si apre al "dibattito". In virtù della consueta, evangelica attenzione alle "verità altrui", è consentito dissentire in qualche decina di righe, sempre nella rubrica lettere (ma quale rivoluzione non violenta si è mai vista, ma le classi dominanti non si lasciano sloggiare sorridendo, ma il ruolo dello Stato, ma...). Il resto è tutto un fiorire di celebrazioni della fede del nuovo millennio. Tra i tanti fiori sbocciati cogliamo qui solo quello di Pierluigi Sullo (Liberazione dell'8 gennaio) che sotto i nostri occhi increduli riesce a far comparire in questo dibattito anche il povero Lenin: così come Lenin seppe rompere con la tradizione socialdemocratica e innovare, così noi oggi... Peccato (lo diciamo non tanto per Sullo, ma perché questo argomento del "coraggio dell'innovazione" inizia a essere ripetuto da qualche dirigente locale) che Lenin rompesse con la II Internazionale degenerata per contrapporre alla deriva verso i governi borghesi (e le loro guerre) l'opposizione comunista per l'alternativa operaia. Peccato che viceversa il rilancio della nonviolenza vada in direzione esattamente opposta e coincida -come dichiara giustamente Bertinotti, Liberazione del 30/11/03- con "l'aver estirpato alla radice il problema della conquista del potere".

5: E poi il convegno sulle foibe, con tanto di atto di contrizione e relative riscritture della storia (magari affidate a storici un po' improvvisati, come ben spiega nelle pagine interne l'articolo di Marceca).

6. E poi, ancora, la riunione a metà gennaio a Berlino, con la Pds tedesca, il Pc francese, IU spagnola, ecc., per una sorta di rifondazione di un'internazionale due e un ottavo: in cui ciò che spicca (a differenza di quanto vorrebbero gli "ortodossi" difensori grassiani del comunismo, altrettanto strenuamente impegnati nella difesa dell'accordo di governo con Prodi e Fassino) non è tanto l'assenza di qualche partito nominalmente "comunista" ma viceversa la presenza di tutti partiti... "di lotta e di governo", cioè che o sono già stati al governo o che comunque ci vogliono andare, in compagnia dei liberali e dei banchieri europei.

7. Infine arriva -tempestiva- l'intervista disinvolta e audace del segretario a Repubblica (De Marchis) su quanto salvare e quanto buttare del comunismo (a conti fatti si tiene solo il nome e poco più). Il giornale ulivista usa nel titolo l'espressione "Bad Godesberg", alludendo a un processo di abiura. E Liberazione si premura di ripubblicare l'articolo senza una parola di commento. Anche in questo caso è consentito ad alcune decine di lettori e militanti furiosi (e altre centinaia di lettere finiranno nel capace cestino della redazione) di mandare le dieci righe di proteste, domande, stupore. Ma intanto un altro passo è stato fatto.  

Tutto ciò nel giro di poche settimane. E non abbiamo ancora finito la lista. Succedono infatti, nel frattempo, mentre il gruppo dirigente organizza convegni e interviste per presentare la "nuova identità" del partito, un paio di fatti di primaria importanza: lo scandalo Parmalat e la lotta degli autoferrotranvieri.

8. Col caso Parmalat il capitalismo esibisce, suo malgrado, davanti all'intero Paese le sue vergogne (per anni coperte, in questo caso, specialmente dalle foglie d'Ulivo degli amici di Tanzi). E' un caso da manuale: se si dovesse illustrare, in termini popolari, che cosa significa l'economia capitalistica si potrebbe indicare questa vicenda di normale intreccio di sfruttamento, corruzione e furti legali e illegali ai danni dei lavoratori. Cosa propone un partito comunista? Lasciamo stare l'apertura dei libri contabili, il controllo dei lavoratori su ciò che producono, la nazionalizzazione sotto controllo operaio delle aziende in crisi e altre simili follie comuniste che solo Progetto Comunista può azzardarsi a dire. Ma perlomeno una pacifica opera di denuncia del capitalismo (e della sua irriformabilità) può essere fatta? No. Se c'è chi chiede una commissione parlamentare sulla Parmalat, Bertinotti va ben oltre e si spinge fino a proporre una "commissione parlamentare che analizzi e studi il capitalismo italiano". Nientemeno! Si propone cioè che una commissione, proporzionalmente composta dai parlamentari berlusconiani e da quelli delle opposizioni liberali (più un paio del Prc) si riunisca e "analizzi e studi il capitalismo italiano". Qualcuno potrà sorridere di questa proposta (mentre i principali dirigenti ulivisti l'hanno condivisa e Letta, della Margherita, l'ha indicata come un esempio del senso di responsabilità del Prc). Ma in fondo chi meglio dei parlamentari della borghesia (coadiuvati, s'intende, da un paio di consiglieri del Prc) può "analizzare e studiare" le malefatte a cui alcuni di loro hanno dato un prezioso contributo?

9. Dall'altro versante della lotta di classe, nel frattempo, gli autoferrotranvieri si impegnano in una lotta coraggiosa e durissima in cui hanno contro, con ruoli diversi ma convergenti, oltre al padronato e al governo anche le cosiddette "opposizioni" uliviste e le burocrazie sindacali. E Rifondazione? Esprime -e ci mancherebbe altro- "piena solidarietà" a questa lotta: senza scandalizzare Rutelli che sul Corriere spiega al giornalista che gli chiede come sia possibile pensare a un governo con chi sostiene gli scioperi "selvaggi" risponde che il ruolo futuro del Prc sarà appunto quello di paracarro di sinistra del governo (la sua espressione è più elegante, ma il senso è questo). E dopo la solidarietà? Il Prc propone in qualche modo di estendere e organizzare nazionalmente questa lotta, di intrecciarla con le altre in una vertenza generale contro il governo? No. Bertinotti precisa quale deve essere il ruolo "delle opposizioni" (cioè dell'Ulivo in compagnia del Prc): "le opposizioni devono rispondere agli autoferrotranvieri con due disegni di legge (sul recupero salariale e sul referendum sui contratti)". Di nuovo verrebbe da dire: nientemeno! I lavoratori sfidano nelle piazze le minacce repressive di padroni e governo e i comunisti cosa rispondono? Ci penserà il parlamento (dei padroni) con qualche disegno di legge che elaboreremo insieme a Bersani, Letta, Treu (tutta gente -lo diciamo a chi vorrebbe sorridere di questa proposta- a cui va riconosciuta una notevole esperienza in materia di attacco ai diritti dei lavoratori).

Tutti episodi slegati tra loro, casuali o piuttosto gli effetti di una causa evidente?

Il nuovo profilo responsabile in politica estera; le ostentate quanto maldestre "revisioni" storico- ideologiche; la moderata rinuncia alle occasioni di lotta; l'ossequio verso le gerarchie vaticane (l'ingresso al governo non val forse una messa?); le espressioni di cordoglio, dopo Nassirya, ai carabinieri che occupano l'Irak per conto delle multinazionali; sono tutte cose che ben si possono comprendere una volta chiarita qual è la direzione di marcia (anzi, di galoppo) intrapresa dal gruppo dirigente del partito: l'alternanza di governo con i liberali dell'Ulivo, sulla base del Manifesto di Prodi (che richiede, pare, solo qualche limatina). Un'alternanza -è evidente ogni giorno di più- che avverrà nel nome della grande borghesia italiana e quindi contro i lavoratori e le loro lotte.

Ma la strada che porta al governo non è sgombra. C'è un numero crescente di militanti che scuote la testa: con sospetto, sfiducia, disincanto, critica e infine rifiuto. Sono quelle centinaia di compagni e di compagne che -al di là della provenienza congressuale- in ogni federazione firmano e sostengono attivamente la petizione nazionale da noi promossa contro l'accordo di governo, per un congresso straordinario del Prc. La battaglia è dunque in pieno corso: non una battaglia per testimoniare un dissenso, ma per costruire insieme una prospettiva concreta di opposizione alla deriva governista del Prc, per difendere l'idea di una rifondazione comunista che sappia, partendo dalle lotte presenti dei lavoratori, costruire un'alternativa rivoluzionaria.

A tutti coloro che vogliono partecipare a questa battaglia diamo appuntamento all'importante iniziativa pubblica nazionale che terremo a Roma, sabato 21 febbraio.

 

(14 gennaio 2004)