Storia
di una fabbrica in declino e del massacro dell’occupazione
Cronaca
operaia dalla Valbormida
Per
chi non la conosce, diciamo che la Ferrania SpA è l’unica a azienda italiana
che produce, oltre a materiale fotografico classico (rullini, carta da stampa),
anche materiale fotosensibile per uso medicale (lastre radiografiche). E’ una
azienda che è in vita da almeno 86 anni e occupa un vasto territorio in una
frazione di Cairo Montenotte (Savona), frazione che è nata e cresciuta intorno
alla fabbrica e e le ha dato il nome.
Molti
in Italia e nel mondo, oggi, la ricordano come 3M Ferrania, in quanto la vecchia
Ferrania fu comprata dalla multinazionale americana. Al tempo, 10 anni fa,
contava 3500 dipendenti.
Alla
3M succedette Imation spa, che nel 2000 si liberò dell’azienda, vendendo i
brevetti della Ferrania, nel comparto dei fotosensibili ad uso medicale, alla
Kodak e con questi la proprietà del pacchetto azionario, e di conseguenza,
anche tutto il patrimonio immobiliare (un territorio di più di 500.000
metri quadri oltre ai capannoni e una ampia foresteria con alloggi e una
parte di un parco protetto). Si disse allora che Imation avesse ceduti i
brevetti per fare cassa. Alcuni tuttavia malignarono sul fatto che l’azienda
Ferrania era divenuta un ramo secco e per questo era stata ceduta. A sostegno di
questa ultima tesi testimonia la cifra esigua pagata dagli acquirenti, una
cordata formata da una finanziaria inglese e dal management
dell’azienda, che con 90 miliardi di vecchie lire si era aggiudicata gli
impianti di produzione, la totalità della proprietà immobiliare, le scorte e
quant’altro. Un’azienda priva dei brevetti per la produzione del materiale
fotosensibile ad uso medicale e che nei passaggi dalla vecchia Ferrania
alla 3M Ferrania alla Imation dai 3500 dipendenti era scesa a poco più
di mille, privata anche della struttura di commercializzazione sembrava ai più
avveduti che fosse nell’impossibilità di continuare, con successo, il
processo produttivo.
Dal
declino ai tagli
Il
management aziendale tuttavia
continuava l’attività con la convinzione, sbandierata all’opinione
pubblica, ai sindacati, ai lavoratori stessi, di poter risorgere dallo
smantellamento operato dalla Imation, pur non nascondendo le difficoltà
dell’impresa.
Tale
attività naturalmente, iniziava con un taglio di circa 300 dipendenti,
collocati parte in mobilità lunga, parte in cassa integrazione e con la
terziarizzazione di alcuni reparti e linee di produzione e dei servizi.
Acquiescenti si dimostravano i sindacati, che sostenevano le decisioni
dell’azienda, giustificando e “comprendendo” le difficoltà. La
nuova Ferrania Immagin Technologies
arriva, ai giorni nostri, alla decisione (annunciata improvvisamente il
28 Novembre) di adottare la cassa integrazione a partire dal 15 Dicembre 2003,
fino al 12 Gennaio 2004, per 745 dipendenti (320 impiegati, 280 operai, 145
quadri) e al non rinnovo di 125 “contratti a termine” anche se questi sono
contratti a termine (annuali) rinnovati da più anni.
Esplode
quindi un caso emblematico della situazione dell’occupazione nella Val Bormida
e a Cairo Montenotte in particolare. Le decisioni della Ferrania vengono
annunciate quasi contemporaneamente al taglio di alcune decine di lavoratori
della Rolam di Altare (azienda produttrice di parti di ricambio di autovetture),
che trasferisce parte della produzione in Polonia, e della
Schneider-Vatech-Magrini (proprietà di una multinazionale austriaca),
produttrice di accumulatori elettrici, dove vengono licenziati 30 dipendenti,
con la scusa di un calo di commesse, e dove tuttavia si esternalizza circa il
30% della produzione.
Il
caso Ferrania è emblematico per due ragioni, una comune a tutti gli
stabilimenti citati, e cioè il silenzio e l’acquiescenza dei sindacati alle
imposizioni aziendali, l’altra, nel caso Ferrania, per la mancanza di garanzie
e prospettive per il futuro date ai lavoratori da parte dell’azienda e il modo
in cui è stata annunciata la gravità della crisi aziendale.
La
direzione della Ferrania Immagin Technologies infatti alla metà del mese di
settembre annunciava di avere realizzato 189 milioni di euro di incassi e
vantava il realizzarsi del piano industriale presentato nel 2001. Il 27 novembre
2003 la direzione della Ferrania, dopo una serie di indiscrezioni e di notizie
date a mezzo stampa sulla situazione economica negativa, annunciava
l’improvviso ricorso alla cassa integrazione e in seguito l’intervento di
una finanziaria con sede a Londra e plaudiva all’intervento trasversale di
parlamentari liguri per ottenere un
emendamento alla Finanziaria che consenta a Sviluppo Italia di intervenire nelle
aziende in crisi anche al nord.
Il
nostro intervento
La
storia potrebbe finire qui, ma sarebbe una cronaca senza senso se non dicessimo,
evidenziandolo, che il silenzio delle burocrazie sindacali, la mancanza di
reazioni alle improvvise decisioni della azienda, ha in pratica lasciato i
lavoratori non solo senza difese, ma sta scatenando la solita lotta per
sopravvivere tra i lavoratori stessi, che senza punti di riferimento cercano non
una lotta e una difesa comune, ma la sopravvivenza individuale. Un fatto che ci
ha preoccupato molto, e sul quale come compagni di Progetto Comunista abbiamo
espresso la nostra condanna e la nostra denuncia, proponendo e facendo approvare
dalla Direzione provinciale del Prc di Savona un comunicato fortemente critico
verso le organizzazioni sindacali
che hanno plaudito alle
dichiarazioni della Ferrania e in
seguito hanno accettato senza reazioni la cassa integrazione e l’espulsione di
125 lavoratori con contratti a termine.
Oggi
le burocrazie sindacali continuano a mantenere un silenzio preoccupante e
pericoloso sul destino dei lavoratori della Ferrania, assicurando che tutto andrà
bene, pur sapendo che gli stessi lavoratori sono coscienti che il loro destino
sarà tranciato dai tagli inevitabili che il nuovo assetto societario apporterà
e ha già apportato al tasso di occupazione.
Ma
si è verificato un fatto ancor più grave. In
seguito ad un puntuale intervento dei nostri compagni all’interno della
fabbrica e nei direttivi de categoria (chimici) e alla loro richiesta di dare un
segnale di lotta, le burocrazie sindacali hanno risposto a questi compagni con
la richiesta di dimissioni dalla Rsu della fabbrica o invitando quelli presenti
nei direttivi provinciali della Filcea a mantenere il più rigoroso silenzio o
l’appiattimento sulle loro posizioni rinunciatarie.
Un
segnale positivo è venuto invece dai giovani lavoratori della Ferrania, che
appoggiandosi al nostro compagno presente nella Rsu hanno raccolto 150 firme per
una richiesta di incontro e chiarimento con la Rsu medesima (le 150 firme sono
superiori al numero degli iscritti alle tre organizzazioni confederali nello
stabilimento).
A
noi pare, questo, un segnale forte, tanto forte, che al momento in cui
scriviamo, dopo uno scipito comunisato della segreteria camerale della Cgil uno
dei segretari provinciali della Filcea ha scelto di schierarsi con questi nostri
compagni, che hanno chiesto e chiedono un intervento concreto a difesa della
occupazione nella fabbrica di Cairo Montenotte.
Massimiliano
Ghigne Rsu Ferrania Cairo Montenotte
Giorgio
Magni